A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Gina Lagorio
Abstract
Scrittrice, insegnante, animatrice culturale e consulente editoriale, Gina Lagorio è stata eletta alla Camera dei Deputati nella X Legislatura. Ripercorriamo, come ormai consuetudine in questa rubrica, alcuni tratti fondamentali della vita e degli scritti.
2. Gina Lagorio nel Palazzo: un inedito
4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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Nata a Bra (Cuneo) il 6 gennaio del 1922, Luigina Bernocco cresce a Savona, dove frequenta le scuole fino all'Istituto Magistrale. Dal 1940 collabora con il "Giornale di Genova", come lei stessa racconta:
La cosa andò così: la pagina savonese del maggior quotidiano ligure bandì un concorso tra gli studenti per un tema sulla città, qualcosa come "La via o la piazza che preferisci". Fu premiato il mio, e subito dopo il redattore della pagina savonese mi chiese se mi sarebbe piaciuto scrivere di cinema. Figurarsi! Esultai. Ebbi una tessera per entrare nelle sale senza pagare e - supremo omaggio al mio sesso - la gratuità era estesa a chi mi accompagnava [...]. Io ero figlia unica e ormai al cinema mi piaceva andare con i miei compagni di scuola. Dove le mie azioni si alzarono vertiginosamente, farmi la corte era vantaggioso, fu una stagione felice.
(Lagorio 1997, p. 85)
Si laurea durante la guerra, a 21 anni, alla facoltà di Magistero di Torino, con una tesi sulla poesia inglese.
Nel 1945 sposa Emilio Lagorio, già responsabile del Partito Comunista nel Comitato di Liberazione Nazionale di Savona e impegnato, come assessore alle finanze del Comune di Savona, nella ricostruzione postbellica.
Si completa così il nome che la Lagorio sceglierà per le sue opere:
Non mi è mai piaciuto il nome che mi sono trovata addosso, come un basto imposto da mia madre che voleva onorare la sorella morta. E il cognome, fuori del Piemonte in cui è diffuso come la gramigna, non mi metteva in minori difficoltà. È la ragione per cui non appena è stato possibile, a piccoli passi, prima a opera delle compagne di scuola e degli amici che mi chiamavano con un vezzeggiativo, e poi con le nozze precoci, l'ho cancellato per intero, nome e cognome: quello che mi identifica ormai si può ben dire un "nom de plume". Perché così ho sempre firmato, fin dai primi articoli sulle riviste letterarie [...].
(Ivi, p. 68)
A Savona insegna alla scuola media e conosce e frequenta diversi artisti e intellettuali, tra cui i poeti Camillo Sbarbaro e Angelo Barile. Dalla metà degli anni Cinquanta collabora con diversi periodici: "Liguria", "Maia", "Ausonia", "Letterature moderne" e "Il Ponte".
Fin da bambina, infatti, la lettura e la scrittura sono per la Lagorio strumenti per combattere la solitudine e per interpretare la realtà, come lei stessa racconta in un'intervista (documentario per la serie TV "Incontri", Cherasco, 29 settembre 1999, Produzione DueAfilm Antonio e Pupi Avati).
Nei primi anni Sessanta, incoraggiata tra gli altri da Camillo Sbarbaro, pubblica i primi racconti.
La morte del marito Emilio Lagorio nel 1964 dopo dieci mesi di malattia segnerà la vita della scrittrice, che ripercorrerà l'esperienza della malattia e della morte nel romanzo, pubblicato nel 1971, Approssimato per difetto. L'attività saggistica ed editoriale si intensifica, con collaborazioni con la televisione e la radio, edizioni scolastiche e diversi interventi critici, su Fenoglio, Sbarbaro e Barile.
La crescente mole di impegni la spingono a lasciare l'insegnamento e a trasferirsi a Milano nel 1973, città del secondo marito, Livio Garzanti, che sposerà nel 1981. Collabora con la casa editrice Garzanti a vari progetti, dalla realizzazione dell'Enciclopedia Europea, alla direzione della collana "Grandi Libri", curando nel 1980 l'antologia Poesia italiana. Il Novecento.
Non si ferma nel contempo la sua attività creativa e critica: scrive infatti racconti per le scuole medie, Qualcosa nell'aria, i romanzi La spiaggia del lupo e Fuori scena, realizza per la RAI diversi radiodrammi e collabora con diverse testate giornalistiche e riviste.
