A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
A cura della Commissione per la biblioteca e per l'archivio storico
Comunicazione sul processo di desecretazione in atto. Conferenza stampa del Presidente Gianni Marilotti. Sala Caduti di Nassirya, 8 marzo 2022
Pubblichiamo un testo del sen. Gianni Marilotti, presidente della Commissione per la biblioteca e per l'archivio storico del Senato, pronunciato lo scorso 8 marzo nella sala Caduti di Nassirya di Palazzo Madama, deputata alle conferenze stampa, per fare il punto sulle attività di desecretazione degli atti delle commissioni d'inchiesta, di cui egli si è fatto promotore. Erano presenti con lui Anthony Muroni, l'ex senatore Felice Casson, Giovanni Fasanella, Stefano Vitali (ex Sovrintendente dell'Archivio centrale dello Stato) e Giampiero Buonomo, Capo dell'Ufficio dell'archivio storico del Senato della Repubblica e autore di un recente contributo sull'argomento (Le declassificazioni delle Commissioni d'inchiesta, "Le Carte e la Storia. Rivista di storia delle istituzioni", (2021), n. 2, p. 14-19, DOI: 10.1411/102905). Dell'intera conferenza stampa è disponibile online la registrazione.
Su temi analoghi, già il 21 febbraio 2022 la Sala Capitolare aveva ospitato il convegno "Il diritto alla conoscenza. Whistleblowers italiani", la cui registrazione è pure disponibile sul canale YouTube del Senato e sul sito di Radio Radicale. Anche in quell'occasione, nel dare il saluto inaugurale, il presidente Marilotti aveva voluto sottolineare un effetto concreto dell'attività svolta per promuovere il diritto alla conoscenza: la rimozione del segreto funzionale dagli atti delle commissioni d'inchiesta, decisa nel luglio 2020 dal Consiglio di Presidenza del Senato, su proposta appunto della Commissione per la biblioteca e per l'archivio storico.
Questo provvedimento (il cui antefatto è raccontato anche nel testo che oggi proponiamo) ha consentito di superare il sistema degli interpelli, ossia le istanze che studiosi, giornalisti, parenti delle vittime dovevano presentare per l'accesso agli atti, e che talvolta potevano risolversi in un diniego (si veda al riguardo un'intervista di Gian Giacomo Migone al presidente Marilotti, nel novembre 2020). Allo stato attuale, la consultabilità delle carte - decorsi 50 anni dalla loro creazione - mette a disposizione degli storici importanti piste di ricerca per illuminare alcune zone d'ombra del nostro passato recente, ma permette anche di aprire a tutti, fino ai più giovani, le fonti della storia, da cui può germogliare la cultura della cittadinanza.
Ringraziamo per il testo il presidente Marilotti e Anthony Muroni.
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La regola dei 50 anni è stata accettata dal Governo: l'Archivio storico del Senato inizia oggi una faticosa opera di declassificazione, secondo il criterio che abbiamo sollecitato dal Governo per tutta la presente legislatura. È una vittoria della Commissione per la biblioteca e l'archivio storico del Senato, è una vittoria della ricerca storica, è una vittoria di coloro che - come l'onorevole Felice Casson, qui presente - hanno contribuito in prima persona all'iniziativa.
L'impresa, voglio ricordarlo, è quella con cui si è fatto 'saltare' - almeno per quanto riguarda il terrorismo e le stragi - il sistema degli interpelli, che sin qui governava la materia. Essa aveva tratti a volte provocatori, ma reagiva a una situazione di fatto intollerabile: il Governo - con le direttive Prodi, Renzi e Draghi - annunciava al mondo che i documenti riguardanti 12 tragici eventi della storia nazionale erano liberi e sarebbero confluiti all'Archivio centrale dello Stato per la pubblica consultazione. Le Camere, che molte di quelle carte posseggono in copia per l'attività di varie cessate commissioni d'inchiesta, dovevano sottostare a una lunga procedura: la richiesta puntiforme dell'utente sul singolo documento, la domanda all'agenzia del Governo che aveva prodotto l'atto, la rara risposta di questa, la rarissima risposta positiva.
Tutto questo è saltato, quando l'onorevole Casson ha accolto il nostro appello: un anno fa ha presentato una richiesta massiva di desecretazione di pressoché tutte le 130 mila pagine ancora classificate della Commissione Terrorismo e stragi. Da quel momento il sistema degli interpelli si è occluso: la nostra scelta, un po' provocatoria, ha fatto emergere l'impossibilità archivistica di confrontare due documenti identici catalogati diversamente, in epoche diverse; erano spesso prodotti da enti succeduti ad altri enti di intelligence e spesso senza neppure un sistema informatico di riconoscimento visuale dei caratteri che compongono la pagina. Come cercare un ago in un pagliaio.
