A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Percorsi di storia economica
Per una geografia storico-economica. La Russia (Parte quarta: dal 1800 alla vigilia della rivoluzione sovietica)
Abstract
La prima, la seconda e la terza parte dell'articolo sono disponibili in "MinervaWeb", n.s., n. 58, agosto 2020; e nn. 61 e 65 di febbraio e ottobre del 2021.
Il XIX secolo vide la Russia incamminarsi sulla strada dell'industrializzazione, sia pure molto lentamente: difatti fu soltanto negli ultimi decenni del secolo che andarono diffondendosi imprese di grandi dimensioni e tecnologicamente avanzate. Questo processo di modernizzazione fu in larghissima misura guidato da investitori esteri, che introdussero nel Paese i capitali e le competenze di cui esso non disponeva. Nel corso dell'Ottocento il governo zarista riuscì anche a mettere ordine nel settore finanziario, potenziando il sistema bancario e dotandosi di una moneta cartacea non più soggetta a continue svalutazioni. L'agricoltura non conobbe invece sostanziali progressi, malgrado l'abolizione della servitù della gleba avesse innescato al suo interno una trasformazione degli assetti proprietari. Nella società russa permasero così ampie aree segnate da un profondo disagio sociale, che rendevano l'Impero, a dispetto dello sviluppo economico in atto, fragile sul piano politico.
1. Le condizioni dell'agricoltura
2. Il superamento degli ostacoli allo sviluppo industriale
3. Le modalità dello sviluppo industriale
6. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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1. Le condizioni dell'agricoltura
· L'abolizione della servitù della gleba
Così come era stato nel XVIII secolo, anche nel XIX l'agricoltura russa fu segnata da un sostanziale immobilismo. Al riguardo Portal (1972) sostiene che l'incremento della produzione fu perseguito soltanto tramite l'ampliamento della superficie coltivata, mentre i metodi di coltivazione non progredirono e di conseguenza le rese dei suoli rimasero molto basse. Questa situazione di arretratezza si perpetuò malgrado nella seconda parte dell'Ottocento gli assetti proprietari subissero un profondo mutamento, innescato dalla liberazione dei contadini dalla loro condizione di servitù.
Secondo l'autore appena citato, l'abolizione del servaggio fu decisa proprio nel tentativo di promuovere il progresso dell'agricoltura: difatti il regime zarista, che aveva nell'aristocrazia fondiaria la propria classe sociale di riferimento, non era interessato a migliorare la condizione dei contadini. Ciò spiega come mai la riforma fosse stata concepita in modo da salvaguardare gli interessi della prima, anche al prezzo di procurare ulteriori privazioni ai secondi.
Delle modalità che la caratterizzarono dà conto in maniera dettagliata Gitermann (1963). Nel trasformare i servi in contadini liberi, il governo stabilì che fossero loro assegnati degli appezzamenti ricavati dalle proprietà dei loro signori, ma anche che questi ultimi fossero indennizzati per la perdita di quei suoli. Poiché i servi liberati non avevano modo di corrispondere tali indennizzi (i quali oltretutto erano stati fissati a livelli assai elevati in rapporto al valore di mercato delle terre alienate), lo stato si sostituì a essi nel pagamento dei quattro quinti delle somme dovute, pretendendo però che i contadini lo rifondessero di tale spesa. La restituzione doveva avvenire nell'arco di 49 anni; essa tuttavia, dal momento che sul debito venivano calcolati anche degli interessi, comportò comunque l'assunzione di oneri assai gravosi.
· Il nuovo assetto sociale delle campagne
Sempre secondo Gitermann (1963), l'indebitamento dei contadini liberati pose un serio ostacolo al miglioramento della produttività dell'agricoltura. Essi difatti, se per un verso si impegnavano maggiormente sulle terre che coltivavano, essendone divenuti proprietari, per l'altro erano impossibilitati a renderle oggetto di investimenti. Questa loro mancanza di capitali era inoltre accentuata dal peso delle tasse che gravavano su di loro: infatti le loro piccole proprietà erano molto più gravate dei latifondi nobiliari. A peggiorare ulteriormente la situazione concorreva poi l'esiguità degli appezzamenti ricevuti, che impediva loro di riservare delle zone ai prati. Ciò bloccava l'espansione dell'allevamento e quindi manteneva bassa la disponibilità di concime, che pure incideva sulla produttività dei suoli.
