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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 61 (Nuova Serie), febbraio 2021

Speciale: 11 settembre 2001, vent'anni dopo

Introduzione. L’America a 20 anni dall’11 settembre

Cade quest'anno il ventesimo anniversario degli attacchi terroristici lanciati l'11 settembre del 2001 contro obiettivi civili e militari degli Stati Uniti d'America, ma con ripercussioni di lunga durata in tutto il mondo. "MinervaWeb" vuole dedicare lo "Specialeˮ del 2021 a questo episodio, così rilevante per la storia e la geopolitica contemporanee, attraverso un percorso nelle fonti giornalistiche e parlamentari, con particolare riferimento agli Atti del Senato italiano disponibili online e alle raccolte dell'Emeroteca del Polo bibliotecario parlamentare.

Per introdurre la rassegna, in questo primo numero ci offre il suo punto di vista il prof. Massimo Teodori, già ordinario di Storia e istituzioni degli Stati Uniti e docente di Contemporary Italian Politics alla John Hopkins-Bologna center, deputato per tre mandati e senatore nella X legislatura. «A vent'anni dal drammatico 11 settembre 2001» - ha scritto - «propongo alcune riflessioni su quel che ha significato quell'attacco per l'America e per l'intero Occidente»; lo ringraziamo vivamente.

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1. Uno spartiacque storico

2. La paura: muta l'idea che gli Stati Uniti hanno di sé

3. La politica anti-terroristica dei Presidenti USA

4. La lezione americana

5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. Uno spartiacque storico

Quel giorno ha segnato uno spartiacque nella storia contemporanea, analogo alla bomba di Hiroshima del 5 agosto 1945, e alla caduta del muro di Berlino del novembre 1989.

L'11 settembre rese evidente che il terrorismo globale era divenuto un protagonista primario della scena internazionale, una inedita potenza senza territorio, divise e regole. Il mondo, che si immaginava pacificato dopo la fine del comunismo sovietico, in realtà non lo era affatto: una nuova sfida - potente e inafferrabile - incombeva sull'Occidente e sull'intero globo.

Nel 1989 era finito il mondo bipolare - la Guerra Fredda - che per quarant'anni aveva determinato lo scontro tra due modelli: quello liberale occidentale e quello comunista totalitario. In quell'anno alcuni pensatori, interrogandosi sui nuovi equilibri internazionali, ritenevano che fossero scomparsi i grandi conflitti ideologici e politico-militari. Lo scienziato politico Francis Fukuyama scrisse La fine della storia.

Ma l'11 settembre spazzò via l'illusione che con la fine del comunismo i valori liberali avessero ovunque trionfato. Ci si accorse che aveva preso corpo un'altra potenza totalitaria, del tutto diversa e ancora più pericolosa per l'Occidente della precedente perché difficilmente individuabile.

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2. La paura: muta l'idea che gli Stati Uniti hanno di sé

L'11 settembre indusse gli americani a riconsiderare l'idea diffusa da alcuni intellettuali circa una presunta missione assegnata alla nazione americana nel mondo: il nemico da combattere non era più il comunismo ma il terrorismo.

L'attacco alle Torri Gemelle aveva prodotto un trauma profondo non solo nelle classi dirigenti, ma anche tra la popolazione abituata a considerare il continente nordamericano inviolabile. In effetti gli Stati Uniti, dal primo decennio dell'Ottocento fino al 2001, non avevano mai subito un'invasione né un nemico sul loro territorio. Per questo l'abbattimento delle Torri Gemelle, uno dei simboli della potenza americana, aveva provocato un trauma nella coscienza del Paese.

Mentre nella Seconda guerra mondiale (come nella Prima) gli europei avevano convissuto con conflitti, massacri e occupazioni straniere, gli americani avevano vissuto le guerre del Novecento mediate dalla propaganda patriottica. L'11 settembre, invece, tramite l'infinita replica televisiva dell'evento, aveva proiettato l'immane tragedia nel corpo vivo della città di New York.

Crebbe allora qualcosa di profondo nella coscienza della nazione, laʻpauraʼ (così Tzvetan Todorov, 2008) dell'incognito.

Come reazione, l'inquietante sentimento alimentava un diffuso patriottismo per cui i cittadini spontaneamente esposero negli edifici pubblici come nelle abitazioni private di tutta l'America milioni di bandiere stelle e strisce. Sembrò quasi che si levasse un unico grido: non abbiamo paura perché la nostra patria ci proteggerà; siamo forti e orgogliosi della nostra bandiera!

La paura dell'inafferrabile terrorismo non colpì solo l'America, ma si diffuse in tutto l'Occidente. Insieme a New York furono colpite Parigi, Londra, la Spagna e altre città europee oltre che numerosi altri luoghi del Medio Oriente (Friedman 2003).

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3. La politica anti-terroristica dei Presidenti USA

Da quella tragica giornata a oggi si sono susseguiti quattro Presidenti degli Stati Uniti che hanno declinato in maniera diversa la politica antiterroristica: George W. Bush (2001-2009), Barack Obama (2009-2017), Donald Trump (2017-2021), e Joe Biden (2021-).

