A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Speciale: Il libro e la lettura. I seminari della Biblioteca
"Il libro, la televisione, i giornali", intervento di Giulio Giorello
Abstract
Lo studioso si interroga sull'elemento comune a televisione, libri e giornali e lo individua nel comunicare intelligenza, cioè informazione utile e pregnante. L'auspicio è in una complicità fra i mezzi, con i linguaggi propri di ciascuno di essi: il libro fa teoria, cioè fa vedere con gli occhi della mente cosa si può costruire; la televisione ci dà le immagini, che sono ombra delle idee; i giornali sono un modo importante di organizzare la memoria. Tutti e tre possono aumentare il senso critico, che ci distingue da forme rinnovate di barbarie. L'obiettivo educativo comune è sintetizzato nelle due parole chiave "condivisione" ed "esperimento".
Continuiamo nel nostro "Speciale" del 2016 a dare spazio ai seminari dedicati, per impulso del Sen. Zavoli, Presidente della Commissione per la Biblioteca e l'Archivio Storico, al tema del libro e della lettura. Dopo aver ospitato l'intervento svolto da Peppino Ortoleva al seminario del 26 gennaio sul libro digitale e quello di Giovanni Solimine, introduttivo della sessione del 23 ottobre 2015, incentrata sui rapporti fra libro ed editoria, riportiamo qui l'intervento di Giulio Giorello all'incontro del 27 novembre scorso, intitolato "Il libro, la televisione, i giornali" e incentrato, con le parole del moderatore Sen. Lucio Romano, su "che cosa rappresenta la cultura in Italia veicolata attraverso i vari mezzi, che sono libri, giornali, televisioni e new media".
Laureato in Filosofia e in Matematica, docente in varie facoltà scientifiche, editorialista del "Corriere della sera", il Professor Giorello è autore di molti libri. Fra i tanti titoli citiamo il recente Libertà (2015).
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«Grazie Senatore [Lucio Romano, n.d.r.] per questa presentazione fin troppo elogiativa, e grazie al presidente Zavoli e a tutti gli amici per l'invito in questa sede. Da dove cominciare nel parlare della complicità, come diceva Zavoli prima, tra televisione, giornali e libri? Forse anche da casi della cronaca recente dove giornali, libri, televisione si sono trovati coinvolti, per esempio i recenti fatti di Parigi, e si sono trovati, come dire, messi di fronte alla rapidità con cui l'informazione è girata nella rete. Per esempio, tanto per fare un caso, la consultazione di Le Monde in Francia non è stata fatta per sapere come sono andati i fatti, non è stata fatta, come di solito succede, per capire le ragioni dei fatti espressi in un commento, ma per andare a vedere cosa Le Monde aveva messo nel suo tablet, e questo è un elemento importante. Anche la stessa televisione francese è rimasta fuori dal Bataclan, mentre sono andate in rete le riprese fatte con i cellulari in cui si è visto cosa succedeva all'interno. Il che mi fa pensare che oggi uno degli elementi più forti è, non dico la concorrenza, ma forse la complementarietà, appunto, e come la rete fa viaggiare l'informazione e come questa può circolare. Allora, nel riprendere la tematica della complicità che Zavoli descriveva prima e gli esempi dati da Marino Sinibaldi dopo, qual è l'elemento comune a televisione, giornali e libri, pur nelle differenze specifiche del linguaggio? Io direi che curiosamente, prima ancora che nascesse la rete, ma quando sono state messe le premesse intellettuali da cui poi la rete è derivata, il grande matematico e ingegnere Claude Shannon, creatore della teoria dell'informazione, aveva definito il suo stesso lavoro come il tentativo di trasmettere da un posto all'altro, o da un tempo all'altro, che cosa? L'intelligence, quindi non tanto, non solo informazione, ma "intelligenza". Ora, il termine intelligenza ha una doppia accezione. Vuol dire capacità di capire, ma vuol dire anche capacità di informare in modo utile e pregnante. Machiavelli usa intelligenza in questo secondo senso, "adesso vorrei avere intelligenze vostre" dice in una lettera diplomatica. E così Carlo Cattaneo "vorremmo sapere di più delle vostre intelligenze",cioè delle vostre informazioni. Ma perché è bello usare questa parola "intelligenza"? Perché la grande sfida che, con linguaggi diversi, hanno di fronte i tre modi di comunicazione di cui abbiamo parlato, il libro, televisione e giornali, è proprio quella di comunicare intelligenza se funziona la complicità, sennò la complicità diventa la caricatura di se stessa.
