A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Arrigo Boito
Abstract
Nominato senatore all'età di 70 anni nel 1912, Arrigo Boito ha consacrato la sua vita all'arte, alla musica, alla poesia e allo spettacolo, partecipando attivamente al dibattito culturale italiano e arricchendolo con uno spirito europeo e cosmopolita. Si ripercorrono qui alcune tappe della sua vita, proponendo inoltre alcuni testi in cui è possibile ritrovare la sua concezione dell'arte.
2. La Scapigliatura e il faticoso successo
4. La nomina a Senatore del Regno e gli ultimi anni
6. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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Enrico Giuseppe Giovanni Boito - che si ribattezzerà Arrigo - nasce a Padova nel febbraio del 1842, secondogenito del miniatore bellunese Silvestro Boito e della contessa polacca Giuseppina Radolinska. Quest'ultima, abbandonata dal marito, si stabilisce con i figli Camillo ed Enrico a Milano, avviandoli agli studi musicali: Camillo sceglierà poi l'Accademia di Belle Arti, mentre Enrico continuerà gli studi al Conservatorio, dove studia violino, pianoforte e armonia.
Qui stringe amicizia con Franco Faccio, insieme al quale compone ed esegue, per la chiusura dell'anno accademico, la cantata patriottica Il quattro giugno (1860): la cantata è dedicata a un compagno, Gustavo Coletti, arruolatosi volontario con i garibaldini nella campagna del 1859 e caduto a Rezzato. La cantata, che nella dedica a Coletti riporta in calce il nome Arrigo in luogo di Enrico, riscuote un discreto successo, suscitando un dibattito sia sulla forma musicale che su quella poetica riscontrabile anche tramite la stampa - specializzata e non - dell'epoca (si veda De Rensis 1942, pp. 11-13 e, più diffusamente, Nardi 1942, pp. 56-62).
L'anno successivo i due compongono ed eseguono, questa volta per il saggio di diploma, il 'mistero' Le sorelle d'Italia. Il successo di questa seconda composizione assicura ai due giovani maestri un sussidio del Ministero della Pubblica Istruzione per il perfezionamento negli studi: nel 1862 si recano a Parigi, dove frequentano gli ambienti letterari e musicali, incontrando, tra gli alti, Verdi, Berlioz, Rossini, Baudelaire. Durante il soggiorno parigino Arrigo viene esortato dal fratello Camillo a inviare delle corrispondenze sulla vita musicale e culturale di Parigi, attività che proseguirà anche una volta rientrato in Italia, pubblicando sulla "Perseveranza", sul "Figaro", sul "Politecnico", sul "Pungolo", sulla "Gazzetta musicale di Milano".
Sempre a Parigi, Boito scrive il testo di una cantata, l'Inno delle nazioni, commissionata a Giuseppe Verdi per l'inaugurazione dell'Esposizione universale di Londra del 1862: la cantata verrà però eseguita al teatro della Regina successivamente, il 24 maggio (si veda Nardi 1942, pp. 102-103).
Nell'aprile del 1862 Boito si dirige, passando per Berlino, verso la Polonia, dove, presso i parenti materni, concepisce e sviluppa due delle sue opere principali su cui tornerà a lavorare per gran parte della sua vita: il Mefistofele e il Nerone, scrivendo nel contempo le parole per l'opera Amleto dell'amico Faccio. Di ritorno dalla Polonia passa nuovamente a Berlino, a Bruxelles, Parigi e poi a Londra (Nardi 1942, pp. 93-116).
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2. La Scapigliatura e il faticoso successo
La frequentazione degli ambienti culturali europei rafforza in Boito la concezione - wagneriana - della fusione di tutte le arti già presente nei suoi primi lavori che restituivano dignità alla poesia in musica: molta della sua attività giornalistica degli anni Sessanta è dedicata alla difesa delle opere dei suoi compagni di arte e di vita e allo 'svecchiamento' dell'arte italiana in generale (cfr. De Rensis 1942, p. 29-41 e Nardi 1942, p. 128-168).
Al suo ritorno a Milano lo ritroviamo infatti tra i maggiori esponenti della Scapigliatura italiana, amico di Giovanni Camerana ed Emilio Praga: con quest'ultimo compone una commedia in cinque atti, Le madri galanti, che viene rappresentata al Teatro Carignano di Torino nel marzo 1863 con scarso successo.
