A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Testimonianze
In ricordo di Aldo Masullo (1923-2020)
Lo scorso 24 aprile, pochi giorni prima di compiere 97 anni, è scomparso il filosofo Aldo Masullo, professore e parlamentare per quattro legislature tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, prima alla Camera (VI Leg.) e poi in Senato (VII, XII e XIII Leg.).
Formatosi nella prima gioventù a Torino, laureatosi in filosofia e in giurisprudenza all'Università di Napoli, nello stesso ateneo ha insegnato Filosofia teoretica e Filosofia morale, concludendo la carriera come direttore del Dipartimento di Studi Filosofici; nei suoi mandati parlamentari si è occupato dei problemi dell'istruzione, dell'università e della ricerca, poi della vigilanza sui servizi radiotelevisivi, e ha discusso anche disegni di legge su temi bioetici. È stato insignito della medaglia d'oro del Ministero per la Pubblica Istruzione per la sua attività d'insegnamento e ha fatto parte di varie società di studi tra cui l'Accademia Pontaniana e la Società Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Napoli.
La selezione delle sue opere disponibili nel catalogo del Polo bibliotecario parlamentare - alla cui consultazione rinviamo per estendere la ricerca - ripercorre la sua storia di studioso e di politico: dalle prime riflessioni degli anni Cinquanta su Zenone e sulla fenomenologia di Husserl, agli scritti degli anni Settanta-Ottanta su metafisica e antimetafisica, fino alla concezione della frammentazione della soggettività espressa in Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza (Roma, Donzelli, 1995), passando attraverso libri dedicati a Napoli nel periodo dell'impegno nella politica cittadina degli anni Novanta, e senza tralasciare la raccolta di scritti in suo onore Comunità e solitudine (Napoli, ESI, 1997).
Con la Biblioteca del Senato, Aldo Masullo si è incontrato più volte, e non soltanto come utente o tramite le sue pubblicazioni. Membro della Commissione per la Biblioteca nella XIII legislatura, ha redatto la prefazione di vari cataloghi di esposizioni o fondi della biblioteca (I luoghi della cultura. Accademie e deputazioni nella storia d'Italia, 2001; Catalogo del Fondo Filippo Vassalli, 2000; Dibattiti, progetti e riforme costituzionali dallo Statuto Albertino alla Costituzione della Repubblica, 1999; L'Italia del Risorgimento. Giornali e riviste nelle raccolte della Biblioteca del Senato 1700-1918, 1998) e partecipato a incontri come il seminario dal titolo Scienza e umanesimo: un'alleanza?, tenutosi nelle giornate del 27 e 28 novembre 2017 su iniziativa dell'allora Presidente della Commissione per la Biblioteca e l'Archivio storico, senatore Sergio Zavoli, i cui atti sono stati pubblicati e sono disponibili in pdf sul sito del Senato.
Proprio da questo evento vogliamo riportare, per ricordare il grande filosofo, le sue riflessioni sulle possibilità di una 'nuova alleanza' non tanto tra scienza e umanesimo - che di per sé non sono in contrasto - quanto tra tecnica e società, tra la potenza (e i limiti) della ragione e le potenzialità della creatività, tra la dimensione etica della scienza e un'attenzione all'essere umano che si prenda cura della soggettività del vissuto.
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Scienza e umanesimo: un'alleanza?
Il tema della discussione soffre inevitabilmente di vaghezza, e ognuno dei suoi termini andrebbe preliminarmente precisato.
Cos'è 'scienza'?
Che cosa 'umanesimo'?
L''alleanza' poi sottintende uno stato di conflitto, che s'intende superare con il richiamo dei contendenti alla ragione e, perché no?, all'alleanza contro un terzo ad ambedue nemico.
Sembra trattarsi dunque di una questione pratica, più che teorica!
