A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
I senatori di diritto e a vita
Antonio Segni
Abstract
Nel suo breve mandato Antonio Segni si distinse per il suo europeismo convinto e per il ricorso frequente ad esternazioni e messaggi istituzionali alle Camere. Fu, anzi, il primo a rivolgersi alle Camere non su rinvio di una legge, con il messaggio in cui richiedeva modifiche alle norme sull'elezione dei giudici costituzionali e sul "semestre bianco". Inaugurò, altresì, la consuetudine della trasmissione televisiva in diretta dei discorsi d'insediamento presidenziali.
Ospitiamo un intervento su Antonio Segni scritto per la nostra rivista dal Professor Luca Lecis, docente di storia contemporanea presso l'Università di Cagliari. Ringraziamo il Professore per la cortese collaborazione.
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1. La carriera politica e l'elezione a Presidente della Repubblica
2. Esternazioni e messaggi alle Camere
3. Impegno internazionale ed europeismo
5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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1. La carriera politica e l'elezione a Presidente della Repubblica
La Presidenza Segni è spesso ricordata per la malattia che aveva provocato le premature dimissioni dello statista sassarese (18 dicembre 1964) - dimissioni che avrebbero fatto passare alla storia il suo mandato come il più breve, nonché l'unico a non esser portato a termine - e per il presunto "colpo di Stato" del generale De Lorenzo (Doro 2014, p. 131, Ridolfi 2010). A tutt'oggi manca un contributo esaustivo sulla sua più complessa figura, un «golpista per equivoco ed europeista sincero» come è stato definito (Rizzo 2012, p. 71), al centro di discusse iniziative, nel quadro del suo breve mandato. Esponente di spicco della Democrazia cristiana, nelle cui fila ricoprì numerosi incarichi, matura un curriculum politico-istituzionale importante: sottosegretario all'Agricoltura nel secondo gabinetto De Gasperi e successivamente ministro dello stesso dicastero, fu l'artefice della riforma agraria; per due volte Presidente del Consiglio (1955-57; 1959-1960), già vice presidente del Consiglio e ministro della Difesa (1958-1959), e ministro degli Esteri (1960-1962), Segni venne eletto quarto Presidente della Repubblica italiana il 6 maggio 1962 al nono scrutinio, con il 52% dei suffragi (443 preferenze su 842 votanti), ottenendo la più debole maggioranza presidenziale mai registrata.
Leader della corrente dorotea, Segni aveva più volte richiamato alla fedeltà al patto atlantico e al rapporto con l'unione europea, due pilastri intesi come garanzie fondamentali nell'evoluzione del quadro politico italiano. È probabilmente tale collocazione a farne il candidato della segreteria Moro per le elezioni presidenziali del maggio 1962 (Giovagnoli 1992, p. 263); non si devono tuttavia trascurare gli accordi presi all'VIII congresso della Dc nel gennaio dello stesso anno, quando, in cambio dell'apertura al centro-sinistra, Moro promise ai dorotei il suo sostegno per il Quirinale (Giacone 2014, p. 104).
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2. Esternazioni e messaggi alle Camere
La Presidenza Segni è contrassegnata da "esternazioni" per lo più inedite nello scenario della democrazia italiana prima del mandato presidenziale di Gronchi; benché ispirata allo stile di Einaudi, la presidenza Segni è caratterizzata dal ruolo attivo di orientamento politico svolto dal capo dello Stato nella difficile situazione di quegli anni, in modo particolare contro l'"estremismo comunista" (Giovagnoli 1992, 264). In questo senso il mandato di Segni è caratterizzato da una certa continuità con quello di Gronchi, sebbene a fronte di una formazione e una linea di azione politica profondamente diverse.
Celebre è il messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere del 16 settembre 1963 (Doc. XII, n. 1 della IV Legislatura). Primo a inaugurare questa consuetudine - esercitando così il potere conferitogli dall'articolo 87 della Costituzione - in questa occasione Segni propose l'abolizione del cosiddetto "semestre bianco", con la conseguente non immediata rieleggibilità del Presidente, e indicò le modalità di elezione dei membri della Corte Costituzionale (Pasquino 1995, p. 112). È perciò sul solco della tradizione inaugurata da Gronchi nel 1955, che il Capo dello Stato esercita il "potere di esternazione" (Ridolfi 2010, 105), rivelandosi come garante politico della Repubblica dei partiti e un «attore politico fortemente interventista» (Giacone 2014, 114). Segni infatti, attraverso messaggi epistolari, note e contatti diretti coi leader dei partiti, rivendica ed esercita prerogative costituzionali che attribuisce alla presidenza.
