A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Nel settimo centenario della morte di Dante Alighieri. L'eterno peregrinare del sommo poeta (e delle sue ceneri)
Abstract
Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 moriva in Ravenna Dante Alighieri. In vista dei settecento anni dall'evento, ci uniamo idealmente alle celebrazioni che già da fine 2020 si stanno svolgendo in tutta Italia, proponendo un contributo su alcune memorie dantesche nelle collezioni della Biblioteca del Senato.
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1. Un medaglione e la sua storia
2. Le prime celebrazioni dantesche
5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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1. Un medaglione e la sua storia
Tra il 13 e il 14 settembre 1321, a Ravenna, si concludeva il viaggio terreno di Dante Alighieri. Il 'ghibellin fuggiasco' aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita lontano da Firenze, peregrinando nell'Italia centro-settentrionale, e trovando temporanea ospitalità nelle corti dei da Camino a Treviso, dei conti Malaspina in Lunigiana, a Verona presso Cangrande della Scala, e infine da Guido Novello da Polenta a Ravenna, dove morì e fu sepolto in un'arca lapidea posta in un portico, all'esterno della chiesa e convento dei minori di San Francesco.
Come molti dei nostri lettori sanno, per essere più volte salito agli onori delle cronache, ed essendo stato esposto in mostra anche di recente, la Biblioteca del Senato conserva un medaglione d'oro, opera dell'orafo fiorentino Leopoldo Settepassi, contenente polvere e frammenti di foglie di lauro tratte dal sarcofago di Dante a Ravenna nel 1865. In occasione del settimo centenario dalla morte del sommo poeta, che si celebra in questi giorni, cerchiamo di ricostruire, attraverso le relazioni ufficiali, i documenti e le cronache dell'epoca, possedute dalla Biblioteca del Senato, come questo «pugnello di tritumi organici e di frammenti vegetali» sia stato tratto (o sottratto?) dal sepolcro di Dante e come sia arrivato in Senato.
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2. Le prime celebrazioni dantesche
Nel 1865, il neonato Regno d'Italia aveva appena trasferito la sua capitale a Firenze. E nella città di Dante, in un clima entusiasta per la seppur parziale unificazione nazionale, ebbero avvio le celebrazioni dantesche, le prime dell'Italia unita, per il sesto centenario della nascita dell'Alighieri. La ricorrenza fu l'occasione per riflessioni storiografiche, produzioni editoriali, mostre, ma anche per manifestazioni popolari di un vero e proprio culto laico per colui che il Risorgimento liberale considerava simbolo dell'unità culturale del 'bel paese', profeta dell'unificazione politica, nume tutelare della giovane nazione italiana.
Il 13 maggio, nell'antico Palazzo pretorio di Firenze, aveva avuto luogo la solenne inaugurazione di una grande mostra bibliografica e documentaria alla presenza del Re, del ministro della Real casa Nigra, del ministro dell'Istruzione Natoli e di altri illustri personaggi. Il giorno dopo, "La Nazione" (Senato: Giorn. 180; Camera: PG 0043) scriveva:
Noi festeggiamo oggi il profeta dell'Italia presente, il fondatore dell'unità nazionale. [...] Ciò che l'Alighieri nelle infelici condizioni del suo tempo non potea né chiedere né sperare è avvenuto oggi in Italia, che capo e vindice della unità italica non sia alcuno straniero, ma un principe italiano, né che il regno novello sia configurato con le dimesse idee del sacro romano impero, ma con ordini e con dottrine più veraci e più schiettamente civili. Ma a Dante dovremo pur sempre ricorrere con l'animo grato, come al fondatore dell'unità della nazione, come al padre d'ogni nostra grandezza; e a lui ripensando si suscita nella mente nostra la memoria di quegli spiriti magni sulla cui fronte arde variamente temperata e riflessa la fiamma del pensiero dantesco [...] sacerdoti di questa Italia che nella maturità dei tempi a lei disposti dalla provvidenza sorge nella ragione dei fatti già grande e gagliarda con moto meraviglioso e improvviso ma da sei secoli lentamente preparato nella ragione delle idee [...]. Ma se il concetto civile di lui ha trionfato di ogni ostacolo, non è ancora compiutamente attuato. A questo convien mirar tutti di proposito e concordemente non precipitando né indietreggiando e tanto meno transigendo. Da questa nazionale festività pigliamo nuova energia, acciocché l'Italia sia tutta degli italiani e cessi l'onta di ogni straniera dominazione e lo stato si sciolga dalla tirannide teocratica e sia divisa per sempre la tiara dalla spada.
