A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Percorsi di storia economica
Per una geografia storico-economica. La Francia (Parte quarta: dal 1914 al secondo dopoguerra)
Abstract
L'avanzamento economico della Francia fu bruscamente interrotto dalla prima guerra mondiale, dalla quale il paese ricavò danni gravissimi. La modernizzazione dell'apparato industriale, suscitata inizialmente proprio dal conflitto e proseguita anche dopo il 1918, rese comunque possibile una pronta ripresa dello sviluppo. Tale ripresa, tuttavia, fu a sua volta arrestata dalla crisi internazionale degli anni trenta. Il secondo conflitto mondiale peggiorò ulteriormente la situazione, causando nuovamente perdite umane, distruzioni materiali e disordine finanziario. Nondimeno, anche dopo il 1945 la nazione francese ritrovò in breve tempo la strada dello sviluppo, grazie anche all'attività di pianificazione che il governo cominciò allora a praticare.
1. La prima guerra mondiale e la ripresa postbellica
2. La reazione alla grande crisi
3. La seconda guerra mondiale e la ricostruzione
4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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1. La prima guerra mondiale e la ripresa postbellica
● L'eredità del conflitto
Il progresso di cui la Francia aveva beneficiato attraverso la propria lenta, ma costante ascesa economica fu gravemente compromesso dal coinvolgimento del paese nel primo conflitto mondiale, che a parere di Aldcroft (2004) fu causa per esso di danni notevolissimi. Difatti la Francia (e in particolare la sua parte settentrionale, ch'era poi quella economicamente più avanzata) costituì uno dei principali teatri di guerra: essa contò pertanto ingenti perdite umane (nel 1919 contava un milione di abitanti in meno rispetto al 1914, malgrado l'espansione territoriale di cui aveva beneficiato a danno della Germania) ed economiche (vedendo le proprie aziende agricole, i propri impianti industriali e le proprie infrastrutture subire gravi distruzioni). Autori quali Morsel (1979), Kemp (1992) e lo stesso Aldcroft (2004) danno conto anche della difficile situazione finanziaria in cui il paese venne a trovarsi. Allo scoppio del conflitto la Francia aveva ancora un sistema tributario fondato principalmente sulle imposte indirette: ciò limitò alquanto la capacità del governo di finanziare lo sforzo bellico tramite incrementi d'imposte, giacché solo un'efficace tassazione dei redditi e delle proprietà avrebbe potuto garantirgli entrate adeguate alle sue nuove necessità. Le spese di guerra vennero così finanziate quasi esclusivamente tramite prestiti, concessi dai cittadini, dalle banche e dagli stati alleati (ossia dalla Gran Bretagna e soprattutto dagli Stati Uniti). Il paese uscì perciò dal conflitto pesantemente indebitato. Inoltre le banche, per erogare le somme richieste, avevano stampato grandi quantità di nuova moneta: s'era avuto così un notevole incremento del circolante, il quale, una volta venuti meno i controlli sui prezzi praticati in tempo di guerra, causò una forte inflazione.
● La ripresa degli anni venti
Malgrado tali difficoltà, l'economia francese non tardò comunque a riprendersi: secondo Dupeux e Michel (1979) nel 1923 il reddito nazionale, considerato al netto dell'inflazione, era già tornato al livello del 1913; e nel 1929 era superiore ad esso di un terzo. Questa ripresa ebbe all'origine un processo di ammodernamento della struttura industriale che, iniziato durante la guerra, continuò nel decennio successivo alla sua conclusione; processo che si sostanziò sia in una forte crescita della produttività del lavoro operaio, sia nell'espansione dei settori più avanzati (chimica, elettricità, produzione di mezzi di trasporto). Il progresso dell'industria ebbe ricadute benefiche anche sul comparto agricolo, nel quale si diffusero macchinari moderni e concimi chimici; questo tuttavia per altri versi conservò i suoi caratteri tradizionali, in ragione della lentezza con cui continuò a svolgersi l'inurbamento della popolazione contadina e della permanenza d'un'elevata frammentazione della possidenza terriera. A quest'ultimo riguardo è da notare che l'inflazione postbellica pose in difficoltà molti proprietari, costringendoli a vendere parti delle proprie aziende e perciò favorendo la trasformazione di molti contadini in piccoli proprietari. D'altronde, Morsel (1979) sottolinea che nello stesso ambito industriale la modernizzazione delle strutture produttive fu limitata ai soli settori più avanzati, nei quali sorsero grandi operatori che detenevano posizioni dominanti sul mercato. Al di fuori di essi, difatti, si verificò solamente un limitato incremento della dimensione delle aziende, fra le quali continuarono così a prevalere quelle di piccola taglia, legate a modalità produttive tradizionali.