Non potendo ricavare da quelle terre abbastanza per sfamarsi e procurarsi il denaro necessario al pagamento delle tasse e dei debiti, i contadini erano obbligati a lavorare anche sulle terre rimaste nelle mani dei nobili. L'abbondante offerta di manodopera creata da questa situazione, però, consentiva a questi ultimi di elargire salari bassissimi ai coltivatori che ingaggiavano come braccianti e di esigere canoni elevati da quelli con cui stipulavano contratti di affitto, ragion per cui l'assunzione di questo impegno supplementare offriva benefici limitatissimi.
I contadini, per la verità, avevano un modo per sfuggire a questa condizione di miseria: integrare i propri redditi dedicandosi anche ad attività artigiane. Nell'ultima parte del secolo, tuttavia, le possibilità di esercitarle andarono contraendosi, a causa della crescente concorrenza apportata alle loro produzioni da quelle industriali.
Questa impossibilità dei contadini di compiere investimenti non fu compensata da un attivismo dei possidenti aristocratici, dal momento che questi non avevano una mentalità da moderni imprenditori agricoli. In larga misura gli indennizzi concessi dal governo, al netto di quella parte che fu trattenuta dal governo stesso per saldare i debiti che essi avevano contratto nei suoi riguardi, furono così impiegati per spese di lusso. Questa propensione a dissipare risorse era talmente radicata fra i nobili che essi finirono per spendere persino più di quanto gli indennizzi permettessero loro, col risultato di trovarsi di nuovo pesantemente indebitati.
In questo quadro complessivamente stagnante, comunque, non mancò un elemento di novità e di progresso: l'apparizione di una borghesia agraria, formata da commercianti, artigiani e contadini relativamente agiati, che riuscirono a dotarsi di aziende di medie dimensioni. Questo fenomeno scaturì proprio dalla propensione degli aristocratici a indebitarsi, dal momento che la dilapidazione degli indennizzi li costrinse, in assenza di ulteriori nuove entrate, a porre in vendita parte dei suoli di cui erano rimasti in possesso.
· La scomparsa della forma comunitaria di proprietà
Ulteriori informazioni sulle trasformazioni cui andarono incontro le campagne successivamente all'abolizione del servaggio si trovano ancora in Portal (1972), in particolare in riferimento alle comunità di villaggio - in russo mir - nelle quali erano inquadrati i contadini di un'ampia porzione della Russia europea (facevano eccezione la Bielorussia e buona parte dell'Ucraina). Là dove esistevano, furono queste comunità a ricevere i suoli sottratti agli aristocratici e ad essere gravate del pagamento degli indennizzi. Versando questi ultimi in un'unica soluzione, i singoli coltivatori potevano poi ottenere il pieno possesso di quelle terre. Chiaramente, i contadini così benestanti da disporre del danaro necessario erano ben pochi; ma ve ne furono diversi che riuscirono ad aggirare questo ostacolo, facendoselo prestare da esponenti dell'imprenditoria urbana o da possidenti agiati ai quali si impegnavano a rivendere la terra ricevuta. Per questa via il processo di formazione di una borghesia agraria ricevette un'ulteriore spinta.
Il governo zarista presumibilmente vedeva in questa sopravvivenza di una forma comunitaria di proprietà terriera un fattore di stabilizzazione sociale e per questo la consentiva, malgrado ponesse un ulteriore ostacolo al progresso dell'agricoltura. Le rivolte contadine del 1905, tuttavia, dimostrarono che su tale effetto stabilizzante non si poteva realmente contare; si passò allora a favorire il consolidamento della classe dei proprietari agiati (i kulaki), nella speranza di ricavarne sia un'intensificazione dello sfruttamento dei suoli che un ampliamento della base sociale su cui poggiava il regime. Così nel 1906 venne resa più agevole la privatizzazione dei suoli comunitari e nel 1910 l'istituto del mir fu addirittura abolito, imponendo la divisione delle terre non ancora ripartite.
