A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Speciale: A 150 anni dalla breccia di Porta Pia
All'indomani della breccia di Porta Pia: un discorso del Re
In questo numero di MinervaWeb l'orologio della storia ci porta indietro di 150 anni: il 20 settembre del 1870 i bersaglieri entrano a Roma da una breccia nelle mura della città all'altezza di Porta Pia. A questa ricorrenza è stato dedicato un convegno internazionale (di cui in questo stesso fascicolo proponiamo un estratto), ospitato il 2 ottobre nella Sala Capitolare presso la Biblioteca del Senato.
Dopo aver dato voce, nelle precedenti uscite dello "Speciale" del 2020, a una selezione di documenti parlamentari - accessibili anche in internet - del decennio 1861-1870 (i discorsi di Cavour del marzo 1861, un Indirizzo al Santo Padre di Bettino Ricasoli sul finire dello stesso anno, la relazione del sen. Imbriani per il trasferimento della capitale a Firenze a seguito della Convenzione di settembre del 1864, il discorso d'insediamento del Gabinetto Menabrea dopo la battaglia di Mentana del 1867), anche stavolta cerchiamo nelle parole della politica lo specchio degli avvenimenti.
Proponiamo quindi, per questa quinta puntata, un discorso tratto dagli Atti parlamentari ma pronunciato, davanti alle Camere, dal re Vittorio Emanuele II in persona, a breve distanza dall'ingresso delle truppe italiane in quella che di lì a poco diventerà la capitale del Regno d'Italia.
Per chi volesse approfondire il contesto storico nelle numerose pubblicazioni disponibili nel Polo bibliotecario parlamentare, consigliamo di interrogare il catalogo. Tra le voci di soggetto suggerite: "Italia - storia, 1870", "Stato Pontificio - storia, 1870", "Roma - storia, 1870", "Questione romana", "Chiesa e Stato" e soprattutto, per i record della Biblioteca del Senato, il soggetto "Venti settembre 1870".
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Roma, settembre 1870. Nell'autunno di tre anni prima gli scontri presso Mentana tra i volontari garibaldini e le truppe francesi, guidate dal generale Hermann Kanzlera sostegno di quelle pontificie, hanno scosso i difficili equilibri del giovane Stato italiano unitario, che ancora attende di acquisire la «capitale acclamata dall'opinione nazionale» sin dall'ordine del giorno votato il 27 marzo 1861: Roma. In questo periodo i contatti diplomatici si sono sempre scontrati con l'intransigenza della Francia.
L'occasione propizia a compiere il passo decisivo arriva dai mutati equilibri internazionali: la guerra franco-prussiana, iniziata nell'estate del 1870, vede il secondo Impero di Napoleone III sconfitto nella battaglia di Sedan già a inizio settembre. Il tradizionale difensore dei territori pontifici è momentaneamente fuori gioco: il governo sabaudo, anche grazie al Ministro degli Affari esteri Emilio Visconti Venosta, ravviva la rete di rapporti diplomatici, tesi ad assicurare il non intervento di altre potenze anche offrendo garanzie di autonomia al Papa. Il re Vittorio Emanuele II cerca nel Papa stesso un interlocutore, affidando il 7 settembre al consigliere Gustavo Ponza di San Martino (che sarà poi nominato senatore) «l'incarico di annunciare al Pontefice che finalmente era giunta l'ora di sceverare la spada dal pastorale, e di rendere a Cesare il regno che la divina sapienza avea chiamato regno di Cesare» (si cita dalla commemorazione pronunciata in Senato il 27 dicembre 1876 e consultabile online nel repertorio Senatori d'Italia, a cura dell'Archivio storico del Senato della Repubblica). Ogni tentativo si scontra però con la fermezza di Pio IX.
