A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
In sala
Percorso tematico. Esplorazioni e scoperte geografiche. Parte seconda: i protagonisti
Facendo seguito alla prima parte del percorso tematico pubblicata nel numero di maggio 2024 di "MinervaWeb" e dedicata ai luoghi delle scoperte ed esplorazioni geografiche, proponiamo un secondo e ultimo itinerario attraverso i profili di alcuni dei personaggi che di tali imprese si resero non solo protagonisti, ma soprattutto voci narranti, con una particolare attenzione ai mezzi e agli strumenti utilizzati per la costruzione del racconto di sé e della propria impresa.
In occasione dei numerosi anniversari del 2024 legati al mondo delle esplorazioni, si è infatti scelto di dedicare le due parti del percorso tematico previsto per quest'anno alle esplorazioni e alle scoperte geografiche, con un ideale itinerario che da Marco Polo giunge fino a Yuri Gagarin. L'intento è valorizzare e promuovere collezioni della Biblioteca del Senato meno note e non direttamente legate alle sue principali materie di specializzazione.
A integrazione dell'articolo è possibile anche scaricare lo slideshow dedicato a questa seconda e ultima parte del percorso tematico.
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Mercadanti e marinai: scoprire e raccontare l'altrove
Al momento del laborioso lavoro editoriale di Giovanni Battista Ramusio - che per il secondo volume del suo Delle navigationi et viaggi (1550-1559) cuce insieme e traduce in toscano redazioni diverse del Milione - Marco Polo è già diventato un «personaggio da romanzo». Se nel 1303 il medico Pietro d'Abano si precipita a Venezia da Parigi per avere da «Marcus Venetus» in persona - il più grande viaggiatore dell'orbe terrestree il più diligente osservatore, come lo definisce nel Conciliator controversiarum quae inter philosophos et medicos versantur (in originale, «orbis major circuitor et diligens indagator») - informazioni sulla stella polare e le comete, «nella prima e più importante edizione dell'Età moderna del Devisement [si fa riferimento all'edizione di Ramusio del Milione, ndr] è già bell'e fissato l'intreccio tra documenti e leggende che ha innervato la creazione del mito del viaggiatore, a partire dal suo libro» (Eugenio Burgio, Marco Polo e il Devisement du monde, in I mondi di Marco Polo. Il viaggio di un mercante veneziano del Duecento, a cura di Giovanni Curatola, Chiara Squarcina. Arezzo, Magonza, 2024, p. 25).
L'origine del 'mito' Marco Polo è legata a doppio filo alla forma di narrazione costruita sul suo viaggio. È probabilmente al compilatore di prose arturiane Rustichello da Pisa - 'co-autore' del Milione - che va attribuita la paternità di gran parte delle soluzioni adottate, dall'uso di una lingua diversa dal latino - il volgare francese - che ne garantì un'ampia circolazione tra le classi emergenti (e non solo quella dei mercanti), alla commistione di 'generi' e formenarrative, come il trattato, l'exemplum e le guide alla mercatura (ivi, p. 26). Anche grazie al suo carattere fondamentalmente ibrido, a metà strada tra il resoconto scientifico di viaggio e il gusto per il racconto delle merveilles, Il Milione è 'sopravvissuto' ai mutamenti nel mondo delle esplorazioni e della letteratura di viaggio, alla scoperta dell'America e all'allunaggio, senza veder intaccato il 'mito' creato attorno al suo protagonista e al suo viaggio, tanto da ispirare svariati secoli dopo - sia nelle forme narrative che nell'immaginario evocato - Le città invisibili di Calvino.
Finalità più direttamente legate alla costruzione del pubblico 'consenso' hanno orientato la forma testuale adottata per i resoconti dei propri viaggi da Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci.