Di fatto in questi ultimi tempi la questione dei rapporti tra la cosiddetta scienza e il cosiddetto umanesimo ha mostrato sempre più prepotentemente la sua portata pratica. Un esempio è l''appello' (termine della sfera pratica), che nel 2013 tre illustri umanisti sottoscrissero. Il filosofo Roberto Esposito, lo storico Ernesto Galli della Loggia e il letterato Alberto Asor Rosa denunciavano che, soprattutto in Italia, della cui civiltà è fondamento, «il concetto stesso di umanesimo si trova ad essere messo fuori gioco. Questa crisi si respira nei mass-media, nelle mode da questi accreditate, nell'editoria di consumo, nel discorso pubblico, nell'atteggiarsi concreto dell'opinione. E si manifesta nel campo della formazione delle giovani generazioni»!
Prima di calarsi nella sostanza pratica della vertenza, conviene considerare se nella consistenza concettuale, teorica, dei campi designati sia pur vagamente dai due termini, non vi siano ragioni di dissenso, o rivalità o vero e proprio conflitto.
'Scienza', a dirla sommariamente, designa ogni sapere 'vero', in qualsiasi modo ciò s'intenda, ma comunque valido erga omnes, tale cioè che tutti debbano riconoscerlo, perché i mezzi della sua controllabilità, più o meno mediatamente, cioè a certe condizioni, sono pubblici. Ovvero gli asserti del sapere scientifico sono veri, finché non vengono dimostrati falsi, come insegna Popper. 'Umanesimo' è l'instancabile lavoro dell'uomo per conservare il suo vissuto, e riviverlo con maggiore chiarezza e tradurne il senso in richiami erga omnes, a tutti gli altri uomini, parole, figure, suoni, e interpretazioni su interpretazioni, tutti atti d''invito' (Fichte dice Aufforderung) ad una comune umanità. 'Umanesimo' è un assiduo lavoro di riappropriazione trasformatrice del vissuto in nuovo vissuto.
Si possono così chiarire distinzione e connessione tra cosiddetta 'scienza' e cosiddetto 'umanesimo'.
Alla 'scienza' compete la sfera del vivente, cioè dell'uomo come vivente e di ogni altra cosa che, essendo con lui comunque in rapporto, è parte della vita del mondo umano, fino ai, limiti estremi, se mai si troveranno, dello spazio-tempo, anche cose come atomi e particelle subatomiche, o come astri, buchi neri, onde gravitazionali.
All''umanesimo', compete invece la sfera del vissuto, che non può essere se non il vissuto dell'uomo, poiché solo l'uomo, finora, è coscienza ragionata delle sue azioni e delle stie passioni, e solo lui dunque testimonia 'dall'interno' la sua vita e racconta la sua storia.
La misura della 'scienza' è il 'vero'.
La misura dell''umanesimo' è l''autentico'.
Dal punto di vista di competenza e modus operandi, 'scienza' e 'umanesimo' non sono affatto una coppia di opposti, bensì di distinti e se mai complementari. Non è inutile però chiedersi quali ne siano le mire profonde o, con terminologia fenomenologica, l'«intenzione». Panofsky, a proposito dell'opera d'arte, parlava di Kunstwollen. Qui ci si chiede: qual è il Wollen della 'scienza' e quale è quello dell''umanesimo'?
Non vi è alcun dubbio che, come Bacone e tutta la storia dell'uomo prima e dopo di lui insegnano, l'intenzione della 'scienza' sia il potere. Si avverte: «conoscere per deliberare», cioè ottimizzare le scelte nel campo politico e morale. Ciò vale in ogni campo: occorre conoscere le cose per modificarle, conoscere la situazione per piegarla a nostro vantaggio.
Tutt'altro è il Wollen dell'umanesimo. Esso è la 'cura' dell'umano, la cui identità non è un astratto concetto, ma la vita stessa vissuta, o appunto, come s'è detto, le azioni e le passioni, il cui senso, irripetibile, echeggia nell'animo. Esso 'intende' propagarsi, perché la sua presenza in noi è la nostra gioia. Per usare i bei termini agostiniani, nella 'scienza' sta l'uti umano del mondo, nell''umanesimo' sta il frui umano di sé.