Frequenti furono i suoi interventi sul potere di indirizzo governativo, nonostante a inizio mandato, nel messaggio di insediamento rivolto al Parlamento subito dopo l'elezione, avesse precisato come non sarebbe spettato a lui «determinare gli indirizzi politici nella vita dello Stato, prerogativa del Governo della Repubblica e massimamente di questo libero Parlamento». Nei ventisette mesi di "presidenza attiva" (Giacone 2014, 105) Segni si trovò ad affrontare tre gravi crisi politiche: la prima nel maggio del 1963, quando, in seguito alle elezioni politiche del 23 aprile, il quarto capo dello Stato, oppostosi alla riconferma di Fanfani a Palazzo Chigi e dopo aver fatto fallire il tentativo di Moro di dar vita a un esecutivo di centro-sinistra, indicò con una designazione autonoma l'allora presidente della Camera Giovanni Leone; la seconda, nell'autunno dello stesso anno, quando la raggiunta maggioranza fra democristiani e socialisti lo costrinse a porre fine al governo Leone, durato appena cinque mesi; infine la crisi del giugno 1964 con il tentativo di far cadere il primo governo Moro, poi dimessosi a causa dell'opposizione del Partito socialista ai finanziamenti per la scuola privata; crisi che, come noto, coincise con l'iniziativa del generale De Lorenzo di predisporre il "Piano Solo" (Franzinelli 2010).
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3. Impegno internazionale ed europeismo
Il biennio del mandato presidenziale di Segni è caratterizzato dai numerosi viaggi: 85 visite di stato compiute prevalentemente in Italia (fu spesso nella natia Sassari e a Napoli), ma anche all'estero (sei viaggi, fra cui Francia, Germania, Grecia, Marocco, Stati Uniti), oltre a tre visite in Vaticano. Storica fu, l'11 maggio 1963, la visita di Giovanni XXIII al Quirinale: per la prima volta nella storia un papa si recava in un luogo istituzionale dello Stato italiano. Insignito del premio Balzan per la pace, l'umanità e la fratellanza tra i popoli il giorno precedente, Roncalli fu festeggiato al Quirinale e poté ricambiare la visita di Segni in Vaticano del 3 luglio 1962, nell'imminente apertura del Concilio.
Fedele interprete dell'europeismo democristiano precedentemente tracciato da De Gasperi, Adenauer e Schuman, Segni dimostra un instancabile impegno europeista: fautore di un'unione europea intesa come rinascita spirituale del vecchio continente (Giacone 2014, p. 107), da Presidente del Consiglio aveva firmato, congiuntamente al ministro degli esteri Gaetano Martino, i due Trattati di Roma (25 marzo 1957), che istituirono e disciplinarono la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell'energia atomica (EURATOM). Segni è infatti un convinto assertore della necessità di un Occidente coeso attraverso una partnership con la Nato (Rizzo 2012, p. 83). Come avrebbe ricordato nel quinto anniversario della firma dei trattati, la realizzazione di un'Europa politicamente unita e saldamente legata all'Occidente costituiva un fattore determinante della pace mondiale: «l'unificazione europea e la pace sono per noi due scopi essenziali che si integrano l'uno con l'altro. Solo una forza unitaria europea che abbia in sé eliminato le vecchie rivalità e gli egoismi nazionali, può contribuire in maniera decisiva al pacifico ed equilibrato sviluppo della vita internazionale» ("Il Popolo", 12 maggio 1962). Concetti ribaditi e poi ampliati nel luglio 1963 nel corso dei due incontri (Roma e Napoli) avuti con il presidente statunitense Kennedy: l'Europa avrebbe potuto prosperare, e fungere da elemento di coesione dei popoli, solamente con il rafforzamento dell'Alleanza atlantica e con un condiviso impegno per una pace garantita nella democrazia e nella libertà. Valori, questi, riaffermati anche alcuni mesi più tardi (14 gennaio 1964) a Washington nel corso di un incontro prima col nuovo presidente Johnson, poi con il riconfermato Segretario di Stato, Dean Rusk: Segni intendeva l'unificazione europea come premessa di una più solida intesa atlantica e come baluardo per un maggior consolidamento dell'Alleanza ("Il Popolo", 15 gennaio 1964).
L'impegno per un'unificazione europea strettamente connessa a una «sinergia euro-americana» (Rizzo 2014, p. 85) è promosso e sostenuto anche nelle visite di stato nella Repubblica Federale tedesca (luglio 1963) e nella Francia di De Gaulle (febbraio 1964), che si mantenne tuttavia ferma sulla necessità di un netto smarcamento dalla politica statunitense.
Un ostinato impegno europeista che varrà al Presidente Segni il riconoscimento del premio Carlo Magno ad Aquisgrana (1964); tradizionalmente conferito a personalità con particolari meriti in favore dell'integrazione europea, fu il secondo italiano, dopo De Gasperi (1952), a esser insignito del prestigioso premio. Nel discorso di ringraziamento Segni sottolineò come la costituzione dell'Europa, che andava intesa come «una armonica entità politica, economica e sociale», fosse portatrice «di una sola civiltà coesa nei valori di libertà, giustizia, ordine e progresso; forza materiale e morale insieme, capace di garantire la propria sicurezza, ma aperta al mondo esterno, anzi protesa verso di esso ed efficace strumento di pacificazione» (Rizzo 2012, 86).
