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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 76 (Nuova Serie), maggio 2024

Eventi

"Il dovere costituzionale di farsi capire". Biblioteca della Camera dei deputati "Nilde Iotti", 9 febbraio 2024

Riceviamo dalla dott.ssa Rossana Ciccarelli, assegnista di ricerca presso il dipartimento di Lingue e letterature moderne dell'Università degli studi di Roma Tre, una sintesi dell'evento che si è svolto nella mattina del 9 febbraio scorso presso la Sala del Refettorio della Biblioteca della Camera dei deputati, a margine della pubblicazione del volume Il dovere costituzionale di farsi capire: a trent'anni dal Codice di stile, a cura di Maria Emanuela Piemontese; prefazione di Sabino Cassese. Roma, Carocci, 2023. Della presentazione è anche disponibile online, sulla WebTV della Camera dei deputati, una videoregistrazione. Ringraziamo per la gradita collaborazione la dott.ssa Ciccarelli, che per lo stesso volume ha redatto insieme a Paola Pietrandrea il capitolo Per un linguaggio chiaro della comunicazione istituzionale. Quale ruolo della linguistica e dei linguisti? (pp. 93-109).

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Il dovere costituzionale di farsi capire. A trent'anni dal Codice di stile. Questo il titolo del volume (curato da Maria Emanuele Piemontese ed edito da Carocci) che è stato presentato il 9 febbraio 2024 all'interno della Biblioteca della Camera dei Deputati. Al volume hanno partecipato giuristi e linguisti di diversa formazione che hanno aderito unanimemente all'appello di Maria Emanuela Piemontese di «riaprire i cantieri dei lavori» [si cita dalla Introduzione, pp. 11-17 (15)] per comprendere, a distanza di trent'anni, che cosa è stato fatto e che cosa ancora c'è da fare per colmare quella frattura tra cittadini e stato, già lamentata da Cassese nell'introduzione al Codice di Stile del 1993, in cui tanta parte ha l'oscurità linguistica [si fa riferimento a: Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per la funzione pubblica, Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche: proposta e materiali di studio. Roma, Istituto poligrafico e zecca dello Stato, 1993. In quel volume, la Prefazione di Sabino Cassese, all'epoca Ministro per la funzione pubblica del Governo Ciampi, si trova a p. 9, ndr].

Nel corso della mattinata si sono susseguiti gli interventi di Bruno Tabacci (presidente del Comitato per la Legislazione della Camera dei Deputati), Sabino Cassese (giudice emerito della Corte costituzionale), Filippo Patroni Griffi (giudice della Corte costituzionale), Francesca Quadri (capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, Presidenza del Consiglio dei Ministri), Massimiliano Lucà (capo di gabinetto del Ministro per i rapporti con il Parlamento), Maria Emanuela Piemontese (già professoressa ordinaria di Didattica delle lingue moderne presso Sapienza Università di Roma), Alessandra Sardoni (giornalista parlamentare La7), e Domenico Matera (membro del Comitato per la Legislazione del Senato della Repubblica).

L'introduzione di Bruno Tabacci pone subito l'accento su una questione fondamentale, sulla scia di quanto sostenuto da Cassese sia nel contributo inserito nel volume sia nell'intervento videoregistrato: la scarsa chiarezza linguistica è talvolta l'effetto di una scarsa chiarezza politica. La crisi dei partiti, il particolarismo e la frammentazione della rappresentanza politica hanno condizionato fortemente la relazione tra stato e cittadinanza: il vuoto di visione politica viene coperto dal linguaggio vago che lascia la responsabilità interpretativa ai cittadini. È quanto si legge anche in un articolo di Giunta pubblicato su "Internazionale" nel 2014 e riportato nel contributo di Sergio Lubello [Da Dembsher al"Codice di stile"e oltre: un bilancio sul linguaggio burocratico, pp. 58-74, ndr] a proposito di una circolare del MIUR [del 27 novembre 2014 (prot. 0017436), ndr]: talvolta non si tratta né di antilingua né di burocratese, ma si tratta di una lingua disonesta «di chi non sa bene che fare, non ha le idee chiare, non vuole assumersi le responsabilità che gli competono […] e lascia a chi deve leggere […] il compito di decifrare» [si cita da Claudio Giunta, La lingua disonesta: come scrivono al ministero dell'istruzione, "Internazionale", 23 dicembre 2014, ndr].

