A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Pensiero politico: temi e protagonisti
Uffici e commissioni parlamentari in età liberale. Terza parte
Terza puntata dell'approfondimento dedicato da Fabrizio Rossi all'evoluzione degli organi parlamentari degli Uffici in Commissioni nel corso dell'età liberale. Le precedenti puntate sono state pubblicate nei numeri di dicembre 2012 e febbraio 2013 di MinervaWeb.
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1. Le critiche al sistema degli Uffici
2. La critica di carattere politico: la proposta del Comitato privato alla Camera
3. La critica di carattere tecnico: la proposta delle commissioni competenti per materia al Senato
4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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1. Le critiche al sistema degli Uffici
Come si è detto, durante l'età liberale, il sistema degli uffici scelti mediante sorteggio è criticato essenzialmente per due motivi: da un lato perché ostacola il riprodursi del rapporto tra maggioranza e opposizione esistente in Assemblea, dall'altro perché determina una squilibrata distribuzione delle competenze.
I sistemi del Comitato privato e delle commissioni permanenti competenti per materia, vengono quindi proposti in sostituzione del sistema degli uffici per ovviare sia alla critica di carattere "politico" (la mancata distinzione tra maggioranza e minoranza), sia alla critica di carattere "tecnico" (la mancata valorizzazione della competenza) (vedi la Seconda parte dell'Approfondimento).
La critica di carattere politico assume maggior rilievo alla Camera elettiva dove si fronteggiano apertamente maggioranza e minoranza (e la proposta alternativa sarà essenzialmente quella del Comitato privato). La critica di carattere tecnico acquista maggiore importanza al Senato, nominato dal re (di fatto, dal governo) fra le personalità eminenti del paese (e la proposta alternativa sarà principalmente quella delle commissioni permanenti competenti per materia).
2. La critica di carattere politico: la proposta del Comitato privato alla Camera
Racioppi e Brunelli, nel loro Commento allo Statuto del Regno del 1909, sottolineano che "Gli Uffici per il motivo di fondarsi sulla cieca sorte riescono inconsistenti con il regime di Gabinetto" (corsivo nostro), cioè con la forma di governo dell'Italia liberale fondata sulla "doppia fiducia" che lega l'esecutivo alla Corona e alla Camera. Il governo, proprio in virtù di questo legame con la Camera elettiva, deve poter esercitare "una ragionevole influenza" nella nomina degli organi che istruiscono l'esame dei disegni di legge per l'Assemblea, mentre nel sistema degli uffici, gli uffici centrali "possono riuscire composti in maggioranza di membri avversari" (F. Racioppi; I. Brunelli, 1909).
Il "sorteggio" può quindi determinare negli uffici e, quindi, come sappiamo, nell'ufficio centrale nominato dagli uffici stessi, l'alterazione del rapporto tra maggioranza e opposizione. Tale inconveniente è lamentato, seppur con motivazioni diverse, sin dagli albori del regime statutario da Cavour e Balbo.
Cavour, citando l'esperienza della Camera francese, sottolinea che l'alterazione del rapporto tra maggioranza e opposizione va, di solito, a scapito di quest'ultima:
«Si esaminino attentamente le commissioni (rectius gli Uffici centrali) nominate nelle ultime sessioni e si vedrà che in esse i membri dell'opposizione figurano in una proporzione assai minore di quella in cui stavano al numero totale dei membri della Camera.»
Per ovviare a ciò suggerisce di far nominare gli uffici centrali dalla Camera, oppure, meglio ancora, direttamente dal presidente dell'Assemblea il quale, "per il desiderio di mostrarsi imparziale", eserciterà un ruolo di equilibrio tra maggioranza e opposizione (Cavour, 1848).
