A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Speciale: Il libro e la lettura. I seminari della Biblioteca
"Il libro digitale", intervento di Gino Roncaglia
Abstract
La caratteristica attuale della comunicazione digitale è la granularità dell'informazione, che viene disaggregata e riaggregata in uno scambio orizzontale. Il futuro dovrà essere basato sulla riscoperta della complessità verticale dell'informazione, che passa attraverso la costruzione ed interpretazione della medesima. Il libro, con la sua complessità argomentativa o narrativa, può fornire al mondo digitale un modello di struttura informativa complessa. Quanto ai diversi dispositivi di lettura, essi condizionano la lettura in digitale e sono a loro volta condizionati dall'evoluzione tecnologica e di mercato, consentendo di agganciare alla lettura individuale altra informazione, interconnettendo le forme della testualità. Circa la scuola - è questa la parola chiave scelta da Roncaglia - il libro di testo curricolare dovrà mantenere il suo ruolo di filo conduttore (lo studioso non crede molto all'autoproduzione) ma potrà essere integrato da risorse granulari digitali accortamente selezionate e mediate.
Concludiamo lo "Speciale" del 2016, dedicato ai seminari svoltisi in Biblioteca, per impulso del Sen. Zavoli, Presidente della Commissione per la Biblioteca e l'Archivio Storico, riportando i due interventi di Gino Roncaglia all'incontro del 26 gennaio, incentrato sul libro digitale, del quale abbiamo fornito un resoconto complessivo nel numero di febbraio di quest'anno, che ospitava anche la trascrizione dell'intervento introduttivo di Peppino Ortoleva.
Ricercatore di filosofia e docente di informatica applicata alle scienze umane, autore di trasmissioni educative della Rai, Roncaglia ha scritto diverse pubblicazioni dedicate ad internet e, ultimamente, proprio al libro elettronico. Fra queste, La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, cui lo studioso ha dedicato anche un sito-blog.
Roncaglia esordisce rispondendo al moderatore Lucio Romano, che gli chiede «una riflessione sulla digitalizzazione dei testi e in particolare quale può essere l'ulteriore sviluppo dell'informatica applicata alle discipline umanistiche». Il secondo intervento, come per gli altri oratori, è l'individuazione di una parola chiave che sintetizzi il pensiero dei singoli partecipanti sul tema del seminario.
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GINO RONCAGLIA
«Grazie innanzitutto per l'invito. Mi fa molto piacere essere qui e anche nel mio caso il compito è in parte semplificato dagli interventi che ci sono stati prima. Io proverei a rispondere alla domanda che mi è stata posta, partendo anch'io dal tema della frammentazione, che è uno dei temi, credo, cruciali nel riflettere sul futuro della "forma libro" e della lettura nel mondo digitale. E' vero, indubbiamente, che con il digitale noi abbiamo moltiplicato le situazioni di lettura e di scrittura ed è vero, contemporaneamente, che queste situazioni in molti casi sono legate ad una testualità molto più frammentata. Se noi pensiamo ai post di un blog, ai messaggi di stato su un social network, ai tweet, alle email, agli sms, osserviamo come le forme della comunicazione digitale, l'ecosistema della comunicazione digitale oggi - che è quello in cui soprattutto le giovani generazioni si muovono prevalentemente - sia un ecosistema caratterizzato da una forte granularità dei contenuti. Una granularità che in molti casi è anche frammentazione. Nel riflettere sul futuro, forse, può essere utile cercare di capire innanzitutto quali sono le radici di questa granularità.
