A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Giosue Carducci
Abstract
Poeta vate dell'Italia unita e primo a ricevere il Premio Nobel per la letteratura a 6 anni dalla fondazione, Carducci è stato anche e soprattutto partecipe dell'elaborazione delle politiche culturali del nuovo Stato, come professore universitario e filologo rigoroso, ispettore ministeriale e membro di varie accademie, componente del Consiglio comunale di Bologna e del Senato del Regno. Ne proponiamo un breve profilo biografico, accompagnato da una scelta di testi e da una consistente bibliografia delle opere presenti nel catalogo della Biblioteca del Senato.
1. Gli anni della formazione: Carducci professore e poeta
3. L'impegno culturale del poeta professore
6. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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1. Gli anni della formazione: Carducci professore e poeta
Giosue Alessandro Giuseppe Carducci nacque alla fine di luglio del 1835 a Valdicastello, nella Versilia lucchese, primogenito del medico condotto Michele e di Ildegonda Celli. Le convinzioni politiche del capofamiglia, liberale e rivoluzionario, organizzatore di moti tra i contadini, furono causa di frequenti spostamenti: da Valdicastello a Seravezza, poi dal Fornetto presso il ponte di Stazzema a Bolgheri fino ad arrivare a Firenze nel 1849. A Firenze Carducci studia retorica e umanità presso il collegio degli Scolopi e nel 1853 entra come convittore alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si laurea in filosofia e filologia, ottenendo inoltre il diploma di magistero. Curatore di un'opera antologica di poesia diretta al "popolo" (L'Arpa del popolo, ossia scelta di poesie religiose, morali e patriottiche cavate dai nostri autori e accomodate all'intelligenza del popolo, Firenze, Cellini 1855) su iniziativa di Pietro Thouar, Carducci esordisce come insegnante di retorica nel 1856 nel ginnasio di San Miniato al Tedesco insieme ai colleghi normalisti Pietro Luperini e Ferdinando Cristiani. Dell'anno seguente, il 1857, è la prima edizione delle Rime (San Miniato, tip. Ristori), dedicate alla memoria di Giacomo Leopardi e Pietro Giordani. Tra il 1857 ed il 1858 perde il fratello Dante ed il padre: si stabilisce con la madre e l'altro fratello a Firenze, dove cura la collana di classici italiani "Diamante" per l'editore Barbera. Sposatosi con Elvira Menicucci nel 1859, ottiene la nomina a docente di lingua italiana ed eloquenza greca in un liceo di Pistoia, dove si trasferisce con tutta la famiglia. All'indomani della Seconda guerra d'Indipendenza il Ministro della Pubblica Istruzione Terenzio Mamiani gli offre la cattedra di eloquenza italiana (poi Letteratura italiana) all'Università di Bologna: dal 1860 sarà questa la sua città d'elezione. Molto attivo nel campo della critica letteraria, si dedica, oltre che allo studio della letteratura italiana dei primi secoli, alla conoscenza più approfondita delle culture letterarie europee, in primo luogo la francese, con Fauriel, Sainte-Beuve, Taine, Voltaire, Thierry, Hugo; ma anche la tedesca, con Uhland, Schiller, Von Platen ed Heine. A Bologna dal 1865 è anche segretario della Regia Deputazione di Storia Patria per le Provincie Romagnole (che presiederà dal 1887).
