A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Per una geografia storico-economica. La Russia (Parte sesta: dal 1945 alla contemporaneità)
Abstract
L'Unione Sovietica si riprese rapidamente dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, e negli anni cinquanta attraversò una fase di sviluppo sostenuto. Successivamente però la sua economia divenne sempre più stagnante, scontando i limiti della pianificazione centralizzata e la mai superata arretratezza del settore agricolo. Dopo ripetuti e fallimentari tentativi di riforma, all'inizio degli anni novanta si consumò la rottura politica fra le repubbliche che avevano composto l'URSS e la transizione dal socialismo al capitalismo. Per effetto di tali eventi la Russia ha attraversato una fase di crisi e di impoverimento, dalla quale tuttavia è riuscita a riprendersi all'inizio del nuovo secolo. L'evoluzione dell'economia russa appare comunque assai incerta, giacché su di essa attualmente grava l'ipoteca del deterioramento dei rapporti con l'Occidente, innescato dal conflitto russo-ucraino.
1. L'ultima fase dello stalinismo
4. La fine del comunismo e gli sviluppi successivi
5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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1. L'ultima fase dello stalinismo
· L'URSS al termine del conflitto
L'Unione Sovietica uscì dalla seconda guerra mondiale da vincitrice, ma in condizioni economiche disastrose. Nove (1970) e Zaleski (1979) riferiscono che il governo censì la distruzione di 1.700 città e 70.000 villaggi, la quale aveva lasciato senza abitazione 25 milioni di persone. Distruzioni e saccheggi avevano interessato industrie, fattorie, magazzini e infrastrutture; la capacità di lavoro di contadini e operai era menomata dalle perdite di vite umane, dalla mancanza di attrezzi e macchinari, dalla moria del bestiame da tiro; anche le comunicazioni erano gravemente compromesse.
Per riprendersi, in parte il paese poté contare sulle riparazioni imposte ai propri ex-nemici, che presero la forma di requisizioni di beni e impianti industriali, nonché di partecipazioni in imprese locali. La creazione di una propria area d'influenza nell'Europa orientale consentì inoltre all'URSS di imporre l'adozione di trattati commerciali che la vedevano favorita rispetto agli altri paesi contraenti. Malgrado ciò, la ricostruzione richiese comunque notevoli sforzi, che si tradussero in ulteriori sacrifici per la popolazione.
· La ricostruzione
La ripresa dell'attività industriale e la riconversione dell'apparato militare a finalità civili avvenne in tempi rapidi: secondo Nove (1970) nel 1950 la produzione era già a livelli superiori a quelli dell'anteguerra. Ciò fu ottenuto destinando la massima parte degli investimenti alla realizzazione di beni strumentali. Tuttavia si riuscì ad avere anche una rapida ripresa della produzione di beni di consumo essenziali, quali tessuti e calzature. A fare le spese di questo forte impegno dello stato fu perciò soprattutto il settore agricolo, che fu lasciato a lungo senza materiali da costruzione e senza energia elettrica.
Graziosi (2008) sottolinea come un contributo rilevante alla ricostruzione sia provenuto dal lavoro coatto, estorto ai detenuti dei gulag sorti al tempo delle purghe staliniane, ai prigionieri di guerra e anche ai lavoratori che erano stati mobilitati durante il conflitto, i quali non furono liberati dai loro obblighi. Fu infatti tenuto in vita il sistema della 'riserva di lavoro' istituito alla fine del 1940, che prevedeva che i giovani arruolati fossero assegnati per quattro anni al lavoro in officine o miniere. Va comunque rilevato che l'importanza del lavoro forzato, se era esaltata dalla sua diffusione, al tempo stesso risultava sminuita dalla resistenza passiva che gli interessati opponevano, la quale si rifletteva sulla loro produttività e sulla qualità della produzione di cui erano responsabili.
Come detto, l'agricoltura non beneficiò delle stesse attenzioni riservate all'industria, malgrado anche in tale ambito fossero necessari ampi investimenti. La situazione postbellica, come spiegano Nove (1970) e Graziosi (2008), risultava drammatica, a causa della carenza di animali, macchine, manodopera e concime. Si era avuta inoltre un'invasione dei campi - non più adeguatamente curati - da parte di boschi e piante; e nel 1946 una siccità abbatté ulteriormente le rese.