Abbiamo spesso un'illusione di prospettiva che è quella di essere alla fine della storia, abbiamo creato strumenti e macchine meravigliose o meno meravigliose, però in qualche modo sono viste come un dato ormai raggiunto. In realtà se noi pensiamo al nostro rapporto con la rete e con il digitale vediamo che un'evoluzione c'è stata ed è stata anche un'evoluzione piuttosto radicale. Abbiamo cominciato ad usare la rete - per fare un paragone un po' azzardato, forse anche utile, con l'evoluzione della società umana - abbiamo cominciato ad usare la rete da cacciatori e da raccoglitori. All'inizio ci si collegava ad internet per brevissimi tempi via modem, si andava a catturare qualche frammento di informazione potenzialmente utile, lo si trasportava per mangiarlo "nella tana", sul nostro computer e ci si scollegava. Per i "primi abitanti" della rete c'erano pochi fornitori istituzionali di informazioni e la maggior parte di queste "prime poco numerose tribù di primi frequentatori della rete" si comportavano come cacciatori-raccoglitori, cioè cercavano di prendere qualcosa e portarla nella tana. Dopo è cominciata in qualche modo una sorta di creazione di insediamenti urbani dal punto di vista informativo. Forse non è un caso se uno dei primi strumenti che è stato usato per creare pagine in rete si chiamava "Geocities", forse qualcuno lo ricorda ancora. Era tutto organizzato sulla metafora degli insediamenti urbani e noi usiamo e abbiamo usato moltissimo le metafore spaziali legate a quello che veniva in qualche modo percepito come un territorio nuovo in cui insediarsi, cominciando a organizzare insediamenti informativi, coltivare informazioni. Poi siamo arrivati ad un'età, che in parte è quella in cui ci troviamo, fortemente caratterizzata dallo scambio di informazioni. Anche i siti web non sono più quei "siti appiccicosi" in cui si cercava di trattenere l'utente. Sono siti da cui parte informazione, sono diventati aeroporti in cui gli aerei non soltanto atterrano, ma partono anche; cioè parte informazione, si cerca di condividere, di distribuire, di fare diventare virale. Il meccanismo di distribuzione dell'informazione oggi agisce in molte forme, ma soprattutto attraverso flussi che si aggregano e si riaggregano. Tutti i social network, da facebook a twitter si basano in qualche modo su una aggregazione, disaggregazione e riaggregazione di flussi informativi basati su granuli di informazione,i post, l'immagine, i video.
Quindi questa forte granularità è una caratteristica di questa fase di avvio dello scambio di informazione e del commercio. Ma siamo ancora piuttosto indietro rispetto a quella che può essere l'evoluzione della storia. Non siamo arrivati ancora all'età delle cattedrali informative, abbiamo un'altissima complessità orizzontale in rete, moltissimi granuli informativi variamente connessi fra di loro, che ci stiamo abituando ad aggregare variamente, ma abbiamo ancora una scarsa complessità verticale degli oggetti informativi. E questo è un problema anche dal punto di vista formativo per le giovani generazioni, perché i giovani di oggi sono bravissimi a muoversi orizzontalmente da una informazione all'altra, molto meno capaci di costruire e produrre e interpretare informazioni articolate e complesse in senso verticale.
Però questo della granularità e della frammentazione è un aspetto che, secondo me, caratterizza una fase dell'evoluzione del digitale e il problema che le nuove generazioni hanno davanti oggi è proprio quello di riconquistare la complessità, anche nel mondo dell'informazione digitale. Non è un destino, secondo me, quello della frammentazione del digitale. Wikipedia è già uno strumento per esempio. Possiamo pensare a Wikipedia come una delle prime cattedrali informative complesse, in cui si parte dalla granularità delle singole voci, ma poi si costruisce un oggetto informativo che è molto elaborato e complesso.
Quale è il ruolo del libro in tutto questo? La forma del libro, nella nostra tradizione, è stata la forma principe di organizzazione e di articolazione della complessità, una complessità che può essere argomentativa o narrativa, ma il libro è un edificio informativo complesso. Nel mondo digitale questa non è l'unica forma di complessità possibile, però portare nel mondo digitale quel particolare tipo di complessità argomentativa o narrativa che è propria della forma libro è un compito importante per dare modelli, anche alternativi, di complessità. Poi naturalmente è molto corretto, e direi anche illuminante, quello che ci diceva Ortoleva sul passaggio a forme di lettura a geometrie variabili. Anche davanti a forme di organizzazione più complessa dei contenuti e anzi, proprio davanti a queste forme, si moltiplicano i nostri possibili modi, le possibili vie di accesso. Però c'è una forte differenza tra la capacità di lavorare con contenuti elaborati e complessi e invece una situazione di pura granularità e frammentazione. Anche da questo punto di vista io credo, appunto, che la forma libro sia un modello importante per il mondo digitale.