Cristoforo Colombo dedica al suo primo viaggio verso le Indie (3 agosto 1492-15 marzo 1493) un giornale di bordo, o Libro de su primera navegaciòn y descubrimiento de estas Indias, indirizzato ai sovrani di Spagna. Il giornale raccoglie informazioni sulla rotta seguita e sulle caratteristiche delle nuove terre esplorate - esaltate al cospetto dei finanziatori del viaggio tanto da rendere la meraviglia e l'iperbole le principali cifre stilistiche del testo - oltre alle personali osservazioni e al 'sentire' di Colombo stesso (Significato linguistico e culturale del diario di bordo di Cristoforo Colombo, a cura di Joaquin Arce. Alpignano, A. Tallone, 1992, pp. 11-35). Durante il rientro in patria, Colombo scrive anche il testo noto come Lettera di Colombo, una sintesi del primo viaggio e della scoperta delle Indie volta a creare fama e consenso attorno al navigatore: «Colombo, abile come nessun altro a organizzare una propaganda in proprio favore, redige una missiva che desidera circoli entro un ampio numero di persone e perciò sceglie una formula magistrale: compone la Lettera come se si trattasse di una cronaca, senza una dedica particolare» (Cristoforo Colombo, Il giornale di bordo. Libro della prima navigazione e scoperta delle Indie, introduzione note e schede di Paolo Emilio Taviani e Consuelo Varela. Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1988, vol. II, p. 63). Anni dopo, un Colombo ormai caduto in disgrazia presso la corte, privato del titolo di viceré di Hispaniola e intento a un'intensa produzione di testi di diversa natura per perorare pubblicamente la propria causa, si dedicherà alla stesura del Libro de las Profecías, da indirizzare ai sovrani spagnoli. Nel testo Colombo raccoglie e 'reinterpreta' citazioni bibliche allo scopo di inquadrare i propri viaggi e scoperte come frutto di un disegno divino - e quindi predetto dai testi biblici stessi -, il cui fine ultimo sarebbe stata la liberazione di Gerusalemme e della Terra santa, per mezzo della Corona di Spagna:
Ho già detto che per la realizzazione della impresa delle Indie non mi servirono la ragione e neppure la matematica né i mappamondi; pienamente si avverò quanto disse Isaia. E questo è quanto io desidero scrivere qui per richiamarlo alla memoria delle vostre altezze, e perché si allietino di quanto altro io dirò loro a proposito di Gerusalemme, sulla base delle medesime autorità: impresa nella quale, se si ha fede, devono dare per certissima la vittoria.
(Cristoforo Colombo, Lettere e scritti. 1495-1506. Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1993, vol. I, p. 31)
La fama di Amerigo Vespucci è stata per lungo tempo legata a due lettere che ne riassumono i viaggi nel Nuovo Mondo - il Mundus Novus (1504) e la Lettera al Soderini (1505) -, lettere che conobbero tale diffusione da conferire al navigatore fiorentino una popolarità persino superiore a quella di Colombo [sia la Lettera al Soderini sia Paesi Novamente retrovati & Novo Mondo sono presenti in biblioteca anche nelle riproduzioni fac-simile degli esemplari della collezione McCormick-Hoe della Università di Princeton, ndr]. Non si tratta di opere di Vespucci, bensì di rielaborazioni di sue lettere (queste autentiche) realizzate con lo scopo specifico di pubblicizzarne le esplorazioni e promuovere iniziative affini presso gli ambienti politici e mercantili dell'epoca, sfruttando il crescente interesse del pubblico del Cinquecento verso le scoperte americane. Una 'operazione pubblicitaria' vera e propria, che ha prodotto - verosimilmente con il beneplacito di Vespucci stesso - opere destinate a un'ampia circolazione, la cui forma testuale è stata opportunamente calibrata, dall'attenzione a dettagli di facile presa sul pubblico all'impiego di un latino semplice e di uno stile piano e scorrevole (America sive mundus novus. Le lettere a stampa attribuite ad Amerigo Vespucci, a cura di Luciano Formisano e Carla Masetti; presentazione di Ilaria Luzzana Caraci. Roma, Società geografica italiana, 2007, passim). [Si segnala che Il Milione e alcune delle opere di Cristoforo Colombo sono disponibili sul portale di Liber Liber, ndr.]