Già da qualche settimana è stato costituito un Corpo d'osservazione dell'Italia centrale, al cui comando il Primo ministro Giovanni Lanza ha nominato il generale Raffaele Cadorna (anch'egli futuro senatore), che il 10 settembre riceve l'ordine di varcare in armi il confine laziale. Dopo una marcia di avvicinamento, dall'alba al mattino del 20 settembre ha luogo il cannoneggiamento delle mura romane, che cedono infine presso Porta Pia, mentre le truppe pontificie dichiarano la resa.
Viene istituita a Roma una Giunta provvisoria di governo, in attesa dell'esito del plebiscito di annessione, che di lì a poco, il 2 ottobre, vede la vittoria dei sì (sia pure con molte astensioni); un risultato che sarà ratificato col Regio Decreto 9 Ottobre 1870, n. 5903, «col quale Roma e le Provincie Romane passano a far parte integrante del Regno d'Italia». Il 15 ottobre 1870 il Regio Decreto n. 5929 istituisce poi la Provincia di Roma, dividendola nei cinque circondari di Roma, Viterbo, Frosinone, Velletri e Civitavecchia.
Il 20 ottobre Papa Pio IX pubblica l'enciclica Respicientes Ea in cui si dichiara in «cattività» denunciando come «ingiusta, violenta, nulla» la subìta «usurpazione», di fatto avviando una nuova fase della "questione romana", che vedrà i rapporti con lo Stato distendersi solo dopo il Concordato del 1929.
Per tutto questo periodo i lavori parlamentari sono fermi: la legislatura volge al termine, e nella seduta della Camera del 21 agosto 1870 i deputati sono convocati a domicilio. Nella successiva seduta del 25 agosto si prende atto del decreto del Presidente del Consiglio Giovanni Lanza con cui «l'attuale Sessione del Senato del Regno e della Camera dei deputati è prorogata».
Le sedute del Parlamento riprendono però direttamente con la legislatura successiva, la XI del Regno d'Italia, inaugurata il 5 dicembre 1870 con un discorso del Re. Vittorio Emanuele II entra nell'Aula (ancora a Firenze, nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio) alle 11 del mattino, insieme ai principi Umberto ed Eugenio Di Carignano, «accolto da applausi fragorosi e prolungati». Sono presenti sia i senatori che i deputati, rispettivamente conteggiati dai ministri di Grazia e giustizia (Matteo Raeli) e dell'Interno (sempre Lanza), che procedono all'appello, e infine pronuncia il discorso che qui di seguito riportiamo: il primo dell'Italia completamente unita.
Il discorso del re è consultabile sul portale storico della Camera dei deputati in scansione (Camera dei deputati, Discussioni, Sessione 1870-1871, Legislatura XI), ma è stato ripubblicato in varie occasioni, due delle quali rintracciabili (con possibilità di download dell'intera pubblicazione) tramite la BPR - Bibliografia del Parlamento italiano e degli studi elettorali a cura della Biblioteca della Camera: alla vigilia del 50° anniversario dello Statuto Albertino (Discorsi della Corona al Parlamento nazionale dalla I alla XX legislatura. Napoli: Pietrocola, 1897, p. 75-79) e ancora un quarantennio dopo, in una raccolta di discorsi della Corona quale forma di «solenne e diretta comunicazione fra il Re e la Nazione italiana, del cui progresso essi segnano le tappe» (I discorsi della Corona, con i proclami alla nazione dal 1848 al 1936. Introduzione e commenti di Antonio Monti. Milano: CEDAI, 1938, p. 97-99; citazione da p. 5).
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Discorso del re Vittorio Emanuele II di inaugurazione della prima sessione della XIII legislatura del Parlamento nazionale
Signori Senatori, Signori Deputati,
l'anno che volge al suo termine ha reso attonito il mondo per la grandezza degli eventi che niun giudizio umano poteva prevedere. Il nostro diritto su Roma noi lo avevamo sempre altamente proclamato, e di fronte alle ultime risoluzioni, cui mi condusse l'amor della patria, ho creduto dover mio di convocare i nazionali comizi.