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Le vicende politiche del neonato Stato italiano, in particolare la "questione romana" e la posizione della classe dirigente e della corona nei confronti delle imprese di Garibaldi, fanno sempre da sfondo alla produzione poetica del Carducci, che in questo determinato periodo viene definita "giacobina", pubblicata con lo pseudonimo Enotrio Romano (Levia Gravia, 1868; sul periodo giambico si veda Carpi 2010). Si avvicina alla massoneria e ai circoli radicali e democratici, ostentando idee "rivoluzionarie", non senza conseguenze sulla sua carriera. Dopo i fatti di Mentana viene accusato di essere repubblicano e rischia il trasferimento alla cattedra di Latino dell'Università di Napoli: contesta la legittimità del trasferimento, non potendosi spostare un docente da una disciplina ad un'altra. Successivamente, per aver partecipato ad una commemorazione e pubblicato l'11 febbraio 1868 sul bolognese Amico del popolo un discorso commemorativo della Repubblica Romana indirizzato al Mazzini, Carducci viene sottoposto ad inchiesta da una commissione formata dagli onorevoli Spaventa, Brioschi e Messedaglia, che commina a lui e ai colleghi Giuseppe Ceneri e Pietro Piazza una sospensione di due mesi e mezzo.
Nell'estate del 1869 si candida alle elezioni amministrative nella lista del Comitato "Galvani": eletto, conduce tra le altre alcune battaglie a favore dell'istruzione gratuita e laicista (sull'argomento è disponibile online la tesi di dottorato di Giacomo Nerozzi, Giosue Carducci consigliere comunale: ulteriori indagini, [Dissertation thesis], Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Dottorato di ricerca in Italianistica, 19 Ciclo, 2008).
Nel 1870 muoiono la madre e il figlio maschio, Dante, di soli 3 anni: colpito negli affetti, il poeta cerca conforto nello studio e nella poesia. Nel 1871 esce per Barbera la prima delle raccolte di Poesie curate dal poeta stesso e che divide in tre parti: Decennali (1860-1870), Levia Gravia (1857-1870) e Juvenilia (1850-1857). All'inizio degli anni Settanta data anche l'amore clandestino con Carolina (Lina) Cristofori Piva, cantata dal poeta come Lidia.
Nel 1873 pubblica, per i tipi del Galeati di Imola, le Nuove poesie di Enotrio Romano: oltre all'impegno politico, vi si ritrovano la mitizzazione del mondo ellenico e una vena autobiografica, oltre ad alcune traduzioni da Goethe, Platen ed Heine che conservavano il metro dell'originale tedesco.
Le due pubblicazioni riscuotono un notevole successo: Nicola Zanichelli pubblicherà nel 1875 la seconda edizione delle Nuove Poesie e nel 1877 le Odi barbare.
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3. L'impegno culturale del poeta professore
Riconosciuto ormai, anche al di fuori dell'Italia, come Poeta nazionale, Carducci fu anche, e soprattutto, impegnato nell'elaborazione della politica culturale dell'Italia unita, in primo luogo attraverso l'insegnamento universitario (oltre alla cattedra di Letteratura italiana, dal 1875 diventa professore incaricato di Storia comparata delle letterature neolatine), ma anche attraverso i molteplici incarichi svolti per il Ministero, come ispettore nei licei del Regno e commissario d'esame prima e come membro del Consiglio Superiore dell'Istruzione Pubblica dal 1880. Prosegue inoltre ininterrotta l'attività filologica ed editoriale, inaugurata con la collaborazione in giovane età con Pietro Thouar.
La consapevolezza che la nascente scuola pubblica italiana, e, più in specifico, l'insegnamento secondario, soprattutto classico, è di fondamentale importanza per "fare gli italiani" si concreta in Carducci in primo luogo sul fronte della formazione degli insegnanti, compito che egli attribuisce precipuamente al proprio insegnamento universitario: come testimoniato da Luigi Federzoni, suo allievo alla fine del secolo, "il magistero del Carducci [...] mirava essenzialmente a creare buoni insegnanti per le scuole secondarie. Tale era il fine che egli si prefiggeva e che stimava fine altissimo. E tale doveva essere la massima ambizione dei giovani stessi, perché egli pensava con ragione che la scuola secondaria classica fosse, come è, il maggiore strumento formativo della coscienza nazionale." (Luigi Federzoni, "Giosue Carducci nella scuola", in: Carducci. Discorsi nel centenario della nascita, Bologna, Zanichelli 1935, p. 15).