Una vita all'avventura tra celebrità e scienza
La 'carriera' di esploratore di Henry Morton Stanley procedette di pari passo con quella di giornalista e con una cosciente e meticolosa costruzione del proprio 'mito': dopo le colonne dei quotidiani, il racconto delle sue imprese trovava naturale sbocco in una prolifica produzione di volumi sia di suo pugno, sia frutto di operazioni editoriali terze. Corrispondente per il "New York Herald", nel 1871 Stanley ottiene dal giornale l'incarico di cercare David Livingstone, partito anni prima per l'Africa alla ricerca delle fonti del Nilo e di cui si erano perse le tracce. L'impresa - coronata dall'incontro tra i due esploratori a Ujiji nell'autunno del 1871 -, viene descritta sulle pagine del "New York Herald", dove vengono pubblicate le lettere di Stanley dall'Africa, e, dopo il ritorno dell'esploratore in Inghilterra, nel volume How I found Livingstone. Nell'introduzione del volume, paragonata la figura del giornalista-corrispondente a un gladiatore che deve sempre tenersi pronto a combattere, Stanley spiega la scelta della forma testuale adottata: «I have adopted the narrative form of relating the story of the search, on account of the greater interest it appears to possess over the diary form, and I think that in this manner I avoid the great fault of repetition for which some travellers have been severely criticised» (Henry Morton Stanley, How I found Livingstone. Travels, adventures and discoveries in Central Africa. Berlin, Asher, 1873, p. XXII).
Anche l'ultima spedizione di Stanley in Africa fu una spedizione di soccorso, questa volta del governatore dell'Equatoria, Emin Pascià, spodestato dalla rivoluzione mahdista. Alla spedizione - cui prese parte anche l'italiano Gaetano Casati - Stanley dedica un dettagliato resoconto nel 1890, ma, vista la notorietà ormai consolidata che accompagna l'esploratore inglese, non mancano iniziative editoriali terze dalla forte vocazione commerciale. Nel 1890 stesso, ad esempio, prima ancora del ritorno di Stanley dall'Africa, le lettere da lui inviate ai giornali durante la spedizione vengono raccolte in una «little brochure», il cui editore spiega di aver agito «in compliance with the urgent desire of correspondents» , che chiedevano un'edizione economica delle lettere di Stanley («in a cheap form, say about one shilling»), comprensiva di una mappa del percorso seguito dalla spedizione, «as quickly as possible», sottolineando che così facendo «you [l'editore, ndr] would be conferring a boon upon 'the masses' of this country…. There is at the present time a huge craving after anything and everything relating to central Africa» (The story of Emin's rescue as told in H.M. Morton Stanley's letters, edites by J. Scott Keltie. London, Sampson Low, 1890, p. 2).
Negli anni successivi Stanley continua a dedicarsi alle relazioni dei propri viaggi e della propria vita, con la raccolta di lettere My early travels and adventures in America and Asia (1895) e quella di memorie autobiografiche, postuma e curata dalla moglie. Nella prefazione, citando una lettera del marito, Dorothy Stanley sottolinea come il fine di quest'ultima opera fosse giovare ai «fanciulli poveri dell'Inghilterra, della Scozia, del Galles e dell'Irlanda ed anche a quelli del Canadà [sic], degli Stati Uniti e delle nostre colonie» (Henry Morton Stanley, Come divenni esploratore. Memorie autobiografiche inedite, pubblicate per cura della moglie Dorothy Stanley; tradotte da Adelaide Marchi. Milano, Hoepli, [1910], vol. I, p. XIV), dato che, come esplicita ancora Stanley nella lettera citata, «ho la convinzione che la storia delle mie lotte e sofferenze, dei miei sforzi e delle mie cadute, del lavoro fatto e di quello lasciato da fare, che la mia storia, insomma, sarebbe di aiuto ad altri» (ibidem).
La finalità esemplare ed edificante del resoconto di viaggi e di esplorazioni - con la sua componente avventurosa, oltre che 'scientifica' - è un tema comune e una costante anche a diverse iniziative editoriali degli anni successivi, come la collana Alpes "Viaggi e scoperte di navigatori ed esploratori italiani" (1928), quella Bemporad "Collezione illustrata di viaggi ed esplorazioni" (1930), o ancora la collana "La conquista della terra", diretta da Giotto Dainelli per UTET (1958). Nella presentazione del primo volume di quest'ultima, in particolare, la casa editrice 'avverte' che «cercheremo di porre in particolare risalto il contributo portato da Italiani alla esplorazione della Terra: […] perché i giovani lettori, dalla conoscenza di imprese eroiche compiute da Italiani, traggano ragioni verso un idealismo della vita, che sembra, pur troppo, farsi sempre più raro» (Silvio Zavatti, L'esplorazione dell'Antartide. Torino, UTET, 1958, p. VII).
