A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
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Presentazione del volume "Libraries and public perceptions: a comparative analysis of the european press". Roma, 4 novembre 2014
La Biblioteca di Storia moderna e contemporanea di Roma ha ospitato, nel pomeriggio del 4 novembre 2014, un interessante dibattito a margine del volume di Anna Galluzzi, Libraries and public perceptions: a comparative analysis of the european press (Oxford [etc.], Chandos Publishing, Elsevier, 2014). Al dibattito hanno partecipato Stefano Parise, ex presidente AIB e attuale direttore del Settore biblioteche del Comune di Milano, e Giorgio Zanchini, giornalista di Radio Tre e docente di giornalismo culturale a Urbino, introdotti e moderati della Direttrice della Biblioteca, Simonetta Buttò, e del Presidente della Sezione Lazio dell'Associazione italiana biblioteche, Vittorio Ponzani.
I saluti iniziali hanno posto subito in evidenza alcune tra le più notevoli caratteristiche del volume: una monografia agile, che rappresenta il versante più "laico" e aperto della disciplina; e scritta direttamente in inglese, il che è per la biblioteconomia italiana una vera rarità, ma anche un canale di sprovincializzazione, oltre che un indice d'interesse dell'editoria straniera per una nostra studiosa.
L'intento della ricerca proposta è quello di spostare all'esterno delle biblioteche la valutazione sulle biblioteche stesse; per farlo sono stati analizzati 3.659 articoli dedicati alle biblioteche da otto importanti testate giornalistiche nazionali italiane (Corriere della Sera e Repubblica), francesi (Le Monde e Le Figaro), spagnole (El Paìs e El Mundo), inglesi (The Times e The Guardian). Gli articoli sono stati codificati, spiega l'Autrice, secondo diversi parametri: tipo di biblioteca, tema principale dell'articolo, sezione di giornale in cui è pubblicato, Paese considerato (nel caso in cui si faccia riferimento a biblioteche di altre nazioni).
In tal modo - ha sottolineato Stefano Parise nel suo intervento - Anna Galluzzi ha rinnovato il filone biblioteconomico dell'assessment, generalmente orientato a dimostrare il ruolo sociale che hanno le biblioteche quando sono efficienti ed efficaci; in questo caso, invece, la percezione di questi istituti è demandata per una volta non ai loro addetti né ai loro fruitori, ma ai quotidiani che più formano l'opinione pubblica, così ribaltando il consueto punto di vista.
Per Parise sono tre le parole-chiave del volume: futuro, tecnologia, crisi. L'indagine riguarda infatti un periodo di crisi (2008-2012) e di grande cambiamento, tecnologico e sociale. La crisi impone di interrogarsi circa le priorità su cui concentrare le poche energie disponibili e rende pertanto cruciale il bivio tra una considerazione delle biblioteche come un retaggio del passato, reso obsoleto dalle nuove tecnologie che possono assorbirle e sostituirle, o viceversa come spazi culturali che favorendo la crescita degli individui rappresentano il migliore investimento per traghettare la società verso prospettive di rilancio. Le biblioteche devono, e con sempre più urgenza, trovare una nuova legittimazione agli occhi del grande pubblico che le finanzia con le tasse, e per far ciò si trovano a confrontarsi con nuove modalità comunicative, che hanno comportato ad esempio l'apertura di grandi spazi alle relazioni sociali in molte biblioteche pubbliche.
L'indagine mostra che la percezione che si ha delle biblioteche è ancora intrisa di stereotipi - e questa non è purtroppo una sorpresa - e corrisponde ben poco alla percezione interna al mondo bibliotecario. Sorprende di più constatare che proprio in un Paese come il nostro, in cui le biblioteche sono generalmente misconosciute, i quotidiani ne parlano più spesso che altrove, sia pure per lamentarne i tagli di bilancio (come accade spesso anche in Spagna), sia pure con prevalente riferimento alle biblioteche pubbliche, sia pure confinandole nelle sezioni di cronaca locale. I giornali inglesi danno invece più spazio ai commenti dei lettori e a riflessioni sulla mission della biblioteca (segnale di una vitalità non residuale di questa istituzione, proprio nel Paese che ha dato i natali alla biblioteca pubblica in senso moderno), mentre in Francia, che ha il primato per l'attenzione alle biblioteche straniere, si sottolineano di più gli aspetti legati alla conservazione del patrimonio bibliografico e alla digitalizzazione; un interesse attestato del resto dalla massiccia partecipazione al progetto Europeana per una biblioteca digitale europea, di cui appunto la Francia è il principale contributore avendo fornito da sola, negli anni a cui qui si fa riferimento, ben il 47% dei contenuti digitali del progetto.
In questo contesto sfaccettato - conclude Parise - l'operazione che il libro di Anna Galluzzi rende possibile è quella che nel marketing si chiamerebbe re-branding: una proposta di riassegnazione valoriale e ridefinizione dell'immaginario bibliotecario oggi. In questo processo la reputazione delle biblioteche ha un ruolo importante e si basa sull'esperienza diretta: il cittadino apprezza le biblioteche che funzionano. In un'epoca in cui la percezione di valore non s'inserisce più nel lungo periodo ma nelle veloci dinamiche della contemporaneità, va ai bibliotecari il compito di ricostruire l'immagine valoriale delle biblioteche.