Stando a quanto scrive Aldcroft (2004), a consentire la modernizzazione dell'apparato industriale contribuì in misura decisiva la forte inflazione postbellica. Essa difatti, riducendo nel tempo il valore della moneta, rendeva conveniente prendere danaro a prestito e dunque induceva gli industriali a indebitarsi per finanziare nuovi investimenti. Inoltre tale perdita di valore accresceva la competitività di prezzo delle produzioni francesi sui mercati esteri, facendo sorgere prospettive di guadagno che pure stimolavano gli investimenti industriali. L'inflazione aveva anche un'altra ricaduta positiva: Morsel (1979) rileva difatti che essa tendeva a ridurre il valore reale del debito pubblico. Questo autore, però, sottolinea anche come tale fenomeno inducesse i possessori di titoli di stato a non rinnovare le proprie sottoscrizioni e suscitasse una fuga di capitali verso impieghi all'estero. L'esistenza di questi risvolti negativi spiega come mai nel 1926 il governo Poincaré pose in essere una politica deflazionistica, imponendo aumenti d'imposte e del tasso di sconto (ossia degli interessi creditizi) tesi a frenare l'incremento della massa monetaria, nonché facendo acquistare alla Banca di Francia oro e valuta pregiata, al fine di sostenere il valore della moneta che essa emetteva. Una volta stabilizzata l'inflazione, comunque, questa politica venne parzialmente abbandonata, in modo da ripristinare una situazione più vantaggiosa per le finanze pubbliche e per le imprese: nel 1928 si ebbe difatti una svalutazione del franco rispetto alla sterlina.
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2. La reazione alla grande crisi
● Protezionismo e regolamentazione del mercato
Come tutti gli stati del mondo occidentale, la Francia fu coinvolta nella grande crisi degli anni trenta. Aldcroft (2004), Berend (2008)e Kemp (1992), nel ricostruire le vicende di quel periodo, pongono l'accento sul fatto che la depressione indusse il ceto politico francese ad abbandonare il suo tradizionale orientamento liberista, per regolare in modo sempre più stringente produzione e commerci. La reazione immediata alla crisi fu costituita dal tentativo di compensare il restringimento del mercato interno subito dai produttori nazionali escludendo da esso i loro concorrenti stranieri: così, già nel 1931 le tariffe doganali risultavano raddoppiate rispetto al periodo precedente la crisi. All'inasprimento dei dazi si aggiunsero poi misure ancora più restrittive, quali la fissazione di quote e licenze d'importazione. Questa politica fu tuttavia seguita anche dagli altri stati europei, sicché il calo delle importazioni fu compensato da quello delle esportazioni. Inoltre il governo francese, temendo una ripresa dell'inflazione, evitò a lungo di ricorrere alla politica monetaria per contrastare il rincaro dei suoi prodotti che il diffondersi del protezionismo altrui tendeva a determinare sui mercati esteri: dopo il 1928 e sino al 1936 non si ebbero difatti ulteriori svalutazioni del franco. A questa linea di condotta, tuttavia, fece riscontro la propensione di altri paesi a indebolire il cambio, col risultato che nel corso degli anni le produzioni francesi persero competitività nei confronti di quelle estere.
Un aspetto importante della crisi era rappresentato dalla caduta dei redditi dei produttori agricoli, i quali avevano sofferto un calo dei prezzi delle derrate, ingenerato dall'eccesso di offerta che s'era determinato negli anni venti. A questo problema il protezionismo offriva una risposta soltanto parziale, dal momento che a determinare l'eccesso di offerta era stata in parte la crescita delle importazioni di derrate americane, ma in parte anche la crescita della produzione interna. A partire dal 1933, pertanto, in tale ambito vennero adottate ulteriori misure, quali l'imposizione di prezzi minimi, sovvenzioni, limiti posti all'incremento della produzione e incentivi alla sua riduzione. Fra il 1935 e il 1936 si provvide pure a regolamentare l'attività delle industrie che lavoravano prodotti agricoli e dell'allevamento, vietando l'apertura di nuovi stabilimenti produttori di farina, zucchero, seta e calzature. La strategia di risollevare la condizione degli operatori economici riducendo la concorrenza cominciò così ad essere applicata anche al di fuori del settore propriamente agricolo. A conferma di questa tendenza, nello stesso periodo anche l'apertura di nuovi negozi venne sottoposta a limitazioni. Nei principali comparti industriali (minerario, siderurgico, chimico) furono invece gli stessi operatori a concepire e realizzare misure di questo tipo, accordandosi sui prezzi da praticare e contingentando volontariamente la produzione. La principale iniziativa dello stato a sostegno dell'industria consistette nella concessione di sgravi fiscali.