Cosa succede ai libri elettronici? Se noi guardiamo a come diversi tipi di media si sono sviluppati, ci accorgiamo che in alcuni casi abbiamo avuto uno sviluppo in qualche modo basato su tipologie di media fortemente innovativi: la televisione fa qualche cosa che in quella forma semplicemente non era possibile prima, è un medium fortemente innovativo e in questo caso ha campo abbastanza libero nel suo sviluppo. Abbiamo poi dei media che sono sostitutivi e migliorativi, rispetto alla macchina da scrivere il computer, in qualche modo, è capace di fare tutto quello che facevamo prima con la macchina da scrivere e parecchie cose in più e la macchina da scrivere tendenzialmente scompare perché è sostituita e migliorata. Le audiocassette oggi non le usiamo più perché quel tipo di strumento oggi è sostituito e migliorato da strumenti per ascoltare la musica in digitale. Il libro elettronico, almeno nella sua forma attuale, non è totalmente innovativo, perché ha alle spalle un'eredità culturale pesantissima e lunga della forma libro e in generale di forme diverse di organizzazione del testo scritto nel mondo analogico. Non è oggi neppure completamente sostitutivo, perché in realtà non tutto quello che possiamo fare con i libri a stampa lo possiamo fare altrettanto bene con i dispositivi di lettura di ebook di oggi. Il Presidente Grasso parlava delle annotazioni, è vero che possiamo annotare nel mondo digitale, in un certo senso anche con una forte flessibilità, non abbiamo limiti di dimensione, però l'annotazione non è altrettanto immediata e anche graficamente variata come quella che si fa con la matita a margine del libro.
Un problema specifico della lettura in digitale e dei libri elettronici oggi è la pluralità, anche questo è già stato ricordato, dei dispositivi di lettura. Abbiamo tre famiglie diverse. I primi Kindle hanno i loro problemi perché oggi come oggi sono solo in bianco e nero, hanno scarsa, anzi nessuna capacità di gestione dei video e quindi scarsa capacità di resa multimediale, lo sfondo non è veramente bianco, ma presentano un grigiolino poco soddisfacente e questo è un limite della tecnologia molto difficile da superare. Questa famiglia di dispositivi ha quindi dei vantaggi, si leggono molto bene alla luce del sole, non emettono luce, proprio come il libro che la riflette soltanto, ma ha anche notevoli svantaggi. Poi abbiamo la famiglia dei tablet, degli smartphone in cui abbiamo degli schemi che hanno una forte capacità di gestione dei contenuti multimediali, funzionano molto bene per immaginare forme arricchite della forma libro, ma alla luce del sole si leggono male, la durata delle batterie è minore, gli schermi sono più fragili, ci sono una serie di problemi. Sono in parte distrattivi dal punto di vista del design della lettura, un tema su cui si è soffermato con delle osservazioni interessanti Roberto Casati in un bel libro che si intitola Contro il colonialismo digitale. Quindi ci sono problemi anche in questa seconda famiglia di dispositivi. Poi c'è il computer, che usiamo spesso per lavorare su testi. Ma il computer è adatto ad un certo tipo di funzione, la funzione "lean forward", protesa in avanti verso l'informazione. Usiamo molto bene il computer quando dobbiamo leggere e scrivere insieme e allora abbiamo un ambiente che ci permette di integrare le due attività. Però sono meno adatti per la funzione link back, la lettura in poltrona, che è quella tipica di certe forme di testualità, per esempio della narrativa. I tablet e gli e-reader vanno benissimo anche nella lettura "lean back", ma sono meno adatti a quella forma di lettura e scrittura contemporanea che è tipica del computer.