Nel 1866 si arruola, con Praga e Faccio, tra i volontari garibaldini in Piemonte: al ritorno parte nuovamente per l'Europa, per poi rimettersi a lavorare sul progetto di quello che sarà il Mefistofele.
Iniziato, come abbiamo visto, circa sei anni prima, il Mefistofele verrà eseguito al teatro alla Scala il 5 marzo 1868: l'opera risulta troppo lunga e complessa per il gusto italiano dell'epoca, tanto che Boito la distruggerà, preparandone successivamente una nuova versione che riscuoterà, dopo una prima rappresentazione nell'ottobre del 1875 a Bologna, un certo successo anche fuori dall'Italia.
Tra la fine degli anni Sessanta e la metà dei Settanta, Boito continua a pubblicare su diverse riviste e giornali alcuni racconti (L'Alfier nero 1867 nel "Politecnico"), cronache culturali e articoli e nel contempo traduce libretti, soprattutto tedeschi, per la Casa Lucca e la Casa Ricordi. Nel 1877 vengono pubblicate, presso Casanova a Torino, Il libro dei versi, che contiene liriche uscite su alcuni periodici negli anni precedenti, e Re Orso, favola in forma di poemetto polimetro già pubblicata nella Strenna Italiana del 1865. Non si ferma l'attività di librettista: scrive, tra le altre cose, per Alfredo Catalani nel 1875 l'ecloga La falce, nel 1876 La Gioconda per Amilcare Ponchielli, con lo pseudonimo-anagramma di Tobia Gorrio.
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Il successo del Mefistofele, diretto in molte occasioni dal fraterno amico Franco Faccio - il quale dalla metà degli anni Sessanta era Maestro al Conservatorio di Milano e successivamente direttore d'orchestra alla Scala - contribuisce, complice lo stesso Faccio che dirigerà, tra le altre opere, l'Aida alla Scala, a un avvicinamento con il Maestro Giuseppe Verdi. Nella seconda metà del 1879 Arrigo Boito è dunque impegnato nella scrittura del libretto dell'Otello per il Maestro Verdi, che gli commissionerà anche il rimaneggiamento del Simon Boccanegra (De Rensis 1942, pp. 105-122).
L'Otello di Verdi esordisce, sotto la direzione di Franco Faccio, al teatro alla Scala nel febbraio del 1887, ottenendo da subito un grande successo: lo stesso Boito si mette all'opera per tradurre il libretto in francese. Ormai legato all'arte del Maestro Verdi, scriverà il libretto del Falstaff, esortando il grande musicista a cimentarsi nella composizione di quella che sarà la sua ultima opera, che debutterà alla Scala nel febbraio del 1893.
Nei primi anni ottanta dell'Ottocento frequenta, tra gli altri, Giuseppe Giacosa, Giovanni Verga, Antonio Fogazzaro (Nardi 1942, pp. 429-457) e nel 1884 incontra Eleonora Duse, durante una cena offerta ai frequentatori del teatro Carcano di Milano dove la Duse si esibiva in maggio. Per lei Boito adatterà l'Antonio e Cleopatra, messo in scena al Teatro Manzoni nel novembre del 1888 dalla compagnia della Città di Roma diretta da Eleonora Duse.
Nei primi mesi del 1890 l'amico di una vita, Franco Faccio, che aveva da poco assunto la carica di direttore del Conservatorio di Parma, si ammala. Per Boito è naturale prenderne il posto come direttore onorario, allo scopo di non far mancare lo stipendio all'amico: non accetterà più cariche di direttore, sebbene diverse gliene venissero offerte negli anni (Nardi 1942, pp. 571-576).
Nel gennaio del 1893 riceve la laurea honoris causa a Cambridge.
Durante tutti questi anni Boito continua a lavorare sul Nerone: ne pubblicherà il testo - nella forma di tragedia in cinque atti divisa in sei quadri - nel 1901, all'indomani della morte del Maestro Giuseppe Verdi, per l'editore Treves di Milano, ma non riuscirà a completarne la partitura per la messa in scena.
