A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Percorsi di storia economica
Per una geografia storico-economica. La Russia (Parte seconda: i secoli XVI e XVII)
Abstract
Come già notato per l'età medievale (si veda l'articolo sul n. 58. n.s. di MinervaWeb), anche nella prima età moderna il progresso economico della Russia fu ostacolato da lotte intestine e da conflitti con gli stati confinanti, che ne logorarono le risorse umane ed economiche. Ciò nondimeno, essa poté beneficiare d'un sia pur lento sviluppo, alimentato dai rapporti commerciali stretti con l'Occidente e con l'Oriente (che le permisero di valorizzare alcune risorse naturali di cui disponeva in abbondanza) e dall'inserimento in alcuni settori produttivi di operatori stranieri (i quali apportarono capitali e competenze di cui difettava).
1. L'andamento generale dell'economia
2. L'affermazione della servitù della gleba
3. Il commercio e le manifatture
4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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1. L'andamento generale dell'economia
· Il regno di Ivan il terribile
In Russia il secondo Cinquecento fu segnato da un profondo rivolgimento politico, che ebbe ripercussioni anche in ambito sociale ed economico. Infatti Ivan IV (passato alla storia come "il terribile"), primo sovrano ad attribuirsi il titolo di zar di tutte le Russie, instaurò un regime assolutistico, abbattendo il potere della grande nobiltà. Per raggiungere questo risultato egli ricorse a mezzi estremi, privando gli aristocratici dei loro beni e deportandoli in regioni lontane di recente conquista, o addirittura eliminandoli fisicamente.
Nel ricostruire quella fase storica, Gitermann (1963) non riconduce la condotta del sovrano unicamente alla crudeltà e alla pazzia che tradizionalmente gli sono state attribuite, ma individua una motivazione razionale, consistente nella necessità di accrescere i possedimenti di cui poteva disporre personalmente. Il XVI secolo vide la Russia obbligata a rafforzarsi militarmente, in quanto costantemente impegnata contro potenti nemici: i tatari stanziati a Sud del suo territorio, la Confederazione polacco-lituana e lo stato creato dall'Ordine teutonico sulle coste del Baltico. Poiché i proprietari terrieri esistenti non erano in numero sufficiente a formare un esercito della forza occorrente a sostenere questi sforzi bellici, lo zar fu obbligato a concedere in beneficio le terre di proprietà dello stato, in modo da dotarsi d'una nobiltà di servizio in grado di seguirlo in battaglia (e ovviamente tenuta a farlo). Sorse così l'esigenza di ampliare i suoli statali. Ciò fu ottenuto in parte attraverso le conquiste di nuove terre a Sud, ma in parte anche, per l'appunto, espropriando i latifondi nobiliari. Le stesse deportazioni di aristocratici risultavano funzionali alla difesa dello stato, in quanto consentivano di presidiare in maniera più efficace le zone di confine.
In ambito economico, tuttavia, la politica di Ivan IV ebbe gravi conseguenze negative. Gitermann (1963) e Riasanovsky (2003) spiegano che l'uccisione e lo sradicamento degli esponenti della grande nobiltà penalizzarono le attività creditizie e commerciali di cui essa era conduttrice. Inoltre le violenze delle guardie zariste scatenate contro nobili coinvolsero anche i ceti inferiori, provocando casi di spopolamento di villaggi che si ripercossero sulla produzione agricola.
· Ulteriori difficoltà secentesche
Ivan il terribile morì nel 1584, ma la Russia - sempre secondo gli autori prima citati - era destinata a conoscere ancora un lungo periodo di difficoltà. Gli anni intorno al 1600 furono infatti segnati da gravi disordini interni (cui avrebbe posto termine, nel 1613, l'ascesa della dinastia Romanov). Inoltre, per buona parte del secolo XVII, operarono ulteriori fattori negativi, quali le aggressioni militari condotte dai regni svedese e polacco, gli ulteriori conflitti con i tatari e altre popolazioni nomadi (dovuti alla perdurante politica di espansione verso Sud) e i costi della contemporanea annessione delle terre siberiane (le quali erano sì spopolate e quindi militarmente indifese, ma avevano pur sempre un'enorme estensione). Tutto ciò si rifletté sulla situazione finanziaria dell'impero e quindi anche sulla condizione della popolazione, che fu necessario sottoporre a gravose esazioni fiscali.