Cesare Balbo, che pure nel 1848, come leader del governo, aveva fatto adottare alle Camere "regolamenti provvisori" ricalcati sul modello francese, si esprime ben presto contro il sistema degli Uffici, ma, a differenza di Cavour (e in linea con quanto osserveranno più tardi Racioppi e Brunelli), ritiene che il sorteggio danneggi la maggioranza. Balbo cita al proposito la propria esperienza nella Camera subalpina:
«Date in una Camera una maggiorità e una minorità poco diseguali, ho veduto l'estrazione a sorte raccoglier la prima quasi tutta in tre uffici e così spogliarne quasi interamente i quattro altri… Quindi ultimamente nel comitato (rectius Ufficio centrale) trovasi tre soli commissari della maggiorità e quattro della minorità; e naturalmente il relatore esser nominato da questi e fare la relazione nel senso della minorità. E durò tutto un mese siffatto imbroglio, finché non fu disfatto dalla nuova estrazione a sorte degli Uffici» (Balbo, 1857).
La critica al sorteggio degli uffici, che altera gli equilibri politici, emerge dunque nella Camera elettiva in cui si riflette il conflitto fra maggioranza e opposizione e si instaura il legame fiduciario con il governo. Non a caso, nel 1868 in sostituzionedegli uffici è introdotto il sistema del Comitato privato, il cui scopo principale è proprio quellodi assicurare il "corretto" rapporto tra maggioranza e opposizione sin dall'esame istruttorio dei progetti di legge. Il Comitato privato (cioè la riunione dell' Assemblea senza pubblico nelle tribune, senza resocontazione e con un numero legale ridotto) discute il progetto di legge in via preliminare, designa quindi una Giunta di sette membri che, dopo un esame più approfondito, riferisce sul progetto di legge in Assemblea. In pratica il Comitato privato, oltre "a reclutarsi da sé", tendenzialmente tra i parlamentari più competenti o tra quelli più interessati all'argomento in discussione (vedi la Seconda parte dell'Approfondimento), riproduce anche, di regola, lo stesso rapporto tra maggioranza e opposizione presente nell'Assemblea plenaria, presentandosi così come un rimedio agli "opposti" inconvenienti del sorteggio (la "sottorappresentazione" della minoranza denunciata da Cavour o la "trasformazione della minoranza in maggioranza" denunciata da Balbo).
Proprio perché il sorteggio può danneggiare sia la maggioranza che l'opposizione, la proposta del Comitato privato è avanzata "trasversalmente" dai deputati della minoranza di Sinistra (Crispi) e dai deputati della maggioranza di Destra (Minghetti).
Inoltre non è forse un caso che la sostituzione degli uffici con il Comitato privato avvenga nel 1868, cioè proprio quando è più forte la distinzione tra la Destra e la Sinistra storiche sui modi di completare l'Unità (differenza che si attenua all'indomani della conquista di Roma nel 1870 e che viene definitivamente meno con il trasformismo dopo il 1882). In realtà la nuova procedura volta a distinguere nettamente maggioranza e opposizione non sembra rivelarsi la soluzione più adatta a garantire un chiaro ed ordinato lavoro legislativo, anzi, sin dai primi giorni di applicazione del Comitato privato, la dura contrapposizione fra Destra e Sinistra fa subito rimpiangere ad alcuni esponenti della Sinistra come Asproni, Lazzaro e Di San Donato il sorteggio degli uffici che, seppure casualmente, offre maggiori spazi alle minoranze:
«Con questo regolamento le minoranze saranno inesorabilmente sacrificate. Avete veduto dove ci ha condotto il Comitato di questa mattina…Negli Uffici c'era una relazione di amicizia e di civiltà personale che si contraeva col reciproco contatto; adesso nel Comitato restano fieri e implacabili i partiti, gridanti gli uni contro gli altri…Quando le leggi erano presentate agli Uffici, nella sorte della ricomposizione bimestrale (corsivo nostro) vi era per la minoranza una garanzia» (Atti Parlamentari, Camera, Discussioni, 1868).
