A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Percorsi di storia economica
Per una geografia storico-economica. La Germania (Parte prima: dal Medioevo all'unificazione nazionale)
Abstract
Con questo numero ha inizio un nuovo ciclo di articoli, dedicato alla storia economica della Germania. Tale nazione nel basso Medioevo beneficiò d'un notevole sviluppo economico, derivante soprattutto dall'espansione delle attività mercantili e di quelle finanziarie ad esse legate (consentita dalla favorevole posizione geografica di alcune sue regioni), nonché da quella di alcuni settori industriali (favoriti dalla disponibilità delle materie prime di cui necessitavano). In età moderna il Paese andò poi perdendo posizioni nei confronti delle emergenti potenze atlantiche; ma nel XIX secolo a questo arretramento fece seguito una nuova fase di progresso, fondata principalmente sull'espansione delle più moderne attività industriali, sostenuta da politiche pubbliche volte a guidarne - più o meno direttamente - lo sviluppo.
1. L'evoluzione dell'economia tedesca sino al principio dell'età moderna
2. Dalla floridezza al declino
4. I primi anni dell'Ottocento
5. La creazione dello Zollverein
6. Lo sviluppo dell'economia dagli anni trenta al 1871
7. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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1. L'evoluzione dell'economia tedesca sino al principio dell'età moderna
L'avvio dell'ascesa economica della Germania può essere collocato nel basso Medioevo (ossia nei secoli successivi al Mille) e ricondotto al medesimo fattore fondamentale che abbiamo già posto in evidenza nel primo degli articoli riguardanti la Gran Bretagna: l'incremento delle temperature medie che si verificò in quella fase, il quale nelle regioni nordeuropee ebbe l'effetto di accrescere la produttività agricola e quindi di consentire una più rapida espansione della popolazione e dell'urbanizzazione, con evidenti ricadute positive sull'andamento delle attività produttive e commerciali. Accanto a tale fattore se ne debbono però citare degli altri, i quali favorirono specificamente lo sviluppo di tale nazione, consentendole di raggiungere un notevole grado di prosperità: a parere di Schilling (1997), nei decenni compresi fra il tardo Quattrocento e la metà del Cinquecento essa giunse a trovarsi in una posizione di preminenza a livello continentale.
Uno di tali fattori aggiuntivi fu rappresentato dalla disponibilità di materie prime minerarie ed energetiche: secondo Borelli (2006), al principio dell'età moderna la Germania risultava una grande produttrice di metalli (ferro, rame, stagno piombo), la cui estrazione alimentava una fiorente industria metallurgica, e di carbon fossile, la cui importanza stava crescendo per effetto del crescente disboscamento, che riduceva la disponibilità di legname. Un secondo fattore favorevole fu costituito dall'accesso della sua parte più settentrionale al Mare del Nord e al Baltico. Al riguardo, Lopez (1975) riferisce di come già fra il XII e il XIII secolo i mercanti delle città tedesche settentrionali (riunite nella cosiddetta "Lega Anseatica"), avvantaggiandosi delle innovazioni tecniche da loro introdotte nell'ambito della navigazione, si siano sostituiti a quelli scandinavi quali massimi gestori del commercio che si svolgeva in tale area, il quale risultava assai proficuo perché concernente beni di largo consumo (quali cereali, pesce, pellicce e legnami). Per la verità, secondo Schilling (1997) proprio nel periodo di grande prosperità da lui individuato l'area controllata dalla lega subì un restringimento rispetto al Medioevo, dovuto alle barriere che i nascenti stati nazionali cominciarono a porre alla penetrazione commerciale di soggetti stranieri nei propri territori; ma ciò ovviamente non determinò una perdita completa delle posizioni raggiunte. Il terzo fattore da considerare fu ancora di carattere geografico: per la precisione, consistette nella posizione geografica assai favorevole che caratterizzava anche le regioni tedesche meridionali. Spiega difatti Bergier (1982) che la sostanziale equidistanza di tali regioni dai grandi centri di produzione e di consumo del continente favorì l'assunzione da parte dei maggiori mercanti locali d'un ruolo di protagonisti nella gestione del commercio internazionale, consentendo così sin dal Medioevo un notevole sviluppo delle loro attività. Quando poi, nel Rinascimento, sorse un'inedita richiesta di credito da parte dei governi (in particolare di quello asburgico) e dell'imprenditoria attiva nel settore minerario (la cui espansione richiedeva l'effettuazione di cospicui investimenti), questi mercanti furono stimolati a servirsi delle risorse e delle strutture di cui disponevano - ossia degli ingenti capitali accumulati e delle proprie agenzie, ormai diffuse sull'intero territorio europeo - per erogare servizi finanziari: l'espansione dei commerci generò pertanto, nel XVI secolo, anche un'altrettanto notevole espansione dell'attività bancaria.