Cerco di spiegarmi con un esempio che ho rubato dal libro bellissimo Argento vivo dell' amico Marco Malvaldi, che trovo delizioso. Come mai c'è una correlazione tra l'aumento delle vendite dei gelati e gli incendi? Domanda molto pregnante, però attenzione a non saltare a delle conclusioni di carattere causale, perché qualche politico potrebbe pensare che per fermare la piaga degli incendi è meglio vietare la fabbricazione e la vendita dei gelati. La ragione è molto più semplice: gelati e incendi aumentano quando fa caldo e quindi sono legati ad un elemento comune, che è appunto l'aumento della temperatura. Ma è lì il legame, non è a valle tra i gelati e gli incendi. Questo può sembrare un esempio di puro buon senso, ma secondo me è un elemento fondamentale dell'informazione come intelligenza. E permettetemi una citazione colta, ma è semplicemente perché è estremamente illuminante come spunto. l matematico, fisico e anche filosofo Hermann Weyl, uno dei grandi della cultura degli anni '20 e '30, il maestro poi di gente come Shannon e come Vannevar Bush, che era la persona cui Shannon si indirizzava nello spiegare la sua idea della comunicazione dell'intelligenza, Weyl, che è stato anche in qualche senso, indirettamente, il maestro di Alan Turing, diceva una cosa molto bella nel 1925, molti anni fa apparentemente: "Le teorie permettono alla coscienza di saltare al di là della propria ombra, cioè di rappresentare quello che è al di là dell'ombra, anche se talvolta servendosi solo di simboli". Di che cosa? Di numeri, 0, 1, di lettere dell'alfabeto, di figure elementari con cui poi comporre delle figure più complesse. Questa è l'importanza del pensiero teorico e questo è fondamentale proprio nel senso che il Presidente diceva prima, e cioè nella comunicazione della conoscenza.
La conoscenza è un elemento fondamentale della comunicazione ed è molto delicato il modo con cui poi viene presentata dai giornali o nella TV. Io detesto il termine volgarizzazione e divulgazione, preferisco parlare di pubblica comprensione della conoscenza, ma d'altra parte c'è il contrario, c'è la potenza del mezzo tecnico che condiziona fortemente se non i contenuti, certo il taglio che noi diamo ai contenuti che comunichiamo. Questo è chiarissimo già con l'invenzione della stampa. Lutero diceva: senza stampa niente Riforma protestante. Forse esagerava. Galileo pensava: senza i 24 caratteruzzi dell'alfabeto, niente impresa scientifica. Senza il fatto che la stampa permise di fare dei librettini molto piccoli che i soldati di Cromwell si tenevano sul cappello, legati al cappello nero dei puritani, niente rivoluzione inglese, niente esperimento repubblicano in Inghilterra, l'unico che finora è stato tentato in quel Paese. Quindi si può sottolineare l'importanza di strumenti molto potenti dal punto di vista tecnico e la questione appunto della tecnologia sottostante; e la televisione di Stato è stato uno dei grandi momenti di unificazione di questo paese, del modo con cui questo paese ha riflettuto sulla sua stessa storia (e Zavoli in questo è un maestro per tutti noi). E sarebbe bello che si riuscisse in questa complicità delle ombre, cioè della rappresentazione delle cose, ad avere una divisione dei ruoli in cui alla fine televisione, giornali e libri riescano a coesistere senza divorarsi l'un l'altro, senza entrare in forme di competizione molto drammatiche, ma appunto costruttive per tutti. Succede? Non lo so, me lo domando, se un autore che scrive libri molto intelligenti e nonostante questo ha successo in Italia. E' la battuta paradossale di un editor sempre dal romanzo di Malvaldi che citavo prima.
