A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Testimonianze
La Biblioteca del Senato e i suoi lettori: passato e presente
Giuliano Garavini, autore del presente contributo, ha conseguito un master presso il Collegio d'Europa di Bruges e un dottorato di ricerca in Storia delle relazioni internazionali presso l'Università di Firenze. Attualmente è assegnista FIRB presso l'Università di Padova.
Il suo ultimo libro è "After Empires. European Integration, Decolonization and the Challenge from the Global South (1957-1986)" in uscita ad ottobre con Oxford University Press. Sta lavorando ad una storia globale della crisi petrolifera degli anni Settanta.
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L'accesso alla vecchia sede della biblioteca del Senato era fino al 2003 in Via della Dogana Vecchia, un ingresso secondario di palazzo Madama ove risiede il Senato.
Per entrare occorreva anzitutto essere presentati - anche se non ricordo bene quali fossero i soggetti titolati a poter presentare. Si accedeva solo in giacca e cravatta e, seppur non si doveva mantenere il silenzio assoluto, di fatto vigeva un assoluto silenzio.
Le caratteristiche funzionali che ancora oggi riesco a rievocare della vecchia biblioteca del Senato sono nell'ordine: la possibilità di richiedere e poi accumulare sul proprio tavolo di lavoro un numero illimitato di libri, una certa oscurità polverosa, e una frequentazione piuttosto scarsa - non di rado restavo da solo per una giornata intera.
Essendo all'epoca un giovane laureando con le annesse ansie lavorative e private, gli otto mesi passati in preparazione della tesi furono tristi e silenziosi. In una delle poche conversazioni tenute in biblioteca ricordo di aver rivolto ad una giovane archivista appena assunta una delle domande più stolte che mi sia capitato di porre: "perché fai questo lavoro?". La domanda era fuori luogo, non tanto per la sua lettera, quanto per il tono di sufficienza con cui era stata posta: non capivo come una giovane e potenzialmente brillante studiosa potesse decidere di segregarsi in quel luogo apparentemente privo di vita. Col tempo avrei rivalutato le soddisfazioni di un lavoro svolto in biblioteche e archivi adeguatamente valorizzati, e non solo a causa delle precarie condizioni economiche alle quali è condannato un giovane studioso alle prese con la carriera universitaria in Italia.
Uno dei possibili svaghi nella biblioteca di palazzo Madama era il Senato stesso. Uscendo dalle sale di lettura ci si poteva avventurare nel bar dei senatori - che ricordo come un luogo solo apparentemente lussuoso - o si finiva, quasi per sbaglio, nell'emiciclo dell'aula del Senato. Non ho mai capito né chiesto se queste due opzioni fossero effettivamente consentite ma, in ogni caso, non ne ho abusato.
Laureato, sono passato volentieri ad utilizzare la biblioteca della Camera, ben più ariosa, frequentata e leggera - nei limiti in cui può esserlo un luogo istituzionale nel centro di Roma. Ho quindi accolto con piacere la notizia che le due biblioteche sarebbero divenute comunicanti e che anche il Senato, tramite il nuovo ingresso su Piazza della Minerva, avrebbe aperto le sue porte agli utenti "normali": fine del rito della "presentazione", niente più giacca e cravatta, e un poco più di umanità fra libri, quotidiani e archivi.
Nel panorama piuttosto desolante delle biblioteche universitarie romane - frazionate in mille piccole biblioteche di dipartimento e chiuse al pubblico per la maggior parte della giornata - la biblioteca del Senato presenta alcuni indiscutibili vantaggi, quali la presenza di sale "a scaffale aperto", centrate su temi che spaziano dai partiti politici, ai movimenti sociali, alla storia delle diverse aree del mondo. C'è poi il vantaggio di poter osservare una moltitudine di giovani girovagare fra le sale: il numero degli utenti è aumentato in modo impressionante dai primi giorni dell'apertura, tanto che si è passati da pochi armadietti, a un'intera parete di armadietti, fino a giorni in cui armadietti e ingressi disponibili sono esauriti.
L'atmosfera che si respira in un luogo di studio è almeno altrettanto importante della qualità dei servizi forniti agli utenti. Forse l'unico neo della nuova versione "ad alta frequentazione" della biblioteca è quello che essa è passata dall'ospitare una vetusta popolazione di senatori, amici e figli di parlamentari e funzionari, immagino dalla formazione prevalentemente umanistica, ad ospitare una folla di giovani molto più interessati alla carriera, al diritto e all'economia, impegnati a scambiarsi idee su quiz e sulle dure prove dei concorsi per entrare nella Pubblica amministrazione. Insomma: il mondo degli universitari di oggi costretti a lottare per la sopravvivenza e dediti allo studio produttivo e utile. Questo genere di utenza può risultare anche un limite per una biblioteca perché il "popolo dei concorsi" esercita meno l'utile lavoro delle talpe che è quello di scavare il terreno degli scaffali alla ricerca di angoli inesplorati. Un'operazione nello svolgimento della quale vengono meglio sollecitate le capacità di risposta e l'attenzione di archivisti e bibliotecari e che consente al terreno formato da libri, fascicoli e manoscritti di respirare un poco d'aria nuova e di vedere la luce.
La conclusione di questa breve testimonianza non può che contenere qualche suggerimento da parte di un utente affezionato. Occorre che gli utenti abbiano accesso ai database più diffusi (egoisticamente suggerirei per esempio JSTOR o Scopus) per poter scaricare liberamente articoli dalle principali riviste accademiche. Si potrebbe poi seguire la Library of Congress degli Stati Uniti che ogni anno concede delle borse di studio per permanenze dai 4 ai 6 mesi a studiosi che si propongano di indagare i fondi meno utilizzati, e perciò più a rischio, della biblioteca. In ultimo - e già mi immagino tutte le difficoltà di un'operazione simile in un edificio storico del centro di Roma - ogni biblioteca ha bisogno di un luogo per distrarsi. Se questo luogo non esiste, gli utenti tendono a crearlo nella forma di scalini o di soste fatte di chiacchiere davanti ai distributori automatici di "bevande al gusto di". Il suggerimento è dunque quello di aprire, fra Camera e Senato, un bar con sedie comode e che serva buoni caffé lunghi, un luogo dove le conversazioni possano utilmente alternarsi a computer e letture.