Nel sistema del Comitato privato la minoranza è dunque correttamente rappresentata ma resta pur sempre una minoranza, destinata a soccombere in caso di conflitto con la maggioranza, il che regolarmente avviene quando si tratta di eleggere, da parte del Comitato privato, i sette componenti della Giunta. In questa elezione, in cui è richiesta la maggioranza assoluta dei votanti (il voto "limitato" a garanzia delle minoranze sarà introdotto per le poche commissioni permanenti, come la commissione Bilancio, solo nel 1900), la maggioranza di Destra può infatti sempre eleggere tutti e sette i membri della Giunta. Di qui l' "ostruzionismo" messo in atto dalla Sinistra che finisce per sollecitare anche nella maggioranza di Destra la richiesta di un ritorno al sistema degli uffici. Scrive il relatore Siccardi nel marzo 1870:
«Le infinite proposte di ordine e di forma che sorgono ad ogni istante e si intralciano nel seno del Comitato e ciò a danno di una larga e coscienziosa discussione preparatoria che ben di rado può avere luogo...la quasi impossibilità materiale di addivenire alle nomine dirette delle sue commissioni (rectius Giunte) (corsivi nostri) sono tali ostacoli al buon andamento dei lavori parlamentari da giustificare la proposta della abolizione del Comitato privato» (Atti Parlamentari, Camera, Documenti, 1870).
Siccardi, inoltre, al pari degli esponenti della Sinistra, auspica il ritorno agli uffici anche in nome di una sorta di loro funzione nation building:
«Un vantaggio assai grande e indiscutibile degli uffici è quello di avvicinare e diremmo quasi di affratellare deputati delle diverse province e dei diversi partiti… badiamo ai nostri partiti politici troppo concentrati negli uomini anziché nei principi; ricordiamoci la storia di questi stessi partiti in Italia; pensiamo che fino a pochi anni addietro siamo stati stranieri gli uni agli altri» (Atti Parlamentari, Camera, Documenti, 1870).
Il sorteggio degli uffici che sembrava dunque un difetto, cioè un ostacolo alla netta distinzione tra maggioranza e opposizione, viene ora considerato un pregio, cioè un utile strumento per attenuare il conflitto tra Destra e Sinistra e fra le "componenti regionali" interne ai due schieramenti (ricordiamo che la Destra "cade" nel 1876 proprio per il distacco della sua "componente" toscana, alleatasi con la Sinistra). Torna a prevalere, in altre parole, la concezione tendenzialmente "atomistica e indifferenziata" del Parlamento.
Tuttavia, la breve durata del Comitato privato (dal 1868 al 1873), si spiega non solo con questa importante "difficoltà politica" (la rigida contrapposizione tra Destra e Sinistra) ma anche con una "difficoltà procedurale" (la distanza delnuovo sistema dal modello britannico delle Tre letture cui pure intendeva ispirarsi):
«In Inghilterra - scrivono ancora Racioppi e Brunelli - il progetto di legge è discusso prima dalla Camera in seduta pubblica, nelle linee generali, e dopo trapassa al Comitato che lo studia nei particolari tecnici; invece nella nostra Camera il progetto era rimesso immediatamente al Comitato Privato perpetuando lo stesso difetto del sistema degli uffici (corsivo nostro)» (Racioppi; Brunelli, 1909).
Il "difetto" degli uffici, cioè la mancanza di un previo esame di fronte alla Camera in seduta pubblica, continua dunque a sussistere nel sistema del Comitato privato che non prevede, come il sistema inglese delle Tre letture, una prima lettura in Assemblea in cui decidere se proseguire o meno l' esame del disegno di legge. Anche il nuovo sistema, al pari di quello degli uffici, comporta quindi un lungo iter legislativo (discussione in Comitato privato, nella Giunta e infine in Assemblea).
