A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
A trent'anni dalla morte di Giovanni Spadolini. Il ricordo di un allievo marchigiano
"MinervaWeb" non poteva far passare sotto silenzio un anniversario che riguarda l'importante personaggio politico a cui la Biblioteca del Senato è intitolata. Nella ricorrenza dei trent'anni dalla morte di Giovanni Spadolini, presidente del Senato nelle legislature X e XI (1987-1991), nominato senatore a vita il 2 maggio 1991 e scomparso il 4 agosto 1994, abbiamo chiesto un ricordo di lui a un ex consigliere parlamentare suo allievo. Lasciamo dunque la parola al dott. Giovanni Corradini, già direttore della Biblioteca del Senato dal 15 marzo 2004 al 30 giugno 2006, e lo ringraziamo per il contributo.
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All'indomani della mancata conferma alla presidenza di Palazzo Madama, il professore richiamava, nella lettera integralmente riportata, la fede laica in quei valori di impegno civile mai smentito nell'assolvimento di alte funzioni istituzionali non meno che nella feconda, straordinaria opera di studioso. Conservata gelosamente: lettera di commiato, pur segreto e inespresso, lettera di spirituale retaggio e di morale esortazione a uno dei suoi tanti allievi del "Cesare Alfieri" che ha avuto il singolare privilegio della sua presenza in alcuni decisivi snodi della vita. Come studente, prima, come 'borsista', poi, all'Istituto di storia contemporanea, e infine al servizio dell'Istituzione parlamentare. Un ruolo preparato anche al seminario di studi parlamentari da lui promosso con altri docenti presso la 'nostra' facoltà di via Laura [la facoltà di Scienze politiche dell'Università di Firenze, ndr]. Quasi una premessa agli anni del Senato, in particolare a quelli della presidenza del professore, segnati da incarichi di rilievo nella mia carriera di funzionario.
Tanto si è scritto e dibattuto della figura e dell'opera di Giovanni Spadolini storico, docente, giornalista, politico e uomo delle Istituzioni repubblicane. E allora il mio ricordo, mosso da antica, ammirata gratitudine, non può che andare, con particolare, se non esclusiva, mozione, agli anni fiorentini, quando più continuo e diretto è stato il rapporto con il professore.
La scoperta, da studente, del docente allora anche direttore del "Resto del Carlino", in quelle lezioni, puntualmente svolte nei primi tre giorni della settimana, senza interruzioni nell'insegnamento, mai causate dalle responsabilità di vertice nel giornale bolognese. Lo agevolava, amava spiegare, la vicinanza di Bologna e Firenze che considerava, sono sue parole, nitide nel ricordo, «due periferie di un'unica, ideale città». Attrezzati gli studenti dall'aureo libretto di Giovanni Schepis, una analisi storico-statistica delle consultazioni popolari in Italia dal 1848 al 1957, dalla Storia d'Italia dal 1871 al 1915 e dalla Storia d'Europa nel secolo decimonono di Benedetto Croce, dai suoi fondamentali studi L'opposizione cattolica e Giolitti e i cattolici, a ricordare solo alcuni dei testi di riferimento, si svolgevano le lezioni del professor Spadolini. Che non si potevano perdere a meno di voler rinunciare ad attingere a uno straordinario patrimonio di cultura storica, proposto con una capacità di eloquio tale da far smarrire il senso del tempo. Puntuale la sorpresa che si annunciasse la fine dell'ora trascorsa dal suo ingresso in aula. (Che si fosse sbagliato Alfio, il custode, perno 'operativo' della facoltà di allora?).
Le sue lezioni: un quadro organico e articolato, un 'affresco' affascinante, proposto in una forma chiara, senza concessioni a una sterile erudizione o a gerghi di maniera, densa sempre di riferimenti all'argomento principale che ne era arricchito, talora anche 'divertenti', mai estranei alla completezza dell'insegnamento. Ogni lezione costituiva un approfondito saggio di analisi storica, già 'pronto' - poteva dirsi - per la pubblicazione. E magari spunto, ben confezionato, per un 'fondo' del "Carlino" e, poi, del "Corriere". Non avendo mai compromesso, ma interpretato con impareggiabile armonia, la profondità originale dello storico e l'incisiva efficacia del giornalista. Nella crociana consapevolezza che «il giudizio storico non è già un ordine di conoscenze, ma è la conoscenza senz'altro, la forma che tutta riempie ed esaurisce il campo conoscitivo, non lasciando posto per altro» e che «ogni concreto conoscere non può non essere […] legato alla vita, ossia all'azione» [Cfr. Benedetto Croce, La storia come pensiero e come azione. Bari, Laterza, 1938, p. 19, ndr].
A conclusione del corso, giugno 1966, il momento della verifica più diretta costituito dall'esame, condotto, occorre in verità ricordare, non lasciando molto spazio agli altri componenti della commissione, sempre con equilibrio, ma a 'raffiche' di domande: dalla Lunigiana alla figura di Croce, dallo 'scandalo' della Banca romana al cattolicesimo liberale, dal non expedit ai sistemi elettorali e ad altri argomenti ancora. Ora persi nella memoria, ma ben conservato restando il ricordo di un ritmo incalzante che talora non attendeva il completamento di una risposta. Per verificare - sono parole sue nel motivare il voto - che la preparazione non fosse dello studente che 'rumina' ma dello studente che 'digerisce'.
