A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Letteratura e Parlamento
Emilio Lussu
Abstract
Autore di uno dei libri che più hanno rappresentato la Grande Guerra nella letteratura italiana, Un anno sull'Altipiano, Emilio Lussu è anche organizzatore politico, deputato del Regno, oppositore del regime fascista, esule e di nuovo parlamentare (dalla Consulta alla IV legislatura repubblicana). Come consuetudine in questa rubrica, ne proponiamo un ritratto attraverso una breve biografia e alcune opere.
2. Con il Partito sardo d'Azione in Parlamento
3. Confino, scrittura e clandestinità
4. La ricostruzione dello Stato
6. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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Nato ad Armungia nel 1890, Emilio Lussu trascorre l'infanzia tra quelli che definirà "gli ultimi avanzi di una comunità patriarcale, senza classi e senza stato" (Lussu 1968a, p.13). Il piccolo comune del Gerrei, in provincia di Cagliari, è una comunità di contadini-pastori, in cui comunque esistono distinzioni di rango tra pastori, cacciatori e cavalieri da una parte e contadini e mercanti dall'altra (ivi, pp. 14 e seguenti). Egli stesso attribuisce la sua "prima formazione democratica", che impronta tutta la sua vita, all'esempio del padre, che a venticinque anni si ribella alle leggi del suo clan per sposare una donna di rango inferiore (si veda Lussu 1958b, pp. 59-61) e che impartisce al figlio di dieci anni la "lezione democratica dura", affidandolo con queste direttive al contadino di casa: "«[...] Da domani lo condurrai con te al lavoro e il signorino lavorerà la terra ai tuoi ordini, e se lavora con impegno gli darai da mangiare, se no bastonate.»" (ivi, p. 64).
Si laurea in giurisprudenza all'Università di Cagliari pochi giorni prima dell'entrata dell'Italia in guerra, alla guida degli interventisti democratici universitari. Avendo prestato il servizio di leva come allievo ufficiale a Torino nel 1912, parte immediatamente come sottotenente nella brigata "Sassari" appena costituita. Dopo qualche mese nel bresciano, la brigata viene mandata a combattere sul Carso: nel dicembre 1915 Lussu è nominato tenente e la brigata, distrutta, viene ricostituita su base regionale. Nel 1916 la Brigata Sassari raggiunge l'altipiano di Asiago: l'esperienza qui vissuta viene descritta nel libro, pubblicato nel 1939, Un anno sull'altipiano.
La guerra rappresentò per il L. un'esperienza formativa sotto il profilo umano, sociale e politico. Con i fanti della brigata, contadini e pastori della sua stessa terra, stabilì un rapporto di solidarietà attiva fondato sulla comune contestazione dell'autoritarismo e dell'inettitudine degli alti comandi. La presa di coscienza dell'assurdità e del carattere classista della guerra non comportò tuttavia il venir meno, da parte del L., delle ragioni ideali dell'intervento contro gli Imperi centrali.
(Giuseppe Sircana, Lussu, Emilio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, 2007, vol. 66).
Le vicende della Brigata Sassari, composta in gran parte da soldati sardi, avevano avuto in Sardegna una grande eco, e Lussu, eletto presidente dell'associazione dei reduci di Cagliari prima ancora di far ritorno in Sardegna, impegnato nell'esercito nella zona dell'armistizio, viene "corteggiato" da diverse correnti politiche per presentarsi come candidato alle elezioni del 1919: la questione viene però risolta dal mancato abbassamento dell'età minima prevista per candidarsi alla Camera (Lussu non ha ancora 29 anni e solo la legge Acerbo, nel 1923, ridurrà da 30 a 25 l'età per l'elettorato passivo). Rientrato sull'isola alla vigilia delle elezioni, si impegna a sostegno dell'associazione dei reduci, assumendo anche la direzione della rivista cagliaritana Il Solco e inizia la pratica come avvocato presso uno studio di Cagliari. La lista dei combattenti ottiene tre dei dodici seggi spettanti alla Sardegna, due dei quali a Cagliari: il movimento dei reduci si diffonde in tutta l'isola.
Volendo ridisegnare la fisionomia del movimento [...] il quadro che ne risulta ci mostra una base anarchica di lavoratori agricoli tornati dalla trincea «con riluttanza a ristabilire i precedenti vincoli di subordinazione sociale» e gruppi dirigenti di piccola borghesia intellettuale; gli uni, a Sassari, «a tendenza salveminiana, liberisti, fautori del cooperativismo», e gli altri, a Cagliari, «d'indirizzo classista e sindacale», aperti all'influenza di Sorel.
(Fiori 2003, p. 101).