Nel 1977 il romanzo La spiaggia del lupo risulta vincitore della Selezione al premio Campiello e finalista allo Strega, mentre nel 1979 il romanzo Fuori scena ispira un film al regista Enzo Muzi.
Nel 1984 le viene assegnato il Premio Viareggio per Tosca dei gatti (Milano, Garzanti 1983) e nel 1986 riceve la cittadinanza onoraria dalla città di Cherasco, che sarà celebrata romanzo Tra le mura stellate (Mondadori, 1991).
Intanto, nel 1987, la Lagorio accetta la proposta di candidarsi come indipendente nelle liste del PCI per la Camera dei Deputati ed è eletta al Parlamento nella decima legislatura.
Negli anni Novanta pubblica Il silenzio. Racconti di una vita (Mondadori, 1993), Il bastardo, ovvero Gli amori, i travagli e le lacrime di Don Emanuel di Savoia (Rizzoli, 1993) - che vince il premio Grinzane Cavour - e Inventario (Rizzoli, 1997), bilancio della sua vita di scrittrice e non solo.
Di quegli anni è l'intervista: Ricordo di Gina Lagorio (RAI Educational, Varigotti, 22 aprile 1993), realizzato da Isabella Donfrancesco.
Nel gennaio del 2003 viene colpita da un ictus e, ancora una volta, l'esperienza la spinge a lasciare una testimonianza della malattia: consegna a Garzanti il dattiloscritto Càpita, che uscirà postumo nell'ottobre del 2005, a due mesi dalla morte dell'autrice, il 17 luglio 2005.
Così la ricorda Furio Colombo:
Era uno sguardo limpido sulla vita. Da quello sguardo ricavava indizi e notizie che trasformava in romanzi. Ma niente dei suoi libri era veramente romanzato, nel senso di abbandono alla immaginazione. Le interessava la vita, e - nella vita - l'accertamento, un suo modo di verificare solido e sicuro, come se ogni persona di cui ti occupi fosse un mondo e ogni vita un thriller, un nodo da cui estrarre poche cose chiare, sapendo che non tutto, anzi ben poco, si spiega.
Ma non c'era in lei traccia di rassegnazione o malinconia della rinuncia. La vita va affrontata, vissuta e narrata spietatamente.
(Lagorio 2011, p. 9)
Diversi, oltre a quelli ricevuti in vita, i riconoscimenti conferiti alla scrittrice: dall'inclusione nel Famedio di Milano all'istituzione, a un anno dalla scomparsa, del premio nazionale "Una donna nel mondo" a lei dedicato dalla città di Cherasco.
Nel dicembre del 2005 il fondo Gina Lagorio, per volontà della scrittrice e delle figlie, è stato donato all'Università degli Studi di Milano: è possibile consultare l'inventario dello stesso, conservato presso il centro Apice (Archivi della Parola, dell'Immagine e della Comunicazione Editoriale) della stessa Università, e pubblicato in appendice al volume a cura di Luca Clerici, Gina Lagorio. La scrittura tra arte e vita.
Ricorda la figlia Simonetta Lagorio, nell'introduzione al volume da lei curato, Parlavamo del futuro:
Il suo anello della gioventù, fatto al tempo della Resistenza, dove il GL inciso stava a significare sì Gina Lagorio, ma anche Giustizia e Libertà, è ora al mio dito e continua a dirmi, come faceva lei, che, oggi come allora, le parole devono corrispondere alle azioni per non risuonare vuote, e che senza libertà politica e senza giustizia sociale non ci può essere buon governo.