Noi non ravvisiamo, in linea di principio, alcuna malafede in questa situazione: quanto abbiamo riscontrato è molta sciatteria archivistica, che spesso si innesta su sistemi di conservazione che - in passato - rispondevano a logiche di segretezza oggi superate. È però vero che l'incomunicabilità assoluta dei sistemi normativi che disciplinano gli archivi doveva saltare: ciò perché il documento storico della pubblica amministrazione è anche un bene culturale e, per questo, è pure esso assoggettato alla disciplina dettata dal Codice Urbani per tutti gli altri archivi.
Il punto di equilibrio tra esigenze di trasparenza dell'agire amministrativo e riservatezza delle scelte di politica interna ed estera del Paese non ce lo siamo inventati noi: è lì, nel decreto legislativo n. 42 del 2004, ed è fissato nel decorso del tempo di 50 anni dalla creazione dell'atto.
Si tratta di un numero che, come tutte le convenzioni, ha una certa valenza di arbitrarietà: 50 anni sono metà di un secolo e il saeculum, oggi, non ha lo stesso significato dei tempi in cui Orazio Flacco componeva il carmen saeculare. Oggi alcuni dei personaggi che nell'età della ragione hanno agito potrebbero ancora godere del meritato riposo di pensionati e potrebbero decidere di rassegnare - a meditazioni, memorie o rievocazioni - le ragioni di loro decisioni, soprattutto quando esse riemergono dalle carte nella loro muta eloquenza.
Comunque non è una scelta nostra: 50 è la scelta imposta dalla legge e noi rivendichiamo il merito di avervi condotto il Governo a riconoscerla, anche per le carte classificate.
Dopo l'istanza Casson nell'aprile-maggio 2021 [richiamata sopra e ricordata anche altrove sempre dal presidente Marilotti, ndr], la citata direttiva Draghi del 2 agosto 2021 ha per la prima volta menzionato il Codice Urbani, per il diverso periodo di 70 anni previsto dall'articolo 122 per i dati sensibilissimi (familiari, sanitari e sessuali). Questo ci ha dato forza: ne è nata un'intensa corrispondenza con la Presidenza del Senato, che ci ha sostenuto in tutto questo periodo. Ma soprattutto ne è nata una forte presa di consapevolezza parlamentare: l'affare assegnato sollecitato dal sen. Parrini, l'indagine conoscitiva iniziata dal sen. Urso e, soprattutto, l'ordine del giorno - a mia prima firma - accolto in 7a Commissione dal Governo. Anche dai ministeri tenuti dagli onorevoli Di Maio e Guerini ci sono pervenuti riscontri positivi.
Ammetto che - dopo tutte queste iniziative - nella ripresa degli interpelli di fine 2021 vi fosse una certa dose di provocazione: in base al mio ordine del giorno [G/2448 sez. I/5/7 (testo 2), in sede di esame del disegno di legge n. 2448, recante "Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024", testo A alleg. 2-I, accolto dal Governo, ndr], abbiamo sfidato il Governo a porre il segreto di Stato (ovvero bloccare il sistema delle declassifiche periodiche quinquennali, come è suo diritto) su un filone della Commissione stragi intitolato "Aldo Moro". L'alternativa, unica, era consentirci di conoscere il criterio con cui desecretare, e farlo noi stessi, entro la cornice offerta dal Codice Urbani.
La risposta che abbiamo avuto dal competente Dipartimento della Presidenza del Consiglio è stata più che soddisfacente, e di ciò voglio dare pubblicamente atto al Governo: i 50 anni del Codice Urbani si applicano anche alle carte del filone "Moro" della Commissione Terrorismo e stragi e si applicano, ancor più chiaramente, a tutti i 12 tragici eventi della vita nazionale oggetto delle tre direttive.
Voglio ricordarli, nella triste rievocazione che le carte possono dare della Spoon River della nostra storia repubblicana:
- per la direttiva 8 aprile 2008, a firma Prodi: il rapimento e la morte dell'onorevole Aldo Moro;
- per la direttiva 22 aprile 2014, a firma Renzi: piazza Fontana a Milano (1969), Gioia Tauro (1970), Peteano (1972), Questura di Milano (1973), piazza della Loggia a Brescia (1974), Italicus (1974), Ustica (1980), stazione di Bologna (1980), Rapido 904 (1984);
- per la direttiva 2 agosto 2021, a firma Draghi: organizzazione Gladio; Loggia massonica P2.
Far emergere pubblicamente tutto ciò che negava il diritto alla pubblica ostensibilità, è stata una scelta precisa della Commissione da me presieduta, e di questo ringrazio i miei colleghi Rauti e Doria. Si è trattato anche di un atto politico e non soltanto tecnico-amministrativo: coloro che si gioveranno di questa scelta - nella lunga, spesso improba fatica di consultare le nuove 1.900 pagine che sono a disposizione degli utenti in sala studio - faranno un servizio non soltanto alla verità e alla conoscenza storica, ma anche alla credibilità pubblica dell'Istituzione che ci ospita, e che per questo ringrazio.