Tale situazione - continua Tabacci - determina anche una crescente sfiducia nella macchina istituzionale, come testimonia il forte astensionismo che in Italia sta raggiungendo livelli preoccupanti: alle ultime elezioni politiche ha votato soltanto il 63,8% degli italiani. Non solo una questione di lingua, dunque. Dello stesso tono sono gli interventi di Cassese e di Patroni Griffi. Già nel suo contributo all'interno del volume Sabino Cassese [autore della Prefazione, pp. 7-10, ndr] aveva fatto notare come alla base del peggioramento della lingua delle leggi ci fosse non soltanto una scarsa attenzione verso i cittadini, che sono destinatari di quelle leggi, ma anche una diversa condizione di scrittura delle leggi: da quando il Governo è divenuto il principale legislatore, la redazione delle norme è opera del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (DAGL), composto normalmente da magistrati generalmente impegnati non nella scrittura di leggi ma nella scrittura di sentenze. La differenza è sostanziale: mentre una norma comanda e indirizza in modo chiaro la società civile a cui è rivolta la sentenza risponde «agli argomenti presentati dalle parti, in contraddittorio tra di loro» (ivi, p. 9). Non solo. L'oscurità della legge assicura al Governo uno scudo, svolgendo quindi lo stesso ruolo della messa recitata in latino. Dello stesso avviso è anche Patroni Griffi: leggi poco chiare, ambigue e oscure rendono difficile l'attuazione dell'indirizzo politico della maggioranza; un quadro chiaro di regole consente di agire con un certo grado di prevedibilità, mentre un quadro oscuro va a detrimento dell'applicazione della regola e lede l'uguaglianza dei cittadini.

Il problema dell'opacità linguistica deve essere messo in relazione poi con la formazione linguistica continua dei legislatori e con l'alfabetizzazione del paese. Come evidenziano diversi contributi nel volume, il tema dei linguaggi istituzionali deve procedere di pari passo con l'impegno al miglioramento dei livelli di alfabetizzazione della società: se è vero che le leggi sono spesso oscure è anche vero che i livelli di competenza in lettura della popolazione italiana si rivelano nelle indagini (OCSE-PISA, INVALSI) piuttosto bassi. La semplificazione dei linguaggi istituzionali - ricorda Piemontese - necessita anzitutto di essere inserita all'interno di un programma che ha come obiettivo principale quello della promozione della partecipazione democratica attiva da parte dei cittadini e delle cittadine. Dal punto di vista pratico, va considerata la possibilità di una costante collaborazione tra giuristi e linguisti, con l'introduzione di una figura di 'giurilinguista' che possa lavorare a fianco dei legislatori nel corso della scrittura. Piemontese nota, per esempio, come tra i docenti della scuola nazionale dell'amministrazione non ci siano linguisti per la formazione del personale dell'amministrazione. La presenza di linguisti servirebbe a garantire alle leggi quella che Cassese ha definito [nel corso del suo intervento videoregistrato al convegno, ndr] un «bollino […] di comprensibilità».

D'altro canto, lo Stato deve lavorare sempre più per l'innalzamento delle competenze alfabetiche della popolazione. Se da un lato bisogna promuovere una migliore capacità di scrittura chiara da parte del legislatore e un minor rischio che si incorra in un inutile burocratese, dall'altro bisogna migliorare la comprensione dei testi scritti da parte dei cittadini: si rendono necessari, quindi, interventi nelle scuole e un impegno alla promozione della formazione continua, del lifelong learning. Come avvertiva Tullio De Mauro nel corso di un convegno dal titolo Dalla legge alla legalità: un percorso fatto anche di parole, convegno tenutosi a Firenze nel 2006, i tentativi di dissolvere l'oscurità delle leggi «verranno fuori se la classe intellettuale e la classe politica vorranno lavorare per il resto della gente, per portarla a livelli più alti. Se non lo vuole fare, non ci resterà che fare bei manuali su come andrebbero scritte le leggi» [si cita da p. 26 degli atti del convegno, pubblicati a cura della Giunta regionale Toscana nel marzo 2008. De Mauro rispondeva a una domanda a margine del suo intervento dal titolo La legge è uguale per tutti?, pp. 20-23, ndr]. Si auspica di andare in modo sempre più convinto in questa nuova direzione.

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In "MinervaWeb" leggi anche:

La politica e la parola. Sala degli Atti parlamentari, 21 marzo 2018, 2018, n. 44 (n.s.)

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