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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 8 (Nuova Serie), Aprile 2012

Speciale: A sessant'anni dalla morte di Benedetto Croce

Benedetto Croce pensatore politico e pubblico amministratore

Croce1. L'infanzia e l'adolescenza

2. L'interesse per Marx ed i primi impegni pubblici

3. Il nuovo secolo: ancora impegno di amministratore e riflessione politica. "La Critica"

4. La guerra, il dopoguerra e il fascismo

5. Il secondo dopoguerra e la Repubblica

6. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. L'infanzia e l'adolescenza

Nato nel 1866 in una ricca famiglia di borghesia terriera, apoliticamente conservatrice per parte paterna, intellettuale e con ascendenti carbonari per parte di madre, il bambino e poi ragazzo Benedetto Croce godette di esempi di ordine e laboriosità, ma privi di "qualsiasi risonanza di vita pubblica e politica", come ricorda nel Contributo alla critica di me stesso (1918, p. 9). Analogamente, un'educazione politica gli "fece difetto" (ibid., p. 11) nel collegio cattolico in cui entrò a nove anni, con il vantaggio, però, di renderlo alieno a ogni "rettorica liberalesca"(ibid., p.12).

Fu a via della Missione, nella dimora romana (adiacente al palazzo di Montecitorio) dello zio Silvio Spaventa, che lo ospitò dopo la tragedia familiare di Casamicciola (1883) che Croce iniziò la sua educazione politica. Nella casa del cugino del padre, deputato e consigliere di Stato, fra parlamentari, docenti e giornalisti, Croce conobbe anche Antonio Labriola, da cui avrebbe appreso i primi rudimenti di marxismo, e le cui lezioni di filosofia morale avrebbe più tardi seguìto.

Ma, nella consapevolezza del giovane, la sua vocazione sembrava ancora erudita e letteraria e pigri e astratti gli interessi sociali e politici, nel quadro di un moderatismo antiradicale quantunque non reazionario (si vedano, al riguardo, le Lettere del Labriola).

2. L'interesse per Marx ed i primi impegni pubblici

Fu più tardi, a partire dal 1895, con la lettura del saggio In memoria del Manifesto dei comunisti, che gli fu inviato dallo stesso autore, che Croce, irrobustito da studi economici e dall'approfondimento del materialismo storico, si appassionò alla politica; fu, tuttavia, una breve fiamma quella per Marx, giacché la critica da Croce condotta alle tesi del marxismo, di cui non condivideva la concezione della dipendenza del piano ideale-culturale della storia da quello economico, lo allontanò da Labriola e lo avvicinò ben presto a Giovanni Gentile.

L'approccio alla politica attiva era già avvenuto in qualità di amministratore pubblico e di polemista appassionato: in entrambi i ruoli esordì nel 1892. In quell'anno, infatti, Giustino Fortunato, dietro richiesta del ministro Martini, lo propose come membro del direttivo dei R.R. Educatori di Napoli, incarico che Croce mantenne fino al 1896 e che abbondonò, dopo "non cattiva prova", per incompatibilità con altro componente, come egli ricorda nelle Memorie della mia vita. L'anno stesso fondò la rivista "Napoli nobilissima", dalle cui pagine attaccò il governo locale, disinteressato alla tutela dei beni artistici e, più in generale, inefficiente, corrotto ed incapace di modernizzarsi (si veda, ad esempio, l'articolo Un nuovo scandalo al Museo nazionale di Napoli, vol. IX, 1900, p.145-148).

Alla fine del secolo Croce oscillava ancora fra l'aspirazione ad un governo borghese efficiente ed impermeabile a tentazioni autoritarie e protezionistiche, e il vagheggiamento di un movimento proletario che promuovesse le masse e trainasse il rinnovamento della società: liberalismo radicale e risorgimentale, immune da ogni deriva etico-statuale e rischiosa esaltazione nazionalistica, e simpatie per il socialismo. Poi sarebbe prevalsa la sfiducia nelle masse, o meglio nel partito socialista acconciatosi a fiancheggiatore del riformismo giolittiano (e contemporaneamente, sul piano teoretico, saltato il tentativo di composizione dell'economia con l'etica) e sarebbe riemersa una visione elitaria della società.

