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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 78 (Nuova Serie), novembre 2024

Luigi Einaudi, uomo di Stato e di pensiero

Pubblichiamo un estratto dell'intervento che il professor Nicolò Zanon, professore ordinario di diritto costituzionale all'Università degli studi di Milano, ha presentato al convegno dal titolo "Luigi Einaudi, uomo di Stato e di pensiero" (qui la locandina). L'evento si è svolto il 1° ottobre 2024 presso la Biblioteca del Senato, nella Sala degli Atti parlamentari, per iniziativa del Presidente della Commissione per la biblioteca e per l'archivio storico del Senato, sen. Marcello Pera, il quale ha anche introdotto i lavori. Lo ringraziamo per aver fornito il testo e segnaliamo che sul canale SenatoItaliano di Youtube è disponibile la videoregistrazione del convegno.

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Riguardo alle scelte in ordine alla forma di governo, nelle cruciali sedute della seconda Sottocommissione della Commissione dei 75 che iniziano il 4 settembre 1946, e si concludono con l'approvazione del celeberrimo ordine del giorno Perassi, l'atteggiamento di Einaudi è pragmatico e cauto: la contrapposizione netta tra sistema presidenziale all'americana e sistema parlamentare all'inglese, dal quale partiva la discussione, non lo convince affatto. Attraverso interventi che rivelano notevoli e 'fresche' informazioni sul reale funzionamento del sistema statunitense, egli mette in luce come quel sistema, partendo dal suo essenziale difetto - cioè, un'assenza di comunicazioni e contatti tra esecutivo presidenziale e Congresso - venga ad attenuarsi nella prassi, manifestandosi la tendenza alla nascita di legami di varia natura tra i due poteri. Sarebbe la prassi, insomma, a diminuire la netta distanza del sistema nordamericano rispetto al sistema parlamentare. Reciprocamente, il sistema parlamentare inglese rivela come il fulcro istituzionale risieda nella figura di un Primo ministro designato sostanzialmente dagli elettori (non troppo diversamente, pare egli dire, dal Presidente nordamericano): essi votano per rappresentanti appartenenti a un partito guidato da un capo, che a seguito della vittoria elettorale diventa appunto Primo ministro.

Einaudi riassume così, nella seduta del 5 settembre 1946, il proprio pensiero: confrontando il sistema presidenziale americano e il sistema parlamentare inglese

ha cercato di dimostrare che il sistema americano si avvia […] a sistemi simili a quelli del metodo parlamentare e, d'altro canto, il sistema parlamentare non è più quello che era una volta, ma è ispirato sostanzialmente al concetto della scelta da parte dell'elettorato del capo del governo, che è il leader, seguito dalla maggioranza parlamentare [si cita da: Assemblea Costituente. Commissione per la Costituzione. Seconda sottocommissione, Resoconto sommario. Seduta n. 9, 5 settembre 1946, p. 124, ndr].

È un atteggiamento, si diceva, di cautela pragmatica, che potremmo definire sorprendente. In effetti, quali fossero le preferenze di Einaudi in tema di forma di governo, prima ancora che l'Assemblea costituente si accingesse ad elaborarla, era già noto, anche grazie al suo intervento al terzo congresso del Partito liberale italiano, tenutosi a Roma il 1 maggio 1946, solo pochi mesi delle cruciali sedute della seconda Sottocommissione (il discorso può leggersi sul sito della Fondazione Einaudi all'indirizzo www.luigieinaudi.it. Vi fa ampi riferimenti A. M. Petroni, Einaudi politico, relazione presentata al Convegno "L'insegnamento di Luigi Einaudi a 150 anni dalla nascita", Roma, 25 marzo 2024 [disponibile in video, ndr]).

