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Storia del limbo / Chiara Franceschini
Lungo la parete destra della chiesa suburbana di San Bernardino ad Albenga si stende un grande e dettagliato Giudizio affrescato dai fratelli Biazaci da Busca nel 1483, nel quale, sopra sette sepulcra, ricettacoli di animate pene infernali, è rappresentato il Cristo giudice con ai lati le schiere ordinate dei santi dentro le mura della Gerusalemme celeste, unica porta aperta comunicante con il Purgatorio. Lo stesso registro superiore ospita in un angolo estremo, frapposto l'Arcangelo Michele intento a pesare le anime, una grotta chiusa da una grata, dentro la quale sono raccolti in massa bambini nudi, quasi ammucchiati, con attitudini malinconiche e invocanti. Sono le anime dei bambini compromessi dal peccato originale, che, per esser morti senza battesimo, ma privi di colpa attuale, non sono destinati a godere del cielo e della visio Dei: una comunità a parte, fatta di innocenti non puri e difficili da sistemare col metro razionalizzante e a base remunerativa con cui si è costruito, dall'età medievale, l'aldilà cristiano, se non ai bordi, ai margini, come residuo non classificabile e non più trasformabile.
Ben esprimendone questo statuto liminale, limbus inferni, orlo dell'Inferno, o limbo, è il termine che ha identificato il possibile spazio di destinazione ultramondana dei non battezzati. Emerso dalle righe dell'ermeneutica biblica alla fine del XII secolo, probabilmente aggregando anche materiali e concezioni della cultura classica pagana, il limbo è durato fino al 19 gennaio del 2007, giorno in cui, con pronunciamento magisteriale, Benedetto XVI, dopo quasi un millennio di vita e d'uso e a conclusione di una lunga e controversa storia dottrinale, nel corso della quale, diversamente dal Purgatorio, non divenne mai dogma, sancì ufficialmente il declassamento di questo luogo intermedio dell'aldilà al rango di semplice "ipotesi teologica" e, di fatto, lo svuotò di anime e lo abolì come realtà escatologica.
Della storia della sua idea e della sua rappresentazione, con le loro implicazioni religiose, culturali e sociali, mancavano finora studi d'insieme. Quello imponente di Chiara Franceschini (Storia del limbo, edito da Feltrinelli nel 2017, per la collana Campi del sapere), brillante e giovane studiosa italiana formatasi alla Normale e ora titolare di cattedra presso l'Institut für Kunstgeschichte dell'Università di Monaco di Baviera, ha riempito solidamente il vuoto e, muovendosi con singolare familiarità attraverso una gran quantità di fonti di natura diversissima, ha dato corpo a una ricostruzione integrata e complessa, straordinaria per ricchezza di elementi e prospettive e, contemporaneamente, per agilità e sicurezza interpretativa.
Il consistente e originale corpus di fonti iconografiche, che caratterizza lo studio, si incrocia con testi teologici e dottrinali, opere letterarie ed enciclopediche, sacre rappresentazioni e messinscene teatrali, normative funerarie, documenti di archivio, epistole e ricordi familiari, filologia ed etimologia, racconti di visioni e di pratiche miracolose, documenti capitolari, atti conciliari e procedimenti inquisitoriali, selva documentaria apparentemente inestricabile, che Franceschini, invece, percorre con eleganza, secondo precise e lucide linee guida: da un lato, la ricerca del perché della genesi, della persistenza problematica e infine del naufragio dottrinale del limbo (quasi un'inchiesta sul suo insuccesso), la cui parabola si mostra connessa a difficoltà centrali del cristianesimo occidentale e rilevatrice di una sua «debolezza teologica sistematica» (nodi della logica della retribuzione, fondata sui criteri di peccato, merito e proporzionalità delle pene, che realizza una geografia binaria dell'aldilà, nella quale stati intermedi sono aporie; del rapporto tra retribuzione, grazia e misericordia divina, visto alla luce della concezione forte del peccato originale e del battesimo come remedium necessario; del rapporto tra sacramento visibile e potere di Dio; infine, dei limiti della teologia rispetto al bisogno sociale e affettivo di comunicazione tra vivi e morti); dall'altro, la riflessione costante sui condizionamenti reciproci, in termini generativi, tra normazione dottrinale, predicazione, rappresentazione/invenzione artistica e credenze, tra sistemazioni ecclesiologiche e aspettative dei fedeli, tra codificazioni dall'alto e 'spinte dal basso', riflessione che si presenta particolarmente intensa e produttiva in un terreno aperto, ambiguo e contraddittorio quale è il limbo, fatto di reticenze e di contraddizioni dottrinali che si prestarono ad essere compensate da nozioni, forme ed emozioni generate da altri ambiti.