Ciò nonostante, il governo scelse di aggravare gli oneri ricadenti sui coltivatori, inasprendo le tasse imposte ai kolchoz e alle proprietà individuali dei contadini, nonché aumentando in misura notevole le consegne obbligatorie. Quest'ultima misura fu decisa al fine di assicurare i necessari rifornimenti alle città e all'esercito, di disporre di ampie riserve strategiche (che si sarebbero rese necessarie in caso di nuovo conflitto) e di consentire allo stato di procurarsi nuove risorse tramite l'incremento delle esportazioni agricole.
· Gli ultimi anni di governo di Stalin
Nell'ultimo quinquennio di vita di Stalin, ricostruito da Graziosi (2008), si ebbe un cambiamento solo parziale delle politiche precedentemente seguite. Infatti a partire dal 1948 furono decisi aumenti salariali e tagli ai prezzi, e cominciò a essere liquidato il sistema del lavoro forzato; ma sui contadini venne mantenuta una forte pressione, giacché si ebbero ulteriori incrementi delle imposte e degli oneri in natura loro imposti. Questa politica suscitò una fuga dei giovani verso le città e il lavoro operaio, aggravando la carenza di manodopera di cui soffrivano le campagne. Nel contempo, l'inizio della guerra fredda impose una dilatazione della spesa militare: il numero degli uomini sotto le armi in pochi anni quasi raddoppiò e fu intrapreso lo sviluppo di un'imponente industria bellica. Si delineò pertanto un fattore destinato a condizionare l'economia sovietica per il successivo cinquantennio: l'assorbimento di cospicue risorse finanziarie e umane da parte del settore della difesa.
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· Le riforme agricole
Alla morte di Stalin, nel 1953, la guida del partito fu assunta da Nikita Chruščëv [in foto], che la mantenne per un decennio. Nel valutarne l'opera in ambito economico, Boffa (1965) indica quali suoi obiettivi principali il progresso dell'agricoltura, il cui ristagno era da lui considerato un freno allo sviluppo complessivo del Paese, e il miglioramento del tenore di vita della popolazione, ancora fermo a un livello molto basso. Peraltro anche il conseguimento di quest'ultimo obiettivo comportava la realizzazione di riforme in ambito agricolo, dal momento che erano proprio i contadini a costituire la parte più povera della popolazione.
Secondo Nove (1970), delle riforme agricole si ebbero sin dal 1953. La diminuzione delle consegne obbligatorie consentì ai coltivatori di disporre di maggiori quantitativi di derrate da vendere sul mercato libero, a prezzi più elevati di quelli corrisposti dallo stato. Essi inoltre beneficiarono di forti riduzioni di imposte. Per aumentare la produzione, non essendovi la possibilità di accrescere in breve tempo il ricorso ai fertilizzanti (dato il limitato sviluppo dell'industria chimica), si puntò alla messa a coltura di nuove terre, che in pochi anni assunse un'enorme portata, grazie alla disponibilità di vaste aree ancora disabitate e agli investimenti nella meccanizzazione del lavoro, i quali consentirono di liberare manodopera da far emigrare in tali regioni. La riuscita di questa grande impresa fu tuttavia compromessa da una serie di scelte sbagliate, figlie dell'eccessiva centralizzazione delle decisioni: furono imposte colture inadatte alle regioni in cui vennero impiantate, la produzione delle macchine agricole non tenne il passo dell'espansione delle superfici sottoposte a sfruttamento, lo sviluppo dell'allevamento fu disincentivato dalla carenza di foraggi e dalla fissazione dei prezzi dei suoi prodotti a livelli troppo bassi. Inoltre la focalizzazione sui risultati immediati condusse a sacrificare la rotazione delle colture, necessaria alla ricostituzione della fertilità dei suoli, e a macellare il bestiame a ritmi troppo elevati rispetto alla velocità con la quale si riproduceva. Zaleski (1979) sottolinea inoltre il ruolo negativo giocato dalla persistente tendenza a penalizzare le attività private, che ad esempio nel 1959 portò a proibire alla popolazione urbana il possesso di bestiame. Questi fattori spiegano i dati riportati dallo stesso Zaleski (1979), stando ai quali fino al 1957 si ebbe una forte crescita della produzione agricola, ma successivamente una sua stagnazione e poi addirittura un suo decremento, che a partire dal 1964 costrinse l'URSS ad acquistare cereali all'estero, quando in precedenza ne era stato un esportatore.