George W. Bush Jr. ha abbracciato la dottrina neoconservatrice incentrata sull'idea che gli Stati Uniti avrebbero potuto vincere il terrorismo islamista con "l'esportazione della democrazia". Ha erroneamente individuato nel rais dell'Iraq, Saddam Hussein, uno dei centri del terrorismo islamista per cui ha promosso l'invasione di quel Paese che era stato rispettato da suo padre, il Presidente George Bush Sr., quando aveva ricacciato l'invasione irachena dal Kuwait.

L'occupazione dell'Iraq, la cattura e l'uccisione di Saddam Hussein, a distanza di anni si è rivelata un boomerang: invece di sconfiggere il terrorismo, ne ha accentuato la diffusione nel Medio Oriente, ha destabilizzato la Siria, ha potenziato il terrorismo alimentato dall'Iran, e ha favorito la formazione di brigate terroristiche pronte a intervenire sull'intero scacchiere islamico.

Barack Obama, evitando gli errori del predecessore, ha tentato di ribaltarne la politica nel tentativo di stabilire un ponte con i cosiddetti "islamici moderati" a loro volta sotto assedio dei radicali. All'università islamica del Cairo ha lanciato il dialogo con i musulmani che, però, non ha dato grandi frutti.

Il suo maggiore successo è consistito nella individuazione del rifugio di Osama Bin Laden ai confini del Pakistan, nella sua uccisione quale responsabile dell'assalto alle Torri Gemelle e nella parziale dispersione delle milizie a lui facenti capo.

Donald Trump, a sua volta, all'opposto del predecessore, si è arroccato su una linea populista-sovranista. Ha decretato il blocco dell'emigrazione da sei paesi musulmani rinnegando la tradizione pluralistica degli Stati Uniti.

Ha quindi esteso il suo atteggiamento prossimo al razzismo facendo leva sull'America ex-confederata del Sud e sul Mid-West, e ha decretato la supremazia dell'America bianca su quella non-bianca, sospingendo ai margini della società sia gli islamici che i neri e i latinos.

Infine Joe Biden, appena entrato in carica, ha cominciato ad annullare la politica trumpiana, sia interna che estera, riallacciandosi a ciò che Obama intendeva fare e non era riuscito a portare a termine per l'opposizione di una parte del Congresso.

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4. La lezione americana

Dopo vent'anni, occorre tuttavia chiedersi cosa ha significato nella coscienza della nazione americana e dell'Occidente il trauma dell'11 settembre.

Il terrorismo islamista ha condizionato la nostra vita. Gli inglesi hanno proclamato che i terroristi non avrebbero fatto cambiare il loro stile di vita. Ma tutti gli altri? Senza accorgercene, passo dopo passo, la vita degli occidentali, ancor prima della pandemia, è stata resa più complicata. Di fronte a qualsiasi evento inquietante siamo assaliti dalla domanda: chi è stato? È un terrorista?

A casa nostra, la convivenza con gli islamici, che dovrebbe essere inquadrata nella prospettiva dell'integrazione alla luce delle nostre leggi, è guardata con sospetto e diffidenza.

L'America e gli americani in questi anni hanno affrontato l'11 settembre con un animo di rivincita. Hanno preso iniziative militari e civili in nome dei loro valori e della loro sicurezza. Hanno collezionato meriti e colpe. Hanno avuto il merito di avere funzionato da ombrello per l'intero Occidente sotto minaccia, affrontando il totalitarismo nichilista a casa loro e fuori.

Hanno riportato successi e insuccessi, e hanno commesso non pochi errori. Soprattutto, da parte di alcune presidenze, quello di travolgere i valori della società aperta in nome dei quali combattevano il fondamentalismo islamista. Ma non si sono risparmiati.

Dobbiamo dare atto al popolo americano e ai suoi governanti, quelli di ieri e quelli di oggi, che ciò che hanno fatto in nome della loro missione nazionale, talora distorta, è stato utile all'Occidente.

Si è ripetuto per l'Occidente il grande e tragico gioco del Novecento. Qualcosa di simile alla lotta al terrorismo era accaduto nella sfida al nazismo e al comunismo. Malgrado gli errori, le arroganze e le presunzioni, da cent'anni a questa parte, da oltre-Atlantico è sempre giunto agli europei un aiuto per preservare la libertà, la democrazia, i diritti individuali, in definitiva i cardini della nostra civilizzazione (Foner 1998).

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5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

I riferimenti bibliografici nel testo sono, nell'ordine, alle seguenti pubblicazioni:

Francis Fukuyama, The End of History and the Last Man. New York, Free Press, 1992 (ed. it. La fine della storia e l'ultimo uomo, trad. di Delfo Ceni. Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1996);

Tzvetan Todorov, La peur des barbares. Paris, Laffont, 2008 (ed. it. La paura dei barbari. Milano, Garzanti, 2009);

Thomas Friedman, Longitudes and Attitudes. Exploring the Word After September 11. New York, Farrar Straus & Giroux, 2002;

Eric Foner, The Story of American Freedom, New York, W.W. Norton & Co., 1998 (ed. it. Storia della libertà americana. Roma, Donzelli, 2000).

Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.

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