Ecco d'altra parte il libro cosa può darci: ci dà la teoria, ci dà il modo di vedere quello che apparentemente è scollegato, oppure distrugge con l'atteggiamento critico i collegamenti fatti male, come pensare, appunto, che reprimere la vendita dei gelati possa far desistere i piromani dalle loro criminose attività. Quindi, il libro può fare questo, fa teoria, nel senso che ci fa vedere con gli occhi della mente cosa si può costruire. La televisione ci dà invece quello che noi vediamo con gli occhi, l'immagine. Le immagini, diceva Giordano Bruno, sono le ombre delle idee, però senza le ombre non capiremmo nulla, quindi il lavoro che può fare la televisione secondo me è preziosissimo. Forse andrebbe fatto in modi diversi, forse può permettersi anche dei recuperi culturali molto importanti, per esempio può farci vedere com'è o com'era Palmira prima che una banda di cialtroni si mettesse a devastare questo patrimonio dell'umanità.Può faci vedere molte cose. Può indicarci un mondo virtuale che abbiamo perduto, ma che vogliamo almeno mantenere nella nostra memoria.
Sotto questo profilo i giornali restano ancora un modo importante di organizzare la nostra memoria. E con questo mi avvierei non ad una conclusione, ma ad un suggerimento. La memoria normalmente è attribuita al passato: è quella che ci dà la nostra identità. È vero, queste sono cose note, le dicevano già Baruch Spinoza e David Hume tra '600 e '700 . Però la memoria è qualcosa di più e di meno, perché se noi fossimo semplicemente prigionieri del ricordo, la nostra vita sarebbe orribile. In Irlanda si dice la "tirannia dei morti" quando uno è troppo legato alle proprie radici e in nome delle proprie radici magari fa fuori a pistolettate il vicino o il lontano, a seconda dei gusti. Invece ogni tanto dobbiamo, proprio per avere consapevolezza del presente, dimenticare qualcosa del nostro passato, selezionare nel nostro passato e proiettare tutto questo nel futuro.
Io non so se i giornali siano in grado di fare questo. Da lettore esigente questo vorrei nei giornali. Però dopo avrei quella seconda battuta, la controparte di questa, che potrebbe sembrare e forse è un'utopia, ricordare quanto già si diceva nel Trecento (era una bella frase di un grammatico trecentesco che tanto piaceva al mio amico e maestro Jaques Le Goff) e cioé: "La memoria è certo ricordo del passato, ma è anche consapevolezza del presente e anticipazione del futuro con tutti i rischi che questo ha perché possiamo continuamente sbagliarci". E allora il confronto, per esempio tra libri e giornali, e, come dire, il banco di prova sull'immagine, possono aumentare quel senso critico che è una delle poche cose che ci distingue da forme rinnovate di barbarie».
In chiusura di convegno il moderatore Romano ha chiesto ai relatori di sintetizzare in pochi minuti, con due parole chiave, la propria riflessione sul tema del convegno stesso. Riportiamo il secondo intervento del Professor Giorello.
«Naturalmente, vista l'ora, cercherò di essere il più rapido possibile. Bogi nel suo primo intervento ha detto che è declinato l'atteggiamento riflessivo. Quindi l'individuo non guarda più dentro se stesso. Parimenti è declinato anche quello che chiamerei l'atteggiamento relazionale, cioè il rapporto con gli altri e la bulimia che è stata prima denunciata nell'informazione, internet compresa, rete compresa, beninteso, è qualcosa che sembra andare contro sia la riflessività che la relazione. Ma la relazione e la riflessività sono due facce della stessa medaglia. E' questo il punto di fondo. Ed è per questo che il libro è così virtuoso e così importante. Virtuoso beninteso nel senso di Machiavelli, cioè che mette gli individui in relazione e dà agli individui maggiore consapevolezza nell'azione. Questo il libro l'ha fatto prima ancora di essere il libro che conosciamo noi. L'ha fatto fin dai tempi in cui i Babilonesi scrivevano le loro leggi sulle mura della città perché tutti potessero vederle. Portarsi la tavoletta incerata in tasca è più comodo. Questa è la ragione che mi fa sperare che anche nell'età della rete il libro non dico sopravviverà, ma si arricchirà, potrebbe arricchirsi maggiormente. Naturalmente io aggiungerei una cosa: cos'è un libro se non ha delle belle figure? Aveva ragione Alice di Lewis Carroll, esperta in non compleanni, non in compleanni: ce ne sono molti di più di non compleanni, come è ovvio, in cui tutti possono festeggiare, tranne qualche piccola eccezione come si diceva prima. La cosa interessante è che tutto quello che è icona può diventare uno strumento di comprensione a fianco della parola e in questa direzione penso che noi dovremmo procedere. Ha detto molto bene prima Giovanni Valentini: il problema della scuola non va mai dimenticato. La scuola di ogni ordine e grado, dalle elementari fino agli istituti post-universitari, è il punto in cui potrebbe diventare ottimale lo scenario di riflessione e di relazione, sempre che si adotti appunto il gusto della molteplicità dei punti di vista. Quello che Malvaldi trova persino nella visione delle partite di calcio, io lo trovavo nelle ricostruzioni virtuali di capolavori perduti. Ma c'è un mucchio di altri esempi che si potrebbero fare. Allora il servizio pubblico è fondamentale, a mio avviso almeno, sia nella scuola sia nella radio e nella televisione non perché si pensi che non ci sia il diritto dei privati di farsi le loro scuole o le loro televisioni o le loro radio, ma perché il servizio pubblico è un esperimento insieme agli altri e dovrebbe essere quell'esperimento che rompe la routine, l'abitudine, la schiavitù al già detto o nel senso delle contrapposizioni da comizio che raccontava prima Malvaldi o, sempre per citare Malvaldi, stavolta scritto e non parlato, quando dice che i politici nel giornale di oggi ci spiegano quello che è accaduto ieri, ma mai che abbiano consapevolezza di cosa fare adesso o di prevedere guarda caso quello che potrebbe succedere domani.