● L'ulteriore espansione dell'intervento pubblico
Nel 1936 andò al governo una coalizione di partiti di sinistra (il Fronte Popolare), la cui azione fu rivolta principalmente a risollevare la domanda interna, aumentando l'occupazione e il potere d'acquisto dei lavoratori. Aldcroft (2004) e Kemp (1992) scrivono infatti che sotto questo governo furono varati un programma di opere pubbliche e un programma di riarmo, fu deciso l'incremento dei salari e venne imposta una riduzione dell'orario di lavoro. Gli effetti di queste misure furono tuttavia limitati. Difatti il nuovo esecutivo riuscì a incrementare la spesa pubblica solo in misura limitata, in quanto per un verso non realizzò una riforma fiscale funzionale ad accrescere la tassazione dei redditi più elevati e per l'altro non volle ricorrere all'espansione del debito. Inoltre gli industriali, per compensare la crescita del costo del lavoro scaturita dai provvedimenti su orari e stipendi, elevarono i prezzi dei propri beni, vanificando almeno in parte l'innalzamento del reddito dei lavoratori. Un altro aspetto rilevante della politica del Fronte Popolare consistette nell'acquisizione di partecipazioni nelle principali aziende di trasporto (ferroviario, navale e aereo), nonché nel settore elettrico e petrolifero; furono inoltre completamente nazionalizzate alcune industrie operanti in campo bellico e aeronautico. Infine va sottolineato che si tornò a svalutare il franco, nel tentativo di far recuperare all'industria posizioni sui mercati esteri.
L'esperienza di governo del Fronte Popolare ebbe termine nell'aprile 1938, con la ricostituzione d'una maggioranza di orientamento più moderato. Sotto di essa, tuttavia, non si ebbe un'attenuazione dell'intervento pubblico nell'economia, ma all'opposto una sua ulteriore crescita. Difatti il crescente timore di dover sostenere un nuovo conflitto indusse il ceto politico a conferire all'apparato amministrativo ampi poteri in materia economica, in modo da poter subordinare, nel momento in cui ne fosse sorta la necessità, l'iniziativa privata alle esigenze della difesa militare. Così, al governo fu assegnato il potere di regolare i prezzi, il commercio con l'estero e l'assegnazione di risorse alle imprese. Questi poteri furono poi effettivamente esercitati a partire dal settembre 1939, quando ebbe inizio la seconda guerra mondiale.
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3. La seconda guerra mondiale e la ricostruzione
● L'eredità del conflitto
Per la Francia il bilancio del secondo conflitto mondiale fu pesantissimo. Secondo Dupeux (1979), difatti, se le perdite umane risultarono inferiori a quelle della guerra del 1914-18, le devastazioni materiali furono assai superiori. Nelle fasi in cui il paese fu pienamente coinvolto nelle vicende belliche ingenti distruzioni interessarono le aziende agricole, gli impianti industriali, i porti, le infrastrutture e la flotta mercantile; mentre nel lungo periodo dell'occupazione tedesca esso subì cospicue requisizioni di prodotti agricoli, materie prime e mezzi di trasporto. Alle perdite materiali si sommarono gli oneri finanziari derivanti sia dalla guerra, sia dall'occupazione.
Come già era accaduto dopo 1918, dopo il 1945 la Francia attraversò una fase di disordine finanziario. Per procurarsi le risorse necessarie al finanziamento della guerra, il governo aveva fatto ricorso alle entrate fiscali in misura maggiore che al tempo del precedente conflitto; ma le spese che aveva dovuto affrontare erano state tali da richiedere ugualmente un massiccio ricorso all'indebitamento. Si ripeterono così gli eventi d'un trentennio addietro: la dilatazione del debito pubblico causò quella della massa monetaria circolante; e questa provocò, una volta venuto meno il blocco dei prezzi e dei salari, una devastante inflazione, con conseguente incremento del costo della vita e svalutazione del franco. Quest'ultimo fenomeno non fu d'aiuto all'economia, in quanto l'industria francese, avendo perso parte consistente della propria capacità produttiva, non poté approfittare della situazione per accrescere le proprie esportazioni; in effetti, esso le arrecò addirittura un danno ulteriore, in quanto rese più costose le importazioni agricole e manifatturiere di cui il paese in quel momento aveva grande bisogno.