· La politica industriale
Anche in ambito industriale Chruščëv si pose degli ambiziosi obiettivi di sviluppo e modernizzazione: riferendoci ancora a Nove (1970) e a Zaleski (1979), possiamo menzionare l'incremento della produttività del lavoro, gli investimenti in settori sino ad allora trascurati (quali l'estrazione del gas e la chimica) e l'ampliamento della produzione di beni di consumo, l'acquisto dei quali doveva essere agevolato tramite l'incremento di salari e pensioni. I risultati conseguiti furono tuttavia inferiori a quelli attesi. Ciò in parte dipese dall'acuirsi della competizione militare con gli USA. Per la verità, in quella fase le spese per armamenti, per mezzi dall'elevato contenuto tecnologico (come gli aerei da guerra) e per il programma spaziale ancora non giunsero a costituire una frazione particolarmente elevata del complesso degli investimenti industriali; però sortirono l'effetto di distogliere dagli impieghi civili i migliori tecnici e le più avanzate attrezzature esistenti nel paese. Pesarono inoltre le difficoltà che si incontrarono nel gestire quella parte della pianificazione, dall'importanza crescente, rivolta a soddisfare le esigenze non dello stato, bensì di una massa anonima di consumatori. Questa incapacità di indirizzare in maniera efficiente l'attività industriale appare evidente qualora si considerino le riorganizzazioni che subì l'apparato di governo. Dopo la morte di Stalin il numero dei ministeri andò rapidamente aumentando, passando da 25 a 52 nel periodo 1953-1957: una crescita cui contribuì la moltiplicazione di quelli cui facevano capo le attività industriali, dovuta plausibilmente alla speranza di migliorarne la gestione tramite una più accentuata ripartizione delle competenze. Tali ministeri, tuttavia, soffrirono di carenze di coordinamento che nel 1957 indussero Chruščëv a porre in essere una riforma radicale, consistente nella loro abolizione. La politica industriale venne così demandata a degli enti regionali (in linea di principio più vicini alle realtà che dovevano amministrare), coordinati dal Comitato Statale per la pianificazione (Gosplan). Il rimedio si rivelò tuttavia peggiore del male, in quanto il Gosplan si dimostrò ancora più incapace di coordinare tali enti di quanto il governo fosse stato incapace di coordinare l'azione dei ministeri. Probabilmente fu anche a causa di questo problema che a partire dal 1958 si ebbe un vistoso rallentamento del ritmo di sviluppo, che negli anni immediatamente precedenti era stato piuttosto sostenuto.
Il cattivo andamento dell'economia rese precaria la posizione di Chruščëv, che alla fine del 1964 fu infine costretto a dimettersi dagli altri maggiorenti del partito. Il suo successore, Leonid Brežnev, provvide subito a cancellare le misure più controverse da lui adottate: vennero ripristinati i ministeri preposti alla gestione delle industrie e furono attenuati i divieti che limitavano le attività agricole condotte in autonomia. Questa marcia indietro, beninteso, lasciava irrisolti i problemi di fondo dell'economia sovietica; la necessità di una politica di riforme continuò pertanto ad essere avvertita.
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· L'industria
Come riporta Boffa (1995), la seconda metà degli anni Sessanta vide un'effimera ripresa economica, cui dovette contribuire la correzione degli errori commessi nel periodo precedente. Tale ripresa si sostanziò in un miglioramento del tenore di vita dei cittadini, fra i quali cominciarono a diffondendosi quei beni e quelle forme di consumo proprie delle società avanzate (un'abitazione non condivisa forzatamente con altre famiglie, il possesso di un'automobile, il turismo).