Rompere con questa abitudine vuol dire fare esperimenti e io ritengo che il servizio pubblico debba essere un esperimento che, al contrario di quelli privati - determinati da un gioco di investimenti e giustamente anche ristretti - debba avere il respiro della grande operazione che riguarda l'educazione delle persone. Non sto dicendo niente di diverso da quello che diceva un liberista come Adam Smith ne "La ricchezza delle nazioni" a proposito dell'informazione, dei giornali e a proposito delle strutture scolastiche. Non sto dicendo niente di più di questo. Due parole chiave che io sottolinerei: relazione o, preferisco, prendere condivisione (una bella parola condividere), come ha detto prima Marino Sinibaldi, perché se noi condividiamo della cultura non è come se noi condividessimo una quantità di dollari perché quelli che spendo io sono quelli che non spendi più tu. Nella cultura, la mia parte di cultura contribuisce con la tua parte di cultura. La cultura si accresce sotto questo profilo. Direi: condivisione ed esperimento. L'esperimento è qualcosa che nella scienza è ben noto, che si può fare e si fa poi di fatto anche nella politica migliore talvolta, laddove c'è, e infine fa parte dell'esperimento anche un certo uso intelligente del libro. Chiudo con questo esempio, a proposito dei fatti di Parigi, che anche prima Malvaldi evocava: da una parte non sappiamo chi sono loro, cioè gli imam, da dove saltano fuori e come vengono consacrati, dall'altro dobbiamo domandarci se sappiamo bene chi siamo noi, perché ricordo un bellissimo libro di André Glucksmann, pubblicato in Italia da Longanesi su iniziativa di Spagnol, che si chiamava "L'undicesimo comandamento". L'undicesimo comandamento è questo: quando ti trovi di fronte l'oppressione, la tirannia, l'aggressione degli altri, il pericolo, guarda a quello che hai dentro di te, guarda se queste stesse cose non le hai fatte tu o non hai pensato che fosse magari opportuno farle nella tua storia.
Se noi andiamo a vedere quanta intolleranza, quanta tirannia, quanta pulsione al martirio degli altri oltre che di se stessi c'è stata nella tradizione del nostro occidente riusciamo anche a essere meglio preparati a resistere alle minacce che ci vengono da fuori. L'esempio del libro di André Glucksmann è un bell'esempio dell'esperimento che può essere innescato da un libro e arrivare a impostare i problemi per esempio nella scuola. Possibile che non ci siano degli studenti che leggono i giornali e dicano: "Signor maestro, cosa sta succedendo a Parigi o cosa sta succedendo nel Mali?" (perché non è che nel Mali non siano esseri umani). Perché ci può essere un bel chiarimento anche nella televisione, senza dar condanne o straparlare di conflitti di civiltà, ma vedendo invece quali sono i conflitti reali e quali sono le poste in gioco. Questa è la mia speranza: esperimento e condivisione».
[N.d.R.: Trascrizione dell'intervento introduttivo tenuto dal Professor Giorello in occasione del seminario "Il libro, la televisione, i giornali", tenutosi in Sala Atti Parlamentari il 27 novembre 2015, non ancora sottoposto alla revisione dell'autore. L'intervento sarà pubblicato nella sua versione definitiva negli atti del convegno, attualmente in preparazione].