(Ivi, p. 16)
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2. Gina Lagorio nel Palazzo: un inedito
La cosa andò così: nell'87, da molti anni ormai abitavo a Milano e i responsabili dell'allora Partito Comunista in Liguria mi vennero a cercare per offrirmi la candidatura come indipendente nella X Legislatura. Io ero in viaggio in terra d'Israele e a tutto pensavo fuorché alla politica militante. Aspettarono il mio ritorno, li ascoltai più sgomenta che lusingata, non ero mai stata iscritta a nessun partito, e mi affrettai a dichiarare che intendevo continuare così finché fossi stata al mondo: rifiutai. Nessuno intendeva arruolarmi, mi fu detto, sarei entrate nel gruppo della Sinistra Indipendente. Tornarono e finii per cedere alle insistenze: in una campagna elettorale che sia apriva nel segno della minacciosa arroganza craxiana, si voleva il mio nome, che era quello di mio marito, diventato dopo la sua morte quasi un simbolo d'intelligenza critica e di rigore morale non solo per avere rappresentato il partito nel Comitato di Liberazione Nazionale, ma per esserne uscito con i fatti d'Ungheria nel 1956. Il passaggio di testimone suggerito dai buoni compagni liguri, mi portò nella votazione, fuori di ogni ragionevole speranza, subito dopo il capolista segretario del partito, il latinista ironico che si chiamava Alessandro Natta, imperiese come i Lagorio. Proprio per questo assurdo cumulo di voti di preferenza ho sempre pensato che siano stati i miei scolari a portarmi a Montecitorio.
(Lagorio 1997, p. 148-149)
Luigina Bernocco Garzanti viene dunque eletta nel collegio di Genova alla Camera dei Deputati nella X legislatura nelle liste del PCI. Entra a far parte del gruppo della Sinistra Indipendente, che annovera, tra gli altri, Luigi Pintor, Stefano Rodotà, Antonio Cederna e soprattutto Natalia Ginzburg (si veda l'articolo di questa stessa rubrica nel n. 34 n.s., agosto 2016). Il ricordo della scrittrice, per quattro anni compagna in Parlamento, si intreccia in questo brano con la riflessione sull'uso delle parole, argomento caro a entrambe:
«Penso che la gente abbia una necessità estrema di chiarezza, oggi come mai. Penso che oggi sia immensamente più faticoso scrivere chiaro che scriver oscuro. Penso che se uno scrive deve oggi per prima cosa non chiudere le imposte nella sua casa ma spalancarle». Natalia Ginzburg l'ha fatto. [...]
[Natalia Ginzburg, ndr] Non capiva i piccoli giochi sottesi alle «grandi idee», meglio, non ne sopportava il linguaggio: la limpidezza del suo esprimersi era il prefetto antidoto ai veleni del palazzo. Ecco perché ci mancherà: c'era, era lì, non importa se parlava raramente, ma nei momenti più gravi l'ha fatto e l'ha fatto scrivendo anche per gli altri. Soprattutto era il simbolo di una continuità, ogni giorno più fragile, con le speranze irrinunciabili del passato.
(Lagorio 2011 p. 93-94)
Membro della VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione), durante i primi anni della legislatura tiene un diario, del quale abbiamo notizia dal volume Inventario:
Tenevo un diario, in quegli anni, per me soltanto, trovavo insopportabili gli eletti che usavano il Parlamento per farsi pubblicità e diventare personaggi televisivi, per inventarsi scrittori e altre simili variazioni sul tema: scrivevo, per non morire al primo incontro, come Butterfly, e alla fine feci battere al computer poche copie del mio diario, per me e per i miei. Così, ho persino un postumo! Che, se qualche volta mi capita di rileggerlo, mi pare divertente, nei suoi furori e nelle sue vendette. Mi vendicavo a modo mio, schizzando bozzetti al vetriolo dei protagonisti del teatrino politico.
(Lagorio 1997, p. 149-150)
Un inedito, dunque, che abbiamo potuto consultare tra i volumi del Fondo Tullio De Mauro, in lavorazione presso la Biblioteca Nazionale Centrale, grazie alla dott.ssa Eleonora Cardinale. L'organizzazione del volume, intitolato Nel Palazzo. Taccuini parlamentari estampato a Roma nel 1989 - dunque nel mezzo della legislatura - è illustrata dall'autrice stessa nella premessa:
Ho alternato i fogli di diario, ordinati cronologicamente, ma del tutto estemporanei sia per la casualità - brevi, lunghi, e spesso la pagina del taccuino è bianca - sia per l'immediatezza delle notazioni, con paralleli interventi pubblici miei usciti su giornali o riviste, diversi di linguaggio e di tono, perché scritti al tavolo consueto, con una calma e un distacco diversi. Infine: ho dato in nota quando era necessario, qualche documento utile a chiarire le osservazioni del diario. E sempre per la curiosità del lettore ignaro dei riti e del linguaggio parlamentari, una crestomazia di interpellanze offre un piccolo ventaglio, tra il tragico e il grottesco, della vita italiana, di come la quotidiana vicenda della gente si riflette nella sollecitudine dei suoi eletti.