L'inizio della segreteria Brežnev [In foto] fu caratterizzato da un rinnovato slancio riformatore, che ebbe come protagonista il Presidente del Consiglio dei ministri Kosygin. Questi propose una riforma volta a rimediare ai punti deboli della struttura industriale (sprechi, scarsa produttività, cattiva qualità dei prodotti, dispersione degli investimenti): la sua idea era quella di concedere alle imprese una maggiore autonomia gestionale e di consentire loro di trattenere parte dei proventi che realizzavano, che avrebbero potuto destinare a investimenti e a incentivi al personale. La proposta tuttavia fu subito contrastata dalle personalità del partito di orientamento più conservatore e rimase in larga misura sulla carta. Un analogo ostracismo avrebbe subito ogni altro progetto di riforma avanzato negli anni successivi, malgrado le criticità del sistema fossero destinate a rivelarsi sempre più gravi.
Gli anni Settanta videro infatti un progressivo rallentamento dello sviluppo, che all'inizio del decennio successivo sfociò in una situazione di stagnazione. La pianificazione fallì nel suo compito di governare l'economia, come dimostra il fatto che in quella fase ciascun piano quinquennale mancò di conseguire i propri obiettivi in misura maggiore del precedente. Cominciò allora a manifestarsi il fenomeno della carenza di beni disponibili nei negozi in rapporto alla richiesta dei medesimi, il quale scaturiva dalla combinazione fra l'accresciuto reddito della popolazione, l'incapacità dell'industria di aumentare la produzione e il controllo politico dei prezzi, che impediva ai medesimi di crescere sino a far scomparire la domanda in eccesso.
· L'agricoltura
Difficoltà non meno gravi si determinarono in ambito agricolo. In epoca brezneviana si ebbe un ulteriore massiccio spostamento di forza lavoro dalle campagne alle città, suscitato dalla ricerca di migliori condizioni di vita. La diminuzione della manodopera contadina e l'incremento della quota di popolazione che non contribuiva alla produzione alimentare rendeva necessario conseguire un forte incremento della produttività dei suoli; quello che si riuscì a ottenere, tuttavia, fu piuttosto modesto. Per questa ragione alla fine degli anni Settanta l'approvvigionamento alimentare dei centri urbani cominciò a risultare problematico: anche nei negozi di alimentari, pertanto, la quantità di beni disponibile divenne esigua in rapporto alla domanda. Ciò si verificò malgrado il governo avesse effettuato sforzi ingentissimi in direzione dell'avanzamento dell'agricoltura, sostanziatisi nell'effettuazione di grandi opere di bonifica e di irrigazione, come pure in un ampliamento della dotazione delle aziende di macchinari e fertilizzanti. D'altronde, all'epoca si stimava che un terzo della produzione andasse perduto a causa dell'incuria dei contadini (che quando lavoravano per lo stato invece che sui propri appezzamenti non beneficiavano di alcun incentivo), dell'insufficienza della rete stradale (che influiva sui tempi di trasporto) e della carenza di attrezzature necessarie per la conservazione delle derrate maggiormente deperibili. L'agricoltura continuava dunque a pagare il prezzo di una gestione centralistica che da un lato non riusciva a cointeressare i lavoratori al buon andamento delle aziende e dall'altro non riusciva a garantirlo da sola.
· Il ruolo del settore militare
All'inefficiente gestione dell'economia si aggiunse una crescente difficoltà dell'URSS a finanziare le proprie politiche di sviluppo, dovuta alla sempre maggiore entità delle spese militari. All'epoca queste si ampliarono a causa non soltanto della persistente contrapposizione agli Stati Uniti, ma anche del degrado dei rapporti con la Cina (che rese necessario militarizzare la lunghissima frontiera orientale) e dell'appoggio offerto a paesi quali il Vietnam e Cuba. Tuttavia, se è vero che tali spese crebbero in termini assoluti, va pure rilevato che il loro peso relativo (ossia la loro entità in rapporto al PIL) andò dilatandosi anche per effetto dello stentato progresso dell'economia. Si delineò insomma un circolo vizioso, nel quale l'incremento delle spese militari sottraeva risorse allo sviluppo economico e l'insufficienza di quest'ultimo rendeva le prime sempre meno sostenibili.