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2. Il superamento degli ostacoli allo sviluppo industriale
· Gli eventi dei primi anni del secolo
Il primo ventennio dell'Ottocento non risultò favorevole allo sviluppo dell'industria. Come spiega Portal (1972), la situazione economica generale della Russia fu compromessa dall'adesione dello zar Alessandro I al blocco continentale voluto da Napoleone per isolare il Regno Unito: infatti, anche se il contrabbando ne attenuò gli effetti, esso valse comunque a limitare le esportazioni russe verso tale Paese. Effetti ancora peggiori ebbe poi la rottura dell'alleanza tra Francia e Russia, che portò all'invasione francese del 1812. Infine, dopo il 1815 il ritorno alla pace consentì all'industria inglese, che la rivoluzione industriale stava rendendo particolarmente competitiva, di inserirsi in maniera massiccia nel mercato russo. Per la Russia la situazione cominciò a migliorare solo dopo il 1822, anno in cui venne adottato il primo provvedimento protezionistico in favore di un comparto manifatturiero (precisamente di quello cotoniero). Negli anni successivi il governo avrebbe proseguito lungo questa strada, sino a stabilire, come sottolinea Henderson (1971), un regime di dazi assai elevati.
· La formazione della classe operaia, dell'imprenditoria e del mercato interno
Non era però solo la concorrenza straniera a ostacolare lo sviluppo delle industrie. Un fattore negativo di cui dà conto Henderson (1971) fu rappresentato dal rilievo assunto dal lavoro forzato. Nei decenni intorno al 1800 a far nascere nuove fabbriche furono spesso degli aristocratici: questi creavano manifatture tessili, distillerie, segherie e fonderie, servendosi di materie prime ricavate da fattorie, foreste e miniere da loro possedute, nonché di una manodopera costituita dai servi insediati sulle loro terre. La manodopera servile, però, proprio in ragione della sua condizione, offriva un lavoro di qualità scadente. Inoltre i contadini tendevano a fare uso anche per proprio conto delle capacità acquisite lavorando come operai: così la nascita di nuove imprese provocava un'espansione dell'industria domestica anziché un suo arretramento, espansione che limitava le possibilità di crescita delle prime. D'altro canto gli imprenditori di estrazione nobiliare si dimostravano a loro volta poco competenti e dotati d'una mentalità antiquata, ragion per cui essi stessi contribuivano a minare l'efficienza delle proprie aziende.
Anche sotto tale aspetto, tuttavia, dopo il 1820 la situazione andò mutando in senso più favorevole. Scrive infatti Portal (1972) che successivamente a quella data le crescenti necessità finanziarie dei nobili resero più frequenti i casi di servi cui era concessa la possibilità di affrancarsi dietro corresponsione di una somma di denaro. I servi che poterono permettersi di pagare per la propria libertà furono proprio quelli che conducevano in proprio delle attività artigiane, per mezzo delle quali si dotarono delle somme loro richieste. Andò così espandendosi un ceto medio di imprenditori di condizione libera, i cui esponenti potevano anche pervenire a una notevole agiatezza. Alla metà del secolo, poi, si ebbe finalmente la soppressione della servitù, che valse ad accrescere la mobilità dei lavoratori sul territorio e più in generale facilitò il reclutamento degli operai. La costituzione di una classe operaia distinta da quella contadina ebbe anche l'effetto di attenuare la propensione della popolazione all'autoconsumo, favorendo così lo sviluppo di un mercato nazionale di beni manufatturieri. Sull'argomento non va tuttavia trascurato quanto afferma Seton-Watson (1971), secondo il quale nell'immediato la liberazione dei servi ebbe delle ricadute negative sulle aziende che ad essi avevano fatto ampio ricorso, come le industrie metallurgiche degli Urali o una parte del settore tessile. Difatti, una volta libere, quelle maestranze abbandonarono in gran numero il lavoro di fabbrica, ponendo le imprese in una situazione di carenza di manodopera non facile da risolvere.
