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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 3 (Nuova serie) - giugno 2011

I fattori dello sviluppo economico: l'agricoltura (parte prima: l'evoluzione complessiva)

agr1. Rilevanza del settore agricolo.

2. Crescita e decrescita della popolazione europea dal X secolo in poi.

3. Le crisi demografiche quali indicatori delle difficoltà dell'agricoltura.

4. Il rinnovamento colturale secentesco.

5. Il riequilibrio tra popolazione e risorse in epoca contemporanea.

6. Approfondimenti nelle collezioni e nelle banche dati della Biblioteca.

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1. Rilevanza del settore agricolo.

Sino all'Ottocento inoltrato l'agricoltura ha costituito la più importante fra le attività economiche. Prima della nascita e della diffusione su ampia scala delle moderne tecniche di produzione industriale, difatti, da essa derivava la maggior parte del prodotto interno delle nazioni e in essa risultava occupata la grande maggioranza della forza lavoro: Paolo Malanima (2003) scrive che nelle società preindustriali il 70-80 per cento della popolazione attiva era occupato in agricoltura e che la quota del prodotto che si formava in tale settore poteva raggiungere anche il 70 per cento. Nelle epoche più recenti tali valori sono andati invece diminuendo; questo declino è stato tuttavia accompagnato da una notevole crescita del prodotto agricolo considerato in termini assoluti.

Oggetto della presente trattazione sarà l'evoluzione dell'agricoltura europea - valutata nel suo insieme, ossia facendo astrazione dalle differenze stabilitesi in tale ambito fra le diverse parti del continente - dagli ultimi secoli del Medioevo all'età contemporanea. L'analisi di tali differenze interne costituirà invece l'argomento del prossimo articolo.

2. Crescita e decrescita della popolazione europea dal X secolo in poi.

A partire dal X secolo l'agricoltura europea è stata interessata da una forte crescita della propria capacità produttiva, che l'ha posta in condizione di sostenere una popolazione sempre più numerosa. Una ricostruzione di questo processo di crescita può essere efficacemente condotta muovendo dall'analisi delle fasi di espansione e regressione demografica succedutesi nel nostro continente da quell'epoca in avanti, le quali offrono un'evidente testimonianza della portata e al contempo dei limiti assunti dallo sviluppo delle pratiche agricole nei diversi periodi storici.

Ai fini d'una simile analisi risultano di grande utilità le serie statistiche particolarmente dettagliate riportate da Malanima nel testo già citato e in uno studio del 2002. Stando a tali dati, fra il 1000 e il 1300 la popolazione europea sarebbe più che raddoppiata; nel XIV secolo sarebbe poi andata incontro ad una forte diminuzione, per tornare tuttavia a crescere in quello successivo, sino a toccare nuovamente, nel corso della prima metà del Cinquecento, i livelli del 1300. Essa avrebbe poi continuato a crescere sino ai primi del Seicento, quando si sarebbe verificata una seconda crisi, la quale tuttavia si sarebbe risolta (quantomeno su scala continentale) soltanto in una breve fase di stagnazione demografica. Dopo il 1650 il continente europeo avrebbe poi visto la propria popolazione crescere in maniera praticamente ininterrotta ed anche - a partire dal 1700 - a un ritmo mai conosciuto in precedenza.

3. Le crisi demografiche quali indicatori delle difficoltà dell'agricoltura.

Stando ancora a quanto scrive Malanima (2002 e 2003), ad innescare la crescita demografica basso-medievale furono fattori quali l'aumento delle temperature medie (che rese il clima più favorevole allo sviluppo della vita vegetale e animale), la trasformazione degli schiavi in coloni (che consentì la costituzione di nuovi nuclei familiari) e la fine delle grandi invasioni (che rese più sicuri molti territori). L'incremento della popolazione fece aumentare il fabbisogno di derrate agricole, ma al tempo stesso rese disponibile una maggiore forza lavoro per la loro produzione: risultò pertanto possibile rispondere alla crescita della domanda agricola mediante la progressiva espansione della superficie coltivata. Del verificarsi di tale espansione parlano, tra gli altri, Cameron e Neal (2005), i quali sottolineano come in quella fase storica siano stati compiuti grandi sforzi al fine di disboscare e bonificare vaste aree in stato di abbandono, per sottoporle a sfruttamento agricolo. I medesimi autori, tuttavia, ricordano anche come alla crescita della produzione agricola abbiano pure contribuito alcune innovazioni tecniche che resero possibile un più intenso sfruttamento dei suoli: il passaggio dalla rotazione biennale, nella quale i campi venivano coltivati e lasciati a riposo (per preservarne la fertilità) ad anni alterni, a quella triennale, nella quale una fase di riposo faceva seguito a due di coltivazione condotte secondo modalità differenti; l'introduzione dell'aratro pesante (dalla struttura più complessa rispetto a quello tradizionale e dotato di parti in metallo), che consentì di sfruttare al meglio i suoli grassi e argillosi dell'Europa settentrionale, che altrimenti sarebbero risultati difficili da lavorare; un nuovo tipo di bardatura che rese più agevole l'utilizzo del cavallo come animale da tiro nell'aratura; un maggiore ricorso al concime animale; la diffusione di colture prima poco praticate o addirittura sconosciute al di fuori dell'area bizantina e islamica.

