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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 68 (Nuova Serie), maggio 2022

Letteratura e Parlamento

Grazia Deledda

Abstract

Come anticipato nell'articolo pubblicato sul primo numero di quest'anno di "MinervaWeb", dedichiamo un contributo della rubrica "Letteratura e Parlamento" a Grazia Deledda.

Sebbene non abbia mai scritto opere che possano rientrare nel genere del romanzo 'di ambiente parlamentare' né sia stata a sua volta parlamentare, Grazia Deledda è entrata nelle aule parlamentari con la vittoria del Premio Nobel e, come raccontiamo nell'articolo, in condizioni diverse avrebbe potuto essere eletta a Montecitorio. Inoltre, come il paragrafo Dentro le opere aiuta a dimostrare, nei suoi numerosi scritti i temi politici e sociali sono ben presenti sullo sfondo delle vicende narrate.

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1. La singolare formazione di una scrittrice

2. Il trasferimento a Roma e il successo

3. La prima candidata

4. Dentro le opere

5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. La singolare formazione di una scrittrice

Nata a Nuoro nel settembre del 1871, Grazia Deledda cresce in una famiglia numerosa e benestante: studia, come di consueto per le ragazze del suo tempo, solo fino alla quarta elementare, proseguendo la sua istruzione con insegnanti privati e da autodidatta. Fin da bambina, come lei stessa racconta nel suo ultimo romanzo, autobiografico, Cosima (uscito a puntate col titolo Cosima, quasi Grazia sulla "Nuova Antologia" all'indomani della sua morte, e poi ripubblicato da Treves, 1937), possiede una grande immaginazione:

La bambina, sul portone, sa queste cose, e considera i suoi vicini di casa come personaggi straordinari. Tutto, del resto, è straordinario per lei: pare venuta da un mondo diverso da quello dove vive, e la sua fantasia è piena di ricordi confusi di quel mondo di sogno, mentre la realtà di questo non le dispiace, se la guarda a modo suo, cioè anch'essa coi colori della sua fantasia.

(Grazia Deledda, Cosima. Edizione critica a cura di Dino Manca. Sassari, EDES, 2021, p. 3)

Nel 1888, appena diciassettenne, invia alcuni racconti alla rivista "L'ultima moda", diretta a Roma da Epaminonda Provaglio, la cui pubblicazione viene accolta in paese con molta diffidenza:

[...] in paese la notizia che il nome di lei era apparso stampato sotto due colonne di prosa ingenuamente dialettale, e che, per maggiore pericolo, parlavano di avventure arrischiate, destò una esecrazione unanime e implacabile.

(Ivi, p. 38)

Ma la Deledda non si perde d'animo e continua a scrivere: in una lettera inviata a Onorato Roux nel 1907 per la compilazione di un volumetto sui ricordi giovanili di illustri italiani contemporanei, dichiara che

[...] se c'è stato un merito in me giovinetta, quasi bambina ancora, è stato quello della perseveranza.

(Roux 1909, p. 293)

Dalle prime pubblicazioni, principalmente su riviste dedicate al pubblico femminile, la Deledda passa con una certa facilità alla pubblicazione dei primi romanzi in volume, raggiungendo velocemente una certa notorietà grazie ai suoi temi semplici e popolari, che ben si sposavano con la fiorente industria culturale del tempo.

La pubblicazione del romanzo La via del male, con la prefazione di Luigi Capuana (Torino, Speirani e Figli, 1896), ne consacra il successo, come racconta ancora l'autrice nel romanzo succitato:

Questa volta la fortuna le arrise completa. Ella tentò presso un editore di una certa notorietà, che non solo accettò e pubblicò il romanzo, ma lo fece accompagnare dalla prefazione di uno scrittore illustre: ed ecco d'un tratto la figura di Cosima balzò sull'orizzonte letterario, circonfusa d'un'aureola quasi di mistero. Mistero creato dalla lontananza di lei e della sua terra, dalle vaghe notizie della sua vista quasi selvatica, ma soprattutto dalla forza ingenua e nello stesso tempo vigorosa del suo racconto, dalla sua prosa scorretta e primitiva eppure efficace, e dall'evidenza dei suoi personaggi.

(G. Deledda, Cosima cit., pp. 58-59)

A Cagliari sul finire del secolo incontra il futuro marito, con il quale lascerà la Sardegna per Roma, destinazione sempre sognata:

Roma era la sua meta: lo sentiva. Non sapeva ancora come sarebbe riuscita ad andarci: non c'era nessuna speranza, nessuna probabilità [...].
Ma non era ambizione mondana, la sua, non pensava a Roma per i suoi splendori: era una specie di città veramente santa, la Gerusalemme dell'arte, il luogo dove si è più vicini a Dio, e alla gloria.