Che scienza e umanesimo siano tutt'altro che l'un l'altro contrari, anzi al fondo oggettivamente solidarizzino, si mostra in molti decisivi tornanti della storia della cultura.
A metà dell'Ottocento, il secondo principio della termodinamica trasferì la nozione del tempo irreversibile dall'esperienza soggettiva alla oggettività della scienza e, saldandola con la funzione rigorosamente matematica di entropia crescente, ne collocò la carica epistemologicamente esplosiva al centro della fisica. Il 'secondo principio' sconvolgeva assetti di vari saperi.
Esso innanzitutto gettava la fisica in un radicale dualismo di regimi epistemici tra dinamica e termodinamica.
In secondo luogo portava con sé un'inquietante contraddizione 'culturale'. Da una parte, introducendo il tempo irreversibile nella fisica, sembrava accordare questa con la nuova idea evoluzionistica della biologia e, in campo umanistico, con la forte sensibilità progressistica del sapere storico. Dall'altra parte, con la prospettiva dell'irresistibile 'degradazione' verso uno stato finale di massimo disordine ed equilibrio, cioè di massima uniformità ed inerzia, pone la fisica in collisione con l'evolutività delle forme biologiche e la progressività delle forme spirituali, presenti nel campo umanistico.
Qualsiasi senso, nella cultura della modernità matura, i complicati congegni di significazione dei saperi biologici con l'idea dell'evolutività della vita, e dei saperi umanistici con l'idea della progressività della storia, fossero capaci di conferire al nostro esistere, esso veniva oscurato e mortificato dall'ombra di fondo della radicale insensatezza, proiettata dalla prospettiva panentropica.
Con la crisi epistemologica, sviluppatasi nella seconda metà del Novecento, la nozione di irreversibilità ha cominciato a trasformarsi profondamente, essendo stato messa in questione la sua portata involutiva. Il 'secondo principio', come commenta Prigogine con la sua allieva Stengers, «ha smesso di identificarsi con la scomparsa di ogni attività e differenza». Anzi esso adesso «partecipa alla comprensione di un mondo intrinsecamente evolutivo», sulla base della inaudita tesi che «la morte termica, lungi dal rientrare nel nostro futuro, risale piuttosto alle nostre origini».
Nel nuovo quadro l'irreversibilità del temponon appare più necessariamente involutivama neanche necessariamente evolutiva. Il cambiamento è restituito alla sua costitutiva immediatezza e immediabilità. S'impone, nozione comune al campo della scienza e al campo umanistico, l'idea dell''evento'.
È assai significativo che a questo punto uno scienziato come Prigogine abbia proposto la «Nuova Alleanza» tra scienza e umanesimo, per quanto in linea di principio i due campi non si siano mai scontrati, perché non lo possono. Di fatto gli scontri sono sempre avvenuti tra elementi estranei che di volta li hanno penetrati e inquinati.
Lo scontro, inesistente tra scienza e umanesimo, si concretizza se si parla, da un lato, della tecnica, la quale della scienza è figlia e insieme strumento di sviluppo, e dall'altro lato della società, cioè dell'ordine dei rapporti umani, del cui campo l'umanesimo è il produttore.
Nell'attuale situazione storico-culturale non manca chi profila la possibilità che infine, divenuta tutta tecnica la società, come ad esempio ipotizza Jacques Ellul nel suo celebre libro Il sistema tecnico, la tecnica si presenti come il sistema inclusivo dello stesso intero sistema. Al limite la tecnica inghiottirebbe la società, diventerebbe essa medesima la società. L'umanesimo sarebbe vanificato.