Nello svolgersi di questa storia ha pesato, come accennato, in modo determinante l'autorità di Agostino: elaborate all'interno della controversia anti-pelagiana, le sue teologie forti del peccato originale e del battesimo nell'acqua, quale suo rimedio e, per così dire, barriera per l'accesso alla Chiesa e alla salvezza, hanno tracciato rigorosamente i limiti dell'appartenenza cristiana, riservandola ai purificati dal sacramento; hanno polarizzato in senso duale gli stati delle anime e la geografia dell'aldilà, generando un problema teologico con gli innocenti non puri e introducendo in risposta l'anomalia di un luogo separato, ma infernale ed eterno, dove collocare questa «classe di confine dei morti»; infine, hanno condizionato la pietà e la pratica funeraria, i corpi privi del primo sacramento essendo privati anche del diritto alla sepoltura rituale e posti fuori dal terreno consacrato, contaminati, contaminanti e segregati ai margini (cfr. a questo proposito la posizione radicale di Guillaume d'Auvergne, vescovo di Parigi dal 1128, nel suo De vitiis et peccatis, in cui i bambini morti non battezzati vengono assimilati ai lebbrosi da relegare al di fuori delle città). La concezione della libertà e della misericordia di Dio, da un lato, e la pressione sociale, dall'altro, agirono costantemente su queste premesse ideologiche, che negavano agli innocenti la retribuzione della beatitudine eterna, o cercando di mitigarle (ipotizzando, ad esempio, una pena non sensibile, ma lieve e mitissima) o elaborando alternative (per le anime, la tesi tomistica della felicità naturale, o, sviluppato dal Caietano, l'argomento dell'efficacia sostanziale di un battesimo in voto parentum in condizioni di impossibilità ad impartire quello in flumine; per i corpi, il fenomeno, che fu anche un business, del répit, nei cui santuari organizzati si sarebbe operata in forma di rito la resurrezione miracolosa dei feti e dei bambini morti per il tempo sufficiente a somministrare un battesimo 'postumo', pratica variamente tollerata dalle diverse diocesi).
All'interno della sua incerta e variabile architettura, grotta, torre, calderone senza fiamma, fossa o fauce di mostro, il limbo cristiano ha raccolto nel tempo le anime dei non battezzati di tre nature apparentemente distinte: nel cosiddetto limbus puerorum, i neonati morti anzitempo e i feti abortivi, di ogni tempo e di ogni luogo; i circoncisi che vissero sub Lege, tra cui i progenitori, i profeti e i patriarchi anticotestamentari, nel cosiddetto «seno di Abramo» (Lc. 16, 19-31), da cui furono tutti tratti al tempo del descensus, evento cristologico fondamentale all'economia della salvezza e allegoria generale della redenzione umana (le diverse tradizioni teologiche e narrative confluirono, attorno al VI secolo, nel cosiddetto Vangelo apocrifo di Nicodemo, dando corpo a un testo di grande impatto drammatico, a cui si ispirarono i numerosi e ben codificati esempi iconografici, dalle anastaseis bizantine alle loro rielaborazioni occidentali, tra cui, delle forme monografiche, la splendida Discesa al limbo di Mantegna, conservata nella Barbara Piasecka Johnson Collection a Princeton o, in composizioni complesse, la rara iconografia della croce brachiale, allegoria visiva antigiudaica, di cui un bell'esempio italiano è quello dipinto da Benvenuti Tisi detto Garofalo per il refettorio del convento di Sant'Andrea degli agostiniani di Ferrara nel 1523); infine, con statuto controverso per l'ortodossia, ma plausibile per l'immaginazione letteraria ed extra-teologica, i giusti del mondo non cristiano (sul piano testuale, per primo Dante, che, in quel primo cerchio infernale descritto nel canto IV, trascurando bambini e vecchi patriarchi, pose al centro di un limbo poeticamente riscritto come estensione luminosa del mondo i 'magnanimi' pagani vissuti prima e dopo la grazia, anticipando di due secoli una questione che esplose col Rinascimento e che, col 1492, si complicò con un nuovo continente pieno di anime ignare dei vangeli, a manifestazione del fatto che «i bordi della salvezza sono affollati»; sul piano iconografico, e stimolata proprio dall'invenzione dantesca, le Stanze Vaticane con la Scuola di Atene ed il Parnaso, in cui Raffaello raffigurò, secondo l'intuizione di Franceschini, non allegorie di discipline umane, ma la visione escatologica delle regioni ultraterrene destinate a filosofi e poeti e alle loro eterne conversazioni.