Ancora il Federzoni fornisce informazioni sulla serietà con la quale Carducci espletava i suoi compiti in seno al Consiglio Superiore dell'Istruzione Pubblica, per la concessione delle docenze universitarie, quando afferma che "inflessibile risulta la resistenza di lui alle pressioni politiche e non politiche." (ivi, p. 18), allegando stralci dalle relazioni di Carducci al Consiglio.
Un altro fronte cui si dedica con passione è la definizione di un canone scolastico della letteratura italiana: esempio ne sia la diffusissima antologia per i ginnasi e gli istituti secondari superiori Letture italiane allestita con l'ausilio dell'allievo Ugo Brilli e pubblicata fra il 1883 e il 1884.
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Nella sessione elettorale del novembre del 1876 Carducci viene eletto deputato al Parlamento per il collegio di Lugo di Romagna: pochi mesi dopo è però sorteggiato tra i professori universitari eccedenti il numero consentito (a norma dell'art. 100 della legge elettorale allora vigente).
Negli anni che seguirono la presa di Roma, si era andata consolidando nel poeta la convinzione che la monarchia potesse essere garante dell'unità, anche in seguito alla delusione per le politiche della Sinistra al governo. Risale al novembre 1878 l'incontro a Bologna con la Regina Margherita, che ispirò l'ode alcaica Alla regina d'Italia, fonte di aspre polemiche da parte dei repubblicani, convinti che il poeta fosse dalla loro parte (nello stesso anno aveva rifiutato il titolo di cavaliere dell'Ordine Civile di Savoia). Come illustrato da Umberto Carpi, fra "Enotrio Romano e Carducci crispino ci sono insomma gli anni del Carducci politicamente non più petroliere, poeticamente non più giambico, però ancora aderente alla "Lega della democrazia" e come tale divenuto repubblicano istituzionalmente lealista: anni […] di profonde disillusioni, di un progressivo disgusto per la politica della Sinistra al governo, senza che l'altra sinistra socialista offrisse alternative accettabili o anche solo comprensibili a lui uomo del garibaldinismo" (Carpi 2010, p. 250).
Carducci, come accennato sopra, aveva già fatto parte delle istituzioni politiche bolognesi e nel 1889 fu rieletto al Consiglio comunale con 7965 preferenze su 10128: quasi un plebiscito che seguiva il rifiuto della cattedra dantesca appena istituita a Roma offertagli nel 1887.
Gli impegni presso il Ministero dell'Istruzione Pubblica lo portarono in diverse occasioni a Roma, dove frequentò gli ambienti culturali e letterari come testimoniato dalle collaborazioni con le riviste Il Fanfulla della domenica di Ferdinando Martini e la Cronaca Bizantina di Angelo Sommaruga.
Dal 1886 inoltre Carducci era affiliato alla Loggia "Propaganda massonica" (si veda Mola 2006, pp. 251 e seguenti), insieme ad Adriano Lemmi, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, e a Francesco Crispi: proprio quest'ultimo, nel 1890, propone al Re un'infornata di una settantina di Senatori, tra cui Carducci, con l'intento, tra gli altri, di fornire una base culturale alla sinistra monarchica (così Roberto Balzani, Fra Crispi e la regina: Carducci senatore in Carducci 2004, pp. 16-22). La nomina, secondo le categorie previste dallo Statuto albertino, è del 4 dicembre, per aver illustrato la Patria con servizi o meriti eminenti (20a categoria) e per essere stato membro del Consiglio Superiore di Istruzione Pubblica per sette anni (19a categoria): era consuetudine, infatti, che la 20a categoria venisse affiancata da un'altra (lo stesso Carducci porta l'esempio, in una lettera a Chiarini, di Giuseppe Verdi, che oltre all'illustrazione della Patria fu nominato per censo: si veda ancora Balzani, ivi, pp.14-16).
