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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 79 (Nuova Serie), febbraio 2025

Contributi

Franco Ferrarotti, L'ignoranza relativa. In memoriam

Il 13 novembre 2024 è scomparso all'età di 98 anni Franco Ferrarotti, considerato il padre della sociologia italiana. Filosofo, collaboratore di Adriano Olivetti, visiting professor presso atenei in vari paesi del mondo, premiato dai Lincei, in ultimo professore emerito di Sapienza Università di Roma, è stato anche deputato nella III legislatura repubblicana: in quella veste ha promosso progetti di legge nell'ambito del lavoro, dell'istruzione e della ricerca.

Ferrarotti era stato un frequentatore della Biblioteca del Senato, che conserva decine di sue pubblicazioni (per cui rinviamo alla consultazione del catalogo). Lo ricordiamo perciò pubblicando un estratto dalla lunga relazione che proprio in Senato presentò il 27 novembre 2017, nella prima giornata (qui il video) del convegno Scienza e umanesimo: un'alleanza?, promosso da Sergio Zavoli, allora presidente della Commissione per la biblioteca e l'archivio storico. Gli atti del convegno sono apparsi a stampa in un volume consultabile anche online e parzialmente riproposti nello "Speciale" dell'annata 2018 di "MinervaWeb". Dalla selezione operata per quella rubrica, tuttavia, mancava appunto questo discorso di Ferrarotti, pubblicato negli atti in una sezione i cui interventi, senza titolo proprio, sono stati raccolti sotto la denominazione L'«ignoranza relativa»: la crescita del gap cognitivo tra gli specialisti e il cittadino medio e l'ascesa dell'epoca delle opinioni. Ci piace ricordare però che il contributo di Ferrarotti, nel messaggio email in cui egli ce lo inviò, era accompagnato da un altro titolo, evocativo della complessità delle reti che ci collegano e insieme ci vincolano: Osservazioni preliminari sull'avvento della società irretita.

Ne traiamo qui alcuni passaggi che si riferiscono alle sorti del libro e della scrittura in un mondo sempre più dominato dalla tecnica e dagli algoritmi. A libro e lettura, del resto, Ferrarotti aveva anche dedicato le riflessioni pubblicate in Leggere, leggersi (Roma, Donzelli, 1998), per ribadire l'importanza - come chiariva la presentazione editoriale - di «leggere nei libri l'immagine di sé stessi, cogliere in essi, riflessa, la propria interiore consapevolezza nel suo magmatico farsi. […] In tempi di inappetenza spirituale diffusa potrà sembrare un comportamento inattuale, forse bizzarro. A parte la tv, il computer, i vari tipi di lavagne luminose e di videotape, il libro resta fondamentale. Ma le famiglie italiane, di regola, non dispongono di biblioteche». In tempi più recenti, aveva pubblicato Libro è libertà. La lettura lenta contro la leggerezza dei media (Roma, Armando, 2022), in cui ragionava su come l'accelerazione determinata dall'elettronica influisca anche sulla modalità di lettura, sempre meno lenta e riflessiva, sempre più superficiale.

Nel discorso di Ferrarotti, spunti critici e riferimenti colti sono intessuti in un ragionamento lungimirante che oggi, in tempi di dibattito sui progressi e le sfide dell'intelligenza artificiale, risulta di notevole attualità. Riproduciamo la sua relazione senza alterarne lo stile redazionale, salvo incorporare tra parentesi nel testo le note a piè di pagina.

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La comunicazione elettronicamente assistita trasmetterà in tempo reale e elaborerà quantità immense di dati senza la critica delle fonti e senza alcuna preoccupazione circa la possibilità di assimilazione critica da parte degli individui. Il flusso di informazione trascurerà i problemi della formazione e si ridurrà a deformazione: creerà i famosi idiots savants che, con l'ausilio di un database, sapranno tutto di tutto senza aver un benché minimo sospetto critico su nulla (Cfr. in proposito il mio Un popolo di frenetici, informatissimi idioti. Chieti, Solfanelli, 2012). È probabile che la logica della scrittura debba prendere atto, nel corso dei prossimi decenni, della propria sconfitta a vantaggio della logica dell'audiovisivo. Oltretutto, il libro ai giovani di oggi appare già come un manufatto arcaico, non può reggere la concorrenza della televisione, del computer, della lavagna luminosa, del word processor, della navigazione nel cyberspazio di Internet, di tutto l'apparato multimediale e della sua irresistibile capacità di seduzione. Ma i grandi interessi consolidati, i nuovi signori dell'etere, che decidono i flussi comunicativi, e gli imperatori della terra, che l'avvolgono di satelliti e di impulsi elettronici e che la cablano come una mummia da far agire e reagire a piacimento, non possono contentarsi di indurre nuovi bisogni di consumo dall'esterno. Vogliono qualche cosa di più. Vogliono controllare i percorsi degli individui, colonizzarli interiormente, sgretolarne, a fini di più efficace e duraturo sfruttamento, la personalità, attaccandone il nucleo di coerenza fondato sui ricordi personali, intimi, non trasferibili, sul vissuto del singolo.