Su presupposti simili - la centralità dell'esempio eroico degli esploratori - aveva d'altronde già basato la sua introduzione a La conquista del Polo Sud - resoconto della spedizione di Roald Amundsen a bordo del Fram, la prima a toccare il polo australe nel 1911 - l'esploratore Fridtjof Nansen. L'entusiasmo generale alla notizia dell'arrivo al Polo della spedizione di Amundsen, secondo Nansen, fu infatti «per la grande scoperta geografica? Per la sua importanza scientifica? […] Ben altro era ciò che ognuno comprendeva. L'intelligenza e la forza dell'uomo avevano vinto le violenze e le forze della natura, e questo ci innalza al di sopra della grigia monotonia di ogni giorno» (Roald Amundsen, La conquista del Polo Sud. La spedizione norvegese del Fram verso il Polo Australe, 1910-1912. Traduzione italiana dal norvegese (unica autorizzata). Milano, Treves, 1913, vol. I, p. VII). Laddove la componente scientifica e 'tecnica' delle esplorazioni è materia per pochi, dunque, sarà il carattere più 'avventuroso' ad avere presa, «la laude della ferrea energia di un uomo che risuona attraverso il freddo crudele, le bufere e la morte» (ibidem), poiché, ricorda ancora Nansen, non sono stati i progressi della tecnica a portare Amundsen e i suoi al Polo, bensì «l'uomo fu la base del successo» (ibidem).
D'altra parte, la componente 'eroica' dell'esplorazione non fu la sola a essere messa a fuoco nei resoconti delle diverse spedizioni tra Otto e Novecento. Ernest Shackleton, iniziando il racconto della sua spedizione artica del 1907-1909 a bordo del Nimrod, riassume così le motivazioni che spingono gli uomini a esplorare regioni remote: «alcuni sono semplicemente animati da spirito avventuriero, alcuni dal desiderio vivo di cognizioni scientifiche; altri infine vanno lungi dai sentieri battuti del mondo, attratti dall'incantesimo di piccole voci lontane, […] dal fascino misterioso che l'ignoto esercita. Nel caso mio, credo che tutti questi fattori abbiano concorso» (Ernest Henry Shackleton, Alla conquista del Polo Sud (il cuore dell'Antartico). Storia della spedizione antartica inglese (1907-1909), con introduzione di Hugh Robert Mill e un resoconto del primo viaggio al polo magnetico sud del prof. T. W. Edg. David. Milano, Treves, 1909, vol. I, p. 1). E se Shackleton si dichiara motivato sia dal richiamo fascinoso dell'altrove, sia dal desiderio di contribuire al progresso scientifico, quest'ultima vocazione è invece particolarmente preponderante nei resoconti delle imprese di Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi.