Con Roma capitale d'Italia ho sciolto la mia promessa e coronata l'impresa che ventitré anni or sono veniva iniziata dal magnanimo mio genitore. (Applausi generali vivissimi e reiterati, e grida: A Roma! a Roma!)
Il mio cuore di Re e di figlio prova una gioia solenne nel salutare qui raccolti per la prima volta tutti i rappresentanti della nostra patria diletta, e nel pronunciare queste parole: «L'Italia è libera ed una, ormai non dipende più che da noi il farla grande e felice». (Nuova salve di applausi fragorosi)
Mentre qui noi celebriamo questa solennità inaugurale dell'Italia compiuta, due grandi popoli del Continente, gloriosi rappresentanti della civiltà moderna, si straziano in una terribile lotta.
Legati alla Francia e alla Prussia dalla memoria di recenti e benefiche alleanze, noi abbiamo dovuto obbligarci ad una rigorosa neutralità, la quale ci era anche imposta dal dovere di non accrescere l'incendio e dal desiderio di poter sempre interporre una parola imparziale fra le parti belligeranti. E questo dovere di umanità e di amicizia noi non cesseremo dall'adempierlo, aggiungendo i nostri sforzi a quelli delle altre Potenze neutrali per metter fine a una guerra che non avrebbe mai dovuto rompersi fra due nazioni la cui grandezza è egualmente necessaria alla civiltà del mondo. (Benissimo!)
L'opinione pubblica, consacrando col suo appoggio questa politica, ha mostrato una volta di più che l'Italia libera e concorde è per l'Europa un elemento d'ordine, di libertà e di pace. (Applausi)
Quest'attitudine agevolò il compito nostro quando, per la difesa e per l'integrità del territorio nazionale, e per restituire ai Romani l'arbitrio dei loro destini, i miei soldati, aspettati come fratelli e festeggiati come liberatori, entrarono a Roma. (Vivi applausi) Roma, reclamata dall'amore e dalla venerazione degl'Italiani, fu cosi resa a se stessa, all'Italia ed al mondo moderno. (Bravissimo!)
Noi entrammo in Roma in nome del diritto nazionale, in nome del patto che vincola tutti gli Italiani ad unità di nazione; (Bravo!) vi rimarremo mantenendo le promesse che abbiamo fatto solennemente a noi stessi: libertà della Chiesa; piena indipendenza della Sede Pontificia nell'esercizio del suo ministero religioso, nelle sue relazioni colla cattolicità.
Su queste basi, e dentro i limiti dei suoi poteri, il mio Governo ha già dato i provvedimenti iniziali, ma per condurre a termine la grande opera si richiede tutta l'autorità, tutto il senno del Parlamento.
L'imminente trasferimento della sede del Governo a Roma ci obbliga a studiar modo di ridurre alla massima semplicità gli ordinamenti amministrativi e giudiziari, e rendere ai comuni e alle provincie le attribuzioni che loro spettano. (Benissimo!)
Anche la materia degli ordinamenti militari e della difesa nazionale vuole essere studiata, tenendo conto della nuova esperienza di guerra. Dalla terribile lotta che tiene tuttora attenta e sospesa l'Europa sorgono insegnamenti che non è lecito di trascurare a un Governo che vuole tutelato l'onore e la sicurezza della Nazione.
Su tutti questi temi vi saranno sottoposti disegni di legge, e sulla pubblica istruzione eziandio, che vuol essere annoverata essa pure fra gl'i strumenti più efficaci della forza e della prosperità nazionale. (Bene!)
Ci converrà poi riprendere colla più grande alacrità l'opera forzatamente interrotta dell'assetto definitivo delle nostre finanze.
Compiuta finalmente l'Italia, non vi può più essere fra voi altra gara che quella di consolidare con buone leggi un edificio che tutti abbiamo contribuito ad erigere. [...]
Il signor ministro per l'interno dichiara aperta la prima Sessione delia XI Legislatura.
Alla partenza di S. M. prorompono di nuovo fragorosi, generali applausi, e acclamazioni al Re.