La logica della scrittura è una logica cartesiana, ha bisogno di silenzio e solitudine, esalta e premia il raziocinio, l'individuo nel suo foro interno, secondo l'ammonimento agostiniano «in te ipsum redi», ricordando Persio con la sua regola: Tecum habita. È una logica analitica, fondata sulla memoria del precedente, che comprende ciò che legge sulla base dell'antefatto. La logica dell'audiovisivo non è analitica; colpisce l'individuo con la potenza fulminea dell'immagine sintetica; non ha bisogno né di passato né di avvenire; è tutta schiacciata sull'immediato, vive nel presente, vibra nell'istante, illude di poter dispensare, in luogo dell'individualità coerente, una personalità multipla, itinerante, mobile, priva d'un centro unificatore, nomade, disponibile.

In apparenza, è una personalità più ricca. È l'homo sentiens, che vedo e teorizzo come il successore, ma anche il surrogato, dell'homo sapiens di ascendenza socratica (Cfr. il mio Homo sentiens. Napoli, Liguori, 1995). Ma, rispetto all'umanità dell'uomo, è un arricchimento o un impoverimento? Possiamo ancora parlare di persone, di individui consapevoli di sé, o di meri simulacri, di comparse, di esperti navigatori di Internet, drogati di immagini e ormai incapaci di comprendere la differenza fra il vedere e il toccare, fra l'essere spettatori, e anche attivi compartecipi ma sempre in base a un programma precostituito e al di qua dello schermo, e l'essere protagonisti, decidendo in prima persona, sperimentando direttamente, in base a quella totale libertà e indeterminazione che si esprime nell'involontarietà essenziale del pensiero individuale?

Il libro, strumento principe della logica della scrittura, sta perdendo la partita. Le giovani generazioni si sono votate e legate alla logica dell'immagine. È piacevole, seducente, allegramente smemorata, trasognata, ilare. Produce individui perfettamente adatti alla società tecnicamente progredita, rapidi, scientificamente raffinati e interiormente barbari o vuoti. Un rappresentante delle culture e dei paesi tecnicamente sottosviluppati, ancora legati al caldo delle antiche millenarie tradizioni del rapporto a faccia a faccia e della fisicità del corpo in tutta la sua portata, l'ha già detto: «Voi occidentali possedete una mentalità che vi fa costruire ottimamente gli aeroplani, ma non vi permette di capire gli esseri umani». Come a dire: siete tecnicamente avanzati e moralmente primitivi.

La logica dell'audiovisivo esaspera l'emotività, mortifica il ragionamento, declassa la realtà reale ed esalta la realtà 'virtuale'. Qui bisogna intendersi: c'è una virtualità in ogni realtà sensibile, empiricamente controllabile. Vale a dire: ogni realtà è ciò che è, ma è anche ciò che potrebbe essere. Vibra in essa, anche nel più minuto briciolo di empiria, una potenzialità verso il non ancora esistente che già Aristotele esprimeva con il termine teleologico entelechìa a denotare la tensione di ogni oggetto verso il non ancora esistente che è peraltro già in nuce contenuto nella sua empirica, circoscritta fatticità.

Non è di questa virtualità, che poi in Tommaso d'Aquino si porrà come «atto» e «potenza», che qui si parla. Qui parliamo della 'realtà virtuale' come realtà 'simulata'. Nessun dubbio che la camera di simulazione che si attua in una cabina di pilotaggio sia utile per i giovani piloti, anche se poi scopriranno che la turbolenza reale è un'altra cosa. Ma quando la realtà virtuale prende sistematicamente il posto dell'esperienza reale, in prima persona, non simulata ma di pelle, allora un rischio c'è. […] La realtà virtuale può dar luogo a un viaggio virtuale, ossia ad un viaggiare stando fermi. In essa vi è un elemento fantasmatico. È una realtà che c'è e non c'è. Si pensi a chi simuli una gamba rotta e proceda con questa gamba ingessata, reggendosi a delle grucce canadesi. La realtà virtuale con la gamba rotta coincide allora con il prodotto di una simulazione. Ma se lo incontro per strada, gli cedo il passo. Per me è reale. Ma la simulazione tende al simulacro.

Dov'è il confine fra realtà reale e realtà virtuale? L'individuo, reso multiplo grazie alla realtà virtuale, si trova, alla fine del processo, effettivamente arricchito o definitivamente sgretolato? Infine, se è vero che si parte per tornare, non si dà il rischio di partire come individui coerenti e consapevoli di sé e quindi tornare come individui interiormente frantumati, ridotti a caricature di sé stessi? […] Dove sono finiti gli esseri umani, semplicemente umani? Una ristretta élite di specialisti li manipola e quindi li comanda.