Abbiamo famiglie di dispositivi diversi, che corrispondono a tentativi diversi di costruire buoni ecosistemi della lettura in digitale, nessuno dei quali oggi è ancora ottimale e quindi non sorprende che l'evoluzione del libro elettronico sia un'evoluzione fortemente a scalini in cui evoluzione tecnologica e evoluzione di mercato possono influenzare moltissimo quello che possiamo o non possiamo fare con i testi. Lo stesso problema della gestione dei diritti e quindi parte della protezione degli e-book è un problema che nel contempo condiziona e limita la fruizione, perché per l'utente i meccanismi di gestione delle protezioni del "DRM" sono percepiti come una complicazione. D'altro canto la facilità e la perfezione della riproducibilità digitale richiedono probabilmente dei meccanismi in qualche modo di tutela dell'opera che ancora non abbiamo perfettamente individuato; ma siamo, appunto, non alla fine ma in una fase abbastanza iniziale della storia.
La mia impressione, e su questo concluderei almeno questo mio primo intervento, è che la lettura digitale è qualcosa che continuerà a svilupparsi e crescere perché le potenzialità sono notevoli. Potenzialità di moltiplicare le forme di accesso ai testi e ai contenuti, potenzialità di espandere, ospitare espansioni del libro. Pensiamo a fenomeni come il "social reading": la lettura è una cosa un po' singolare perché nel momento in cui leggiamo dobbiamo essere soli e protetti, però prima e dopo parliamo tantissimo di quello che leggiamo. E' importantissima la dimensione sociale della lettura, anche se paradossalmente l'attività di lettura deve essere individuale e protetta e anzi ci preoccupiamo che alcuni degli ecosistemi digitali non proteggono abbastanza lo spazio della lettura - di nuovo problemi di design della lettura -. Però in questo momento di discussione prima e dopo, il digitale ha delle potenzialità straordinarie, permette di agganciare discussioni non solo al libro nel suo insieme, ma anche a singoli passaggi. Una delle cose che i lettori fanno di più in rete, e c'è un elemento anche un po' di second screen che è un tema molto presente quando si parla di televisione e smartphone, tablet. Noi usiamo gli smartphone, i tablet come second screen rispetto alla televisione, ma anche nella lettura noi usiamo la rete in parte come "second book", come allargamento possibile, andando a cercare dopo che abbiamo letto qualcosa in maniera tranquilla, raccolta e protetta, immagini che in qualche modo possano aiutarci a capire meglio quello che abbiamo letto, informazioni aggiuntive, informazioni su wikipedia.
Ecco, questi aspetti e la possibilità di interconnettere le forme della testualità sono indubbiamente degli enormi vantaggi dell'ecosistema digitale. Quindi non è una meteora il libro elettronico; è qualcosa con cui ci confrontiamo e ci continueremo a confrontare in futuro. Del resto basti pensare che in fondo anche il libro su carta oggi è in qualche forma un dispositivo di lettura per testi elettronici. Il libro oggi viene prevalentemente scritto al computer, editato al computer dalla casa editrice, impaginato al computer dalla tipografia e poi si appoggia sulla carta per la comodità che ha ancora la carta come dispositivo di lettura in questa situazione ancora largamente in sviluppo dei dispositivi di lettura digitale.