· Le possibilità di trasporto delle merci
È di nuovo Henderson (1971) a porre l'accento su un ulteriore fattore negativo, il quale operò nella prima metà dell'Ottocento: le difficoltà che si incontravano nel far muovere le merci all'interno del territorio russo. In rapporto alle sue enormi dimensioni, infatti, la rete ferroviaria risultava assai poco estesa, mentre le strade erano generalmente in cattivo stato. Sia il commercio interno che quello d'esportazione scontavano inoltre il limitato sviluppo della marina mercantile, nonché il fatto che i fiumi e i porti gelassero d'inverno. Il regime zarista si impegnò nel miglioramento delle infrastrutture tardivamente e con molta lentezza, ragion per cui i frutti della sua opera divennero apprezzabili soltanto nell'ultima parte del secolo. Ciò risulta evidente nel caso della rete ferroviaria, il cui potenziamento conobbe un'accelerazione solo dopo il 1868, quando il governo cominciò a impiegare a tale scopo risorse cospicue, sia nel finanziamento di iniziative proprie che nella concessione di facilitazioni a compagnie private.
· Capitali, tecnologie e competenze
In Russia il finanziamento delle iniziative industriali, spiega Portal (1971), scontava l'assenza di un sistema bancario ben sviluppato. Per questa ragione assunse fondamentale importanza l'azione del governo come fornitore di capitali all'industria. In parte, la sua opera si sostanziò proprio nella creazione di istituti di credito deputati a sostenere l'attività delle imprese, la quale fu osservabile a partire dalla metà dell'Ottocento. Tuttavia, come rileva Henderson (1971), esso sostenne queste ultime anche in forma diretta, tramite misure quali l'erogazione di sussidi e prestiti, la concessione di suoli o il riconoscimento di sgravi fiscali. Secondo Seton-Watson (1971), inoltre, un ulteriore importante canale attraverso il quale furono trasferite risorse dallo Stato alla società fu costituito dagli indennizzi offerti ai nobili per le terre loro sottratte. In verità, il menzionato disinteresse di tale ceto verso gli investimenti produttivi induce a dubitare che abbia approfittato di questi indennizzi per impegnarsi nelle attività industriali; ma l'autore specifica che le somme pagate in quell'occasione valsero anche ad arricchire degli esponenti della borghesia, nei cui riguardi gli aristocratici si erano pesantemente indebitati.
Gitermann (1963) attribuisce importanza anche alla realizzazione della rete ferroviaria. Questa difatti comportò l'emanazione di grandi commesse alle imprese costruttrici delle linee e fornitrici del materiale rotabile. Inoltre nelle zone attraversate dalle nuove linee il valore dei suoli aumentò, consentendo ai proprietari terrieri di procurarsi, tramite l'accensione di ipoteche, grandi quantità di denaro liquido, che poterono destinare a investimenti in ambito manifatturiero.
Accanto all'iniziativa dello Stato, anche quella di investitori privati esteri assunse un ruolo importante nella promozione dello sviluppo industriale. In effetti, secondo Henderson (1971) in molti casi la seconda costituì il presupposto della prima, in quanto il regime zarista poté profondere così tante risorse in tale ambito proprio grazie ai prestiti che gli furono concessi da operatori finanziari dei paesi occidentali (in particolare francesi). Oltre che la via degli investimenti finanziari, tuttavia, i capitali stranieri presero anche quella degli investimenti diretti nell'industria e nell'azionariato delle compagnie ferroviarie, influendo così anche in una maniera più diretta sul processo di industrializzazione del Paese. A parere di Gitermann (1963) questi investimenti stranieri furono stimolati dalle facilitazioni ad essi accordate dal governo, nonché dagli alti profitti assicurati alle imprese operanti in Russia dal protezionismo e dal modesto livello dei salari.