In verità il settore militare era suscettibile di procurare anche dei benefici all'economia sovietica, giacché la ricerca tecnologica condotta a fini bellici poteva venire messa a frutto nell'industria civile. Nell'Unione Sovietica, tuttavia, le ricadute economiche della ricerca militare furono assai limitate a paragone di quelle che si ebbero negli Stati Uniti, malgrado in molti settori (dall'informatica all'aerospaziale) gli scienziati e i tecnici sovietici avessero conseguito risultati notevolissimi. Ciò è riconducibile all'ossessione del regime per la segretezza, che riduceva al minimo la circolazione delle informazioni al di fuori degli ambiti in cui si generavano e pertanto imponeva alla società una segmentazione in compartimenti che non comunicavano fra di loro.
Il mancato travaso di conoscenze dall'ambito militare a quello civile approfondì il divario tecnologico fra l'URSS e i paesi occidentali. A questa situazione non si poteva rimediare importando dai secondi prodotti contenenti tecnologie avanzate, in quanto i loro governi ne limitavano la commercializzazione, prevedendo che esse avrebbero trovato applicazione anche a fini bellici. Difficoltosa risultava pure l'imitazione delle tecnologie occidentali, in quanto l'onnipresente censura governativa colpiva anche le pubblicazioni scientifiche straniere, ostacolandone la circolazione.
· Lo sviluppo dell'economia ombra
Ancora Boffa (1995) e con lui Guerra (2001) trattano di un fenomeno sempre esistito, ma che sotto Brežnev conobbe una forte dilatazione: quella che gli stessi sovietici definivano 'seconda economia' o 'economia ombra'. Essa consisteva nell'accaparramento e nella vendita illegale di beni, ad opera di funzionari pubblici che gestivano l'apparato manifatturiero e distributivo e che avevano la possibilità di stornare quote dei beni prodotti o importati per collocarli su un mercato nero da essi stessi gestito. In quel periodo ad alimentare la sua espansione furono nel medesimo tempo il progresso economico dell'URSS (che accrebbe la quantità di beni disponibili) e l'insufficienza di quello stesso progresso (che la mantenne comunque inferiore alla domanda, la quale stava a sua volta aumentando per effetto del miglioramento del reddito medio della popolazione). Questa situazione, infatti, tendeva ad accrescere sia le possibilità di procurarsi merci da vendere al mercato nero, sia la dipendenza dei consumatori sovietici da quest'ultimo.
Lo sviluppo dell'economia ombra ebbe conseguenze sociali indubbiamente gravi, poiché determinò la creazione di estese reti criminali, le quali per di più avevano ai loro vertici esponenti della classe dirigente del Paese.
· La situazione all'inizio degli anni Ottanta
Come detto, al principio degli anni Ottanta l'economia ormai era in piena stagnazione. Negli anni che seguirono la sua condizione non fece che peggiorare, per effetto dell'andamento dei prezzi petroliferi. Questi fra il 1973 e il 1980 erano notevolmente aumentati, e l'URSS - come rileva Boffa (1995) - aveva potuto trarre profitto dal rincaro, grazie anche alla scoperta di nuovi vasti giacimenti (per quanto gli introiti assicurati dalle esportazioni petrolifere venissero almeno in parte rigirati all'estero, attraverso le crescenti importazioni di cereali). Nel nuovo decennio però ebbe inizio la loro discesa, che gradualmente privò il paese di quella fonte di entrate supplementari. Kotkin (2010) riassume la situazione del tempo parlando di un'Unione Sovietica che aveva uno status di superpotenza (con tutti i costi che ciò comportava), ma un'economia ormai fondata soltanto sull'estrazione di combustibili fossili, in un contesto caratterizzato da un prezzo calante dei medesimi. Una riforma del sistema economico non era dunque più rimandabile. Il naturale ricambio generazionale che in quel periodo si ebbe al vertice del partito pose inoltre condizioni favorevoli alla sua effettuazione. Nel 1985 si arrivò così, dopo il breve interregno di Andropov e Černenko, all'elezione a segretario di Michail Gorbačëv.