È però difficile, come sottolinea Ponzani, il passaggio dalla reputazione diretta a quella che si gode presso la pubblica opinione: una biblioteca che funziona bene convince del proprio valore i suoi utenti abituali che hanno modo di apprezzarla perché la trovano funzionale alle loro esigenze, ma il suo messaggio fatica a raggiungere gli utenti soltanto potenziali. In anni che sempre più vedono crescere l'esigenza di advocacy e comunicazione del ruolo sociale delle biblioteche, anni in cui i bibliotecari s'impegnano in inedite strategie di fund raising e di promozione dei servizi, i bibliotecari dovrebbero poter collaborare con la stampa d'informazione, imparando a 'costruire' notizie che facciano emergere il loro ruolo in modo non banale.
Una proposta in tal senso viene da Zanchini, che suggerisce di pubblicizzare di più le biblioteche come spazi sociali; e in effetti alcune grandi biblioteche pubbliche di nuova generazione, quali le biblioteche comunali di Pistoia e Pesaro, considerate esemplari, godono già ora di buona stampa.
Tuttavia - osserva sempre Zanchini - il vero problema è di carattere culturale: in una società mediamente poco colta i pregiudizi sono difficili da rimuovere e aumenta la distanza tra percezione e dato reale; secondo dati OCSE, su questo aspetto l'Italia è fanalino di coda. Se è vero che la stampa d'informazione dovrebbe contribuire a ricucire il difficile rapporto tra fatti e coscienza civile, va però considerato che anche i giornalisti vivono un momento di crisi in quanto categoria di intermediari (in questo, accomunati ai bibliotecari, appunto) per il cambiamento di paradigma legato alla rivoluzione digitale, che tende inevitabilmente a scardinare ogni funzione di intermediazione.
Nel caso dei bibliotecari, ad aggravare la situazione intervengono la crisi e il conseguente ripensamento dei criteri di welfare: se il budget si riduce occorre riscrivere le priorità e com'è noto le biblioteche non vengono mai messe in cima alla lista. Ben venga allora, prosegue Zanchini, un libro come quello di Anna Galluzzi, che con grande lucidità analizza la funzione sociale delle biblioteche oggi.
Nel dibattito che è seguito, e che ha coinvolto anche l'Autrice, si è evidenziato il taglio sperimentale del volume, il suo intento di sondare le potenzialità di un metodo d'indagine che consentisse di parlare dell'impatto sociale delle biblioteche utilizzando una nuova fonte anziché - come talvolta si è fatto negli ultimi anni - limitandosi a ipotizzare l'atteggiamento degli utenti potenziali, che nulla sanno delle biblioteche, a partire da quello degli utenti reali: due categorie, in realtà, distantissime.
Da questo punto di vista, i quotidiani rappresentano una fonte che ben può riflettere tuttora l'opinione comune, sia pure con dichiarate limitazioni: la necessità di prendere in considerazione un campione d'indagine circoscritto (ma funzionale alla tempestiva elaborazione di quantità di dati comunque notevolissime); l'inevitabile doppio filtro operato da un lato da chi interpreta i dati proposti dai giornali, dall'altro dai giornali stessi nei confronti dell'opinione pubblica; l'impossibilità pratica di estendere la ricerca a tutte quelle nuove forme di comunicazione (blog, testate online, social network) che sono più vicine forse ai fruitori dell'informazione nell'odierna logica di disintermediazione, ma che al tempo stesso sono troppo tentacolari e disomogenee per porsi come orizzonte di analisi.
Quanto agli esiti della ricerca, il dato più significativo è che i giornali non esprimono posizioni originali sulle biblioteche, né recepiscono in alcun modo i dibattiti interni alla comunità professionale (nemmeno se di ampio respiro come quello sul ruolo delle biblioteche nella knowledge economy); poco o nulla si dice dei bibliotecari come categoria di specialisti dell'informazione, o circa le prospettive concrete delle biblioteche digitali. Il ruolo percepito delle biblioteche si rivela insomma confinato alla fornitura dei contenuti, mentre non è riconosciuta la funzione strategica degli intermediari nei processi di digitalizzazione, indicizzazione e manutenzione di tali risorse.
Se pure la crescente disintermediazione portasse a un mondo in cui verrà davvero meno l'esigenza sociale in risposta alla quale le biblioteche sono nate, tuttavia, poiché tale ipotesi è ancora da verificare, resta oggi per i bibliotecari il problema di come gestire la prospettiva di medio termine, cercando strategie di promozione senza appiattirsi sulla pubblicizzazione di modelli in voga ma che potrebbero rivelarsi transitori (incluso il nuovo modello di biblioteca come "piazza del sapere") e tornando, piuttosto, a interrogarsi sulla propria identità.