Delle difficoltà finanziarie della Russia secentesca tratta anche Forzoni (1991), spiegando in maniera dettagliata i problemi che dovettero affrontare i suoi sovrani. Il paese all'epoca scontava una penuria di capitali che lo rendeva sostanzialmente privo di attività creditizie e d'un mercato finanziario, ragion per cui il governo non poteva finanziarsi emettendo debito pubblico. D'altra parte il carattere primitivo del suo sistema tributario e l'inefficienza della sua amministrazione rendevano difficoltosa anche la raccolta di risorse per via fiscale. Ciò risulta evidente nel caso dell'imposta sui terreni, che di fatto gravava soprattutto sui meno abbienti, dal momento che i grandi proprietari aristocratici riuscivano spesso a eluderla e la possidenza ecclesiastica era esentata dall'imposizione. A questa situazione il regime non seppe reagire attuando riforme incisive, bensì ricorrendo a stratagemmi utili soltanto a incrementare nell'immediato le proprie entrate: ad esempio, aumentò notevolmente il prezzo di talune merci di cui lo stato aveva il monopolio della vendita. In questo modo, però, si giunse talvolta a danneggiare le attività interessate da quei provvedimenti e quindi a far scemare i proventi che esse garantivano. Verso la metà del secolo, per la verità, fu compiuto un tentativo di procurarsi risorse senza gravare di nuovi oneri la popolazione, ritirando le monete d'argento dalla circolazione e sostituendole con altre dallo stesso valore legale, ma coniate in rame. Questo tentativo d'imporre l'uso d'una moneta fiduciaria ebbe però esito catastrofico, in quanto la diffusa percezione che la nuova valuta avesse un valore inferiore generò fortissimi rialzi dei prezzi. Dopo pochi anni si dovette perciò ripristinare la monetazione in argento.
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2. L'affermazione della servitù della gleba
· Il peggioramento della condizione dei contadini
Nell'ultima parte del Cinquecento i contadini videro peggiorare le proprie condizioni di vita. Stando a quanto scrive Slicher Van Bath (1978), tale peggioramento riguardò sia l'entità delle prestazioni lavorative loro richieste, sia gli oneri finanziari ricadenti su di essi. Infatti i possidenti reagirono allo spopolamento delle campagne verificatosi al tempo di Ivan il terribile (che aveva ridotto la disponibilità di forza lavoro agricola) e al calo dei prezzi dei cereali manifestatosi dopo il 1550 (che aveva ridotto i loro profitti) esigendo dai coloni superstiti un maggior numero di prestazioni non retribuite; e in più il governo, per finanziare i propri impegni militari, dovette inasprire il prelievo fiscale. Vero è che una parte dei nuovi oneri fiscali venne fatta ricadere non sui contadini, bensì sui proprietari; ma dal momento che i secondi - come fa notare Riasanovsky (2003) - si rivalsero sui primi, in definitiva furono essenzialmente i coltivatori a fare le spese delle accresciute necessità finanziarie del regime. SlicherVan Bath (1978) sottolinea inoltre il ruolo che ebbe in questo processo l'immobilismo dell'agricoltura russa. Questa difatti nel corso dei secoli sostanzialmente non aveva progredito, ragion per cui nel XVI secolo si connotava per un livello di produttività dei suoli paragonabile a quello del Medioevo. In un simile contesto, la pretesa dello stato e dell'aristocrazia di ricavare maggiori risorse dalle attività agricole doveva necessariamente portare a un immiserimento e a un maggiore sfruttamento dei contadini.
· La diffusione del servaggio
In conseguenza di questo peggioramento delle proprie condizioni di vita, nel tardo Cinquecento molti contadini abbandonarono i luoghi d'origine per stabilirsi altrove. Come spiegano Gitermann (1963) e Riasanovsky (2003), queste migrazioni furono rese possibili dall'espansione dell'impero, che aveva reso disponibili nuove terre fertili a Sud-Est; tali migrazioni inizialmente furono anche incoraggiate dallo stesso governo, il quale per mezzo di esse mirava a consolidare la presa russa su quelle regioni. La massiccia emigrazione, però, poneva un serio problema proprio al governo, in quanto consentiva ai contadini che ne erano protagonisti di sottrarsi ai propri obblighi fiscali e militari. Per preservare la potenza finanziaria e militare del regime si rese perciò necessario a un certo punto ostacolare tali trasferimenti: e ciò condusse a legare indissolubilmente il contadino alla terra che coltivava.
Nella prima parte di questo articolo abbiamo spiegato come già nel corso del Medioevo molti contadini fossero stati sospinti verso una condizione di sostanziale servaggio, scontando un impoverimento che li aveva posti alla mercé dei proprietari terrieri (nei cui riguardi erano divenuti debitori). Fu però in età moderna che si giunse a una formalizzazione di tale condizione ad opera del regime zarista. Intorno al 1580 entrarono in vigore le prime norme che legavano alla terra i contadini, dapprima concepite come misure temporanee, ma destinate nel Seicento a diventare definitive. A metà del XVII secolo la servitù risultava ormai pienamente istituita, senza più distinzioni fra contadini: era considerato un servo chiunque fosse insediato su un suolo appartenente a un privato.