Lo sviluppo delle attività menzionate, influendo positivamente sul livello generale dei consumi e degli investimenti, favorì il progresso degli altri settori dell'economia. Ciò risulta evidente qualora si consideri l'evoluzione del tessile, il quale prima della Rivoluzione industriale costituiva il più importante fra i comparti manifatturieri. Come rileva ancora Borelli (2006), già nel Medioevo esso aveva avuto modo di svilupparsi, grazie alla diffusione d'un nuovo tipo di tessuto - il fustagno, misto di cotone e lino - nelle regioni meridionali (le cui imprese potevano facilmente importare il cotone di cui necessitavano da Venezia, la quale all'epoca costituiva la principale porta del commercio con l'Oriente). In età moderna andò diffondendosi anche la produzione dei tessuti di lana, grazie alla competitività di prezzo che fu assicurata loro dalla pratica - di cui s'è già parlato nell'articolo dedicato all'attività manifatturiera sino alla Rivoluzione industriale - di assoldare come lavoranti gli abitanti delle campagne (i quali, essendo attivi anche in ambito agricolo, erano disposti ad accettare salari molto bassi).
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2. Dalla floridezza al declino
Come rileva Schilling (1997), nel corso del Cinquecento questa economia così fiorente subì tuttavia un decadimento. Come avvenne per l'Italia (anche a tale riguardo rimandiamo a un precedente articolo di questa rubrica), anche la Germania scontò lo sviluppo del commercio atlantico, che fece perdere importanza alle sue regioni meridionali quali crocevia degli scambi internazionali, favorendo invece l'ascesa di quei paesi che a tale commercio potevano più facilmente prendere parte (Gran Bretagna e Paesi Bassi). In verità anche la Germania poté beneficiare in qualche misura dell'espansione dei traffici oceanici, in quanto la parte nord-occidentale del suo territorio riuscì a prendervi parte; ma il progresso economico di questa regione periferica non bastò a compensare il declino della più vasta area meridionale. Nell'insieme, la nazione tedesca rimase comunque ancora per lungo tempo relativamente prospera, grazie alla persistente vitalità delle sue economie urbane (sostenute dall'elevato livello di sviluppo che vi avevano raggiunto molte attività manifatturiere). Fu solo nella prima metà del XVII secolo, per effetto delle devastazioni provocate dalla guerra dei trent'anni, che essa scontò un grave peggioramento della propria condizione economica.
Terminata la guerra, la situazione andò ovviamente migliorando; ciò nondimeno, nella rimanente parte del secolo e per tutto il Settecento la Germania permase in una condizione di netta arretratezza rispetto alle nazioni più dinamiche del continente. Il consolidarsi del ritardo tedesco può essere ricondotto alla persistente incapacità dei mercanti di tale nazione di inserirsi da protagonisti nel commercio atlantico. Su questo fattore si è pronunciato in un'altra sua opera il già citato Schilling (1999), il quale ha rilevato anche come tale incapacità sia stata per lungo tempo accentuata dalla pace di Vestfalia del 1648, la quale assegnò dei territori costieri tedeschi alla Svezia (la quale ne avrebbe mantenuto il controllo sino al 1719, data della sconfitta da essa subita nella guerra del Nord). In conseguenza di ciò, difatti, i territori tedeschi rimasti indipendenti videro ulteriormente ridursi i propri accessi al mare, mentre quelli passati sotto il dominio svedese si ritrovarono sottoposti a un governo che non era interessato a puntare su di essi per sviluppare la propria potenza commerciale (disponendo di altri centri portuali, di cui deteneva un più saldo controllo).