Secondo intervento
Diciamo che ci sono diversi temi che sono emersi, che sono tutti interessanti. Io proverei a usare come parola chiave la parola "scuola", perché credo che sia uno degli ambiti, lo accennava Vincenzo Vita, in cui le discussioni su libri elettronici, libri digitali, e così via trovano una concretezza particolarmente delicata, visto che i nostri modelli formativi influenzano poi fortemente lo sviluppo della società nelle generazioni successive. Quindi abbiamo una particolare responsabilità nel pensare se e come l'evoluzione delle forme della scrittura e della lettura influenzano, o possano influenzare, le nostre pratiche formative. Però vorrei accennare soltanto a un tema interessante che mi pare emerso dal dibattito, che è quello di una certa differenza tra scrittura e lettura rispetto all'evoluzione del digitale. C'è stato, lo ricordava prima Maurizio Ferraris, un dibattito non da poco sulla scrittura digitale negli anni '80, per esempio è stato ricostruito molto bene da Domenico Fioramonte. Però poi nell'ambito della scrittura il passaggio al digitale è stato largamente assorbito e alcune delle argomentazioni che erano state usate all'epoca oggi effettivamente ci fanno quasi sorridere, e questo è un aspetto interessante anche nel considerare il dibattito sulla lettura che c'è oggi. Ma dicevo "scuola". Il tema del digitale a scuola e del libro elettronico a scuola secondo me è particolarmente rilevante perché i modelli che ci vengono proposti sono modelli diversi tra i quali, in qualche forma, bisogna muoversi: coesistenza, scelta. Però certo dobbiamo muoverci in un panorama abbastanza discusso. Ci sono almeno tre grandi modelli. Un paradigma ci dice: le risorse digitali sono così tante, così varie, così numerose che non abbiamo più bisogno della tradizionale risorsa curricolare che era rappresentata per esempio dai manuali di una volta. Il mondo digitale sostanzialmente diventa una sorta di grande bacino di potenziali risorse educative che rendono inutili poche risorse strutturate e usate un po' come paradigma o modello. Una seconda possibilità, ed è un secondo paradigma che esiste oggi nel parlare di digitale a scuola, è quella della autoproduzione di contenuti, è collegata naturalmente ad un modello di apprendimento che è un modello costruttivista; si dice: abbiamo una grande opportunità di far lavorare docenti e studenti alla produzione di contenuti, no a contenuti autoritari calati dall'alto, autoproduzione. Ed è un secondo modello, in parte diverso dal primo, perché di questa autoproduzione spesso fanno parte anche dei contenuti invece organizzati e proposti come curricolari; per esempio è abbastanza diffuso nelle scuole italiane il modello book in progress,che è un modello di scuole che lavorano insieme alla produzione di manuali scolastici che hanno, per alcuni versi, la forma del manuale tradizionale, ma sono prodotti collaborativamente. Terzo modello: rinnovamento dell'idea di libro di testo, conservandone gli aspetti di autorialità, e quindi non è detto che la costruzione collaborativa sia sempre la migliore per questo tipo di strumenti e di autorevolezza. La frammentazione della rete è eccessiva e le tipologie di contenuti che abbiamo sono troppo eterogenei, servono comunque dei modelli forti. Ora tra questi tre paradigmi che sono molto diversi, noi ci troviamo a dover in qualche modo scegliere e a dover in qualche modo operare probabilmente anche delle negoziazioni. Io ho l'impressione che la nostra negoziazione non possa prescindere, proprio per la ricchezza di strumenti e di contenuti disponibili in rete, dall'idea di avere anche dei fili conduttori. Sono un po' preoccupato da un modello solo debole dell'uso del digitale a scuola; grande varietà, ma niente di effettivamente forte e sostanzioso che si possa usare un po' come filo conduttore. Preferisco, tra i tre modelli, lavorare partendo dal terzo. Quindi, utilità di contenuti forti e strutturati, e ripensamento della forma libro di testo scolastico, arricchendola con le possibilità del digitale, ma conservandone una funzione di filo conduttore, tenendo conto che la ricchezza enorme di materiali che c'è in rete può integrare, ma secondo me non sostituire, alcune risorse curricolari di riferimento. Allora, pensare agli strumenti del digitale scolastico e al mondo degli ebook a scuola come un mondo in cui in qualche modo bisogna trovare strumenti per far coesistere al meglio risorse strutturate curricolari di riferimento, che in qualche modo diano l'idea del percorso formativo su cui si vuole lavorare, e risorse granulari integrative che possono aiutare a personalizzare i percorsi, ad aumentare le voci in campo ma, appunto, senza perdere completamente funzioni di orientamento e di bussola, che secondo me ci devono essere. E ritengo che questo tipo di digitale forte e non debole, che credo sia richiesto dalla scuola, abbia bisogno anche di competenze specifiche. Bellissimo il lavoro di autoproduzione, ma le competenze editoriali non spariscono nel digitale; anzi più si moltiplicano le possibilità, e più la necessità di lavoro di selezione e mediazione, anche professionale, è necessario. Lo vediamo nel mondo delle biblioteche e lo vediamo anche, io credo, nel mondo della scuola».
[N.d.R.: Il testo non è stato ancora revisionato dall'autore. Sarà pubblicato nella sua versione definitiva negli atti del convegno, attualmente in preparazione].