· Sopravvivenza dei contadini liberi e permanenza della schiavitù
Da Riasanovsky (2003) possiamo riprendere altre due osservazioni sul tema dei rapporti sociali nelle campagne. In primo luogo, la diffusione della servitù della gleba non interessò in eguale misura tutto il territorio nazionale: nelle regioni settentrionali essa rimase assai contenuta. Ciò è spiegabile col fatto che in esse l'assenza di minacce nemiche rese non necessario l'infoltimento dei ranghi nobiliari; difatti in ragione di ciò buona parte della popolazione locale non venne a dipendere da proprietari privati e dunque non fu interessata dalle norme che vincolarono alla terra i contadini sottoposti alla dominazione dei medesimi (per quanto vada sottolineato che anche su di essa furono posti, col passare del tempo, oneri sempre più gravosi).
In secondo luogo, va rilevato che accanto ai servi e ai contadini liberi continuarono a esistere anche dei veri e propri schiavi, il cui numero all'interno delle grandi proprietà poteva anche risultare notevole. Fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento la popolazione schiavile andò addirittura ingrossandosi, in quanto molti contadini, per sfuggire alla fame, furono obbligati a vendere sé stessi a un possidente. Con la definitiva affermazione della servitù, comunque, la distinzione fra schiavi e servi andò facendosi via via meno netta.
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3. Il commercio e le manifatture
· Una lenta crescita
Alla luce di quanto spiegato sinora può sorprendere la valutazione di Riasanovsky (2003), per il quale i secoli XVI e XVII videro uno sviluppo delle attività mercantili e manifatturiere. L'autore tuttavia si guarda dall'enfatizzare la loro espansione, sottolineando la lentezza che la caratterizzò. Va poi considerato che accanto ai fattori suscettibili d'incidere negativamente sulle attività economiche, di cui abbiamo dato conto in precedenza, ve ne furono anche degli altri di diverso segno, ragion per cui in questa fase storica il contesto in cui esse si svolsero non fu univocamente ostile alle medesime. Nel trattare dei vari comparti menzioneremo di volta in volta le trasformazioni sociali e le scelte politiche che ne agevolarono il rafforzamento; possiamo però evidenziare da subito - a imitazione di quanto fatto dallo stesso Riasanovsky (2003) - l'influenza positiva che ebbe su ogni aspetto della vita economica l'espansione territoriale dello stato. Questa difatti accrebbe le risorse naturali e demografiche su cui poteva contare l'impero, a beneficio sia delle attività di estrazione e trasformazione delle materie prime, sia dei traffici interni e delle esportazioni.
· Il commercio interno
Secondo Portal (1972), nella seconda metà del Cinquecento cominciò a svilupparsi il commercio interno, producendosi così un arretramento dell'economia naturale fondata sull'autoconsumo e sui pagamenti in natura. Ciò fu dovuto alla crescente tendenza degli artigiani a risiedere nei centri urbani e a un più generale sviluppo demografico dei medesimi, che determinarono un incremento degli scambi fra città e campagna. Altro fattore determinante fu l'emergere di centri manifatturieri d'inedita rilevanza in cui andò concentrandosi la produzione di taluni beni, che fece sorgere un principio di specializzazione produttiva regionale e dunque stimolò i traffici tra le diverse parti dell'impero. Effetti positivi ebbe anche, come rileva Forzoni (1991), l'eliminazione di molte barriere doganali e pedaggi, avvenuta sempre nel secondo Cinquecento; mentre il secolo successivo vide la promulgazione (precisamente nel 1667) d'un nuovo codice commerciale, il quale pure - secondo Riasanovsky (2003) - contribuì a favorire l'espansione delle attività mercantili entro i confini della Russia.
In merito alla gestione di tali commerci, possiamo rifarci a quanto scrive Portal (1972), secondo cui in parte non piccola essi erano condotti da operatori occidentali. Nel corso del tempo, tuttavia, si formò un ceto autoctono di grandi mercanti - non numeroso, ma potente - che infatti nel XVII secolo riuscì a ottenere l'adozione di misure tese a limitare l'attività dei mercanti stranieri risiedenti in Russia.