Se ciò si avverasse (e non è detto che non possa), vale a dire se nell'umano tra la vita(la vita umana è essenzialmente sociale) e la tecnica non restasse una sia pur minima eccedenza della prima sulla seconda, il gioco di libertà e occasioni si annullerebbe. Non vi sarebbero più occasioni e attive risposte, ma solo cause e casi. Né più vi sarebbe libertà. Ma solo, a voler dire la cosa nel 'fisicissimo' linguaggio della meccanica, il maggior o minore "'rado d'indipendenza da vincoli' dei movimenti di un corpo; ovvero, nel linguaggio della psicologia economica, la possibilità di semplici 'scelte'. Sottolinea il sociologo francese: «L'uomo, a cui si attribuisce il potere di scelta, di decisione, d'iniziativa, di orientamento» sarebbe «un uomo ormai totalmente immerso nella tecnica». Si tratterebbe insomma di un uomo strettamente "conformato": la cultura, lo svago, il desiderio, le scelte, tutto sarebbe 'tecnicizzato'.
L'umanesimo sarebbe uscito di scena.
Il rapporto tra scienza e umanesimo si presenta in modo concretissimo nella funzione della 'formazione', dov'è in gioco la stessa forma mentis degli uomini in un determinato momento storico.
Alla mentalità scientifica compete intrinsecamente la sensibilità alla funzione civile della scienza, di cui sono costitutive laicità e democraticità. Quella che noi moderni chiamiamo comunemente e in senso lato "scienza", nasce con la transizione dalla cultura greca arcaica a quella classica. Allora al sapere degli sciamani, dei sacerdoti, dei maghi, verbale e liturgico, comunque esoterico, incontrollabile, trasmissibile solo iniziaticamente all'interno di una casta, se ne viene sostituendo un altro radicalmente diverso: aperto, empirico o astratto, comunque provabile con i fatti e la logica, consistente di procedure operative potenzialmente pubbliche in ogni loro articolazione.
Il sapere scientifico non è riservato. Al contrario esso è, in linea di principio, insegnabile a tutti, e quindi da tutti controllabile.
In quanto obbligata alla prova senza eccezioni e caratterizzata dalla illimitata insegnabilità, la scienza è costitutivamente laica e democratica.
Da ciò conseguono il potere pienamente autonomo della scienza ma anche la sua assoluta responsabilità etica.
In un mondo, tendenzialmente totalizzato dal circolo tecnica-economia e in sempre più rapida trasformazione, alla sempre maggiore potenza dell'umana capacità modificatrice della natura, uomo compreso, consegue l'impotenza a conoscere le conseguenze "estreme" dell'azione modificatrice. Come avvertiva Hans Jonas, «di fronte alle possibilità quasi escatologiche degli attuali processi della tecnica, il fatto stesso di non conoscerne le conseguenze ultime diventa una ragione per stabilire responsabilmente dei limiti».
Solo con la profonda coscienza storico-critica di questa situazione, gli scienziati oggi, affinché l'umanità sopravviva migliorandosi, possono essere non tanto gl'indispensabili pezzi dell'ormai colossale macchina della ricerca, quanto i fautori e i maestri di una nuova eticità e di una nuova politicità, capaci di corrispondere nel presente all'appello del futuro.
L'obiettivo oggi, nella formazione dello scienziato, è sviluppare in lui, insieme con le competenze logico-matematiche ed empirico-sperimentali, due salvifiche capacità. La prima è la sistematica attitudine alla comprensione razionale della potenza e dei limiti della ragione, pericolosamente ma vitalmente coinvolta nel gioco che le altre forze dell'uomo conducono esprimendosi tutte nelle dinamiche forme dell'umanesimo (il mito, le arti, la religione, la letteratura, il diritto, etc.). La seconda è, di fronte alla precarietà dell'umana costituzione, non la pretesa di una sua impossibile stabilizzazione, bensì l'impegno a preservare e attualizzare, assicurandone le necessarie condizioni oggettive, le straordinarie potenzialità creative che essa nella sua instabilità pur contiene.
In ciò può consistere il senso, se così si vuol dire, di una 'nuova alleanza'.