Un sistema delle Tre letture per certi aspetti più vicino al modello britannico (la prima lettura in Assemblea si conclude con un voto "pregiudiziale" sul passaggio o meno alla seconda) viene approvato nel 1888 (e non è forse un caso che il suo vecchio sostenitore, Crispi, sia allora Presidente del Consiglio). Ma la nuova procedura crea, per altri aspetti, un' "ibrida" commistione con il sistema degli uffici rinunciando proprio al Comitato privato (la seconda lettura, infatti, non è svolta, come nel modello inglese, nel Comitato privato ma ha invece luogo in una commissione, "di solito eletta dagli Uffici" che riferisce poi all' Assemblea). Infine la procedura delle Tre letture resta solo facoltativa, non intaccando la "primazia" del sistema degli uffici che fa ormai leva sul "crisma" dell'esperienza.
3. La critica di carattere tecnico: la proposta delle commissioni competenti per materia al Senato
La differenza tra il sistema degli uffici e i modelli alternativi del Comitato privato e delle commissioni permanenti non riguarda solo il problema della rappresentanza sotto il profilo politico (rappresentanza "indifferenziata e atomistica" o rappresentanza "divisa" in partiti) ma anche sotto il profilo funzionale (il Parlamento, sia che venga visto come indifferenziata "classe dei migliori" oppure diviso in maggioranza e opposizione, deve funzionare in base al principio della competenza dei suoi membri o in base al principio che ogni parlamentare deve occuparsi di tutto?).
Come si è detto, il principio della competenza rimane alla Camera sullo sfondo perché la critica al sorteggio degli uffici è soprattutto "politica", rivolta cioè alla mancata distinzione tra maggioranza e minoranza (e "politica" peraltro è anche l'argomentazione a difesa degli uffici, cioè la loro capacità di attenuare il contrasto tra Destra e Sinistra e tra le correnti interne ai due schieramenti).
Al Senato invece le parti si invertono. La critica al sorteggio degli uffici è principalmente "tecnica", volta cioè a stigmatizzare la mancata valorizzazione del principio della competenza, principio che bene si attaglia ad un' Assemblea nominata dal re (dal governo) nell'ambito di un'aristocrazia del sapere e della ricchezza (l'alta burocrazia statale, la cultura accademica, i "maggiori censiti"). La critica "politica" sulla mancata distinzione tra maggioranza e opposizione resta invece sempre marginale in un'Assemblea non elettiva e vitalizia.
Proprio per questo il Senato nel 1868, lo stesso anno in cui la Camera introduce il Comitato privato che, come si è detto, mira a favorire la distinzione tra maggioranza e opposizione, propone invece le commissioni permanenti, volte invece a valorizzare la competenza. Il progetto della Commissione sulla riforma del regolamentopresieduta da Giovanola prevede infatti tre Comitati (commissioni) permanenti (della durata cioè dell'intera sessione), competenti su materie corrispondenti a tre ampi settori dell'amministrazione statale: 1) Giustizia, Culti e Istruzione pubblica; 2) Finanze, Lavori pubblici, Agricoltura, Industria e Commercio; 3) Affari esteri, Interni, Guerra e Marina.
I comitati (commissioni) - formati secondo la libera scelta dei senatori (coloro che entro dieci giorni dall'inizio della sessione non abbiano ancora scelto, sono assegnati dal Presidente del Senato ad uno dei tre comitati) - dopo un esame preliminare del progetto di legge, eleggono, per lo studio approfondito dello stesso, una Giunta di tre membri che poi riferisce all'Assemblea (Atti Parlamentari, Senato, Documenti, 1868).
La riforma non va in porto (di fatto nel 1869 è rinviata sine die) a causa dei contrasti presenti anche in Senato fra i fautori degli Uffici, favorevoli ad una concezione "politica" del Parlamento (sebbene nella forma "atomistica e indifferenziata" di cui si è detto) e i sostenitori delle commissioni permanenti competenti per materia, favorevoli ad una "specializzazione tecnica" della Camera alta (Archivio Storico, Senato, Comitato segreto, 1869).