Il quotidiano fiorentino, dunque, sposava l'interpretazione che di Dante aveva dato il Risorgimento liberale. Naturalmente, molto diverse erano le posizioni cattoliche, sostenute da giornali come "L'Armonia", quotidiano torinese portavoce di idee conservatrici, o "La Civiltà Cattolica" (Senato: Per. 327; Camera: PA 0329) che, in aperta polemica con la Nazione e con certe manifestazioni popolari e 'pagane', in quegli stessi giorni scrivevano:
Il giorno appresso, 13 maggio, ebbe luogo l'apertura della mostra Dantesca, ossia di codici preziosi, ed altri oggetti risguardanti l'Alighieri, celebrata in presenza del Re, con un discorso del prof. Augusto Conti; ed alli 14 si cominciarono le feste pel Centenario di Dante Alighieri, onde si volle inaugurare la nuova Capitale, non si sa se temporanea o definitiva, del Regno d'Italia, onorando l'altissimo Poeta con corse di cavalli, con luminarie, con feste da ballo, con tornei noiosi quanto dispendiosi, con accademie letterarie ed altre simili produzioni sul gusto della civiltà moderna. Il maggior chiasso fu il primo giorno, quando fu dedicato in piazza Santa Croce la statua di Dante scolpita da Enrico Pazzi Ravennate. Del quale fatto leggiamo una vivace descrizione nell'Armonia del 17 maggio, che mostra quel che fossero in realtà le pompe descritte con tanto sfoggio dalla Nazione di Firenze. "Non parlo dei vestigi e dei ricordi repubblicani; non delle epigrafi quando bugiarde, quando antipapali, e barbare quasi tutte; non delle antenne infinite ornate di bandiere a grandi strisce di maccheroni; non dei gingilli e dei cerotti onde sono impiastrati i muri di Firenze. Questi sono accessori in una festa nazionale, ristretta tutta al culto dell'uomo civile ed estranea al cittadino religioso. Agl'italianissimi basta di dare ad intendere che l'Alighieri, fiorentino e repubblicano d'anima, poeta e letterato cattolico, ha preconizzato l'unità d' Italia e la caduta del dominio temporale del Papa. La festa del Centenario di Dante è una festa ibrida e pagana, è una contraddizione alle sue dottrine politiche e religiose, una negazione dei sentimenti del popolo...".
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Anche Ravenna, la città che conserva le spoglie mortali del sommo poeta, si apprestava in quei giorni a dare il via alle celebrazioni dantesche, in vista delle quali il Municipio aveva dato incarico all'ingegnere Romolo Conti di compiere alcune opere di riqualificazione sul tempietto e nell'area limitrofa alla tomba dell'Alighieri. In occasione dei lavori fu rinvenuta, fuori dal sepolcro, una cassetta con delle ossa umane, che riportava due iscrizioni: «Dantis Ossa. Denuper revisa die 3 Iunij 1677» e «Dantis Ossa a me Fr.e Antonio Santi hic posita anno 1677 die 18 octobris». Le due scritte, di mano del priore del convento di San Francesco, Antonio Santi, chiariscono che i frati, nel giugno del 1677, sentirono l'esigenza di verificare l'integrità delle spoglie mortali di Dante e che, nell'ottobre di quello stesso anno, decisero di collocare la cassetta in un luogo sicuro.
Le ossa di Dante erano state custodite nel convento di San Francesco fin dal 1519, quando i frati dovettero trafugarle segretamente dal sepolcro per nasconderle e scongiurare il pericolo che i fiorentini riuscissero nell'antico progetto di sottrarle a Ravenna e riportarle a Firenze, grazie alla presenza sul soglio pontificio di un papa Medici, Leone X. Alcune testimonianze riportano che nel 1780, quando l'architetto Camillo Morigia, su commissione del cardinale legato in Romagna Luigi Valenti Gonzaga, fu incaricato di realizzare, al di sopra della tomba quattrocentesca, un piccolo mausoleo in forma di tempietto, «il Sepolcro di Dante fu gettato a terra e dai fondamenti fu riedificato [...] La cassa di Dante fu aperta e non si trovò alcuna cosa; fu di nuovo sigillata [...] e fu messo ogni cosa sotto silenzio». Mentre la relazione ufficiale usa una formula sibillina «nell'urna si rinvenne ciò che era necessario per non dubitarne».Così la scoperta della cassetta, nel 1865, nel vano di una porta murata nei pressi della cappella di Braccioforte, fu inatteso e suscitò molta sorpresa e clamore.