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Ulteriore elemento caratterizzante della Presidenza Segni fu l'inaugurazione della prassi della diretta televisiva dei messaggi sia di insediamento, sia del passaggio di consegne col predecessore. Cercando di privilegiare una dimensione comunicativa snella e immediata (Doro 2014, p. 180), in linea coi cambiamenti in atto in un paese in pieno mutamento (Crainz 2005, p. 132-142), Segni trasmette un senso di fiducia agli italiani. Il suo stile sobrio ed elegante conquista l'audience e contribuisce a rendere familiare la figura del Presidente della Repubblica.
Nel messaggio agli italiani in occasione del Capodanno 1964, trasmesso in diretta radiotelevisiva dal palazzo del Quirinale il 31 dicembre 1963, Segni ricordò come fra gli «avvenimenti gravi e memorabili che hanno contrassegnato il corso del 1963» vi era stata la scomparsa di papa Giovanni XXIII e quella del presidente Kennedy, «due grandi fiamme che avevano illuminato a tutti la difficile via verso la pace nella libertà e nella giustizia: quella pace nella quale profondamente credevano e nella quale anche noi profondamente crediamo». Ricorrenti nel discorso di Segni sono i pilastri del suo pensiero politico, la dignità e la libertà dell'uomo, intesi come il fondamento di ogni ordinamento sociale e conseguenza diretta del principio cristiano della solidarietà. Dopo aver ricordato quei «due grandi testimoni», Segni auspicò che la loro eredità spirituale non andasse perduta, augurandosi che «il retaggio degli ideali di pace e di fratellanza che ispirarono le loro azioni» potesse essere raccolto e tradotto «in operante realtà». Passando poi a ricordare il ventennale della Resistenza, Segni precisò come la nazione italiana non avesse dimenticato «di onorare tutti coloro che fermamente credettero nella rinascita della Patria - unita, libera e democratica - dagli errori e dalle rovine di una guerra non voluta e non sentita dal popolo italiano, ma pur affrontata con coraggio ed eroismo, e di riaffermare i valori perenni che ispirarono e sostennero l'azione per questa rinascita. Il sacrificio di Boves, quello di Lanciano, i fatti d'arme di Monte Lungo sono, tra i tanti episodi gloriosi, una testimonianza fulgida e duratura dell'intensa spiritualità e del tenace amor di Patria che hanno armato la mano e infiammato gli spiriti generosi di coloro che combatterono per il riscatto dell'Italia» ("La Stampa", 2 gennaio 1964).
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5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Si riportano di seguito, in ordine alfabetico per autore, i riferimenti ai testi utilizzati nell'articolo, con l'indicazione della collocazione nella nostra Biblioteca. Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca. Si suggerisce altresì la consultazione della ricca e aggiornata Rassegna bibliografica curata dalla Biblioteca del Quirinale, consultabile online (in particolare, p. 228 e sgg.).
G. Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta. Roma, Donzelli, 2005.
(Collocazione: 48. 0. 13)
R. A. Doro, L'immagine televisiva e la rappresentazione mediatica del Capo dello Stato, in M. Ridolfi (a cura di), Presidenti. Storia e costumi della Repubblica nell'Italia democratica. Roma, Viella, 2014, pp. 171-196.
(Collocazione: Collez. ital. 3384. 38)
M. Franzinelli, Il piano Solo. I servizi segreti, il centro-sinistra e il «golpe» del 1964. Milano, Mondadori, 2010.
(Collocazione: Collez. Ital.606. 894)
A. Giacone, Il capo dello Stato nella «repubblica dei partiti» (1946-1978), in M. Ridolfi (a cura di), Presidenti. Storia e costumi della Repubblica nell'Italia democratica, Roma, Viella, 2014, pp. 89-114.
(Collocazione: Collez. ital. 3384. 38)
A. Giovagnoli, Antonio Segni, in Il Parlamento Italiano. 1861-1988. Il centro-sinistra. La "stagione" di Moro e Nenni. 1964-1968. Milano, Nuova Cei, 1992, vol. XIX, pp. 244-268.
(Collocazione: Parlam. Italia 1/19)
G. Pasquino (a cura di), La politica italiana. Dizionario critico 1945-1995. Roma-Bari, Laterza, 1995.
(Collocazione:Part. polit. Italia 50)
M. Ridolfi, Storia politica dell'Italia repubblicana. Milano, Mondadori, 2010.
(Collocazione: Storia. Italia. 67)
T. L. Rizzo, Parla il Capo dello Stato. Sessanta anni di vita repubblicana attraverso il Quirinale. Roma, Cangemi, 2012.
(Collocazione: 269. XVII. 3)