Vero che si trattava di una sede eminentemente politica, e non di un consesso di saggi costituenti, e i toni non potevano che essere legittimamente diversi. Ma, nella sede di partito, il discorso fu netto, e accompagnato da affermazioni precise. Einaudi sostenne, innanzitutto, che non bisognava volere una Costituzione «che sia fondata su un luogo solo, su una forza sola». Da qui, il disfavore verso una «costituzione nella quale tutto il potere dipende da un unico capo». Ma, allo stesso tempo, non si poteva volere una forma assembleare:

una costituzione nella quale tutto il potere fosse concentrato in cinque o seicento deputati, non per questo sarebbe una costituzione meno propensa alla tirannia: sarebbe il prodromo, la necessaria anticipazione di una tirannia. Perciò, non volendo noi una costituzione che sia fondata sul dominio di un organo solo, sia pure quest'organo il Parlamento, non possiamo volere neppure un presidente il quale non abbia una forza sua, indipendente da quella del Parlamento.

Dopo un riferimento al tragico destino della Repubblica di Weimar, dove il Presidente, che avrebbe dovuto essere il custode della costituzione, aveva finito per consegnare il potere «al moderno Attila», segue una condanna anche al sistema presidenziale sul modello statunitense:

Noi non possiamo volere neppure un Governo presidenziale. Il Governo presidenziale ha funzionato bene solo negli Stati Uniti d'America, ma non esistono in altri paesi le condizioni straordinariamente complesse che hanno reso possibile il perpetuarsi di questo regime. In altri paesi le probabilità maggiori sarebbero non di avere un governo presidenziale del tipo nordamericano, ma di avere un Governo presidenziale del tipo sudamericano con rivoluzioni a getto continuo, con l'alternarsi al potere di alcuni generali o uomini politici, i quali eserciterebbero temporaneamente una tirannia se non simile, non molto diversa da quella inflittaci nel ventennio scorso.

Ma, dunque, quale può essere la forma di governo da preferire?

Che cosa dunque dobbiamo volere? Un tipo di Governo stabile, ordinato e veramente libero. E qui noi non possiamo chiudere gli occhi dinnanzi alle esperienze moderne, alle esperienze più recenti, che noi possiamo considerare appartenenti a tutti i paesi, le quali ci dicono che la fonte del potere deve essere diversa. Non ci deve essere una sola fonte di potere; deve esistere un Presidente, ma non si chiama Presidente della Repubblica: quel Presidente si chiama Capo del Governo. In Inghilterra e in tutti i Dominions anglosassoni il vero Capo dello Stato è il Capo del Governo, il quale non deve la sua carica puramente e semplicemente al Parlamento, ma è designato da una elezione popolare. Churchill prima e Attlee adesso non hanno ottenuto la loro carica perché eletti dalla Camera: essi sono stati imposti alla Camera dalla volontà popolare, manifestatasi nella maniera più chiara a loro favore. Sono le elezioni che designano alla carica, non le Camere che designano dopo colui che è il Capo del Governo. Non è possibile che vi sia un Governo stabile dove i capi del Governo siano soggetti a crisi continue, a continue variazioni, come quelle che si verificavano in Italia prima del 1922, o come quelle che si sono verificate in Francia sino alla caduta della terza Repubblica.

Sono dunque le elezioni che designano alla carica, anche se non necessariamente alle elezioni si vota per eleggere direttamente un Presidente del Consiglio. Di là da venire le prudenze costituenti, insomma, resta chiara la scelta a favore di una designazione del Capo del Governo che scaturisca dai risultati delle elezioni del Parlamento e non dal voto di fiducia del Parlamento medesimo. Per noi, oggi, in tempi di riforme possibili, un messaggio chiaro.

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Dal sito del Senato:

- Luigi Einaudi [Senato del Regno, Archivio storico del Senato: scheda dell'attività parlamentare]

- Luigi Einaudi [Senato della Repubblica, sito storico del Senato: scheda dell'attività parlamentare]

In "MinervaWeb" leggi anche:

- Luigi Einaudi presidente della Repubblica, 2015, n. 27 (n.s.)

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