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4. La nomina a Senatore del Regno e gli ultimi anni
Il coinvolgimento del giovane musicista nelle vicende politiche del paese è evidente fin dagli anni del Conservatorio, con le prime composizioni patriottiche e la partecipazione diretta alle battaglie garibaldine. Parallelamente, sul fronte artistico, Boito si era impegnato nella definizione e nella difesa di un'innovativa idea di arte, che fosse proiettata nel futuro ma con una solida base nel passato: continua a farlo nel corso della sua intera vita, dalle colonne dei periodici agli stessi allestimenti teatrali. Nel 1882 viene chiamato a far parte della Commissione permanente per l'arte musicale e drammatica, istituita presso il Ministero della Pubblica Istruzione dal ministro Guido Baccelli dopo diversi tentativi e diverse commissioni temporanee (si veda Irene Piazzoni, Spettacolo, istituzioni e società nell'Italia postunitaria (1860-1882). Roma, Archivio Guido Izzi, 2001): continuerà a fornire il suo prezioso contributo per diversi anni, diventando anche vicepresidente della Società degli Autori, fondata a Milano nello stesso anno 1882 (Nardi 1942, p. 698).
Nel marzo 1912, all'età di 70 anni, Boito viene nominato Senatore del Regno nella 18a categoria, per essere stato membro dell'Accademia Reale di Napoli (De Rensis 1942, p. 201): assume con serietà questo impegno - come gli altri che già aveva - ma senza intervenire direttamente in aula.
Nel corso del 1915 lo ritroviamo tra gli interventisti: tale era il suo entusiasmo che volle visitare il fronte nel 1917 (De Rensis 1942, pp. 206-208). Boito si spegne a Milano nel giugno del 1918. Riportiamo alcune delle parole pronunciate, in occasione della Commemorazione in aula, dal sen. Francesco Ruffini:
Io terrò sempre come una delle fortune più grandi della mia vita, certamente come la più rara, di avere avuto negli anni miei giovanili, e non per alcun merito mio speciale, ma per sola benigna congiuntura di eventi, l'opportunità di vivere nella vicinanza, spesso nella consuetudine quotidiana, alcune volte nella vera intimità di quegli uomini insigni, quali nell'ultimo quarto del secolo passato rappresentarono quanto di meglio l'Italia superiore abbia dato alle lettere e alle arti.
Gruppo di uomini insigni, legati fra di loro non soltanto da una mirabile comunanza di ideali, ma ancora da una veramente esemplare amicizia, da una vera consonanza di abitudini e di tenor di vita; gruppo d'uomini, che andava da Edmondo De Amicis ad Antonio Fogazzaro, da Emilio Praga ad Arrigo Boito, ma che comprendeva anche figure, certo minori, ma degnissime pur sempre di memoria, come Giovanni Camerana ed Edoardo Calandra; gruppo d'uomini, i quali, attraverso al pittore poeta Emilio Praga ed al poeta musicista Arrigo Boito, veniva allargando la sfera del proprio interessamento artistico, e della sua azione veramente proficua di ispirazione, di incitamento e di educazione assai oltre la cerchia delle sole lettere, ad artisti di ogni arte, ad artisti di più arti, come il D'Andrade, e anche semplicemente ad amatori delle lettere e delle arti, dei quali mi è caro vedere qui uno dei più benvoluti e dei più assidui alla bella comitiva, Enrico D'Ovidio. […]
Io ricordo, ed il collega D'Ovidio, che di lontano così caldo assente al mio dire, ricorda bene anche lui, certa modesta villa in cospetto delle nostre Alpi; ed in quella villa una loggia quasi rusticana, che soleva accogliere d'autunno la nobile brigata; ed il Boito era di tutti il più assiduo. Il buon ospite amava che ognuno dei visitatori grafisse sulle pareti semplicemente intonacate il proprio nome. E vi sta pure quello glorioso di Giosuè Carducci. […]
Perché veramente, o colleghi, con lo sparire dell'ultimo di quella pleiade, con lo sparire di Arrigo Boito, si chiude un periodo della storia del nostro pensiero; non soltanto, ma un periodo del nostro costume. Lettere ed arti, invero, si sono messe, dopo di allora, per altre vie, che saranno migliori, saranno superiori, oppure non lo saranno. Io non mi attento di dirlo. Certo per vie, ove la incomprensione dello spirito e dei meriti della generazione antecedente mi pare anche più singolare che non soglia essere. A ogni modo, qualche cosa di veramente grande e di veramente bello è finito.(Legislatura XXIV, I sessione 1913-18, Discussioni, Tornata del 13 giugno 1918, pp. 4535-4536)
Ad Arrigo Boito è stato intitolato nel 1919 il Conservatorio di Parma.