Alpinista ed esploratore, il duca degli Abruzzi organizza nel corso della sua vita numerose spedizioni, parte delle quali a carattere prevalentemente alpinistico. Nel 1897, la spedizione da lui guidata - a cui prendono parte, tra gli altri, anche il compagno d'armi Umberto Cagni, il medico Filippo De Filippi e l'alpinista-fotografo Vittorio Sella, al fianco del Duca anche in molte delle iniziative successive - è la prima a raggiungere la cima del monte Sant'Elia in Alaska. Il resoconto della spedizione - illustrato dalle foto di Sella - viene redatto da De Filippi e supervisionato dal Duca, mettendo insieme i giornali di viaggio di tutti i partecipanti all'impresa e annettendovi in appendice brevi relazioni di carattere scientifico (rilevazioni metereologiche; analisi mineralogiche; disamina dei materiali raccolti ecc). Il volume «è il primo esempio di "libro di spedizione" e per oltre mezzo secolo servì da modello a tutte le opere del genere» (Mirella Tenderini, Michael Shandrick, Il duca degli Abruzzi. Principe delle montagne. Novara, De Agostini, 1997, p. 31). Se l'impresa in Alaska consegna il Duca agli onori della cronaca, la spedizione della Stella Polare nell'artico (1899-1900) lo consacra definitivamente: il gruppo manca il Polo Nord - obiettivo iniziale dell'impresa - ma raggiunge la latitudine di 86° 34', superando quanto fatto da Nansen nel 1893. La risonanza mediatica dell'impresa al Polo del Duca è tale da renderlo protagonista, nel 1901, di un romanzo di Emilio Salgari dedicato proprio alla spedizione della Stella Polare. Nel gennaio dello stesso anno, il duca degli Abruzzi e Umberto Cagni presentano i risultati della spedizione in una conferenza alla Società Geografica Italiana, mentre nel 1903 viene pubblicato il resoconto ufficiale, comprendente le relazioni del duca, di Umberto Cagni e di Achille Cavalli Molinelli, impegnato come medico nella spedizione. In apertura al volume, il Duca ricorda il valore esemplare dell'impresa compiuta:
Spesso si è discussa l'utilità delle spedizioni polari. Se si considera solo il vantaggio morale che si ricava da tali spedizioni, io lo credo sufficiente a compensare i sacrifici che per esse si fanno. Come gli uomini, che nelle lotte quotidiane, col superare le difficoltà, si sentono più forti per affrontarne delle maggiori, così è delle Nazioni, che dai successi riportati dai proprii figli si devono sentire maggiormente incoraggiate e spinte a perseverare nei loro sforzi per la propria grandezza e prosperità.
(Luigi Amedeo Di Savoia; Umberto Cagni; Achille Cavalli Molinelli, La Stella Polare nel Mare Artico. 1899-1900. Milano, Hoepli, 1903, pp. IX-X).
Per il resoconto della spedizione di ascesa ed esplorazione del Ruwenzori (1906), nell'Africa centrale, il Duca affida di nuovo a De Filippi - che non ha preso parte alla spedizione - il compito di confrontare i diari dei partecipanti e trarne la relazione ufficiale. In questa occasione, al volume che racconta la spedizione si affiancano due volumi dedicati alle relazioni scientifiche (botanica; zoologia; mineralogia ecc.). Anche la relazione della spedizione nel Karakorum - corredata sia di brevi relazioni scientifiche, sia di una apposita cartella di «panorami» e carte geografiche - è affidata a De Filippi. Quest'ultimo torna nella regione himalaiana tra 1913 e 1914 a capo di una spedizione scientifica, della quale cura, dopo la guerra, il resoconto e 18 volumi di relazioni scientifiche, assieme a Giotto Dainelli. Sempre De Filippi curerà, nel formato ormai stabile del resoconto di viaggio con annesse relazioni scientifiche, la relazione dell'esplorazione del Duca degli Abruzzi dello Uebi Scebeli (1928-1929), il fiume su cui il Duca aveva fondato il Villaggio Duca degli Abruzzi.
La fama raggiunta grazie alle diverse spedizioni da lui organizzate vale a Luigi Amedeo di Savoia un ruolo da protagonista sui quotidiani e le riviste dell'epoca, generando anche la viva attenzione della cronaca mondana, interessata alla vita e ai pettegolezzi sul principe-esploratore, ancora scapolo. Se la "Illustrazione italiana" dedica la copertina del 20 gennaio 1901 alla conferenza tenuta dal Duca sulla spedizione della Stella Polare, tra il 1907 e il 1908 la stampa italiana e straniera segue con vivo interesse l'amore contrastato tra il celebre principe-esploratore e l'americana Katherine Elkins: tra i tanti esempi, il "New York Times" del 19 aprile 1908 dedica un articolo (The romances of the Royal House of Savoy) alla ricostruzione dei matrimoni di casa Savoia per 'sostenere' l'unione Savoia-Elkins.