3. Il nuovo secolo: ancora impegno di amministratore e riflessione politica. "La Critica"

Dal novembre 1900 al maggio 1901 fu collaboratore del R. Commissario Guala al comune di Napoli, in qualità di subcommissario con delega alla pubblica istruzione, guadagnandosi per l'impegno totale e disinteressato la stima congiunta del prevenuto Mattino di Scarfoglio e del democratico Roma. La situazione che Croce dovette fronteggiare era spaventosa, fra graduatorie alterate, locali insalubri, cumulo di incarichi, addirittura docenti che alloggiavano nelle scuole: egli dimostrò la severità di amministratore e la parsimonia che lo avrebbero caratterizzato poi da ministro. Dimessosi al cambio di governo con tutta la commissione straordinaria (forse anche per l'avvento del massone e crispino Nasi al Ministero dell'Istruzione), il 4 dicembre dello stesso anno 1901, in qualità di vicepresidente del comitato napoletano della società Dante Aligheri, riceveva l'incarico di provvedere all'organizzazione di biblioteche circolanti sulle navi degli emigranti.

Finalmente, con la fondazione della "Critica" (1903), come avrebbe scritto più tardi, Croce sentì di svolgere finalmente attività politica, "di politica in senso lato: opera di studioso e di cittadino insieme" (Contributo alla critica di me stesso, cit., p. 47).

Nel triennio 1907-1910 la riflessione politica di Croce si appuntò sul sindacalismo rivoluzionario, il modernismo e la scuola, in mano alla massonica "burocrazia minervina".

Il 26 gennaio 1910 fu nominato senatore per censo. La nomina fu vivamente contestata da molti giornali, soprattutto in rapporto a quelle mancate di Ardigò e Nathan, e fece assumere a Croce una veste più conservatrice di quanto la sua recente evoluzione di pensiero potesse motivare: nominato in quanto ricco agrario meridionale, espressione di un ceto innegabilmente conservatore.

Negli scritti ed interviste di quel periodo Croce seppellì definitivamente il socialismo e la connessa democrazia (intesa come giacobinismo massonico ed egalitario): si veda, ad es., il pur concettualmente vago articolo Fede e programmi, uscito sulla "Critica" del 20 settembre 1911, ove al biasimo della trascuratezza per i valori su cui avrebbe dovuto fondarsi la nazione (Re, Patria, Famiglia, Chiesa) si accompagna la condanna senza appello per l'utilitarismo borghese e socialista, che ripone l'interesse e la salvezza della nazione nelle cose materiali, come la guerra, l'industria, l'emigrazione, la colonizzazione (quest'ultima come risorsa per la questione meridionale). E' uno scritto di cui lo stesso autore si sarebbe dimostrato presto insoddisfatto, ma del quale rimane il nuovo ruolo pedagogico che Croce si attribuì. Infatti, nelle riflessioni appuntate a gennaio 1912 nel citato libretto Memorie della mia vita, fra gli impegni da assumere negli anni a venire, si proponeva di "continuare nel lavoro per la formazione di una coscienza italiana moderna, non socialistica e non imperialistica o decadentistica, che riproduca in forma nuova quella del risorgimento italiano". A tale finalità sembra ispirata anche l'annata del 1913 della "Critica", con l'uscita dei discorsi politici di Francesco De Sanctis, per la prima volta raccolti.

Di pari passo con l'elaborazione del pensiero procedeva l'impegno pubblico: per le amministrative napoletane del luglio 1914 Croce assunse la presidenza del Fascio liberale dell'ordine, contrapposto al massonico Blocco popolare, la cui vittoria, pur di misura, confermò al Croce l'insufficienza del suffragio universale non accompagnato da un'educazione civile del popolo.

4. La guerra, il dopoguerra e il fascismo

La guerra colse impreparato il mondo degli intellettuali, ma fra i primi a riscuotersi vi fu Croce, che, pur assente al dibattito in Senato sulle comunicazioni del governo del dicembre 1914 (tornate del 3, 14 e 15 dicembre), respingendo il superficiale giudizio sulla barbarie tedesca, fece propria la posizione neutralista, anche per l'oscurità della situazione politica internazionale oltre che per l'impreparazione materiale del Paese. Il 21 maggio 1915, di fronte all'ineluttabilità della guerra e sulla base dell'antica personale stima per Salandra, Croce votò l'ordine del giorno Canevaro di fiducia al governo nell'ambito della votazione del disegno di legge sul conferimento di poteri straordinari all'esecutivo in caso di guerra.