(Ivi, p. 38)

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2. Il trasferimento a Roma e il successo

A Roma la Deledda si occupa della famiglia e della scrittura, frequentando solo saltuariamente circoli letterari e conducendo una vita sostanzialmente appartata con il marito Palmiro Madesani. Quest'ultimo, già funzionario del Ministero delle finanze, diventa l'agente letterario della moglie, promuovendo la pubblicazione e la traduzione delle sue opere anche all'estero. La coppia ebbe due figli: Franz e Sardus.

Il sodalizio tra i due suscita, tra le altre, l'attenzione e l'ilarità (sembra che chiamasse il marito della Deledda 'Grazio Deleddo') di Luigi Pirandello, che a loro si ispira per la scrittura di Suo Marito (Firenze, Edizioni Quattrini, 1911).

Ormai affermata scrittrice, pubblica, tra gli altri, i romanzi Elias Portolu (a puntate sulla "Nuova Antologia", agosto-ottobre 1900; Torino-Roma, Roux e Viarengo, 1903), Dopo il divorzio (Torino, Roux e Viarengo, 1902), Cenere (Roma, Nuova Antologia, 1904), Nostalgie, (Roma, Nuova Antologia, 1905), Canne al vento ("L'Illustrazione italiana", 12 gennaio-27 aprile 1913; Milano, Treves, 1913), L'incendio nell'oliveto (Milano, Treves, 1918), Il Dio dei viventi (Milano, Treves, 1922), Annalena Bilsini (Milano, Treves, 1927), Il paese del vento (Milano, Treves, 1931), La chiesa della solitudine (Milano, Treves, 1936).

Il 10 dicembre 1927 le viene consegnato il Premio Nobel per la Letteratura 1926 (conferito con un anno di ritardo in base allo statuto della Fondazione Nobel, che ne permetteva lo slittamento qualora nessuno dei candidati avesse soddisfatto i criteri di assegnazione), «per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano» (si veda l'articolo pubblicato sul n. 67, n.s., febbraio 2022 di "MinervaWeb" dedicato all'eco che il conferimento di questo premio suscita all'interno del dibattito parlamentare e in questo stesso numero, l'articolo dedicato al modo in cui l'assegnazione dei premi Nobel viene trattata nei giornali italiani).

La scrittrice continuerà comunque a vivere e lavorare come di consueto:

[...] - Mi fa molto piacere, oltreché per me - ci ha detto sedendosi in un'ampia poltrona dall'alto dorsale rigido di foggia sardegnola, - anche per l'Italia e la Sardegna. Il premio mi permetterà di lavorare con maggiore tranquillità...
- Giacché continuerà indubbiamente a lavorare...
- Sino alla fine... Quello che è certo, è che il premio non modificherà affatto il mio tenore di vita. [...]

(Come la Deledda ha accolto la notizia, "Corriere della Sera", 11 novembre 1927, p. 3)

Grazia Deledda muore a Roma il 15 agosto del 1936.

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3. La prima candidata

Nel marzo del 1909 la Deledda appare tra i candidati per il collegio di Nuoro (Sassari) nella XXIII legislatura del Regno d'Italia:

Il 6 marzo 1909, alla vigilia delle infuocate elezioni politiche di quell'anno, il quotidiano sassarese "Nuova Sardegna" pubblicò, in cronaca di Nuoro, un trafiletto nel quale si annunciava la candidatura della scrittrice nuorese Grazia Deledda. La notizia, per quanto divulgata in tono minore, aveva tutti "gli ingredienti" per suscitare il più grande scalpore; e non solo per la buona ragione che al tempo le donne non avevano né l'elettorato attivo né quello passivo. Ma per l'enorme popolarità della scrittrice (che aveva pubblicato l'anno prima "Canne al vento"); e per il significato che la sua candidatura (la prima di una donna nella Storia d'Italia) veniva ad assumere in Sardegna e fuori.

(Eugenia Tognotti, Grazia Deledda la prima candidata, "Messaggero Sardo", marzo 1988, p. 25)

La cronaca riporta che i voti furono 34, di cui 31 contestati: tra tutti i giornali, si veda il resoconto del voto nell'"Avanti!" del 9 marzo 1909, p. 2.