Il suo Nerone verrà rappresentato alla Scala di Milano il primo maggio del 1924, con la direzione di Arturo Toscanini, riscuotendo un grandissimo successo.
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Benedetto Croce, nella sua storica opera La letteratura della Nuova Italia, così definisce la poesia di Arrigo Boito:
Il romanticismo, come visione sconvolta, straziata e antitetica della vita, non ha avuto un poeta in Italia se non dopo il 1860, e in Arrigo Boito. […] il suo spirito ci sta innanzi chiaro, sincero, vibrante. Il Boito contempla la realtà sotto l'aspetto cosmico o universale; mira a coglierne l'essenziale, non si chiude in un cantuccio di essa, in una situazione sociale o in un ordine particolare di sentimenti. E lo spettacolo della vita gli si presenta come tragicità, in cui sono oltrapossenti le forze distruttive, la passione, il peccato, il delitto, la morte, e hanno di fronte, deboli fiori spezzati e portati via dall'uragano, docili Desdemone, l'amore, la bontà, la dolcezza. Ma il poeta, come non ragiona o teorizza, così non si accascia nel gemito né impreca disperando. È come chi guardi, affascinato, sull'orlo di un abisso; e, pur nella vertigine dell'orrore, sia percorso da fremiti di affetto, da impeti d'idealità. Di tanto in tanto, a quel tragico e mostruoso, alla morte e al male, al soccombere di ogni bene, egli si fa superiore col riso; non già col cinismo, che è aridità di cuore, ma con l'humour, con l'ironia di sé medesimo, che, nascendo da reazione d'intelletto perspicace, si colora di bizzarria. In quella tragicità, egli scopre lo stravagante, il grottesco, il buffo.
(Croce 1921, pp. 258-259)
Alla luce dell'interpretazione crociana, che ci restituisce l'originalità di Boito, si propongono qui alcuni testi che ben collocano l'autore all'interno del dibattito - più che mai vivo nei primi anni dell'unificazione - intorno all'arte.
Il 22 novembre del 1863 la rivista "Museo di famiglia" pubblica All'arte italiana. Ode saffica col bicchiere alla mano di Arrigo Boito, ode che suscita - tra le altre reazioni - il risentimento del Maestro Verdi:
Alla salute dell'Arte Italiana!
Perché la scappi fuora un momentino
Dalla cerchia del vecchio e del cretino,
Giovane e sana.
[…]
Perché non curi all'invide parole
Dei dottarelli boriosi e stufi,
Giacché ogni giorno alla barba dei gufi
Si leva il sole.
Fors'è già desta, e forse s'infutura
Oggi la storia de' suoi novi eventi,
E un'alta schiera d'intelletti ardenti
È già matura.
[…]
Arte Italiana! tu che al tempo bello,
Stavi maestra a un nordico paese,
Colle sante armonie di Pergolese,
E di Marcello,
Forse non fu la tua nota postrema
Elico soffio o inavvertito esempio,
Forse dai cori del tuo queto tempio
Sorge il Poëma.