(Lagorio 1989a, p. 6)
La scrittrice si perde sistematicamente tra i corridoi e le sale di Montecitorio, come un'«Alice nel Paese dei deputati: stranita e stupita» (Lagorio 2011, p. 106), così i vari articoli inseriti nel volume, già pubblicati su "Società e lavoro", "Rinascita", "Corriere della Sera", "Società Civile", richiameranno spesso "Alice nel Palazzo", costantemente alla ricerca delle parole giuste per definire la vita parlamentare, come in questo pezzo del diario:
L'idea che mi sembra più simile alla difficilmente definibile realtà del Palazzo è "Cacania" di Musil. Il grande progetto che è fatto, programmato, organizzato e che non graffia mai il reale, eppure le persone che vi sono coinvolte e ci credono, sono vere. Il gioco delle perle di vetro di Hesse potrebbe essere un altro termine di confronto, ma là qualcosa progredisce grado per grado, giorno per giorno. Qui no.
(Lagorio 1989a, p. 46)
In Commissione si occupa della riforma scolastica, di editoria, della diffusione della cultura italiana nel mondo, di pari opportunità. Pochi gli interventi in Assemblea: sull'insegnamento della religione e i problemi della scuola, sull'ordinamento degli enti locali e sulla prima guerra del Golfo.
Tra i portatori d'acqua di questo Parlamento, io sono certo tra gli ultimi, per inesperienza politica. E tuttavia, non dispero di aver compiuto con umiltà, ma anche con dignità, la mia piccola funzione. Della quale mi riterrei già soddisfatta, quando me ne andrò per rientrare tra i più che non sono ufficialmente onorevoli, se solo avessi potuto suggerire in qualche modesto modo, la necessità per il Parlamento di ritornare a una cultura altra, e diversa. Una cultura che in Dante ha la sua espressione più alta, anche in senso civile. Perché non serve far leggi se non le ispira la volontà politica del bene collettivo e se non le accompagna la ferma intenzione di farle rispettare, altrimenti le leggi sono fragili e si aggrovigliano tra loro come serpenti in un cestino troppo piccolo. O se sono forti, «chi pon mano a esse»?
(Ivi, p. 6)
Amara è la constatazione della difficoltà dell'iter legislativo, che porta però sempre a riflessioni di carattere più generale, in un articolo che si intitola Sorridi... domani sarà peggio pubblicato su "Società e Lavoro" nell'aprile del 1988 e riprodotto nel volume Nel Palazzo:
Il decreto che l'ultimo giorno prima delle vacanze pasquali dovevamo votare, dopo mesi di fatiche, di lavoro per correggere, per tappare buchi, per raddrizzare storture, quel decreto che sembrava uno di quei reduci dalla guerra dei Trent'anni nella rappresentazione di Brecht, più bende che vestiti, invece di quattro arti due moncherini, ma comunque una creatura vivente, quel decreto, dico, che ci pareva brutto ma lo sostenevamo perché necessario, per dare un respiro alla scuola, non è stato votato per mancanza del numero legale. I nostri banchi erano tutti pieni, ma all'ultimo momento i socialisti se ne sono andati via tutti, e così altri della maggioranza. Come mai non ne è nato uno scandalo? Perché c'era sciopero nei giornali il giorno dopo, e solo "L'Unità" ne ha dato notizia. Per questo lo scrivo qui, perché si sappia, per dare testimonianza. Rivoteremo quel decreto, chissà, ma intanto, in questi mesi, tra promesse e ricatti all'interno dei partiti stessi che si propongono come unici interpreti del Paese, per la scuola non si è fatto niente. Non è azzardato, credo, attribuire anche alla lunghissima crisi della scuola l'allentarsi della tensione morale, la discesa a picco dei valori etici.