Ne fu data immediata comunicazione al Governo e venne nominata una Commissione che svolgesse le verifiche necessarie per l'accertamento dell'attendibilità del ritrovamento. La Commissione, composta di archeologi, storici, dantisti, bibliotecari, notai e medici, fu presieduta dal senatore Giovanni Gozzadini, e vide tra i suoi membri anche il sindaco di Ravenna e deputato del Regno Gioacchino Rasponi e Atto Vannucci, che sarebbe stato nominato senatore nei mesi seguenti e che avrebbe poi ricoperto, a partire dal 1871, la funzione di membro della Commissione per la Biblioteca del Senato, contribuendo in maniera decisiva alla crescita e alla determinazione della fisionomia storico giuridica delle raccolte della Biblioteca. La Commissione ritenne opportuno, anzitutto, procedere all'apertura dell'antica tomba di Dante per verificarne lo stato e il contenuto. Secondo il rogito fatto in Ravenna il 7 giugno 1865, pubblicato nella relazione a cura del Municipio di Ravenna, alle operazioni di apertura assistettero la Giunta e l'intero Consiglio Municipale di Ravenna, altri illustri personaggi ravennati e una rappresentanza fiorentina. Tra i presenti, Enrico Pazzi, l'autore della statua di Dante appena inaugurata a Firenze in piazza Santa Croce, che ebbe modo di presenziare approfittando forse dell'amicizia che lo legava al conte Rasponi e ad Atto Vannucci.
Nel sarcofago, sostanzialmente vuoto, furono rinvenuti calcinacci, polvere, frantumi di foglie secche di alloro, alcune schegge di greco e soltanto tre falangi che poi si verificarono mancanti allo scheletro rinvenuto nella cassetta del padre Santi. Si procedette altresì alla raschiatura dell'intonaco interno all'urna, da sottoporsi ad analisi chimica. Le falangi furono chiuse e suggellate
in foglio di carta con cera lacca rossa portante lo stemma Comunale di Ravenna [...] e si ritenne il detto piego dallo stesso Signor Sindaco per essere depositato nel Municipio, onde farne riscontro colle altre ossa, che furono rinvenute [...]. Le foglie secche di alloro e la polvere minuta sortita dal vaglio, insieme colle schegge di greco furono messe in un vaso di cristallo che ritenne presso di sé il prelodato Sindaco per esser deposto nel Municipio. Le raschiature fatte e raccolte nell'interno dell'Urna [...] furono dal Signor Sindaco chiuse in quattro fogli di carta [...] e furono consegnate all'Onorevole Signor Presidente della Commissione Governativa Commendatore Gozzadini per essere sottoposte ad analisi chimica. I calcinacci poi, quantunque ritenuti di nessuna importanza e valore, furono pure raccolti in altro vaso di cristallo da essere rimesso al Municipio di Ravenna.
Dunque, tutto quello che fu rinvenuto nella tomba di Dante restò in custodia presso il Sindaco. La Commissione dispose, per le analisi, delle sole raschiature. Il sepolcro fu di nuovo murato, e di tutto si distese rogito pubblico firmato dalle autorità locali e dalla Commissione.
Il 24 giugno era previsto l'inizio delle feste ravennati, annunciato da salve di artiglieria.
I cittadini fin dal mattino si affollavano per le vie tutte adorne di bandiere tricolori, Ravenna non ebbe mai aspetto più lieto di quel dì sacro alla memoria del poeta immortale [...] eransi innalzate aste ornate di stemmi e bandiere, cinte all'intorno di festoni d'edera e d'alloro; festoni disposti con eleganza servivano a congiungerle le une colle altre... quattro aste di maggiore altezza delle altre portavano nei loro pennoni gli stemmi di Roma, Venezia, Firenze e Ravenna. Nobile pensiero che mentre ci additava da un lato quasi avverato il grande divisamento dell'Allighieri sull'unità della Patria, ci spronava dall'altro ad intieramente incarnarlo.
La fortunosa scoperta delle ossa di Dante avvenuta pochi giorni prima e il lavoro di ricomposizione dello scheletro, per opera dei medici incaricati dalla Commissione, i professori Puglioli e Bertozzi, permise l'esposizione delle reliquie dantesche, deposte in una «elegantissima urna di cristallo collocata sopra elevato basamento in mezzo alla Cappella di Braccioforte poco lungi dal Sepolcro, mentre un candido velo ricopriva agli occhi della moltitudine l'invidiabile tesoro». Un corteo formato dalla Guardia Nazionale, la Giunta ed il Consiglio municipale, i rappresentanti di tutti gl'Istituti ravennati, i sindaci e le delegazioni di molte città ed istituti del Regno, le autorità politiche e militari della provincia, le deputazioni di storia patria per l'Emilia, il prefetto ed il consiglio di prefettura, il Ministro della pubblica istruzione Natoli e la rappresentanza fiorentina, il sindaco di Ravenna e il discendente di Dante, il conte Serego Alighieri, si mosse dal Municipio e, fra la moltitudine festosa stipata lungo la via, giunse alla Cappella di Braccioforte, dove il sindaco pronunciò un discorso e tolse il velo,«fra lo applaudire del popolo che proruppe in evviva di entusiasmo al primo discoprirsi dell'urna».