Dunque si beva! e nelle tazze liete
Sia battesmo dell'arte lo Sciampagna,
E la follia rachitica e grifagna
Crepi di sete.Boito 1942, pp. 1373-1374)
Tra il 1870 e il 1871 escono a puntante sulla "Gazzetta musicale di Milano" alcuni 'ritratti di giullari e menestrelli moderni', con il titolo La musica in piazza: nella 'cornice' torna la concezione di una musica, e di un'arte, libera da condizionamenti di spazio e di tempo:
La musica in piazza. Scelgo questo argomento perché in tutta l'arte dei suoni non ne trovo un altro più libero e giocondo. La musica in chiesa, la musica in camera, la musica in teatro: tesi vecchie e crucciose, intorno alle quali già troppo s'affollarono le estetiche dei sapienti, le critiche dei saccenti, le polemiche, le controversie, le palinodie. […]
La musica in piazza è la musica in libertà, è il suono che canta, che vola sotto il sole, sotto le stelle, in mezzo all'aria, nella pienezza del proprio elemento; è la nota sfuggita dalle vòlte del teatro, dalle pareti della camera, dalle navate della chiesa, evasa da tutte le sue prigioni nell'atmosfera salubre del cielo aperto, sciolta da ogni catena, franca da ogni barriera, cinguettante co' passeri, librantesi colle rondini. La musica in piazza è la musica fuori di gabbia. […]
A cielo aperto! Sotto quella curva azzurra che fu la cupola del teatro greco, sotto quel padiglione stellato che ispirò il canto ai primi menestrelli. […](Boito 1942, pp. 1293-1296)
Qualche anno prima, nel 1868, il ministro della istruzione pubblica Emilio Broglio aveva inviato una lettera a Rossini per proporgli la fondazione - e la presidenza - di una Società Rossiniana per promuovere, con fondi sostanzialmente privati, la musica (si veda Nardi 1924, pp. 314-320). Boito risponde pubblicando una Lettera in quattro paragrafi sul "Pungolo" del 21 maggio in difesa dei conservatori pubblici, dimostrando un interesse non solo teorico, ma anche civile per il tema del sostegno all'arte:
[…] Cedere gli stabilimenti d'educazione pubblica ad una Società privata equivale a sopprimerli; sopprimere i Conservatori equivale al non aver più musica in teatro prima che passino 10 anni. V. E. deve sapere che le numerose masse orchestrali indispensabili alla musica odierna ci sono date unicamente dai Conservatori. I conservatori sono, per così dire, i vivai del teatro: ivi si educano gli strumentisti che forniscono il contingente necessario alle nostre orchestre.
V'è di più, dai Conservatori escono non soli i professori d'orchestra, ma anche i compositori; Gounod, Halévy, Herold sono allievi del Conservatorio di Bruxelles e di Parigi. Gli è appunto negli Istituti musicali pubblici che i giovani compositori hanno campo d'udire eseguiti i loro lavori da ragguardevoli masse orchestrali e corali, esercizio fecondo e preziosissimo. […]
Sa Ella, signor ministro, come dovrebbe aprire il campo ai giovani maestri? Mandandoli a viaggiare, a vedere, ad udire di qua, di là, dappertutto e di tutto, come fece il ministro De Sanctis nell'anno '62. Quando i giovani compositori avranno udito a Parigi i concerti del Conservatorio, a Londra i Festivals del Palazzo di Cristallo, a Berlino le rappresentazioni dell'Opernhaus, a Roma il Miserere nella Cappella Sistina, torneranno a casa loro maturi per l'Arte. […](Boito 1942, pp. 1285-1289)
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6. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Ad eccezione di quelli citati per esteso, i riferimenti bibliografici contenuti nel testo sono presenti in: Arrigo Boito. Percorso bibliografico nelle collezioni del Polo bibliotecario parlamentare.
Sono stati inseriti nel testo alcuni link a periodici digitalizzati disponibili per la libera consultazione su internet. Altri documenti sono presenti nell'archivio digitalizzato di diversi fondi riferiti ad Arrigo Boito pubblicati a cura del Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario della scomparsa di Arrigo Boito (1918-2018). Nel febbraio di quest'anno lo stesso Comitato ha annunciato l'istituzione dell'Edizione nazionale delle opere di Arrigo Boito.
Nella Collezione Digitale dell'Archivio Storico Ricordi, oltre ad alcune lettere, si possono trovare le digitalizzazioni delle riviste pubblicate da Casa Ricordi, con cui Boito collaborava con continuità.
Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca del Senato e della Biblioteca della Camera.
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In "MinervaWeb" leggi anche: - Antonio Fogazzaro, 2019, n. 51 (n.s.) - Giosue Carducci, 2015, n. 25 (n.s.) - Giuseppe Verdi e l'impegno politico: il Maestro in Parlamento, 2013, n. 18 (n.s.) - Indice generale per rubrica [nella rubrica "Letteratura e Parlamento" questo e altri articoli di approfondimento sui rapporti tra Parlamento e letteratura, ovvero sia sulla letteratura parlamentare, sia su scrittori che sono stati, nel corso della loro vita, parlamentari] |