Con un paio d'anni di anticipo sulla presumibile fine degli esami previsti dall'ordinamento del corso di laurea - questa la condizione per ottenere il titolo della tesi e quindi la presenza del professore quale relatore - era consigliato 'chiedere la tesi' nel presupposto che si sviluppasse un lavoro protratto nel tempo, approfondito con serietà e impegno. Qualità ovviamente richieste dal professore, peraltro generoso, se convinto della adeguatezza del risultato, nel proporre la votazione finale sulla media maturata nei quattro anni. Quel lontano giorno, all'Istituto di storia, prospettai, non immune da pur timide motivazioni 'localistiche', uno studio dei movimenti politici nelle Marche nel periodo giolittiano, concluso con la Settimana rossa di Ancona - nella vetrina della facoltà il libro di Luigi Lotti [La settimana rossa: con documenti inediti. Firenze, Le Monnier, 1965, ndr] - e in particolare sui filoni di quella che si indicava come 'estrema sinistra': radicali, socialisti e quei repubblicani che, attorno al giornale "Lucifero", costituivano una consistente, tradizionale presenza nella città come nella regione. La mia provenienza marchigiana sollecitò la particolare attenzione del professore che era solito rammentare come la sua famiglia fosse originaria di Treia, nel maceratese. («Noi marchigiani siamo una consorteria» avrebbe poi detto in tono scherzoso, all'inizio della discussione della tesi, ad allentare la tensione di un emozionato candidato).
Accolto il taglio regionale della proposta, ne suggerì tuttavia una modifica, assegnandomi la ricerca sul variegato mondo genericamente liberale nei rapporti con il crescente movimento cattolico. Ne compresi successivamente il più ampio respiro, riferendosi alla terra di Romolo Murri e di Ottorino Gentiloni e trattando, sullo sfondo, la questione del consenso allo Stato unitario, esito del Risorgimento liberale, non ancora accolto dai cattolici, 'fuori' dalla vita politica per effetto del non expedit. Una rivisitazione, nella dimensione regionale, dei temi affrontati nel suo volume Giolitti e i cattolici, allora in una seconda edizione 'riveduta e accresciuta'.
Apprezzata la tesi con l'auspicio di stampa, nel biennio successivo il Professore mi accolse all'Istituto di storia in qualità di 'borsista' assegnandomi compiti di coordinamento nei gruppi di lavoro di studenti e di ricerca. Non senza esortarmi a curare la pubblicazione della tesi, edita nell'ottobre 1970 con la sua prefazione [Giovanni Corradini, Liberali e cattolici nelle Marche: 1900-1915, prefazione di Giovanni Spadolini. Urbino, Argalia, 1970, ndr], che lumeggiò i contenuti della ricerca, presentando il lavoro come un ulteriore saggio - scrisse - di una serie di indagini «degli allievi del "Cesare Alfieri", orientati verso la riesplorazione del sottosuolo politico che sta alla base della formazione e del travaglio dei partiti italiani». Evidenziò i tratti distintivi del quadro marchigiano, dalla 'rivolta' allo Stato pontificio al movimento repubblicano, forte nella regione, al 'dilemma' clericalismo-anticlericalismo 'più sofferto' che in altre parti d'Italia. Le Marche, come teatro dello scontro tra il modernismo sociale di Murri e il clerico-moderatismo di Gentiloni, del movimento socialista-anarchico nella Settimana rossa, della dissidenza liberale che nel 1909 elesse, secondo giolittiana ironia, «il cappellano dell'Estrema [sinistra]» nel collegio di Montegiorgio. E non mancò di sottolineare, citando la "Voce delle Marche", giornale cattolico di Fermo, l'esistenza di un temporalismo con vibrazioni populiste che ancora nel 1913 contestava il 20 settembre.
Nel diffuso commento alla vicenda politica marchigiana, emergeva puntualmente la straordinaria capacità dello storico di cogliere i fermenti della società politica, di scoprirne le complesse articolazioni, addirittura proiettandone nel tempo l'evoluzione. E infatti. «Oltre la monarchia laica e giacobina - concludeva il professore nella prefazione - si avverte nell'aria il presentimento, quasi il brivido della futura repubblica guelfa».
Dopo qualche tempo, il concorso al Senato. E fu ancora il professore a informarsi, con affettuosa partecipazione, delle prove, dandone notizia del positivo esito. Da lui auspicato anche quale ragione di merito della sua scuola fiorentina.
Seguirono le vicende della politica. Lasciata la direzione del "Corriere", il professore fu eletto senatore ininterrottamente a partire dal 1972. Non ebbi modo di svolgere, in quegli anni, un'attività di ufficio connessa al suo ruolo istituzionale, e tuttavia negli incontri occasionali nelle sedi di Palazzo Madama, non mancava di ricordarmi quale 'suo allievo'.
Presidente del Senato, dispose di assegnarmi, confermando la sua stima, taluni compiti e ruoli di rilievo. Quale, valga soprattutto ricordare per la procedura seguita, il conferimento dell'incarico, preceduto da una personale convocazione nello studio presidenziale, della segreteria della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi.
E nell'occasione, al termine di un colloquio che toccò anche le problematiche dell'Archivio storico del Senato, un argomento che destava, ovviamente, la sua particolare attenzione, comunicando la mia designazione al Presidente dell'organismo bicamerale, ritenne di aggiungere, alle parole di circostanza, quell'apprezzamento quasi complice: «un mio allievo, marchigiano come me».
Che alcuni anni dopo avrebbe avuto la fortuna e il privilegio di essere incaricato dal Presidente Pera di dirigere, nella nuova sede di Piazza della Minerva, la Biblioteca del Senato intitolata a Giovanni Spadolini.
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