(Ivi, p. 116-117)
La sensazione di estraneità resta sempre nell'animo della scrittrice, anche a distanza di un decennio dall'ingresso a Montecitorio:
Non credo che gli intellettuali respirino con agio sotto la volta liberty, pur capace e bella del Palazzo, dove entravo sempre salutando con un'occhiata affettuosa la bella scultura di Agenore Fabbri, amico di gioventù in Liguria e sempre frequentato a Milano. Il resto, invece, seguitava a essermi estraneo anche con il passare dei mesi: il senso del dovere mi costringeva a essere presente, a passare da un treno a un aereo - durante uno sciopero ho sperimentato persino, in una notte di nebbia fitta, un apparecchio militare, agganciata a un seggiolino traballante come un marine nel Vietnam, avendo per sovrappiù di fronte un deputato vincente e inguardabile - e insomma, quando arrivavo a Montecitorio, se non dovevo andare in aula e avevo invece da raggiungere altri luoghi di lavoro nel Palazzo, dopo una serie di corridoi, di ascensori e di saloni, percorsi sempre più affannosamente, ero costretta a ricorrere alle cure di uno dei solerti e cortesissimi commessi per essere tratta in salvo. Mi ero persa. Mi perdevo. Inesorabilmente e sistematicamente.
(Lagorio 1997, p. 150)
Uccello fuori dallo stormo, così fotografa alcuni compagni del gruppo della Sinistra indipendente:
E anche all'interno dell'armata eterogenea che era il mio gruppo di venti indipendenti - teste fini, coscienze specchiate, professionalità sicure - mi sentivo un uccello di un altro stormo. Mi addormentavo qualche volta; quasi sempre mi arrendevo al sonno quando vedevo Natalia Ginzburg, due file sopra di me, dormire dignitosa ed eretta e più che mai simile a un totem azteco. Se ripenso a Stefano Rodotà acuto e mai impreparato, a Raniero La Valle, utopista celeste e tenace, a Tonino Cederna, compagno di banco che mi passava in bella grafia interi brani della Commedia a commentare qualche bischerata in corso, a Luigi Pintor, ispido e pungente come uno dei suoi cinghialetti sardi, a Visco e Bassanini, garzantine ambulanti di sapienza parlamentare, alla dolce Carole Tarantelli, all'energica Laura Balbi, sì, è come ricordare di essere stata casualmente in un collegio di lusso.
(Ivi, p. 150-151)
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Incentrato su eventi salienti della vita della scrittrice, Inventario, pubblicato da Rizzoli nel 1997, nasce dall'esigenza di «fare il punto della navigazione per segnare, a me e a chi ho amato, quel che è stato davvero determinante al di là delle contingenze e degli inganni o delle illusioni, e che mi ha permesso di arrivare sin qui.» (Ivi, p. 11)
Sul filo dell'autobiografia Gina Lagorio forza la forma del romanzo:
È forse questa coscienza del possibile fluire di tutto in armonia e in senso, anche nel campicello specifico del mio lavoro, che mi rende impossibile, all'inizio del mio finire, scegliere per dirmi una forma chiusa di romanzo. Oh Dio! l'ho storta questa forma, l'ho tirata e plasmata come mia nonna faceva con la pasta del pane, ma sempre un'identità resa autorevole dalla storia, una presenza non trascurabile il romanzo ce l'ha, persino quando nasce per autodistruggersi. E io non ne ho più volontà: scrivo come e quanto e se mi aggrada. La materia? Quelle tali miserrime pepite scavate nell'esperienza, della vita e della scrittura, in assiduo esercizio del mio doppio mestiere di donna e di scrittrice.
(Ivi, p 20)
I temi trattati si intrecciano; attraverso episodi della sua esistenza, la scrittrice riflette sulla posizione delle donne, nella letteratura e non solo:
Ero al Salone del libro, a maggio, e come Giamburrasca in salotto non mi divertivo, la noia dei discorsi letterari, qualunque sia l'argomento, è soffocante come una polvere fine, sottile, ma sempre implacabile. Si parlava di donne, femminismo e no, differenza e no, attente e preparate le relatrici, sbrigativi e apodittici gli uomini. Era chiaro: nessuno di loro aveva letto i libri delle autrici delle quali parlava con rotonde e ben lucidate parole.
(Ivi, p. 50-51)
Il suo pensiero sul femminismo si può ritrovare in un articolo scritto nel 1978:
Durante un'intervista in Tv, alla richiesta se ero femminista o meno, risposi che non amavo gli slogan, ma pensavo che le donne fossero al centro del futuro. Non contro gli uomini ma al loro fianco, in responsabile partecipazione di diritti e di doveri. Ricordai che erano state in passato i pilastri della società contadina cui appartengo: mia nonna, dissi, avrebbe potuto comandare un esercito, a giudicare da come guidava la sua tribù domestica. E aggiunsi che pensavo alle donne delle Langhe che avevano saputo chiudere la porta in faccia ai tedeschi quando c'era da salvare un partigiano nascosto.