Non molti in verità sono i discorsi pronunciati nell'aula di Palazzo Madama, ma è significativo che il suo primo intervento, di due anni successivo (seduta del 17 dicembre 1892) fu sul bilancio preventivo dell'Istruzione pubblica, in difesa degli insegnamenti delle lingue classiche ma anche degli insegnanti e della loro dignità. Negli anni successivi, prenderà la parola sul disegno di legge per l'istituzione della festività del 20 settembre, in difesa degli insorti cretesi nel 1897, fino all'ultimo intervento, alle soglie del Novecento, per l'istituzione di una convenzione tra Governo, Comune, Provincia e Università di Bologna.
Dall'Università si ritira nel 1904 e la sua cattedra verrà affidata a Giovanni Pascoli. Malato, non andrà neanche a ritirare il premio Nobel per la letteratura, che gli viene assegnato nel 1906 (primo italiano: si veda il volume di Enrico Tiozzo, La letteratura italiana e il premio Nobel, Firenze, Olschki 2009, pp. 73-107) e consegnato dall'Ambasciatore di Svezia a Bologna. Muore l'anno seguente.
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Nell'arco della sua vita, Carducci riordinò diverse volte le sue raccolte poetiche ed i suoi scritti dando loro una sistemazione definitiva nell'edizione Zanichelli delle Opere in venti volumi pubblicata tra il 1889 ed il 1909.
Cantore del Risorgimento Italiano, Carducci scrive nel 1872, un sonetto e il frammento per Giuseppe Mazzini:
«Qual da gli aridi scogli erma su 'l mare
Genova sta, marmoreo gigante,
Tal, surto in bassi dí, su 'l fluttuante
Secolo, ei grande, austero, immoto appare.
Da quelli scogli, onde Colombo infante
Nuovi pe 'l mar vedea mondi spuntare,
Egli vide nel ciel crepuscolare
Co 'l cuor di Gracco ed il pensier di Dante
La terza Italia; e con le luci fise
A lei trasse per mezzo un cimitero,
E un popol morto dietro a lui si mise.
Esule antico, al ciel mite e severo
Leva ora il volto che giammai non rise,
- Tu sol - pensando - o idëal, sei vero - ».
11 febbraio 1872
«Quando - Egli è morto - dissero,
Io, che qui sola eterna
Credo la morte, un fremito
Correr sentii l'interna
Vita ed al cuore assiderarmi un gel.
Immortal lui credeva. E gli occhi torbidi
Volsi, chiedendo e dubitando, al ciel.
Ei che d'Italia a l'anime
Fu quel ch'a i corpi il sole,
Del quale udiva io parvolo
Mirabili parole
Sí come d'un fatidico
Spirito tra il passato e l'avvenir,
Egli il cui nome appresermi
Con quel d'Italia, ei non potea morir.
Guardai. D'Italia stavano
Le ville i templi i fòri,
Da le sue torri a l'aure
Splendeano i tre colori,
Fremeano i fiumi i popoli
Ed i pensier con onda alterna, il sol
Rideva a l'alpi al doppio mare a l'isole
Come pur ieri.... Ed era morto ei sol.
Passato era de i secoli
Nel dí trasfigurante,
A i mondi onde riguardano
Camillo e Gracco e Dante,
Grandi ombre con immobili
Occhi di stelle a le fluenti età,
E riposa Cristoforo
Colombo e Galileo contempla e sta».
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12 marzo 1872
Opere (edizione nazionale delle Opere di Giosue Carducci, Zanichelli 1935), vol. III, pp. 89-91
Diversi componimenti ricordano poi le imprese garibaldine, come l'ode composta nel novembre 1880 per il 13° anniversario dello scontro di Mentana:
A Giuseppe Garibaldi
III novembre MDCCCLXXX
«Il dittatore, solo, a la lugubre
schiera d'avanti, ravvolto e tacito
cavalca: la terra ed il cielo
squallidi, plumbei, freddi intorno.