Le feste ravennati continuarono tra convegni di studio, esposizioni, concerti, premiazioni ma anche banchetti, corse di sedioli, estrazioni della tombola, luminarie, esperimenti di luce elettrica e fuochi d'artificio. Il 26 seguente il Sindaco «invitava tutti quelli che avevano preso parte al Corteggio nel giorno 24 a ragunarsi nella residenza municipale, onde recarsi colla stessa pompa del primo giorno, alla solenne reposizione delle ossa del divino poeta».Dalla lettura del rogito della cerimonia di chiusura si ricava che furono ricollocate, in una cassetta di legno rivestita di altra di zinco, «oltre alle predette osse dantesche [...] anche il resto della raschiatura dell'Urna marmorea rimasta dall'analisi chimica come da precedente rogito dell'11 corrente». Non si fa alcun cenno, nel verbale della ricollocazione, ai vasi di cristallo nei quali erano state raccolte le foglie secche di alloro, la polvere minuta sortita dal vaglio, le schegge di greco e i calcinacci. Si deve dunque pensare che quei tritumi e frammenti fossero rimasti nel Municipio di Ravenna, dove erano stati portati il 7 giugno. Ma da una serie di testimonianze tardo ottocentesche, sembrerebbe che anche alcuni frammenti ossei non ritrovarono la via del sepolcro.
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Corrado Ricci, nel suo L'ultimo rifugio di Dante Alighieri (Milano, Hoepli, 1891), racconta che
Il prof. Filippo Mordani, che per le feste dantesche di Ravenna era della Commissione ordinatrice e presente mentre si ricomponeva lo scheletro di Dante, trovò modo di sottrarre una falange, da lui in fin di vita fatta restituire al Municipio di Ravenna. Forse qualche altro pezzetto d'ossa, come reliquia adorata, s'attaccò alle mani di qualcun altro Commissario.
E infatti, il caso di Mordani non fu l'unico. Nel 1878 il segretario comunale di Ravenna, Pasquale Miccoli, in procinto di ritirarsi dalla vita pubblica, aveva consegnato al suo successore un pacchetto con «diverse ossa, avanzi mortali del Divino Poeta, trafugate all'epoca del loro scoprimento nel 1865». E persino uno dei notai della Commissione governativa, Saturnino Malagola, lasciò in eredità una scatolina di legno con un osso di Dante. Tra quanti tennero per sé un qualche macabro souvenir tratto dalla tomba dell'Alighieri ci fu anche lo scultore Enrico Pazzi che, di quanto era riuscito a sottrarre, realizzò (e fece persino autenticare dallo stesso notaio Malagola!) varie reliquie da donare a personaggi eminenti. Ancora Ricci, su "Il Marzocco" del 22 luglio 1900 scriveva:
solo chi ha conosciuto bene il Pazzi può immaginare quale dovette essere la sua felicità di poter distribuire le autenticate ceneri a Sovrani, Ministri, Municipii, ecc. Ne diede un pizzico a una principessa valacca, ne diede una presa al Senatore Achille Rasponi, ne diede - come veggo ora - anche (e fece meno male) al Municipio di Firenze.
Tra le reliquie confezionate e distribuite dal Pazzi c'erano quella che nel 1889 fu donata a Desiderio Chilovi in qualità di direttore della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, e quella giunta nel 1911 al Senato, grazie al deposito del senatore del Regno Alessandro D'Ancona. Pochi anni dopo, nel 1914, D'Ancona stabilì di lasciare alla Biblioteca del Senato parte della sua biblioteca personale, e in quella occasione dispose altresì (in un biglietto indirizzato alla Biblioteca del Senato e custodito nel suo Fondo Cimeli) che alla sua morte il deposito fatto il
30 marzo 1911 secondo il verbale segnato da me e dai componenti la commissione per la Biblioteca del Senato passi in pieno possesso perpetuo al Senato stesso. Esso contiene un pugnello di tritumi organici e di frammenti vegetali, che lo scultore Enrico Pazzi trasse dall'antico sepolcro di Dante quando esso fu riaperto nel 1865 a Ravenna e fu verificato che le reliquie di lui trovavansi nella cassa suggellata dal frate Antonio Santi. Altre simili reliquie si trovano in Firenze nella Casa di Dante e nella Biblioteca di Firenze [...]. Questo pugnetto ch'io dono al Senato fu messo dal Pazzi entro un cerchietto d'oro e donato ad una signora, donde passò a mio fratello prof. Cesare e da lui a me. È evidente che furono avanzi delle spoglie mortali del poeta e delle fronde d'alloro, e che essi stettero nella tomba del poeta dal giorno in che fu sepolto fino alla riapertura di essa nella solennità del centenario.