L'inserimento di operatori esteri nell'economia russa ebbe ricadute importanti anche sotto un altro profilo. Come fa notare Henderson (1971), gli imprenditori stranieri introdussero macchinari provenienti dai paesi d'origine e portarono con sé dirigenti e operai specializzati propri connazionali. In questo modo l'industria russa poté beneficiare dei progressi tecnologici che erano stati compiuti nelle nazioni più sviluppate.
· Le fasi dello sviluppo industriale
Dopo che con grande lentezza furono poste le condizioni per l'avvio dello sviluppo industriale, nell'ultima parte dell'Ottocento esso conobbe un'accelerazione. Portal (1972) ritiene che questa si sia avuta dopo il 1880, grazie a un maggiore impegno dello Stato; Gitermann (1963) parla di un vero e proprio boom economico negli anni Novanta, collegato al crescente afflusso di capitali dall'estero, all'espansione demografica in atto e a un più intenso sviluppo della rete ferroviaria, che in quegli anni accrebbe non soltanto la possibilità di commercializzare le produzioni manifatturiere, ma anche quella di attingere a risorse minerarie di regioni lontane, di cui ovviamente l'industria nazionale aveva bisogno per potersi espandere. Quest'ultimo, tuttavia, rileva pure che la crescita della produzione non fu accompagnata da un adeguato sviluppo del mercato interno, a causa della persistente miseria della popolazione. Infatti sotto questo aspetto lo sviluppo industriale non poté apportare dei benefici, in quanto la classe operaia di cui determinò la formazione si connotò come una nuova classe di poveri, che si affiancò a quella dei contadini. Ciò si spiega col fatto che, dopo l'abolizione della servitù della gleba, quella parte della popolazione rurale che si trovava in condizioni di particolari difficoltà cercò di sfuggire alla fame abbandonando le campagne e riversandosi nel mercato del lavoro urbano, col risultato di gonfiare l'offerta di lavoro operaio e consentire così agli imprenditori di corrispondere alla propria manodopera salari bassissimi. L'espansione industriale fu dunque sostenuta soprattutto dalla possibilità di esportare le produzioni nazionali in paesi ancora più arretrati (quali ad esempio la Turchia, la Persia e la Cina, che divennero acquirenti dei cotoni russi).
A questa fase di sviluppo ne seguì, intorno al 1900, una di crisi. Portal (1972) la riconduce al peggioramento della congiuntura internazionale, alla guerra russo-giapponese e ai disordini prodotti dal tentativo rivoluzionario del 1905; Gitermann (1963) invece ritiene che a innescarla siano stati i limiti posti alla crescita delle esportazioni dalla presenza sulla scena internazionale di forti concorrenti occidentali. Per entrambi, comunque, alla crisi fece seguito una nuova espansione, che secondo Gitermann (1963) fu resa possibile dalle commesse pubbliche finalizzate alla produzione di armamenti, che il regime zarista emanò nell'intento di rafforzarsi militarmente.
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3. Le modalità dello sviluppo industriale
· Il comparto tessile
Informazioni sull'evoluzione dei singoli settori dell'industria sono ricavabili da Portal (1972) e soprattutto da Henderson (1971). Entrambi gli autori vedono nel cotoniero il primo comparto nel quale si sviluppò un'industria moderna, caratterizzata cioè dalla concentrazione della produzione in un numero ristretto di stabilimenti meccanizzati e di grandi dimensioni. All'origine della sua espansione può essere considerata l'imposizione, nel 1822, di un dazio sui tessuti di cotone britannici, che protesse l'imprenditoria nazionale dai più pericolosi fra i suoi concorrenti esteri. Infatti nel Regno Unito il progresso tecnologico, incrementando la produttività del lavoro operaio, stava determinando un abbassamento dei prezzi dei manufatti tessili. Peraltro di tale progresso gli imprenditori russi poterono anche beneficiare, in quanto il dazio non colpì anche i filati di cotone. Essi poterono così sostituire i filati asiatici con quelli inglesi, i quali oltre a essere di qualità superiore stavano diventando a loro volta sempre più economici. Quando poi nel 1840 il governo londinese autorizzò l'esportazione di macchine tessili, gli imprenditori russi poterono procurarsi queste ultime e abbattere anche i costi della lavorazione finale dei tessuti (difatti il primo telaio meccanico fu installato in Russia nel 1846). Oltre che dalla Gran Bretagna, il cotone veniva importato anche dagli Stati Uniti. In ragione di ciò la Russia risentì della guerra civile americana, che compromise per alcuni anni la produzione locale. Tali difficoltà, tuttavia, ebbero l'effetto positivo di indurre il governo a incoraggiare l'espansione delle coltivazioni nazionali. La parte dell'Impero che ne fu interessata fu il Turkestan, dove fu impiantato proprio del cotone di origine americana. La costruzione della ferrovia transcaspica favorì il trasporto della materia prima verso le regioni industriali. Nel 1891 la Russia contava sei milioni di fusi di cotone, più di ogni altro paese europeo.