Del suo cavallo la pésta udivasi
guazzar nel fango: dietro s'udivano
passi in cadenza, ed i sospiri
de' petti eroici ne la notte.
Ma da le zolle di strage livide,
ma da i cespugli di sangue roridi,
dovunque era un povero brano,
o madri italiche, de i cuor vostri,
salíano fiamme ch'astri parevano,
sorgeano voci ch'inni suonavano:
splendea Roma olimpica in fondo,
correa per l'aëre un peana.
- Surse in Mentana l'onta de i secoli
dal triste amplesso di Pietro e Cesare:
tu hai, Garibaldi, in Mentana
su Pietro e Cesare posto il piede.
O d'Aspromonte ribelle splendido,
o di Mentana superbo vindice,
vieni e narra Palermo e Roma
in Capitolïo a Camillo. -
Tale un'arcana voce di spiriti
correa solenne pe 'l ciel d'Italia
quel dí che guairono i vili,
botoli timidi de la verga.
Oggi l'Italia t'adora. Invòcati
la nuova Roma novello Romolo:
tu ascendi, o divino: di morte
lunge i silenzii dal tuo capo.
Sopra il comune gorgo de l'anime
te rifulgente chiamano i secoli
a le altezze, al puro concilio
de i numi indigeti su la patria.
Tu ascendi. E Dante dice a Virgilio
« Mai non pensammo forma piú nobile
d'eroe» Dice Livio, e sorride,
«È de la storia, o poeti.
De la civile storia d'Italia
è quest'audacia tenace ligure,
che posa nel giusto, ed a l'alto
mira, e s'irradia ne l'ideale».
Gloria a te, padre. Nel torvo fremito
spira de l'Etna, spira ne' turbini
de l'alpe il tuo cor di leone
incontro a' barbari ed a' tiranni.
Splende il soave tuo cor nel cerulo
riso del mare del ciel de i floridi
maggi diffuso su le tombe
su' marmi memori de gli eroi».
Ivi, vol. IV, pp. 64-66
La poesia sa farsi anche celebrativa della presenza del poeta a Roma:
«Roma, ne l'aer tuo lancio l'anima altera volante:
accogli, o Roma, e avvolgi l'anima mia di luce.
Non curïoso a te de le cose piccole io vengo:
chi le farfalle cerca sotto l'arco di Tito?
Che importa a me se l'irto spettral vinattier di Stradella
mesce in Montecitorio celie allobroghe e ambagi?
e se il lungi operoso tessitor di Biella s'impiglia,
ragno attirante in vano, dentro le reti sue?
Cingimi, o Roma, d'azzurro, di sole m'illumina, o Roma:
raggia divino il sole pe' larghi azzurri tuoi.
Ei benedice al fosco Vaticano, al bel Quirinale,
al vecchio Capitolio santo fra le ruine;
e tu da i sette colli protendi, o Roma, le braccia
a l'amor che diffuso splende per l'aure chete.
Oh talamo grande, solitudini de la Campagna!
e tu Soratte grigio, testimone in eterno!
Monti d'Alba, cantate sorridenti l'epitalamio;
Tuscolo verde, canta; canta, irrigua Tivoli;
mentr'io dal Gianicolo ammiro l'imagin de l'urbe,
nave immensa lanciata vèr' l'impero del mondo.
O nave che attingi con la poppa l'alto infinito
varca a' misterïosi lidi l'anima mia.
Ne' crepuscoli a sera di gemmeo candore fulgenti
tranquillamente lunghi su la Flaminia via,
l'ora suprema calando con tacita ala mi sfiori
la fronte, e ignoto io passi ne la serena pace;
passi a i concilii de l'ombre, rivegga li spiriti magni
de i padri conversanti lungh'esso il fiume sacro».