· Il commercio estero
Rifacendoci a Glamann (1978), a Portal (1972) e a Riasanovsky (2003), nel valutare il posizionamento della Russia nei traffici internazionali possiamo attribuirle essenzialmente un ruolo di fornitrice di materie prime. Proprio in tale ambito risaltano in maniera particolare i benefici che l'impero ricavò dalla propria espansione territoriale: infatti la conquista della Siberia accrebbe notevolmente la disponibilità di pelli e pellicce, la cui esportazione costituiva una voce di primo piano del commercio estero russo. Altri beni assai richiesti all'estero erano il lino, la canapa, il sego e la cera. Le esportazioni verso l'Occidente si svolgevano tramite i porti del Baltico e attraverso il Mar Glaciale Artico, quelle verso l'Europa orientale e l'Asia via terra.
Lo zar aveva il monopolio del commercio con l'estero, come peraltro anche in determinati ambiti di quello interno. Lo scopo di questa regolamentazione era ovviamente quella di assicurare al governo proventi maggiori di quelli che gli avrebbe procurato la mera tassazione di attività condotte da altri. Relativamente ai traffici con l'Occidente, tuttavia, nel periodo in esame la Russia rimase sempre in una condizione di forte dipendenza da soggetti esteri, a causa della mancanza di una marina nazionale. Ciò spiega come mai sin dal tempo di Ivan il terribile il governo provvide ad allacciare rapporti con i mercanti inglesi e olandesi, tramite la concessione di privilegi: Inghilterra e Olanda stavano diventando le principali potenze mercantili e dunque conveniva servirsi dei loro operatori quali intermediari che collegassero il paese all'Europa. Diverso fu il caso del commercio verso la Persia e l'Asia centrale, per la conduzione del quale il governo zarista poté sfruttare le linee di traffico e la rete di rapporti che i mercanti tatari delle regioni annesse all'impero avevano stabilito con l'Oriente nei secoli passati.
La dipendenza dai mercanti stranieri per gli scambi con l'Occidente costituiva per la Russia una grave penalizzazione, di cui dà conto Gitermann (1963). Infatti gli operatori presenti nel paese si accordavano fra di loro per stabilire i prezzi di acquisto delle merci russe e di vendita di quelle d'importazione, privando il governo di qualunque margine di contrattazione; questo si trovava perciò costretto a cedere a buon mercato le proprie risorse naturali e a pagare somme elevatissime per i beni che gli venivano forniti. Il danno che il paese ricavava da questa situazione era reso ancora più grave dal fatto che la Russia fosse costretta ad acquistare dai mercanti occidentali grandi quantità di merci. Essa difatti importava prodotti di origine agricola (quali legumi, zucchero e vino), materie prime in uso nell'industria (zolfo, rame, stagno, piombo) e anche vari tipi di prodotti finiti (stoffe, armi e altri oggetti metallici, articoli di lusso), di cui abbisognava in ragione del limitato sviluppo delle attività manifatturiere nazionali.
· Le attività estrattive e manifatturiere
Nella Russia del tempo il progresso delle attività produttive risultava ostacolato dalla mancanza tanto di capitali quanto di conoscenze tecnologiche. Ben si comprende pertanto come mai Ivan IV - come riferisce Forzoni (1991) - volle attrarre dall'estero artigiani e operai specializzati; né stupisce che Kellenbenz (1978) e Riasanovsky (2003) rilevino che in età moderna la produzione di beni su più larga scala, la quale avveniva in opifici gestiti da mercanti, vedesse tra i suoi conduttori anche diversi soggetti stranieri, e che - più in generale - imprenditori e tecnici occidentali avessero un ruolo di primo piano nello sviluppo delle attività estrattive e di trasformazione. Questi autori danno conto anche dell'esistenza di imprese controllate dallo stato, in particolare nel settore minerario. Lo stato costituiva anche, secondo Riasanovsky (2003), il principale acquirente dei manufatti prodotti internamente: un'altra conseguenza dell'arretratezza del paese era infatti la limitata domanda privata di tali beni. La produzione industriale del tempo serviva così principalmente a soddisfare le necessità militari, civili e di fasto dello zar e del governo.
La formazione d'un'imprenditoria nazionale fece sorgere l'esigenza di tutelarla dalla concorrenza dei produttori dei paesi più avanzati, i quali risultavano avvantaggiati sotto il profilo delle capacità finanziarie e tecnologiche. Stando a Kellenbenz (1978), tuttavia, solo dopo il 1650 fu varata una politica protezionista finalizzata allo sviluppo delle manifatture. Ciò può essere spiegato presumendo che sino ad allora la produzione locale fosse rimasta così debole da mantenere il paese in una condizione di dipendenza dalle importazioni di manufatti esteri. È un fatto significativo, che conferma il ritratto della Russia moderna ricavabile dalle altre osservazioni citate: quello d'un paese che andava sì progredendo, ma fra molte difficoltà che ne rallentavano il cammino.
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4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Per una geografia storico-economica. La Russia (seconda parte). Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca. Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.