Notevole fu anche lo sviluppo della coltivazione del lino: alla fine dell'Ottocento si produceva in Russia più di metà del raccolto mondiale. Per due terzi questa produzione usciva dal Paese, ma la rimanente parte alimentava un'attività industriale che a sua volta generava anche delle esportazioni. Le stoffe prodotte, tuttavia, erano di qualità scadente, adatte per lo più a essere impiegate come vele. Nell'ultimo quarto di secolo il governo volle favorire il rafforzamento anche di questo comparto, gravando le stoffe importate d'una tariffa doganale altissima; sorsero così alcune fabbriche modernamente organizzate.
Il protezionismo agevolò anche l'espansione delle produzioni laniere, per quanto in questo settore assumessero grande rilevanza anche le commesse pubbliche, originate dalla necessità di fornire uniformi all'esercito. Per le produzioni ordinarie si poteva sfruttare l'amplissima disponibilità di materia prima (la Russia aveva più pecore di ogni altro Paese europeo); per quelle di maggiore qualità, tuttavia, fu necessario importare lane pregiate e filati. Il rapido sviluppo di questo ramo del tessile, comunque, non evitò che in esso la produzione mantenesse a lungo, come nel caso del lino, un carattere artigianale. Lo stesso va detto delle produzioni in canapa (corde e sacchi), peraltro anch'esse in grado di generare cospicue esportazioni.
· La siderurgia
Alla fine del XVIII secolo l'industria siderurgica della regione degli Urali era una delle più importanti d'Europa; essa però nella prima metà dell'Ottocento andò perdendo i suoi sbocchi esteri, venendo posta fuori mercato da quella britannica, in conseguenza dell'introduzione, da parte della seconda, di nuovi sistemi di lavorazione che la prima non seppe imitare. In compenso, degli imprenditori inglesi dopo il 1870 avviarono un'industria estrattiva e siderurgica in Ucraina. A partire dal decennio successivo le iniziative estere nella regione acquisirono poi maggiore intensità, per effetto del forte aumento dei dazi sul ferro importato e delle grosse commesse per le costruzioni ferroviarie. All'inizio del Novecento la Russia era divenuta il quarto produttore mondiale di ferro.
L'attività siderurgica, tuttavia, per lungo tempo rimase ovunque legata a tecniche tradizionali, connotandosi in particolare per l'impiego di legno anziché di carbone per la fusione del minerale. Ciò dipese in parte dalla disponibilità di un enorme patrimonio forestale e in parte dalla scarsità di vie di comunicazione, che rendeva difficile trasportare una merce così pesante e voluminosa. Alla fine del secolo ebbe comunque inizio l'estrazione su larga scala di alcuni grandi giacimenti carboniferi, ubicati in Polonia, nella regione di Mosca, in Ucraina, negli Urali e in Siberia (territorio che nell'ultimo decennio dell'Ottocento venne collegato al resto del Paese tramite la ferrovia transiberiana).