La candidatura è un atto di provocazione contro il candidato 'ministeriale' Antonio Are a Nuoro, ma soprattutto va interpretata all'interno del dibattito in corso in quegli anni sul suffragio femminile:

Erano ieri le donne aspiranti al voto politico che si proponevano di compiere un lavoro elettorale in favore di quei deputati che promettessero di propugnarlo alla Camera. Ora, i proseliti del femminismo hanno tagliato corto alla questione, e hanno scelto la via più breve: e sono gli uomini elettori che voglion mandare alla Camera addirittura una «deputata»!

(Giuseppe Piazza, La prima candidata! Grazia Deledda a Nuoro, "La Tribuna", 7 marzo 1909, p. 3)

Questo episodio, insieme ad altri, è ricordato nel Convegno "Grazia Deledda - Donna, scrittrice, Premio Nobel - Femminista ante litteram" svoltosi il 7 marzo scorso nella Nuova Aula dei Gruppi parlamentari: a introdurre il video immagini e audio d'epoca.

In un'intervista sul giornale di Napoli "Il Mattino" del febbraio 1914 ritorna sulla sua candidatura del 1909, esprime sfiducia verso la politica del tempo, raccontando di aver rifiutato una nuova candidatura (Casu 2018, pp. 21-27). Nell'intervista si chiarisce anche, qualora ce ne fosse stato bisogno, la visione dell'autrice nei confronti della condizione femminile:

[...] Può restar sempre la donna in queste condizioni? Ha bisogno di libertà, di luce, di dare alla propria coscienza la responsabilità di sé stessa, non affidarla a chi spesso non ne è degno, o per cattiveria o per inettitudine. La donna ha un posto nella società. Ella deve occuparlo.

(Roberto Cantalupo, Grazia Deledda, Un the al Lyceum ed alcune altre cose, "Il Mattino, 1-2 febbraio 1914, p. 3)

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4. Dentro le opere

La maggior parte della produzione letteraria della Deledda è ambientata nella sua Sardegna. Durante gli anni della sua adolescenza, Grazia Deledda frequentava il frantoio posseduto dal padre: proprio in questo luogo aveva potuto osservare tanti di quelli che diventeranno poi i suoi personaggi.

Così ella veniva a contatto col popolo, col vero popolo, laborioso e mite, che se pure poteva, come il mugnaio, mettere le grinfe sulla piccola roba del prossimo, lo faceva con parsimonia e poi andava a confessarsene. Magari anche la confessione era un po' fraudolenta, come quella del famoso contadino che tentò d'ingannare il confessore dicendogli di aver rubato una corda, e alle insistenti inquisizioni dell'uomo di Dio, finì col dire cha alla corda c'era attaccato un bue: ad ogni modo tutta gente buona, con donnine rispettose e sornione, uomini che dovevano combattere con la terra ingrata e solitaria e i vanti e gli uccelli e le volpi per strappare il grano e il vino dei quali si nutrivano come il sacerdote nella messa.

Cosima li osservava, li studiava, ne imparava il linguaggio, le superstizioni, le maledizioni e le preghiere: e dal suo posto di osservazione ne vedeva anche il quadro e le figure del frantoio; sentiva le storielle che vi si raccontavano, le canzoni dell'ubbriaco, le risate infantili del fratricida; [...] Fra un segno e l'altro nel registro i clienti del frantoio le raccontavano i loro guai, i loro drammi: qualcuno la pregava di scrivergli una lettera o una supplica: così le venne lo spunto pe un nuovo romanzo; attinto dal vero: attinto come la pasta nera delle olive dalla vasca del frantoio, che si mutava in olio, in balsamo, in luce [...].

(G. Deledda, Cosima cit., p. 58)

Come per tanti altri aspetti della propria vita, Grazia Deledda vive personalmente i propri ideali: donna emancipata, non partecipa al dibattito pubblico, tantomeno a quello sulle donne, e non si occupa di femminismo, affidando alla scrittura e ai personaggi dei suoi romanzi e racconti le riflessioni sulle condizioni economiche, sociali e politiche.

Così nel 1902 pubblica Dopo il divorzio (Torino, Roux e Viarengo): Costantino, giovane sposo di Giovanna, viene accusato dell'omicidio dello zio; nel testo la legge sul divorzio, presentata dal ministro della giustizia Francesco Cocco-Ortu ma naufragata al voto dell'aula, è data per approvata e Giovanna può sposare un altro uomo.