Accanto a quello geografico, sulla posizione della Germania nel contesto economico continentale pesò sfavorevolmente anche un fattore negativo di natura politico-sociale. Al riguardo, sempre Schilling (1999) sottolinea come essa sia rimasta per tutta l'età moderna una nazione divisa in una pluralità di stati indipendenti (per quanto collegati fra di loro dalla comune sottoposizione all'autorità imperiale) e connotati da una forte persistenza di istituti feudali. Ciò costituì indubbiamente una penalizzazione, in quanto fece sì che i suoi operatori economici non potessero contare né su un ampio mercato interno (a differenza di quelli inglesi e francesi, che vivevano in stati nazionali di grandi dimensioni), né su una notevole libertà d'azione (a differenza di quelli dei Paesi Bassi, stato in cui la modesta estensione delle potestà feudali faceva sì che le comunità urbane e rurali potessero godere d'un elevato grado di autonomia). Considerazioni analoghe sono svolte da Kemp (1997), il quale rileva l'influenza negativa esercitata dal carattere arretrato dei rapporti sociali vigenti nelle campagne sulle possibilità di avanzamento delle pratiche agricole e quella determinata dalla frammentazione politica del paese sul complesso dell'economia.
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Nella seconda metà del Settecento si ebbero le prime avvisaglie d'un'inversione di tendenza. Möller (2000) rileva difatti in tale epoca il moltiplicarsi di nuove iniziative in ambito manifatturiero, in verità non sempre destinate a un duraturo successo, ma che in ogni caso consentirono un rafforzamento dell'apparato produttivo. Tali iniziative furono dovute in larga misura all'impegno dei sovrani, i quali fecero sorgere delle manifatture statali e favorirono l'attività dei privati tramite sovvenzioni ed esenzioni fiscali. Particolare attenzione allo sviluppo dell'industria fu posta da Federico II di Prussia, il quale motivò la propria opera di promozione con la necessità di contrastare la fuoriuscita di risorse finanziarie dal paese causata dall'acquisto di prodotti esteri.
In questa fase si registrò anche un apprezzabile sviluppo dell'attività bancaria. In tale settore gli operatori privati dimostrarono una notevole capacità di iniziativa autonoma; neppure in esso, comunque, mancò la presenza dello stato. Anche in questo caso il regime prussiano si distinse per il carattere particolarmente ambizioso dei suoi progetti: nel Settecento l'unica banca tedesca di emissione (ossia autorizzata a creare moneta, tramite la stampa di banconote) era quella sorta a Berlino per volontà di Federico II. In molti casi, tuttavia, questo sviluppo economico conservò basi piuttosto fragili. I governi tedeschi avevano dovuto agire come imprenditori o finanziatori di imprenditori per rimediare alla scarsità di capitali di cui la nazione soffriva, che manteneva limitati gli investimenti privati; ma proprio questa scarsità di capitali li costrinse a procurarsi le risorse necessarie al finanziamento dei propri piani di sviluppo contraendo ingenti debiti con soggetti stranieri (cui furono perciò costretti a versare altrettanto ingenti interessi). Per questa ragione, persino degli stati che nel corso del secolo riuscirono a condurre al pareggio la propria bilancia commerciale (ossia ad annullare il divario tra il valore delle importazioni e quello delle esportazioni), quali l'Alta e la Bassa Baviera, videro crescere notevolmente la passività della propria bilancia dei pagamenti (ossia il divario tra i flussi finanziari in entrata e quelli in uscita). Tra gli stati di maggiori dimensioni soltanto la Prussia riuscì a evitare questa dipendenza dal capitale straniero, distinguendosi così ancora una volta in positivo.