Assente dal Senato fino alla presentazione del governo Nitti, nel giugno del 1919, nel dopoguerra Croce si concentrò su un'opera di rigenerazione spirituale che partisse dal rinnovamento della scuola. Nel dibattito pro e contro la scuola privata sostenne la necessità della concorrenza, fiducioso nella forza della libertà di pensiero. Dal 16 giugno 1920 al 4 luglio 1921 fu ministro della Pubblica Istruzione nel quinto e ultimo governo Giolitti. Nel discorso tenuto alla Camera dei deputati il 6 luglio 1920 sostenne l'obiettivo di una scuola pubblica di qualità, garantita dall'esame di Stato, che avrebbe giovato anche alle scuole private. Fra i provvedimenti presi come ministro, il vincolo archeologico sulla zona monumentale di Roma, l'acquisto della Biblioteca Chigiana, la prima legge di tutela del patrimonio naturale ed artistico e, naturalmente, quella sull'esame di Stato.

All'avvento del fascismo, fino al delitto Matteotti (10 giugno 1924), dimostrò indulgenza verso il regime, giustificandolo come una parentesi conseguente alla necrosi spirituale indotta dalla guerra. La rottura col fascismo procedette di pari passo con quella con Gentile: al Manifesto degli intellettuali fascisti Croce replicò con il Manifesto degli intellettuali antifascisti, pubblicato il 1° maggio 1925. Era capo del partito liberale italiano assieme a Ruffini quando il fascismo lo soppresse nel 1925. Nell'ottobre 1927 la sua casa fu violata dai fascisti. Il regime consentì, tuttavia, a Croce di continuare a scrivere, cosicché egli continuò a pubblicare su «La Critica» a difesa degli ideali della libertà, confermandosi riferimento di molti intellettuali italiani. A seguito della legislazione antisemita, Croce fu l'unico intellettuale non ebreo che si rifiutò di compilare il questionario inviato dal governo ai professori universitari ai fini della classificazione "razziale".

5. Il secondo dopoguerra e la Repubblica

Dopo il 25 luglio 1943 aderì al progetto di ricostituzione del Partito Liberale, di cui rimase presidente fino al 1947, ed entrò in qualità di rappresentante del partito nel secondo governo Badoglio e poi, dopo la liberazione di Roma, nel secondo governo Bonomi, da cui si dimise quasi subito.

Al referendum del 2 giugno 1946, in linea col partito, votò per la monarchia ma sollecitando poi i suoi ad adoperarsi con onestà per la nuova forma di governo, secondo le idee già espresse nei Taccuini di lavoro, alle date del 18 dicembre 1943 e 25 ottobre 1945 e come ha ricordato Fulvio Tessitore nel suo intervento al convegno organizzato presso il Senato nel 2002.

Eletto all'Assemblea Costituente, rifiutò la candidatura a Presidente della Repubblica, che Nenni gli proponeva, come egli stesso ricordava ancora nei Taccuini alla data del 24 giugno 1946: tentato dal gusto di dispiacere ai democristiani, che gli erano avversi, e potendo contare sul voto dei socialisti e comunisti, oltre che dei liberali, rifiutò, ritenendosi inadatto e per nulla confidente nell'utilità politica del proprio prestigio culturale.

Famoso è rimasto il discorso che tenne nella seduta pomeridiana del 24 luglio 1947, dichiarando il proprio voto contrario alla firma del mortificante Trattato di pace.

In seguito respinse anche la proposta di nomina a senatore a vita, formulata da Luigi Einaudi. In virtù, tuttavia, della terza disposizione transitoria della Costituzione, fu nominato senatore; aderì, ovviamente, al gruppo liberale, e fu componente della Commissione Istruzione pubblica e belle arti.

Nella commemorazione funebre in Senato, il Presidente Giuseppe Paratore lo ricordò come "grande scrittore e filosofo di fama universale, uomo politico eminente, ma sopra ogni altra cosa e sempre, in ogni momento della sua vita, patriota intemerato, partecipe ed erede del genio della nostra gente, che seppe materiare la "Libertà" - questo ideale tramite fra la generazione del risorgimento e i nostri tormentati giorni di rinascita democratica - nella espressione più concreta e più genuina: quella della sua lunga vita, interamente dedicata al bene dell'Italia".

6. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

Benedetto Croce pensatore politico e pubblico amministratore. Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca.

Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.

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