Organizzato in sequenza cronologica (Parte prima, Discesa agli inferi; Parte seconda, Rinascimento; Parte terza, Dalla Riforma al Settecento), lo studio spazia dal medioevo all'età moderna, concentrandosi prevalentemente sull'area italiana e toscana, selezione non tanto determinata da una scelta, quanto dalla realtà della distribuzione, né uniforme né continua, di immagini e testi attraverso l'Europa. Franceschini ripercorre minutamente il dibattito teologico medievale e moderno, intessuto di riferimenti ai padri latini (Agostino, in particolare) e greci (Gregorio di Nissa, tra gli altri): da Pietro Lombardo a Tommaso d'Aquino e alla scolastica, attraverso le prese di posizione magisteriali da Innocenzo III a Benedetto XII e al Concilio di Firenze; da Bernardino da Siena al Pierozzi e a Savonarola, attraverso il discorso umanistico; da Tommaso De Vio alla Riforma e al Concilio di Trento, fino al Giansenismo, con l'aggiunta di un'ampia casistica di dibattimenti di ambito inquisitoriale. Parzialmente dirimenti rispetto a una storia varia e complessa, ma con soluzioni incapaci di soddisfare le aspettative comuni di misericordia, i decreti conciliari controriformisti censurarono, da un lato, ogni tentativo di rappresentazione positiva dello stato delle anime nel limbo, in particolare la linea di derivazione tomistica, fatta propria e approfondita da esponenti dell'ordine domenicano, principalmente fiorentino (Tommaso Sardi, teologo-predicatore e autore di poemi sul modello dantesco, che portò alla luce con testi e invettive anche il connesso problema sociale dell'infanticidio, dell'aborto procurato e dell'abbandono dei neonati frutto di unioni illegittime, Antonino Pierozzi, Girolamo Savonarola e Tommaso De Vio), che sosteneva per i bambini (e anche per i pagani) una possibile condizione di beatitudine di carattere naturale, eterna e senza pena, benché priva della visione di Dio, immersa nell'allegria del gioco o addirittura nella vita filosofica, immediata o differita alla resurrezione in corpi giovanili perfetti; dall'altro, la liceità di qualsiasi risorsa salvifica che fosse alternativa al battesimo in acqua (sostenuta, ancora, dal De Vio, che fu difeso, in sede conciliare, dall'agostiniano Seripando).
Ma soprattutto, l'autrice analizza una mole di realizzazioni di artisti, costruendo il primo catalogo ragionato di immagini sul limbo, nonché la sua prima storia visiva: non solo discese al limbo e giudizi universali, ma anche croci viventi, schemi didattici dell'aldilà e putti in gioco; non solo Mantegna, fra' Bartolomeo, Raffaello e Michelangelo, Beccafumi, Bellini e Donatello, Dürer, Quarton e il Maestro di Artés, con le loro 'invenzioni', ma anche minori operanti in aree più attardate, quali i piemontesi Tommaso e Matteo Biazaci da Busca e Canavesio. In ciò, Franceschini rivela un'abilissima capacità di individuazione delle fonti appropriate, spesso iconograficamente non evidenti, sostenuta da un penetrante e audace lavoro di interpretazione, dove significato e contesto, ricavato da uno scrupoloso scavo archivistico, non vanno mai disgiunti: ne è tra i più avvincenti esempi del libro l'acuta lettura che fa del Tondo Doni di Michelangelo, le cui quattro figure di bellissimi nudi sullo sfondo prendono finalmente senso dopo secoli di insoddisfacenti esegesi, diventando proiezioni eterne (in consonanza con l'ipotesi dilatoria vista sopra) dei neonati senza storia venuti a mancare ai committenti, mentre danno magistralmente una forma alla speranza dell'uomo e alla forza visionaria e compensativa dell'arte.