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4. I primi anni dell'Ottocento
Questa fase di progresso ebbe termine alla fine del secolo, per effetto delle guerre napoleoniche. Come rileva Henderson (1971), esse penalizzarono la Germania per una duplice via: in ragione della sottrazione di risorse di cui la Francia si rese responsabile a danno dei territori occupati e per effetto della riduzione del commercio internazionale provocata dal blocco continentale (ossia dalla proibizione di avere rapporti commerciali con la Gran Bretagna). Quando poi, dopo la sconfitta di Napoleone, questi fattori negativi vennero meno, ne sorse un altro che rallentò la ripresa della crescita, in quanto i paesi con cui la Germania confinava, per rivitalizzare le proprie economie, applicarono alte tariffe doganali a protezione dei produttori locali, le quali impedirono il ritorno ai livelli passati delle principali correnti di esportazione su cui il paese aveva potuto contare sino ad allora (cereali, legname, lana e lino). Per la verità, dal periodo napoleonico derivò per la Germania anche un lascito positivo, consistente nell'espansione dei comparti manifatturieri (in particolare la siderurgia e la metallurgia) deputati a soddisfare le richieste degli eserciti; ma dopo il 1815, perché i progressi da cui erano stati interessati non andassero perduti, sarebbe stata necessaria una riconversione delle loro produzioni verso i settori civili, la quale fu ostacolata dalla concorrenza esistente in tali ambiti. Difatti la caduta di Napoleone condusse anche a una ripresa delle esportazioni inglesi verso il continente, la quale pose nuovamente i manufatti britannici in concorrenza con quelli tedeschi, i quali ebbero difficoltà a sostenerla, in virtù della competitività che caratterizzava i primi (rammentiamo che la Gran Bretagna era all'epoca nel pieno della rivoluzione industriale).
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5. La creazione dello Zollverein
In questa situazione di generale difficoltà, spiccò ancora una volta l'intraprendenza della Prussia. Questa d'altronde venne favorita da una delle decisioni prese dal Congresso di Vienna, posta giustamente in rilievo da Kemp (1997): per creare una barriera ad eventuali nuove ambizioni francesi di espansione verso Oriente, la Renania fu posta sotto il controllo di tale stato. La decisione risultava favorevole alla Prussia in ragione del fatto che la Renania costituiva ancora, malgrado il progresso di cui la Prussia stessa aveva beneficiato nel XVIII secolo, l'area economicamente più avanzata del paese. A stimolare l'ulteriore rafforzamento dello stato prussiano, però, furono non tanto i benefici, quanto piuttosto i problemi che scaturirono da tale ampliamento territoriale, consistenti nelle difficoltà di integrare economicamente le diverse parti del proprio dominio. Per realizzare tale obiettivo il governo adottò sin dal 1818 un regime di protezione doganale uniforme su tutto il territorio del regno; ma i vantaggi che da ciò derivarono furono limitati dal fatto che tra la sua parte occidentale e quella orientale continuarono a esistere molte altre entità politiche, ognuna dotata d'una propria politica daziaria. Divenne così necessario per la Prussia promuovere un allargamento della propria unione doganale agli altri stati tedeschi. Questa esigenza fece nascere lo Zollverein (che in tedesco significa per l'appunto "unione doganale"), il quale sin dal 1834 legò la maggior parte di tali stati, unificandoli economicamente in un'area di libero scambio (con effetti di rilievo anche sul piano politico, visto che in tal modo quegli stati si trovarono a gravitare intorno alla Prussia, allentando i propri tradizionali legami con l'Austria).