Ivi, pp. 30-31
Le ragioni della poesia e della cultura sono sempre difese dal Carducci, quando si rivolge agli elettori del collegio di Lugo:
«[...] Il mio manifesto politico era ne' miei scritti, qualunque sieno; nella mia vita, che, oscura e solitaria com'è, è pur nota a bastanza a Bologna e alla Romagna. […] Ahi! ma la poesia a punto è la macchia originale, che, secondo i nostri avversari, mi esclude dalla casta politica. Veramente i nostri avversari sono d' accordo con Platone, che primo bandí i poeti dalla repubblica. Ma quella repubblica platoniana era più lirica d' un' ode di Pindaro; e a Platone poi pareva che non disconvenisse ai filosofi il disputare su '1 logos nelle corti dei tiranni di Sicilia. Solone, per contro, componeva elegie, e pure, potendo farsi tiranno della patria, la dotava in vece d' una constituzione che fece la gloria e la grandezza di Atene. Gittandoci in faccia, come qualificazione di inabilità politica, il nome di poeta, gli avversari mostrano di non conoscere altra poesia che quella d'Arcadia. E non ricordano qual tempera di cittadino fosse Giovanni Milton, che fece con potenti scritti 1'apologia del popolo d'Inghilterra contro le usurpazioni dello Stuart. E non ricordano che la Germania mandò a discutere nel parlamento di Francfort le leggi della sua nazionale riconstituzione Ludovico Uhland, per il merito di avere gloriosamente cantato le tradizioni e le aspirazioni del suo popolo e dottamente illustrato la storia della poesia tedesca; e il nobile vecchio poeta fu pari alla sua gloria e degno della fiducia della patria, sopportando magnanimo i maltrattamenti della violenza militare che disciolse gli ultimi avanzi dell' Assemblea nazionale. E non ricordano, che, caduta nell'ignominia, per gli errori di un dottrinario, Francesco Guizot, la monarchia borghese di Luigi Filippo, un poeta, il Lamartine, oppose per intiere giornate la sua eloquenza ed il petto ai furori di piazza, e, a rischio della fama e della vita, salvò almeno l' onore francese e la bandiera tricolore. E in Italia, per aver fatto dei versi che non dispiacciono, ci si vorrebbe togliere i diritti civili! in Italia! (bene). Presento quel che mi possono opporre gli avversari - Ma voi non siete né il Milton né l'Uhland né il Lamartine. - Né voi, che bandite i poeti dallo stato, siete Platoni (ilarità e applausi)[…]».
Ivi, vol. XXV, pp. 7-11
Anche da Senatore, Carducci tiene sempre a mente il ruolo dello Stato nella costruzione della coscienza nazionale:
«[...] Dirò che, se è verissimo ed è giustissimo che lo Stato abbia da curare la condizione delle cosiddette masse o plebi, la quale è pur troppo tanto misera e abbietta che bisognerebbe pur pensare ad alimentarle meglio e a trasformarle o formarle in popolo; se cotesto è vero, e dobbiamo farlo anche per l'utile nostro, perocché ivi covi un pericolo, una minaccia immanente; è d'altra parte anche debito di uno Stato che si chiama Italia, coltivare e mantenere nella borghesia quell'alta idealità che fece la patria.
Badate, o signori, la nazione italiana l'hanno fatta la nobiltà e la borghesia, quella che io direi cittadinanza. Le plebi, intendo specialmente le masse rurali, non ebbero parte nel nobile fatto: non potevano capirlo: parteggiarono più d'una volta co' nostri nemici. La patria ora la conoscono appena e non benignamente come una madre. Giustissimo dunque ed utile rinnovare e rialzare con l'educazione le plebi; ma altrettanto necessario mantenere calda e viva nella cittadinanza l'idealità che fece la patria; e questa idealità, non importa che lo dica a voi, in gran parte proviene dalla coltura classica […]».
Carducci 2004, pag. 51
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6. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Nell'articolo sono citati per esteso solo i testi non compresi nel percorso bibliografico.
Giosue Carducci. Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca del Senato.
Si suggerisce inoltre la ricerca nelle collezioni della Biblioteca della Camera e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche delle due biblioteche.