- Ecco - egli disse; - del resto ora è approvata la legge sul divorzio: ogni donna che ha il marito condannato può tornar libera.
[...]
- Già! L'ho letto sul giornale. Questo divorzio ora! Lo faranno in continente, dove, del resto, uomini e donne si maritano molte volte, senza bisogno di prete e di sindaco; ma qui, oibò!...
- No, babbo Porru, non è in continente, è in Turchia, - osservò Grazia.
- Anche qui, anche qui! - disse zia Bachisia, che aveva capito tutto.

(Deledda 1902, p. 21)

Una curiosità: nel 1920 esce Naufraghi in porto (Milano, Treves), seconda versione del romanzo, a distanza di quasi 20 anni dal primo: in questa versione, la legge sul divorzio deve essere ancora approvata.

Roma, divenuta capitale proprio nell'anno in cui l'autrice nasceva, così lontana, fisicamente e idealmente, dalla sua Sardegna, non appare molte volte nell'opera della Deledda, sebbene la stessa vi abbia passato diversi anni della sua vita.

Nel romanzo Nostalgie (Roma, Nuova Antologia, 1905) la protagonista, Regina, raggiunge il marito a Roma dalla provincia veneta: non riuscirà ad ambientarsi, tanto che tornerà per un periodo a casa. Già durante il viaggio si affacciano i primi dubbi:

- Sì, - pensava. - Roma, la capitale, la città meravigliosa, senza nebbie, piena di sole e di fiori. Ma che cosa mi aspetta laggiù? Io vado, giovine, felice, adorata, a gettarmi fra le braccia di Roma come mi son gettata nelle braccia di Antonio. Ma che cosa saprà darmi Roma? Noi non siamo ricchi, e la grande città è come... la gente: ama poco e dà poco a coloro che non son ricchi... Ma noi non siamo neppure poveri, - concluse, riconfortandosi.

(Deledda 1905b, p. 41)

Regina accompagna la cognata Arduina, scrittrice "femminista" in visita a uno zio Senatore:

Il giorno dopo andarono dal famoso zio senatore che era poi un cugino in secondo grado della madre di Arduina. La scrittrice s'era abbigliata con cura: abito di seta nera, che le faceva molte pieghe sulle spalle ed anche sul davanti; cappello di paglia gialla guarnito di papaveri, e un boa di piume così sottile e pelato che faceva voltar la gente a guardarlo. Accanto a lei Regina, anch'essa vestita di nero, con l'immancabile cravatta, sembrava quasi bella.
Lo zio senatore abitava in via Sistina, ad un quarto piano. Ciò confortò molto Regina. Se un senatore abitava un quarto piano, ella poteva abituarsi a vivere in un quinto.
E si confortò ancora di più quando vide l'appartamento quasi buio del senatore, arredato con una semplicità che rasentava, più che la modestia, la miseria. Solo alcune piante d'un verde cupo e lucido, le cui grandi foglie pareva brillassero tenuamente di luce propria nella penombra cenerognola, adornavano l'anticamera e i due salotti melanconici che una vecchia cameriera fece attraversare alle visitatrici.

(Ivi, pp. 76-77)

Vinto l'iniziale timore, anche grazie alla constatazione che il Senatore viveva in una casa normale, forse anche meno bella della sua, Regina intraprende una discussione con i due:

Arduina espose subito il perché della sua visita. Oh, brava, brava; ma lo zio si era perfettamente scordato «dell'affare». Non lo disse, veramente, ma Regina lo capì benissimo. - Oh, brava, brava! Voi avete un giornale, è vero? Feminista?
- Ma no; però... un feminismo bene inteso.
- Certo, feminismo bene inteso. Insegnare alle donne a lavorare. Abituarle all'idea del lavoro, del guadagno, dell'indipendenza... Quando io vado all'estero, e specialmente in Inghilterra, resto vivamente colpito dalla «fisionomia morale» delle donne, così diverse dalle nostre... da voi...
- Ma io lavoro! - protestò Arduina.
- Ma il tuo lavoro non è abbastanza proficuo se hai bisogno dei sussidî del Governo! - disse vivamente Regina.
- Oh, brava, brava! E lei scrive?
- Oh, io non ho fatto mai niente!
Il senatore la guardò coi suoi occhi beffardi e malinconici: ella arrossì, ricordandosi che non aveva mai lavorato in vita sua.
- Io ho ancora bisogno dei sussidî perché in Italia il lavoro non è rimunerato. Ma in avvenire... Ma le generazioni che noi educheremo, ma ecc. ecc.
Arduina fece un lungo discorso sulle generazioni future, e ritornò al punto di partenza: il sussidio.
- Benedetta figliuola, avremo il sussidio, - disse il senatore, che guardava sempre Regina.
- E l'udienza?
- E l'udienza! - egli promise. In quel momento egli sorrise come sorrideva nel ritratto e nello specchio, e Regina s'accorse che egli compassionava la povera scrittrice italiana e pensava alla «fisionomia morale» delle donne inglesi lavoratrici.
- Ma perché l'udienza? - domandò Regina, ardita, imitando il sorriso del senatore. - Sta bene il sussidio... fino a un certo punto, ma l'udienza?
- È un aiuto morale. A parte i miei principî...
- Sì, sì; un aiuto morale! - affermò il senatore; e sorrideva sempre.
Regina sentì un impeto di ribellione. Perché quell'uomo che all'estero trovava la «fisionomia morale» delle donne così diversa dalla fisionomia morale delle donne italiane incapaci e schiave, non faceva capire alla povera Arduina la falsità del suo metodo?
- Ma, - ella disse, quasi adirandosi, - se si va a base di aiuti, morali o materiali, è meglio... non muoversi! Siamo sempre delle sfruttatrici. E tanto vale sfruttare o il padre, o il marito, o un amante, o il Governo, o la Casa Reale...

(Ivi, pp. 78-80)

Un incontro casuale con il Senatore, che non la vede, ricorda a Regina la sua condizione:

Verso piazza Barberini un vecchio signore un po' curvo, con un soprabito d'antica forma tutto abbottonato nonostante la sera quasi calda, passò vicino a Regina. Ella riconobbe il Senatore parente d'Arduina, e si volse, salutandolo; ma egli guardava davanti a sé, con gli occhi chiari ironici eppur dolci, e non vedeva nessuno.
Ella l'aveva riveduto parecchie volte; un giorno egli era stato anche a farle visita; ed ogni volta egli aveva parlato dell'Inghilterra, delle leggi inglesi, delle donne inglesi, ripetendo sempre il ritornello della sua vecchia canzone sulla vita:
- Lavorare! Lavorare, ecco il segreto per viver bene.
Regina aveva finito col trovarlo noioso come tutti i vecchi monomaniaci. Si viveva bene anche senza lavorare: anzi! Ma quella sera ella seguì con gli occhi la figurina curva e saltellante, e la trovò più del solito ridicola; ma le parve che, come nelle favole, quella figurina quasi di gnomo le fosse apparsa per ricordarle la morale della sua triste storiella.

(Ivi, pp. 261-262)

Vogliamo infine terminare questa carrellata con la dedica, premessa a questo stesso romanzo, che la Deledda fa al marito, che ci restituisce la semplice concezione di vita e di scrittura dell'autrice:

Ricordando appunto il semplice romanzo dei nostri primi anni di matrimonio, oggi che un po' per la mia buona volontà, molto per la tua attività intelligente, senza mai abbassarci ad una transazione con la nostra coscienza, abbiamo raggiunto quasi tutti i nostri sogni, dedico a te, mio caro compagno di lavoro e di esistenza, questo racconto, nel quale, spero, i lettori non vedranno una delle solite tesi, di cui a torto sono stati accusati i miei romanzi, ma la semplice narrazione di un brano di vita, di questa nostra vita moderna così multiforme e interessante, qualche volta allegra, più spesso triste, ma sempre bella come un albero d'autunno carico di frutti, fra cui molti bacati, e di foglie ancora verdi e di foglie già morte.

(Ivi, p. VII)

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5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

Nell'articolo sono citati per esteso solo i testi non compresi in:

Grazia Deledda. Percorso bibliografico nelle collezioni del Polo bibliotecario parlamentare.

Delle opere dell'autrice richiamate nel testo si è indicato luogo e data di prima pubblicazione: lì dove queste coincidano con i volumi posseduti dalle biblioteche del Polo si è inserito nel testo il link al catalogo.

Alcuni volumi, pur presenti nel catalogo, non risultano disponibili: queste opere non sono state incluse né nell'articolo né nella bibliografia.

Per ulteriori approfondimenti si suggerisce la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche delle due biblioteche.

Nell'ambito delle varie iniziative dedicate a Grazia Deledda, oltre a quelle indicate nel testo e nell'articolo dello scorso numero di "MinervaWeb", si segnala qui quella della Regione Sardegna, 150 anni con Grazia.

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