Il gap cognitivo fra specialisti e cittadino comune, il quidam de populo, che costituisce comunque la maggioranza, è destinato a crescere. Prende piede il mito della 'democrazia diretta', con il semplice clic della rete, senza alcun rapporto faccia a faccia. Non ci si rende conto che, lungi dal dare la parola a tutti, stiamo entrando nella società irretita, dominata da una minoranza occulta, politicamente e moralmente irresponsabile.

Con questa osservazione non si intende criticare la scienza come tale. La scienza è un valore. Ma è un valore strumentale che non va scambiato con un valore finale. La scienza è sempre più specialistica. Cresce, correlativamente, la maggioranza degli ignoranti. La contrapposizione platonica fra dóxa e epistéme si approfondisce, diventa frattura. Si profila un rischio mortale per la sopravvivenza umana. Un'élite ristretta di superuomini al comando di una massa di antropoidi.

Il concetto si afferma come prodotto puramente intellettuale, ignora l'esperienza comune. Forse solo oggi, con l'elettronica applicata su scala planetaria, possiamo avere la misura dell'odierno cadere e rifrangersi di ordini e di idee che un tempo poterono ritenersi eterni solo perché erano pietrificati. Sia pure con difficoltà si comincia a muovere i primi passi verso una piena presa di coscienza della necessità di rivalutare la conoscenza ordinaria e la sua ignoranza relativa. […]

Sembra, a ogni buon conto, certo che un mondo tecnicamente progredito, come si dice, ossia un mondo in cui gli imperativi e i ritmi della tecnica si siano imposti senza incontrare più ostacoli, sia un mondo 'totalmente amministrato', senza residui o zone franche, privo di margini che concedano un certo spazio all'inventività individuale. D'altro canto, come in più luoghi ho osservato, la tecnica è certamente il frutto e corrisponde ai modi operativi di un progetto di sviluppo razionale perfettamente compiuto e in sé concluso, ma come tale essa è essenzialmente una perfezione priva di scopo al di fuori di se stessa, ed appare quindi capace di controllare solo la correttezza interna delle proprie operazioni. Non può quindi stupire, a rigore, che la tecnica non sia in grado di additare mete al processo sociale. È ripetitiva e inerte. Eternizza il presente. La sua stasi conferma le posizioni sociali di vantaggio relativo. I suoi progressi sono solo la ripetizione, l'inerzia fatta storia, una ripetizione ossessiva e fin parossistica delle sue operazioni, il cui livello operativo essa non è costitutivamente capace di trascendere poiché ogni trascendimento o freno o orientamento in termini metatecnici significherebbe per essa, necessariamente, blocco operativo, stasi, insuperabile scacco o arresto.

Siamo esseri presi nelle maglie di una società contraddistinta e dominata dalla logica del pratico-inerte. La tecnica non è in grado di operare cambiamenti effettivi (strutturali e socio-psicologici), bensì di vivere al più l'esperienza, dolorosa e frustrante, di cambiamenti che sono in realtà solo transizioni dallo stesso allo stesso. Elìsa dalla razionalità tecnica sia la coscienza possibile che la funzione sociale dell'utopia, non dovrebbe meravigliare che l'individuo si senta prigioniero di schemi e di requisiti che non controlla, impersonali e ripetitivi, che gli incutono un vago, ma reale, terrore. L'individuo cerca allora scampo nella fuga, ma poiché non vi sono mete sociali largamente condivise, la sua non potrà essere che una fuga verso il nulla, in uno stato di angoscia in apparenza immotivata, che indefinitamente riproduce sé stessa. L'individuo oscuramente sa che, in ogni istante, compie un atto, prende una decisione anche quando non decide - una decisione che lo può salvare oppure perdere mentre, nello stesso tempo si sente irrimediabilmente defraudato del potere di decidere e condannato ad una libertà che è soltanto un «agire inerte», una passiva accettazione di quanto deciso da un potere che non si conosce, che nel mistero perfeziona la sua discrezionalità. Deus absconditus.

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Dal sito del Senato:

- Seminari della Biblioteca del Senato [collana editoriale]

Dal sito della biblioteca:

- MinervaEventi

In "MinervaWeb" leggi anche:

- Scienza e umanesimo: un'alleanza? Pubblicazione degli atti del seminario, 2018, n. 45 (n.s.)

- Scienza e umanesimo: un'alleanza? Sala Capitolare, 27-28 novembre 2017, 2017, n. 42 (n.s.)

- Indice generale per rubrica [nella rubrica "Speciale: Scienza e umanesimo. I seminari della Biblioteca" gli altri articoli dedicati al convegno]

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