· Gli altri settori
La crescente disponibilità di ferro da una parte e la domanda originata dalle costruzioni ferroviarie dall'altra stimolarono la crescita dei settori metallurgico e meccanico. L'industria meccanica poté anche giovarsi dell'intervento di operatori stranieri, nonché dei sussidi elargiti dallo Stato. Essa comunque beneficiò di forti progressi solo a partire dal 1880.
Nella seconda metà dell'Ottocento ebbe inizio lo sfruttamento delle riserve petrolifere nazionali, dapprima con metodi primitivi, poi con sistemi più avanzati, ancora una volta grazie a tecnologie introdotte da investitori esteri. Dopo il 1880 lo sviluppo delle linee ferroviarie, rendendo più agevole il trasporto del greggio, portò a una crescita accelerata dell'estrazione.
Si ebbe infine anche uno sviluppo delle industrie di trasformazione dei prodotti del patrimonio agricolo e forestale, come quella dello zucchero da barbabietole (che progredì soprattutto in Ucraina) e quella del legno.
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Nel precedente articolo si è detto dell'introduzione, avvenuta nel 1768, della moneta cartacea, di cui il governo si servì per far fronte alle proprie crescenti necessità finanziarie, e di come le cospicue emissioni di cui essa fu oggetto ne avessero determinato una progressiva svalutazione. Nell'Ottocento questo problema si ripropose ciclicamente, malgrado i tentativi di porvi rimedio.
Rifacendoci a Forzoni (1991), possiamo riassumere in questi termini le vicissitudini cui andò incontro l'assegnato (così fu chiamata la prima banconota russa). Al principio del secolo la Russia dovette far fronte a forti spese militari, derivanti dal suo coinvolgimento nelle coalizioni antinapoleoniche e poi dall'invasione che subì a opera della Francia. Si ebbe pertanto un ulteriore incremento della circolazione degli assegnati, che rese ancora più ingente la perdita di valore dei medesimi rispetto alla moneta metallica e generò un rialzo dei prezzi. Quest'ultimo fenomeno ridusse la capacità di spesa del governo, il quale fu indotto così a inasprire le imposte. Tuttavia, poiché il sistema fiscale russo si basava soprattutto su imposte indirette, tale inasprimento ebbe l'effetto di far lievitare ancora di più i prezzi.
Dopo la guerra contro Napoleone si tentò di far rivalutare l'assegnato, ritirando una parte del circolante. Le risorse per effettuarne la sostituzione con valuta metallica furono reperite tramite prestiti interni ed esteri. I risultati di questa politica, però, furono insoddisfacenti: si ottenne difatti soltanto una stabilizzazione del suo valore, per di più al prezzo di una crescita del debito pubblico. In breve tempo si passò allora a una politica di segno opposto, consistente nel ricorrere a emissioni di assegnati per ripagare il debito accumulatosi. Nel frattempo la guerra con la Persia, la rivoluzione polacca e le rivolte in altre regioni dell'Impero mantennero alta la spesa militare, e quindi elevato il fabbisogno di risorse anche in tale ambito.
Nel 1843 fu introdotto, in sostituzione dell'assegnato, un nuovo rublo cartaceo. Inizialmente il suo valore si mantenne elevato, in quanto in quel periodo il governo poté contare sull'afflusso di risorse dall'estero: la bilancia commerciale russa era ampiamente in attivo e in più la Francia, afflitta da un susseguirsi di cattivi raccolti, pagava il grano che importava mediante titoli del proprio debito, che fruttavano una rendita costante nel tempo. In seguito però la guerra combattuta con la Turchia nel Caucaso e con i suoi alleati in Crimea fece di nuovo crescere l'indebitamento; ed essendo venuto meno anche l'afflusso di valuta estera (in quanto la bilancia commerciale era divenuta passiva) fu inevitabile tornare a stampare grandi quantitativi di carta moneta.