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4. La fine del comunismo e gli sviluppi successivi
Gorbačëv mirò a una ristrutturazione (in russo "perestrojka") dell'economia che non sfociasse nella sua trasformazione in senso capitalistico. Catone (1998) e Kotkin (2010) menzionano quali principali riforme la concessione alle imprese di una maggiore autonomia e in particolare della possibilità di gestire per proprio conto i rapporti con l'estero, la promozione delle attività individuali e cooperative nel settore dei servizi e l'affidamento ai contadini di appezzamenti agricoli (la cui proprietà rimase comunque statale). Tuttavia questi provvedimenti, attuati nel triennio 1987-89, non consentirono una ripresa economica, ma all'opposto aggravarono la crisi. Infatti le imprese non trassero realmente vantaggio dalla maggiore indipendenza loro riconosciuta, poiché comunque le riforme non fecero sorgere un mercato interno realmente libero (in particolare, i prezzi continuarono ad essere fissati a livello politico), mentre subirono le conseguenze negative immediate del ridimensionamento della pianificazione: infatti le loro dirigenze spesso non furono in grado di sostituirsi alle autorità statali nella gestione dei propri rapporti con fornitori e clienti, in particolare con quelli ubicati nelle altre repubbliche dell'URSS e negli altri stati del blocco comunista.
Parallelamente il forte ribasso del prezzo del petrolio avutosi nel 1986 ridusse la disponibilità di valuta pregiata, imponendo di limitare le importazioni di manufatti. Questa coincidenza fra crisi produttiva interna e contrazione delle importazioni aggravò la penuria di beni di consumo, facendo sì che nei negozi cominciassero a scarseggiare persino quelli di prima necessità.
A determinare questa situazione, peraltro, contribuì anche il comportamento dei dirigenti delle imprese pubbliche e dei nuovi operatori privati. Questi difatti si erano visti riconoscere il diritto a gestire autonomamente il commercio con l'estero a condizione che i guadagni che ne avrebbero ricavato fossero impiegati per importare i beni di cui v'era minore disponibilità; però chi fra loro riuscì a condurre una proficua attività di esportazione si sottrasse a quell'obbligo, appropriandosi di tali guadagni e nascondendoli all'estero.
Gli anni Novanta videro il tracollo politico dell'Unione Sovietica, con la separazione fra le repubbliche che la componevano, e nel contempo il tracollo economico di quell'area. Infatti, se il tentativo di Gorbačëv di riformare il sistema si era risolto in un aggravamento della crisi in atto, il suo abbattimento ad opera di Boris Eltsin (dal 1991 al 1999 presidente della Russia) e dei politici di analogo orientamento che governarono nelle altre repubbliche produsse un ulteriore peggioramento della situazione.
Rifacendoci a Kagarlickij (2019) e ancora a Kotkin (2010), possiamo definire questo periodo come la fase del definitivo approdo di quell'area all'economia di mercato, ritenuto ormai ineludibile dopo che le riforme degli anni Ottanta avevano instaurato una situazione ibrida persino più disfunzionale dell'economia pianificata di epoca brezneviana.
Da un punto di vista economico questa fu una fase di crisi e di impoverimento, dalla quale tuttavia la Russia è riuscita a riprendersi all'inizio del nuovo secolo durante l'era putiniana. Per l'evoluzione più recente dell'economia russa, vista la complessità della situazione che si è andata delineando, rimandiamo alla bibliografia finale, in particolare Kagarlickij (2019), Morini (2020), Fulgenzi (2021), Ghezzo (2022), Colombo (2022), Catone (a cura di) (2022).
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5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Per una geografia storico-economica. La Russia. Percorso bibliografico nelle collezioni della biblioteca [il pdf contiene tutti i percorsi bibliografici che hanno accompagnato gli articoli relativi alla Russia, in ordine inverso a quello di pubblicazione].
Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della biblioteca.
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Gli articoli precedenti: - Per una geografia storico-economica. La Russia (Parte prima: il Medioevo), 2020, n. 58 (n. s.) - Per una geografia storico-economica. La Russia (Parte seconda: i secoli XVI e XVII), 2021, n. 61 (n. s.) - Per una geografia storico-economica. La Russia (Parte terza: il XVIII secolo), 2021, n. 65 (n. s.) - Per una geografia storico-economica. La Russia (Parte quarta: dal 1800 alla vigilia della rivoluzione sovietica), 2022, N. 70 (n. s.) - Per una geografia storico-economica. La Russia (Parte quinta: dalla prima alla seconda guerra mondiale), 2023, n. 71 (n. s.) |
Su "MinervaWeb" leggi anche: - Indice generale per rubrica [nella rubrica "Percorsi di storia economica" questo e altri percorsi di approfondimento di storia economica] |