La tecnica alla conquista delle cronache
Ingegnere e costruttore di aeronavi, Umberto Nobile guadagnò le prime pagine dei quotidiani italiani e stranieri per le sue due trasvolate polari in dirigibile. La prima ha luogo nel 1926, a bordo del dirigibile Norge, costruito e opportunamente riadattato per la spedizione da Nobile stesso, e vede la partecipazione del già celebre esploratore norvegese Roald Amundsen - che nel 1911 aveva 'conquistato' il polo australe - e dello statunitense Lincoln Ellsworth. La spedizione riesce, per la prima volta, nell'impresa di sorvolare il Polo artico, ma non tocca terra. Già nel 1925 Nobile inizia a documentare i progressi nella preparazione del volo, pubblicando un breve resoconto delle scelte tecniche e tecnologiche adottate, celebrando anche il valore delle maestranze all'opera: «le nostre maestranze, consapevoli della grandezza dell'impresa cui esse collaborano, danno la propria opera con quel fervore e quell'entusiasmo che sono caratteristici del nostro popolo. Esse intuiscono che il successo del volo transpolare costituirà un trionfo della tecnica e del lavoro italiano» (Umberto Nobile, Il volo transpolare [estratto dagli"Annali dei lavori pubblici"già"Giornale del Genio civile", (1925), n. 2]. Roma, Stabilimento tipo-litografico del Genio civile, 1925, pp. 26-27). Sottolineato è anche il fine prettamente scientifico della spedizione: «non avventura, quindi, di sola audacia, ma impresa, per quanto pericolosa e ardita, altrettanto vivificata dal più nobile spirito scientifico» (ivi, p. 3). Anche i giornali che seguono il volo ne approfondiscono i caratteri tecnici, rispondendo probabilmente al nuovo interesse del pubblico verso le 'macchine': il "Corriere della sera" pubblica il 12 maggio 1926 in prima pagina un articolo dal titolo Come ho armato il "Norge", «dove la scienza si trasforma in potenza e la volontà in poesia» e Umberto Nobile dà «una lezione di alta morale per cui gli antichi eroi sono come respinti nella luminosa nuvola della loro leggenda per fare posto a questi nuovi eroi, semplici e ragionevoli, rigidi e freddi quanto l'acciaio delle loro macchine». Il 6 giugno, a volo ultimato, lo stesso giornale pubblica un estratto della relazione scientifica redatta da Amundsen, dal titolo La radio nel volo polare, e ancora all'installazione della radio - in Italia le trasmissioni dell'Unione radiofonica italiana (URI) erano iniziate appena due anni prima - sul dirigibile e alle tematiche tecniche conseguentemente affrontate è dedicato l'intervento dell'ingegnere Algeri Marino in appendice al volume In volo alla conquista del segreto polare, dedicato alla spedizione. Intanto, un articolo del "New York Times" del 10 giugno 1927 riporta il punto di vista di Amundsen sull'impresa compiuta e sui nuovi mezzi di esplorazione: «Commander Nobile was a flier; I am an explorer […]. Exploring will be done from the air in the future […]. I am too old to take up flying and I do not intend to start anything which I cannot carry out myself».
Il secondo volo transpolare viene organizzato per il 1928, a bordo del dirigibile Italia. Il volo con il Norge aveva dimostrato diversi dati rilevanti, come l'assenza di terre tra il Polo e l'Alaska, ma altrettanti interrogativi erano rimasti senza risposta, motivando, nell'ottica di Nobile, la necessità di un nuovo volo e di nuove rilevazioni scientifiche (La preparazione e i risultati scientifici della spedizione polare dell'Italia, a cura di Umberto Nobile. Milano, Mondadori, 1938, pp. 13-21). Le tappe del viaggio del dirigibile Italia verso l'artico sono seguite con toni entusiasti dalla stampa locale: la "Domenica del corriere", ad esempio, dedica un articolo del 22 aprile 1928 alla descrizione dei componenti dell'equipaggio - compresa la cagnetta di Nobile, Titina, «garanzia del ritorno» - e la copertina del 29 aprile al passaggio in volo su Vienna. Il 24 maggio il dirigibile, raggiunto il Polo Nord, incappa in una bufera, schiantandosi sulla banchisa, dove vengono scaraventati nove superstiti, compreso Nobile, per poi riprendere quota e sparire con a bordo gli altri sei membri dell'equipaggio. I tentativi di salvataggio proseguono per settimane e solo il 31 luglio i superstiti giungono a Roma - Nobile era stato tratto in salvo in giugno dall'aviatore svedese Lundborg. Alle operazioni di soccorso partecipa anche Amundsen, vittima di un incidente con l'idrovolante Latham 47 mentre sorvola il Mare di Barents alla ricerca dei sopravvissuti dell'Italia: A polar viking who died as he lived, titola il "New York Times" il 9 dicembre.