La situazione migliorò dopo la metà degli anni Sessanta, quando cominciò a essere rilevante l'estrazione di oro dalle miniere siberiane. Infatti da allora il regime poté contare, per il finanziamento della spesa pubblica, su una crescente disponibilità di valuta aurea. Questa tuttavia per lungo tempo non si dimostrò sufficiente: gli investimenti in infrastrutture e industrie, la nuova guerra contro la Turchia del 1877 e il successivo peggioramento della congiuntura internazionale (che fu causa di numerosi fallimenti di imprese, i quali a loro volta determinarono una crisi bancaria) imposero pertanto di perseverare nell'ampliamento della circolazione della moneta cartacea.
La disponibilità di metallo pregiato, comunque, continuò a crescere, sino a rendere possibile, alla fine del secolo, una nuova riforma monetaria, che introdusse una banconota convertibile in oro. A quel punto difatti il sistema bancario nazionale deteneva riserve auree per un valore quasi pari a quello delle banconote circolanti. La possibilità di presentare tali banconote a uno sportello di banca per chiederne il cambio in valuta metallica assicurò alle medesime una fiducia nel loro valore che ne evitò il deprezzamento. Per la verità negli anni successivi il rapporto fra circolante e riserva aurea peggiorò, in quanto le spese per la guerra contro il Giappone e per la repressione della rivoluzione del 1905 imposero un nuovo incremento del primo; ma la seconda rimase comunque talmente cospicua che il governo, in quel frangente, non ebbe neppure bisogno di imporre il corso forzoso, ossia il blocco della convertibilità (cui avrebbe dovuto fare ricorso qualora fosse sussistito il rischio d'un esaurimento delle riserve determinato dalle richieste di cambio).
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Concludendo, agli inizi del XX secolo la Russia si presentava come un Paese in via di sviluppo, ancora segnato da un'agricoltura fortemente arretrata, ma che stava beneficiando di un'espansione industriale e di un potenziamento delle sue infrastrutture che rendevano possibile in misura sempre più cospicua la messa in valore delle sue enormi risorse naturali. A questo sviluppo economico, tuttavia, faceva fronte uno scarso dinamismo della sua società: esemplari al riguardo appaiono da una parte il ruolo centrale assunto dal capitale straniero nella formazione dell'industria di tipo moderno e delle infrastrutture e dall'altra la propensione dell'aristocrazia nazionale a dilapidare le proprie rendite in improduttivi consumi di lusso. Questa persistente arretratezza del contesto sociale spiega le tensioni che andarono accumulandosi nel tempo, dalle rivolte contadine della metà del secolo sino al tentativo rivoluzionario del 1905. A queste tensioni il regime zarista aveva sempre reagito negando un'autentica possibilità di cambiamento: persino una riforma in linea di principio coraggiosa quale l'abolizione della servitù era stata realizzata in modo tale da perpetuare le tradizionali gerarchie sociali, in quanto i contadini erano stati gravati di debiti che li avevano mantenuti in una condizione di miseria e di subordinazione, mentre i feudatari si erano visti riconoscere cospicui indennizzi e avevano avuto la possibilità di continuare a sfruttare i primi a condizioni per loro assai vantaggiose.
Il rifiuto di dare ascolto alle istanze delle classi popolari faceva dipendere la sopravvivenza del regime zarista dalla possibilità di controllare queste ultime con la forza, reprimendone le esplosioni di protesta. Per riuscire a mantenere una salda presa sulla società, tuttavia, tale regime doveva riuscire a non farsi indebolire da nemici esterni, conservando quindi un'adeguata capacità militare rispetto alle altre potenze europee e asiatiche; e la sconfitta subita nella guerra col Giappone all'inizio del Novecento rese manifesto come proprio sotto questo aspetto si trovasse ormai in difficoltà. Per esso la successiva partecipazione al primo conflitto mondiale avrebbe avuto pertanto conseguenze esiziali: la Russia zarista sarebbe crollata e le due rivoluzioni di febbraio e di ottobre avrebbero condotto alla nascita dell'Unione Sovietica.
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6. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Per una geografia storico-economica. La Russia (quarta parte). Percorso bibliografico nelle collezioni della biblioteca. Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della biblioteca.