Questi problemi, comunque, non impedirono che la ricostruzione dell'economia nazionale venisse prontamente riavviata. La ripresa delle attività produttive avvenne difatti a velocità tale che, tra la fine del 1945 e la fine del 1946, il numero dei disoccupati scese da 600.000 a 10.000. Il fabbisogno di forza lavoro crebbe così tanto da rendere necessario addirittura l'impiego in agricoltura dei prigionieri di guerra e un largo afflusso d'immigrati.
● Le nazionalizzazioni
Un aspetto di grande rilievo della politica economica seguita all'indomani della liberazione fu rappresentato dalle nazionalizzazioni che interessarono molte importanti imprese. Come rilevano Dupeux (1979) e Longobardi (1988), un'azione di così vasta portata fu resa possibile dalla sussistenza in seno alla maggioranza di governo d'un'ampia convergenza sulla sua opportunità, sebbene ovviamente questa venisse motivata in modo diverso a seconda degli orientamenti politici (instaurazione d'una democrazia economica, difesa dell'interesse generale contro quelli particolaristici, rilancio dell'economia, rafforzamento della sovranità nazionale, punizione degli imprenditori che avevano collaborato con gli occupanti nazisti). L'intervento dello stato interessò fondamentalmente il settore finanziario, energetico e dei trasporti. Furono nazionalizzate la Banque de France, le quattro più importanti banche di deposito e le principali compagnie assicuratrici; le miniere di carbone, parte dell'industria carbonifera e petrolifera, le imprese di produzione e distribuzione di elettricità e gas (e in più fu riservato allo stato il futuro sfruttamento delle applicazioni civili del nucleare); le compagnie aeree e di navigazione. In questo modo lo stato si assicurò il controllo di settori fornitori di servizi di capitale importanza, dei quali occorreva assicurare lo sviluppo per garantire quello dell'industria. Quest'ultima invece rimase affidata all'iniziativa privata, con la sola notevole eccezione dell'azienda automobilistica Renault, in ragione dell'accusa di collaborazionismo mossa al suo titolare.
● La pianificazione
Un altro aspetto fondamentale della politica economica francese del dopoguerra fu rappresentato dal tentativo di stimolare la ripresa attraverso un'attenta pianificazione degli investimenti. Aldcroft (2004) e ancora Dupeux (1979) illustrano questa strategia ponendo l'accento sul fatto che essa mirò ad orientare le decisioni tanto degli operatori pubblici quanto di quelli privati, definendo gli obiettivi degli investimenti di entrambi. In verità, gli esponenti del settore privato non erano tenuti a seguire le indicazioni del piano; ma il governo era in grado d'influenzarne le decisioni, rendendo per essi conveniente conformarsi alle sue direttive. La traduzione in realtà dei piani d'investimento comportò infatti non soltanto l'effettuazione di cospicui investimenti pubblici, ma anche l'agevolazione di quelli privati di cui il piano auspicava la realizzazione, tramite la concessione di prestiti, sussidi e garanzie pubbliche.
Il primo piano entrò in applicazione nel 1947 ed ebbe quale obiettivo fondamentale, inevitabilmente, la rapida ricostruzione dell'economia francese. Nondimeno, esso pose anche le fondamenta per lo sviluppo del paese nel lungo periodo, in quanto i suoi autori indirizzarono le risorse pubbliche soprattutto verso i settori di base, che occorreva potenziare e modernizzare per rendere disponibili prodotti alimentari, abitazioni e manufatti in grande quantità e a prezzo conveniente: l'agricoltura, i trasporti e le industrie fornitrici di quella edile e manifatturiera (ossia quelle cementifera, siderurgica ed energetica). In questo modo si sacrificò nell'immediato la ripresa della produzione di beni di consumo (che non ricevette analoghe attenzioni), ma furono stabilite condizioni favorevoli ad una sua espansione duratura.
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4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Per una geografia storico-economica. La Francia (parte quarta). Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca. Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.