L'espansione e l'intensificazione dello sfruttamento dei suoli valsero a sostenere la crescita demografica per oltre tre secoli. Nel lungo termine, tuttavia, la pressione della popolazione sulle risorse agricole finì per diventare eccessiva. Cortonesi e Palermo (2009) hanno evidenziato tale fenomeno, indicando come sin dal tardo Duecento in molte regioni europee siano andate moltiplicandosi le annate di cattivo raccolto, riconducendo tali eventi negativi, oltre che a un temporaneo peggioramento del clima (fattosi più freddo e piovoso), a fenomeni quali l'estensione delle coltivazioni a terre sempre meno produttive, l'esaurimento di suoli sottoposti a sfruttamento eccessivo e la perdita di fertilità subita da molti suoli collinari e montuosi per effetto del trascinamento a valle dei loro strati superficiali ad opera delle piogge, favorito dall'eccessivo disboscamento di cui erano stati fatti oggetto nel tentativo di estendere il più possibile le coltivazioni. Divennero così sempre più frequenti e diffuse le carestie, le quali, indebolendo la resistenza delle popolazioni alle malattie, facilitarono anche l'insorgere di gravi crisi epidemiche. Questa combinazione fra denutrizione e diffusione di gravi malattie produsse, nel XIV secolo, il forte arretramento demografico di cui s'è detto poc'anzi.

La recessione demografica, naturalmente, valse a ripristinare l'equilibrio tra popolazione e risorse, consentendo così l'avvio d'una nuova fase di crescita; ma tale nuova crescita, verificandosi in assenza di ulteriori innovazioni tecniche, ben presto s'imbatté nei medesimi limiti che le erano stati posti in precedenza. Essa pertanto, non appena il clima tornò a farsi meno favorevole all'attività agricola (ossia nel Seicento, epoca in cui secondo Malanima si registrarono le medie più basse del millennio), inevitabilmente lasciò il posto ad una seconda crisi.

4. Il rinnovamento colturale secentesco.

La crisi secentesca, come s'è accennato, fu comunque assai meno grave e di più breve durata rispetto a quella trecentesca. Ciò si spiega col fatto che proprio nel XVII secolo l'assenza di mutamenti di cui l'agricoltura aveva sofferto venne meno: in quel periodo furono difatti introdotte delle innovazioni colturali suscettibili di far crescere in misura sensibile la produttività dell'agricoltura. Anche per la trattazione di questo argomento ci si può utilmente rifare ai due citati saggi di Malanima, ricchi di informazioni in proposito.

Un ruolo determinante nel consentire questo rinnovamento colturale fu ricoperto da due vegetali originari delle Americhe: la patata e il mais. Tali colture si diffusero grandemente nei paesi continentali e anche - nel caso del mais - in alcune regioni del Sud Europa (quali la parte settentrionale della Spagna e dell'Italia e i Balcani), dove andarono assumendo un ruolo fondamentale nell'alimentazione umana in luogo del grano, rispetto al quale vantavano rese molto più elevate. Accanto ad esse crescente importanza assunsero, anche se soltanto in alcuni territori (Inghilterra, Paesi Bassi e Lombardia), le colture foraggiere. In tali regioni andò infatti radicandosi la pratica della rotazione continua, che prevedeva la sostituzione della periodica messa a riposo del terreno con una semina di foraggi. Questa sostituzione era resa possibile dal fatto che le colture foraggiere per un verso impoverivano la terra meno dei grani e per l'altro, consentendo l'espansione dell'allevamento, rendevano disponibili maggiori quantità di concime, il cui utilizzo sui suoli sottoposti a questo più intenso sfruttamento compensava largamente gli effetti nocivi che esso aveva sulla loro fertilità.

