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Il tarlo dell’Occidente, di Marcello Pera

Proponiamo qui in anteprima e senza interventi redazionali un estratto della prefazione di Marcello Pera al volume Il suicidio dell'Occidente, in uscita a settembre presso Rubbettino, che raccoglie le relazioni al convegno omonimo tenuto nella Sala capitolare del Senato il 31 gennaio 2024. Ringraziamo per questa anticipazione il sen. Pera, Presidente della Commissione per la biblioteca e per l'archivio storico.

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Nonostante l'irrisione di Giacomo Leopardi, la modernità è avanzata segnando «magnifiche sorti e progressive». Ha rovesciato un modo di pensare bimillenario, se si includono, oltre ai tempora christiana, quelli della polis greca e della res publica romana, pensando l'uomo non più come elemento dell'ordine ma come autore e padrone dell'ordine. Nella scienza ha distrutto qualunque principio di autorità, foss'anche quello della Scrittura, e ha prodotto conoscenze pubbliche, controllabili, universali. Nella morale ha scoperto l'autonomia della ragione che dà norme a sé stessa. Nella politica ha inventato l'autosufficienza e l'indipendenza delle istituzioni del potere. E nel diritto ha scoperto le libertà individuali compatibili, che potenzialmente rendono l'uomo cittadino di una società cosmopolita pacificata. Ovunque ha desacralizzato ma ha costruito altre cattedrali.

Fu vera gloria? Anche se i criteri della gloria sono in mano ai posteri, innegabilmente lo fu. L'Occidente ne ha beneficiato al punto di essere sinonimo di modernità: almeno materialmente, tanto progresso non si era mai visto. Ma oggi che la modernità si coniuga al passato, che la scienza come conoscenza benefica trasmette invece incertezza e paura, che la morale dell'autonomia si trasforma in egoismo individuale o di gruppo, che la società-comunità cosmopolita lascia il passo a una globalizzazione che manca di identità o, al contrario, a una localizzazione che premia l'identità ma perde la ragione dello stare assieme, che il diritto trasforma le libertà individuali in soddisfazioni di richieste soggettive e, soprattutto, che l'Occidente europeo nega significato a qualunque richiamo alla trascendenza, a cominciare da quella religione cristiana che ha segnato la sua storia, insomma oggi che la modernità non produce più quel senso missionario di conquista, benessere, liberazione, emancipazione che l'ha caratterizzata e si ripiega piuttosto su sé stessa, insicura di sé, incerta persino del proprio valore oltre che del proprio destino, ecco che la domanda se la modernità sia stata vera gloria e soprattutto se possa esserlo ancora si pone con prepotenza e la risposta si fa meno fiduciosa.

Gran parte della questione ruota attorno al cristianesimo. La modernità l'ha trovato in ogni angolo: nelle famiglie e nelle chiese, nelle istituzioni e nei regni, nei tribunali e nei costumi, nell'arte, nella cultura, persino nell'urbanistica delle grandi capitali e dei più minuti villaggi. Questo cristianesimo non era solo una fede e un culto: l'antica res publica christiana, prima ancora che un assetto istituzionale, era un modo di pensare sé e il cosmo, e sé nel cosmo. Era ordine, gerarchia, disposizione armonica, immutabile e intoccabile perché fissata ab aeterno dal Creatore. Per conseguenza, era anche divieti. Non si può elevare il popolo al livello del re, il servo a quello del padrone, la donna a quello dell'uomo, la conoscenza umana a quella divina.

Oltre che credo religioso, questa fede cristiana fu una Weltanschauung pervasiva, concepita e vissuta a immagine secolare di un presepe - di qua l'uomo, di là la donna, attorno gli animali, fuori l'ambiente, in cammino a rendere omaggio il potere politico, e sopra tutti il Creatore e Reggitore divino. Fu una civiltà che, all'epoca del suo massimo splendore nel Rinascimento, svettava con possenti edifici di mattoni e di pensiero. Una costruzione mirabile di idee, di sapienza, di conoscenza, di gusto, di costume, di potenza, che si proiettava sul mondo noto che unificava e su quello nuovo che appena scopriva e modellava. Sempre con la croce di Cristo.

La modernità, questa fede-concezione-istituzione, l'ha accolta? Se ne è solo servita? L'ha combattuta? L'ha espunta dal proprio orizzonte? L'ha consegnata e lentamente ma prepotentemente confinata, come oggi si osserva, in dimensioni private, lasciandole l'ufficio della consolazione e dell'edificazione dell'anima individuale, ma negandone, come irrilevante, se non come ostacolo, la dimensione sociale e politica? E se questo è accaduto - ed è fatto innegabile che sia accaduto - possono i vantaggi riconosciuti della modernità sopravvivere all'apostasia esplicita o all'oblio strisciante e silente del cristianesimo? Ancora. Vi sono buoni argomenti per restaurare in qualche forma nuova l'antico sentire? Ce n'è bisogno? Oppure la modernità ha la stessa logica di tutte le rivoluzioni: sono autofagiche, perché, arrivate al punto di raggiungere il fine promesso, finiscono col mangiare sé stesse e sono bulimiche, perché più si nutrono e più ingrossano, ma meno si rafforzano?

I saggi qui raccolti sono centrati attorno a questi problemi.

Scarica la copertina e l'indice del Suicidio dell'Occidente, a cura del sen. Marcello Pera

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