Il tema delle commissioni permanenti viene ripreso da Diomede Pantaleoni nel 1880 e nel 1883, assieme ad altri autorevoli senatori come Lampertico, Finali, Alvisi, Canonico. Lo scopo è ancora quello di valorizzare la "competenza", opponendo la "qualità" del Senato alla forza del "numero" della Camera, tanto più ora, dopo il suffragio allargato introdotto dalla Sinistra nel 1882.
«Coll'estensione del suffragio - osserva Pantaleoni - e più ancora se si dovesse giungere al suffragio universale, per necessità il Senato dovrà trincerarsi nei principi della scienza e dell'esperienza, o altrimenti il paese sarebbe trascinato non più ad essere regolato dalle idee di ragione, ma dal numero, dalle masse, dall'ignoranza e dalle passioni brutali…La Camera elettiva avrà forse ragione di mantenere gli Uffici, ma noi siamo eletti per categoria e non alla rinfusa. (corsivo nostro). Noi abbiamo qui in Senato le più belle intelligenze; abbiamo 21 o 22 generali, abbiamo 10, 15, 20 magistrati, abbiamo i primi scienziati della matematica ed ingegneria; è questo che costituisce la nostra forza viva» (Atti Parlamentari, Senato, Discussioni, 1883).
Tuttavia, anche in questa occasione, la proposta di una "divisione del lavoro" in base al principio della "specializzazione tecnica" viene respinta, prevalendo il principio della competenza "politica" diffusa che consente ad ogni senatore di occuparsi di tutti i progetti di legge sin dal loro esame istruttorio.
Anche lo "scienziato"Cannizzaro (il più famoso "chimico" italiano) sottolinea il principio delle Assemblea legislative come corpi "politici" e non "tecnici":
«Quando si tratta di discutere le leggi in un Corpo politico che non è un Consiglio di Stato, bisogna che intervengano non solo i competenti di quella specialità ma conviene che intervengano tutti [...] Per esempio se si trattasse di una legge d'istruzione pubblica, io mi guarderei bene di discuterla soltanto con i professori, ma amerei invece di discuterla anche con i cittadini illuminati, con giureconsulti, e via dicendo. Altrimenti un Corpo politico diverrebbe un Corpo tecnico»(Atti Parlamentari, Senato, Discussioni, 1883).
A favore del mantenimento del sistema degli uffici (cioè di una competenza "politica" diffusa) gioca peraltro in quegli anni anche il fenomeno della progressiva "politicizzazione" del Senato. Frequenti e massicce "infornate", soprattutto a partire dai primi governi della Sinistra (intenta a modificare l'orientamento dell'Assemblea vitalizia in senso favorevole al suo programma di riforme), accentuano infatti le "tendenze politiche" dei senatori, tendenze che si fanno ancora più rilevanti negli anni Ottanta e Novanta, quando, all'interno delle nomine, aumenta il peso della "categoria" degli ex deputati. Tuttavia tale "politicizzazione" (nomine "strumentali" e presenza degli ex-deputati) resta sostanzialmente entro la tradizionale concezione liberale della rappresentanza politica come indifferenziata "classe dei migliori".
La struttura dell'Assemblea vitalizia, divisa ora nelle tre grandi componenti degli ex-deputati, della burocrazia statale e dei maggior censiti (ciascuna delle quali rappresenta a fine secolo circa 1/3 del Senato, con una leggera prevalenza proprio degli ex-deputati) non favorisce quindi l'organizzazione dei lavori sulla base del principio della competenza. Tale principio infatti, rivendicato soprattutto dalla componente burocratica, deve fare i conti con il principio della natura politica dell'Assemblea, rivendicato soprattutto dagli ex deputati che, nominati senatori "dopo tre legislature o sei anni di esercizio", rappresentano ormai una classe di "politici di professione". Nella contesa tra "politica" e "competenza", i "maggior censiti" svolgono invece, di fatto, un ruolo "neutrale", esprimendo, ad un tempo, sia l' istanza politica (sono spesso ex-deputati sebbene nominati per la "categoria" della ricchezza) sia l'istanza tecnica (sono portatori di una competenza maturata nella loro attività di imprenditori, banchieri, uomini d'affari).