Le trasformazioni produttive ora descritte fornirono tuttavia una soluzione solo parziale al problema del rapporto fra popolazione e risorse, giacché la crescita della disponibilità di risorse agricole che queste resero possibile non fu così forte da superare l'incremento della pressione della popolazione su tali risorse che quella stessa crescita determinò. Difatti i progressi ottenuti per mezzo della diversificazione colturale, congiuntamente a un lieve innalzamento delle temperature, fecero sì che nel Settecento si verificasse un forte aumento della popolazione (nel 1800 l'Europa sarebbe giunta ad avere 146 milioni di abitanti), il quale impedì che l'incremento della capacità produttiva agricola si tramutasse in un incremento del prodotto agricolo pro capite. Questo pertanto si mantenne al livello molto basso cui s'era attestato ai primi del XVII secolo. In materia sono illuminanti le stime proposte da Malanima (2003) relativamente all'andamento della produzione agricola in un insieme di paesi appartenenti a diverse regioni europee: stando a tali stime, fra il 1600 e il 1800 la produzione complessiva crebbe del 54 per cento, ma la produzione pro capite diminuì del 4. Inoltre il radicamento di colture dalle rese elevate, ma dal ridotto valore di mercato, quali erano la patata e il mais, determinarono una caduta del valore unitario della produzione agricola, che in una situazione di stagnazione dell'entità del prodotto agricolo pro capite non poté che determinare anche una diminuzione del valore di quest'ultimo. Solo nelle regioni interessate dalla diffusione della rotazione continua - e dunque dall'espansione del patrimonio zootecnico - a tale diminuzione poté far fronte un incremento dei profitti generati da altre attività, quali la produzione di latte, formaggi e carni.

5. Il riequilibrio tra popolazione e risorse in epoca contemporanea.

Sono nel corso dell'Ottocento divenne possibile una profonda alterazione del rapporto fra popolazione e risorse in senso finalmente favorevole alla prima. Stando ancora a quanto scrive Malanima (2003), un ruolo importante in questo processo fu rivestito dall'apertura alle coltivazioni di nuovi spazi esterni all'Europa, in particolare nelle Americhe: l'immigrazione di decine di milioni di persone in queste terre di nuova colonizzazione valse difatti a sottrarre alle campagne europee una parte della forza lavoro in eccesso ivi presente. Principale responsabile del mutamento indicato è tuttavia da considerare il progresso industriale e tecnico-scientifico prodottosi dall'epoca della rivoluzione industriale in avanti.

Un'analisi del ruolo assunto da tale fattore è stata compiuta da Giovanni Federico (2009). L'autore ha innanzitutto rilevato come nei secoli XIX e XX si sia verificata l'introduzione nelle campagne di attrezzi e macchinari di produzione industriale. Un primo passo in tal senso fu costituito dalla comparsa di aratri interamente in metallo; nella seconda metà dell'Ottocento ebbe poi inizio l'applicazione della macchina a vapore a talune lavorazioni successive alla fase della coltivazione e dopo la prima guerra mondiale andò progredendo rapidamente anche la meccanizzazione di quest'ultima attività, tramite l'impiego di trattori. Notevole rilievo assunse anche, sempre a partire dalla metà dell'Ottocento, l'applicazione alle attività agricole dei ritrovati dell'industria chimica (fertilizzanti chimici e successivamente anche antiparassitari). Dal principio del XX secolo andarono poi grandemente evolvendosi le tecniche di ibridazione, tramite l'applicazione delle nuove conoscenze maturate in materia di genetica; e dalla fine degli anni trenta in avanti notevoli progressi furono ottenuti nel campo dell'allevamento, in virtù della nascita delle tecniche di inseminazione artificiale (per mezzo delle quali fu notevolmente accresciuta la capacità riproduttiva degli animali da monta). Il progresso tecnologico otto-novecentesco, inoltre, valse a rendere possibili più incisivi interventi di sistemazione delle acque, mediante i quali fu incrementata la superficie coltivabile e accresciuta la produttività di quella già sottoposta a sfruttamento. Infine va rilevato come il processo di industrializzazione e il progresso tecnologico, determinando un crescente inurbamento della popolazione e la costruzione di grandi infrastrutture stradali e ferroviarie, abbiano favorito l'incremento della commercializzazione delle derrate agricole, contribuendo così a offrire ai produttori nuovi sbocchi verso i quali dirigere le medesime. Tali processi pertanto hanno consentito la crescita della produttività agricola non soltanto rendendo disponibili gli strumenti utili all'ottenimento d'un simile risultato, ma anche accrescendo i benefici economici che tale incremento era suscettibile di arrecare e dunque stimolando gli imprenditori agricoli a compiere gli investimenti funzionali al suo conseguimento.

Il risultato ultimo di queste trasformazioni è stata una forte crescita del prodotto agricolo delle nazioni da esse interessate, accompagnata per la prima volta da un sensibile incremento del prodotto pro capite. Quest'ultimo fenomeno si è ovviamente accentuato quando - nel secondo dopoguerra - ha assunto dimensioni imponenti il calo dell'entità della manodopera agricola, che hanno concorso a determinare per un verso la meccanizzazione del lavoro nei campi e per l'altro la crescita della domanda di forza lavoro proveniente dal settore industriale.

6. Approfondimenti nelle collezioni e nelle banche dati della Biblioteca.

Agricoltura (età medievale e moderna). Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca.

Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.

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