L'organizzazione dei soccorsi - cui partecipano mezzi e uomini di Francia, Norvegia, URSS e Germania - non è esente da polemiche 'politiche': l'"Avanti!" del 3 giugno 1928 titola Orgoglio criminale una critica alla presunta mala gestione fascista degli aiuti internazionali offerti per le operazioni di soccorso. Viene inoltre costituita, nell'autunno del 1928, una Commissione d'indagini con l'incarico di «ricercare ed esaminare le cause determinanti la perdita dell'aeronave, tutti i fatti inerenti alla perdita stessa ed alle sue conseguenze, e lo svolgimento dell'opera di salvataggio», presieduta da Umberto Cagni, e la cui relazione viene pubblicata integralmente nel 1930: sul comportamento tenuto da Nobile, fin dall'organizzazione della spedizione, il giudizio è duro e il generale lascia l'Italia e si trasferisce in Unione Sovietica. La notizia della 'condanna' di Nobile ha risonanza anche sulla stampa straniera: il "Washington Post" del 4 marzo 1929 riporta che «the committee investigating the disaster of the polar dirigible Italia, […] placed blame for the accident upon the shoulders of Gen. Umberto Nobile, […] in a report made made public today. The report blames Nobile for allowing himself to be rescued before his other comrades».
Dopo il volume L'"Italia" al Polo Nord del 1930, Nobile ritorna a raccontare le vicende della spedizione dell'Italia nel 1945 con l'opera Posso dire la verità, in cui raccoglie «la narrazione dei retroscena politici della spedizione […] e della lotta intrapresa con i mezzi più disonorevoli dal Governo fascista contro la spedizione ed il suo Capo» e «appoggiandola su prove e documenti irrefutabili, la risposta alla affermazioni false contenute nel rapporto della compiacente inchiesta» (Umberto Nobile, Posso dire la verità. Storia inedita della spedizione polare dell'"Italia", con una lettera di Benedetto Croce. Roma, Mondadori, 1945, p. XII). In quegli anni torna in Italia ed è deputato alla Costituente come indipendente del PCI: nel 1947 è tra gli autori dell'emendamento all'articolo 9 che porta alla formulazione «la Repubblica promuove la ricerca scientifica e la sperimentazione tecnica e ne incoraggia lo sviluppo» (Assemblea costituente, [Resoconto stenografico]. Seduta n. CVI, 20 luglio 1947).
Tra il 12 e il 13 aprile 1961 i giornali di tutto il mondo riportano la notizia del primo volo umano nello spazio: il maggiore sovietico Yuri Gagarin è il primo cosmonauta, a bordo della navicella Vostok. La notizia viene data il 12 aprile dalla radio russa tramite i dispacci ufficiali della Tass: «le informazioni tecniche sono poche, ma in compenso abbondano la retorica, la propaganda e le indicazioni delle frequenze sulle quali si può agganciare la voce del cosmonauta durante le sue comunicazioni con le stazioni di controllo a terra» (Paolo Magionami, Gli anni della Luna. 1950-1972: l'epoca d'oro della corsa allo spazio. Milano, Springer-Verlang Italia, 2009, p. 62).
