Come ricorda Oreste del Buono, il foglio non "fu un giornale pedantemente fascista, né tanto meno antifascista. Fu un giornale italiano per giovani e meno giovani in un'epoca in cui gli italiani avevano molto da piangere, ma proprio per questo avevano bisogno di ridere, di assaporare una certa leggerezza nel vivere".
Si può considerare come manifesto programmatico del foglio umoristico le strofe, parodia del Carducci, apparse nel numero inedito del 1 luglio 1936:
Il "Bertoldo", o vulgo sciocco/ un pitocco/ non è già grasso e melenso / che con lazzi turpi e matti /scende a patti/ con la logica e il buon senso. / E nemmeno è un gazzettiere / di mestiere, /che atteggiandosi a saputo / spaccia al vulgo le idiozie / più stantìe / all'ingrosso e al minuto. (...) / E nemmeno è un seccatore / che nel cuore / ha terribili ideali,/ con cui rompe, com'è d'uso, / tronfio e astruso, / le saccocce dei mortali. (...)/ È un arguto perdigiorno/ che va intorno /senza mèta, dove il caso/ lo conduce, motteggiando/ criticando, / spensierato e ficcanaso (...).
Sin dall'inizio delle pubblicazioni si poté notare quella che sarebbe stata poi una delle caratteristiche più accattivanti del periodico: lo spirito ludico di tanti divertenti scherzi reciproci fra i collaboratori e fra questi e i loro lettori. L'impronta satirica del giornale era costituita dalla celebre rubrica chiamata "Bertoldo", scritta da Mosca, che apriva la prima pagina, un esempio di anticonformismo, di ricerca della verità contro una certa retorica del linguaggio. Sempre in prima pagina apparivano il "vignettone predominante", in genere di argomento politico e firmato da Walter Molino, poi i Sillogismi azzardati di Marchesi, le vignette di umorismo nero di Giaci Mondaini della serie Il Signore Malvagio e altre vignette ironiche. Il foglio alternava numerose rubriche più o meno fisse e disegni che ironizzavano sulla vita quotidiana, sulla cultura dell'epoca e sui gusti comuni.