Il Senato, impegnato dunque in quegli anni a discutere della sua stessa "identità", "Corpo tecnico" super partes o "Corpo politico" suscettibile di dividersi in partiti, non diventerà mai né l'uno né l'altro. La concezione politica "atomistica e indifferenziata" del Parlamento che individua negli uffici il modello più congeniale, prevale, infatti, come si è detto, anche in Senato non consentendo una sua evoluzione nel senso della "specializzazione tecnica", attraverso le commissioni competenti per materia, né, tanto meno, nel senso della "distinzione politica" dei partiti, attraverso il Comitato privato (modello, come si è visto, proposto senza duraturo successo alla Camera, e ancora più difficilmente proponibile in un'Assemblea non elettiva e vitalizia).
In realtà il sistema delle Tre letture viene introdotto anche in Senato nel 1900 ma esso resta, come alla Camera, una procedura facoltativa e connotata dall' "ibridismo" con il sistema degli uffici, non in grado dunque di modificare la natura dell' Assemblea vitalizia in senso politico-partitico. Tuttavia tale innovazione regolamentare sancisce anche il definitivo abbandono da parte del Senato di ogni ipotesi "tecnica" di riforma basata sulle commissioni permanenti competenti per materia.
La proposta delle commissioni permanenti sarà infatti nuovamente avanzata, durante la guerra, non più al Senato ma alla Cameracome strumento di controllo nei confronti del governo, la cui estensiva applicazione della legge sui "pieni poteri" nel periodo del conflitto ha interamente sottratto al Parlamento la funzione legislativa. Solo dopo le elezioni del 1919, che assegnano la maggioranza assoluta ai partiti di massa, il socialista e il cattolico, tale proposta troverà peraltro i "voti necessari" per essere approvata e non a caso, come vedremo, alla Camera il profilo "politico" delle commissioni permanenti (la "designazione" proporzionale da parte dei Gruppi parlamentari) assumerà maggiore importanza del profilo "tecnico" (la ripartizione delle competenze per materia).
Il Senato, che naturalmente non risente delle ripercussioni istituzionali del "terremoto elettorale" del 1919, conserverà invece il sistema degli uffici.
4. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Si riportano qui di seguito in ordine alfabetico le fonti citate nel testo.
Archivio Storico del Senato della Repubblica, Senato del Regno, Verbale del Comitato segreto del 2 marzo 1869
Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, 3 dicembre 1868, p. 8266
Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Documenti, Doc. n. 52-A, Relazione della Commissione incaricata di proporre l'abolizione del Comitato e il ritorno agli Uffici, Relatore Siccardi, 29 marzo 1870, pp. 2 e 4
Atti parlamentari, Senato del Regno, Discussioni, 13 aprile 1883, pp. 747, 751 e 752
Atti parlamentari, Senato del Regno, Documenti (non numerati), Relazione della commissione sul progetto di riforma del regolamento interno del Senato, 28 dicembre 1868, Legislatura X, Sessione 1867-1869, p. 10
Cesare Balbo, Della Monarchia rappresentativa in Italia. Firenze, Le Monnier, 1857, p. 342
(45. I. 10)
Camillo Benso di Cavour, Il Regolamento provvisorio della Camera dei deputati, in "Il Risorgimento", 12 maggio 1848
(Biblioteca della Camera, PG 0057)
Francesco Racioppi; Italo Brunelli, Commento allo Statuto del Regno. 3 voll., Torino, UTET, 1909, vol. III, pp. 97 e 103
(135. XII. 21-23)
Gli Atti della Camera dei deputati e del Senato del Regno sono consultabili nelle sale degli Atti del Regno, al secondo piano della nostra Biblioteca.
Per ulteriori approfondimenti, si rimanda al catalogo del Polo Bibliografico Parlamentare.