(Lagorio 2011, p. 66)
La Resistenza, vissuta a fianco di Emilio Lagorio, rimane un caposaldo da difendere e rivendicare:
Bisogna, ancora e ancora, difendere l'umana dignità della Resistenza. Un tempo, mille anni fa, quando insegnavo, e mi ero stancata di sentire troppo spesso le apologie ufficiali del 25 aprile fatte da oratori che non mi piacevano, o perché erano ipocriti o perché parlavano a vanvera o perché già puzzavano di corruzione nell'esercizio del potere, inventai con i miei scolari un nuovo corso di storia. Niente interrogazioni singole, avremmo lavorato insieme, facendo gli autori i redattori e gli editori.
Ci dividevamo a gruppi - non avevamo il computer ma eravamo ricchi di un ciclostile - e un gruppo si buttò su Gobetti e il pensiero liberale, una altro su Gramsci e il comunismo italiano, un terzo sui movimenti filosofico-politici dell'Ottonovecento; arrivammo a una formulazione storica dei concetti di giustizia e libertà. E concludemmo che la Resistenza è una specie di categoria kantiana dello spirito, contro la sopraffazione, la prevaricazione del potere, l'abuso dell'uomo sull'uomo. Ci confortò il Catone dantesco, leggemmo i poeti del romanticismo e Sangue d'Europa di Giaime Pintor ci fu caro come la sua traduzione dei Sonetti ad Orfeo di Rilke.
(Lagorio 2011, p. 238)
Una costante tensione etica e morale accompagna la vita e gli scritti di Gina Lagorio, tensione che ritroviamo nell'articolo Un progetto "alto" per il futuro pubblicato su "Società e Lavoro" nel giugno 1988 - riprodotto nel volume Nel Palazzo - dove, partendo dalla letteratura, illustra la sua idea di politica:
Il modo di lettura che Calvino indica nelle sue lezioni americane è certamente non imitabile da tutti; tuttavia, come sempre accade alle opere di tale prestigio da costituire un modello, è un termine di raffronto, un parametro ci guardare per uscire dalla banalità accorante che a ogni livello viene sbandierata come meta, oggetto di desiderio, modello infine ottimo e vincente.
Anche in politica. Dopo i risultati delle ultime elezioni, si sta parlando a dritta e a manca di nuove linee, di ulteriori sviluppi, di adeguamento ai tempi. Giusto. Ma la musica, se pur mutato il rimario verbale, è mestamente rimasta la stessa e di un modo "alto" di far politica, a pieno respiro, oltre l'orizzonte attuale delle mura civiche o dei Colli fatali, di progettarla non solo per l'immediato, non trovo traccia, anche là dove sarebbe necessario come l'ossigeno a una pianta in difficoltà, per sopravvivere prima e per tornare a prosperare poi.
C'è un parallelismo chiarissimo, io credo, tra la maniera insieme grave e lieve di far letteratura e l'assunzione pensata e pensante, con radici nella logica storica e rami nell'utopia, di far politica.
Aspetto con ansia un messaggio politico "alto" simile a quello che Calvino ha lasciato a chi considera ancora la letteratura una «funzione esistenziale». Anche la politica lo è.
(Lagorio 1989a, p. 132)
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4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Gina Lagorio, Penelope senza tela. Argomenti e testi, a cura di Franco Mollia. Ravenna, Longo, 1984.
(Camera 384 03 05)
Id., Inventario, Milano, Rizzoli, 1997.
Id., Nel Palazzo. Taccuini Parlamentari, Milano, [s.n.] 1989a.
Id., Russia oltre l'Urss. Taccuini di viaggio ottobre 1988, giugno 1977. Roma, Editori riuniti 1989b.
(Camera 400 07 12)
Id., Parlavamo del futuro, a cura di Simonetta Lagorio. Milano, Melampo 2011.
(Senato 274. IX. 8)
Si suggerisce inoltre la ricerca nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche delle due biblioteche.