In questo proliferare di reliquie dantesche, cominciarono a circolarne anche di false. Motivo per cui probabilmente il Pazzi aveva sentito la necessità di far autenticare quelle da lui confezionate. Effettivamente, «la moltiplicazione dei resti del Poeta cominciava a diventare allarmante»(così Indro Montanelli, nel fascicolo dedicato all'Alighieri, nel suo I protagonisti, Milano, Il giornale, 1993), e per tale ragione nel 1921, quando si erano appena concluse le celebrazioni per il sesto centenario della morte di Dante, si decise di riaprire il sepolcro ravennate. La ricognizione, inventario e ricomposizione dello scheletro dantesco fu affidata a due fra i più insigni antropologi italiani dell'epoca: il professor Giuseppe Sergi, dell'Università di Roma, e il professor Fabio Frassetto dell'Università di Bologna. Tutto il materiale rinvenuto nel sepolcro fu fotografato e meticolosamente inventariato, furono eseguite rilevazioni metriche e paleopatologiche. Ci vollero quattro giorni, dal 28 al 31 ottobre del 1921 - racconta Montanelli - «per liquidare la questione, come fu chiamata, "delle ossa estravaganti", cioè per discriminare i pezzi autentici dai vari doppioni, fra cui ne furono scoperti anche di coniglio e di vitello». Negli anni successivi Frassetto avrebbe approfondito i suoi studi anatomici e antropologici sulle ossa di Dante, dando alla luce nel 1933 il Dantis ossa. La forma corporea di Dante: scheletro, ritratti, maschere e busti nel quale ricostruì quelle che dovettero essere le caratteristiche fisiche del sommo poeta e ne analizzò la corrispondenza con le immagini più note dell'iconografia dantesca.
Le spoglie dell'Alighieri furono spostate un'ultima volta durante la Seconda guerra mondiale, nel 1944, quando furono collocate nel quadrarco del Braccioforte, per proteggerle dalle minacce dei bombardamenti e dalle mire dei nazisti, e dove oggi una lapide su un piccolo rilievo coperto di edera ricorda che «sotto questo tumulo le ossa di Dante ebbero sicuro riposo dal 23 marzo 1944 al 19 dicembre 1945», per poi tornare nel tempietto del Morigia. E mentre il corpo di Dante continuava a 'vagare' a Ravenna, anche le ceneri conservate presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e quelle del Senato stentavano a trovare una sistemazione definitiva, come ricostruito recentemente da Antonio Giardullo nella "Rivista di studi politici internazionali" (vol. 67, n. 2, aprile-giugno 2000), e come ci raccontano i documenti conservati presso l'Archivio storico del Senato, illustrati in un articolo in corso di redazione per il suo trimestrale "MemoriaWeb", che a Dante ha già dedicato contributi a marzo e giugno 2021.
Il vagare di Dante, tuttavia, non è ancora concluso. È stato sancito infatti un accordo tra il Comune di Ravenna e l'Università di Bologna, affinché si proceda a un'ulteriore ricognizione sulle ossa di Dante che, grazie alle attuali conoscenze medico-scientifiche e agli strumenti tecnici moderni, permetterà di acquisire maggiori certezze circa l'autenticità dei reperti e la loro datazione. La nuova ricognizione era stata prevista per il 2021, in occasione del settimo centenario della morte dell'Alighieri, nel solco della tradizione e dei precedenti del 1865 e del 1921, ma è stata recentemente rimandata al 2022, quando si concluderà lo studio di fattibilità e quando, forse, si metterà finalmente la parola fine all'eterno peregrinare del sommo poeta.
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5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Le ceneri di Dante, nel settimo centenario della morte. Percorso bibliografico nelle collezioni del Polo bibliotecario parlamentare, qui di seguito riportato. Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai cataloghi del Polo bibliotecario parlamentare e alla ricerca nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche delle due biblioteche.