In breve tempo Gagarin diventa un personaggio pubblico, protagonista delle prime pagine dei giornali e del rinnovato interesse del pubblico per le imprese spaziali: la "Domenica del corriere" del 23 aprile gli dedica la copertina e la rubrica "Fatto della settimana". L'"Avanti!" del 13 aprile nell'edizione di Roma titola Verso gli spazi infiniti!, dedicando le prime cinque pagine al volo di Gagarin - compreso un articolo Da Icaro a Yuri -, mentre quella milanese, aperta dall'articolo L'uomo sulle vie del cosmo, riporta a pagina due (delle tre dedicate al cosmonauta russo) le dichiarazioni della politica. In entrambe le edizioni i toni entusiasti per il traguardo raggiunto dall'Unione Sovietica si intrecciano all'auspicio di una distensione nei rapporti URSS-USA: sia l'edizione romana sia quella milanese riportano in prima pagina l'«appello al mondo per il disarmo e la pace» lanciato dal «Comitato Centrale del PCUS, il Praesidium del Soviet Supremo dell'URSS, e il Governo sovietico» e interventi a sostegno della pace mondiale nelle pagine successive. Più tiepida la ricezione dell'"Osservatore romano", che dedica a Gagarin solo una colonna in prima pagina, Un veicolo spaziale con un uomo a bordo messo in orbita e tornato a terra nell'URSS - riportando il nome della navicella utilizzata in traduzione, 'Oriente'. Il numero del 23 aprile del settimanale «di grande informazione» "Epoca" titola Il navigatore dell'infinito, e dedica all'impresa del cosmonauta russo svariati articoli, da quelli maggiormente legati a temi tecnici e scientifici, come la panoramica dell'evoluzione dei progetti delle astronavi o la ricostruzione della rotta seguita dalla Vostok, a quelli dedicati all''uomo' Gagarin, come il foto-racconto degli incontri con il padre e la moglie del cosmonauta.
Visto il crescente interesse del pubblico per le 'cose' spaziali, il numero del 7 maggio successivo - L'ora zero a Cape Canaveral - ospita un foto-racconto dell'addestramento degli astronauti statunitensi. Anche sulle pagine del "Paese" convivono l'interesse 'tecnico' per l'impresa sovietica nello spazio e quello verso Gagarin 'uomo', 'padre' e 'marito': il fascicolo del 13 aprile dedica ampio spazio all'impresa spaziale, compreso un articolo di ricognizione storica e letteraria su La corsa al cielo e una rassegna di Quel che pensano i romani dell'uomo nello spazio, mentre il numero successivo (14 aprile) apre in prima pagina con Yuri Gagarin racconta come ha vissuto il cosmo, e dedica pagina due al racconto della vita familiare del cosmonauta.
Già ampiamente 'filtrata' e 'costruita' per il tramite della stampa giornalistica e della propaganda sovietica, la voce del 'personaggio' Yuri Gagarin trova spazio anche in altri formati editoriali. Nel 1961 viene infatti anche pubblicato La via del cosmo, biografia del cosmonauta realizzata dai giornalisti della "Pravda", come afferma Gagarin stesso in apertura al volume: «il giorno in cui io […] portai a compimento il primo volo nel cosmo […] un inviato della Pravda […] mi chiese se volevo raccontargli la mia vita e il mio volo nello spazio, di anticipargli i miei progetti. Accettai con gioia, e questo è il mio racconto» [nell'ambito del Polo bibliotecario parlamentare La via del cosmo è posseduto unicamente dalla Biblioteca della Camera, ndr]. Anche in questo caso le parole dell'eroe sovietico sono opportunamente 'calibrate': l'opera segue i dettami della censura sovietica e «verranno omesse le difficoltà incontrate dal cosmonauta nella sua fase di rientro e solo in seguito si saprà che Gagarin ha toccato terra appeso a un paracadute e non a bordo della Vostok» (P. Magionami, Gli anni della Luna cit., p. 70).
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Scarica lo slideshow Esplorazioni e scoperte geografiche. Parte seconda: i protagonisti
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Gli articoli precedenti: - Percorso tematico. Esplorazioni e scoperte geografiche. Parte prima: i luoghi, 2024, n. 74 (n.s.) |
Dal sito del Senato: - 100 anni della Radio in Italia [video delle celebrazioni in Senato per i 100 anni della Radio in Italia] |
Dal sito della biblioteca: - Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare - Edizioni antiche e fondi speciali |
In "MinervaWeb" leggi anche: - Indice generale per rubrica [nella rubrica "In sala" questo e altri percorsi tematici. Gli articoli sono riconoscibili per il titolo Percorso tematico] |