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6. Lo sviluppo dell'economia dagli anni trenta al 1870
Sempre Kemp (1997) dà ampio risalto alla politica di costruzioni ferroviarie che venne posta in essere per migliorare i collegamenti tra gli stati e trarre così concreto vantaggio dall'abolizione delle dogane interne al paese. Data la situazione di modesto sviluppo dell'imprenditoria nazionale, ancora una volta l'azione governativa assunse un ruolo di primaria importanza: molte linee ferroviarie furono create e gestite dagli stati e quelle private furono comunque realizzate col loro sostegno, tramite l'offerta di garanzie finanziarie che incoraggiarono gli investimenti. Questa politica assunse ben presto la funzione di principale stimolo all'espansione non soltanto commerciale, ma anche industriale, in quanto la formazione d'una cospicua domanda di beni funzionali alla creazione e alla gestione di servizi ferroviari indusse l'imprenditoria nazionale a cimentarsi nella produzione dei medesimi. Si ebbe così un forte sviluppo delle industrie carbonifere, siderurgiche e meccaniche. Il ruolo trainante assunto dalle ferrovie nel processo di sviluppo industriale conferì un carattere ben preciso all'industrializzazione della Germania, rendendovi maggiore che in Gran Bretagna l'importanza dell'industria pesante. Esso fu anche causa dello stretto legame fra banca e industria destinato a caratterizzare stabilmente l'economia tedesca: difatti i settori protagonisti dello sviluppo richiedevano investimenti che non potevano essere sostenuti da singoli imprenditori, ma soltanto da enti - quali appunto le banche - in grado di raccogliere capitali su larga scala. Infine, dal momento che l'elevato livello degli investimenti doveva essere compensato dalla generazione di elevati profitti, si delineò presto un ulteriore elemento caratteristico del sistema industriale tedesco, costituito dall'esistenza di cartelli di imprese e da una forte concentrazione proprietaria, funzionali a mantenere limitata la concorrenza fra gli operatori.
Lo sviluppo delle industrie produttrici di beni di consumo non venne comunque trascurato. Difatti Henderson (1971), riferendo di come nella prima metà dell'Ottocento in Prussia fossero sorte numerose industrie di stato, indica tra i settori in cui operavano non soltanto quello siderurgico, ma anche quelli chimico e tessile e persino quello alimentare (erano sotto il controllo pubblico diversi mulini). Questo persistente protagonismo dello stato nella vita economica rappresenta un altro carattere stabilmente osservabile nello sviluppo industriale prussiano e poi generalmente tedesco, che abbiamo già spiegato riconducendolo alla necessità di compensare tramite esso la debolezza delle forze imprenditoriali private.
Un contributo di non scarso rilievo al progresso dell'industria provenne dalla diffusione della cultura tecnico-scientifica. In materia, Lutz (1992) pone in risalto la fioritura di istituti politecnici e scuole professionali che si ebbe sin dagli anni venti, frutto d'una precisa volontà dei governi di stabilire condizioni più favorevoli a tale progresso. I risultati di tale impegno divennero presto visibili, nella forma d'un rapido superamento dell'originaria condizione di dipendenza dalle tecnologie sviluppate dagli imprenditori britannici.
Secondo Lutz (1992) l'Ottocento vide anche una profonda trasformazione dell'agricoltura, che nella prima metà del secolo ebbe quale aspetto qualificante la modernizzazione dei rapporti di produzione, determinata dalla scomparsa dei residui istituti feudali, e nella seconda quella delle tecniche in uso, consentita principalmente dai progressi dell'industria dei concimi. Anche questo è un aspetto del progresso tedesco che merita ampia sottolineatura, non soltanto perché l'agricoltura rimaneva ancora il più importante settore dell'economia, ma anche perché l'elevazione del tenore di vita dei ceti agrari, accrescendo sia la loro capacità di consumo, sia la loro capacità d'investimento, costituiva un ulteriore fattore favorevole allo sviluppo industriale.
La Germania giunse così al 1871 (data dell'unificazione politica tedesca) nel pieno d'un processo di sviluppo interessante agricoltura, industria, commercio e finanza. Per il nuovo e potente stato sorto nel cuore dell'Europa era peraltro in vista un'ulteriore accelerazione dello sviluppo, la quale sarebbe stata resa possibile dall'affermarsi di nuove tecnologie suscettibili di far sorgere inedite tipologie di produzione industriale: in sintesi, dall'avvento della cosiddetta seconda rivoluzione industriale.
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7. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Per una geografia storico-economica. La Germania (Parte prima). Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca. Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.