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2. Con il Partito sardo d'Azione in Parlamento
Nel 1921, alla vigilia della nuova, inaspettata tornata elettorale, i soci della federazione combattenti vengono iscritti d'ufficio al partito sardo d'Azione, che eredita il programma elaborato dall'associazione a Macomer l'anno precedente: Lussu questa volta può candidarsi, "[...] È tribuno incendiario. Ai contadini parla come parlano i contadini [...]. Mette nei comizi la semplicità, l'immaginazione, il gusto di narrare del padre quando gli raccontava intorno al fuoco storie di caccia e di magia. E li diverte deridendo i potenti. E gli dà speranza..." (Fiori 2003, p. 124), risultando eletto deputato del Regno. La XXVI legislatura viene inaugurata alla Camera con una denuncia: alcuni dei 36 deputati fascisti, eletti nella lista nazionale voluta da Giolitti, mettono subito in pratica le parole di Mussolini "Noi non saremo un gruppo parlamentare, ma un plotone di azione ed esecuzione" (Lussu 1974, p. 17). Impediscono, rivoltella alla mano, al deputato comunista Misiani, colpevole di diserzione, l'ingresso in aula, cacciandolo dal Transatlantico (e Lussu sospetta che addirittura volessero ucciderlo, ma fu proprio il suo intervento a sventare il piano: si veda ivi, p. 19). Viene approvato un ordine del giorno che rivendica il diritto esclusivo della Camera a giudicare di elezioni ed eletti, affidando al Presidente la garanzia del rispetto del mandato legislativo (si veda il resoconto della seduta sul portale storico della Camera dei Deputati). Membri del gruppo misto, i quattro deputati sardisti appoggiano il governo Bonomi ma non il governo Facta: Lussu interviene per la prima volta in aula nel dicembre 1921 per precisare che il Partito sardo d'Azione è autonomista e non separatista (seduta dell'8 dicembre: occasione del dibattito la raggiunta indipendenza irlandese); mentre, per bocca dell'onorevole Umberto Cao (si vedano le sedute del 16 e del 17 novembre 1922; Lussu ha subito un'aggressione e quindi non può presenziare), il Partito sardo d'Azione nega la fiducia al primo governo Mussolini. La situazione politica della Sardegna è un po' diversa da quella di altre regioni italiane: il fascismo non riesce ad imporsi se non con azioni violente che vengono disapprovate dalla maggioranza della popolazione:
Il fascismo non veniva considerato un partito politico ma una forma di brigantaggio protetto dallo Stato. I grossi proprietari s'iscrivevano ai fasci, ma nel restante della popolazione aumentava ogni giorno il disprezzo. Una simile situazione non poteva riuscire gradita al governo. Occorrevano grandi consensi popolari, soprattutto l'adesione degli ex combattenti di cui Mussolini si proclamava rappresentante diretto. Perciò, improvvisamente, fu mutata politica. I prefetti furono sostituiti e in Sardegna fu mandato, in qualità di rappresentante del fascismo e del governo, il generale Gandolfo, prefetto munito di pieni poteri.
(Lussu 1974, p. 145).
I sardisti dunque vengono corteggiati dal partito fascista, sia per la grande presenza di combattenti, sia per il prestigio di cui godono i loro capi, uno fra tutti Emilio Lussu: parte degli iscritti al partito vengono attirati al fascismo (si veda a questo proposito Fiori 2003, pp. 166-184), ma, alle elezioni del 1924, il Partito sardo d'Azione prende comunque il 16% dei voti, conquistando 2 dei 12 seggi riservati alla Sardegna (8 vanno al partito fascista, 1 ai popolari ed uno all'opposizione costituzionale). Lussu, rieletto deputato nella XXVII legislatura, partecipa alla protesta in occasione dell'omicidio del deputato Matteotti, come membro del comitato che guidò la cosiddetta secessione dell'Aventino, finita già, per Lussu, con il discorso alla Camera di Mussolini del 3 gennaio 1925: "L'«Aventino» umiliato e deriso è finito. Il 3 gennaio crea un ordine nuovo." (Lussu 1974, p. 183). Il 31 ottobre 1926 a Bologna qualcuno spara contro Mussolini: in tutto il Paese gli oppositori del regime sono fatti bersaglio dei fascisti, Lussu è tra i primi e - mentre un gruppo di fascisti cerca di entrare nella sua casa attraverso il balcone - spara e uccide uno di loro. Lussu viene arrestato e aspetterà per più di un anno il giudizio, che sarà in realtà un'assoluzione (si veda Lussu 1974, pp. 193-197): ma il regime, che dopo i fatti di Bologna ha serrato i ranghi, dichiarando, tra l'altro, decaduti i deputati dell'opposizione (seduta del 9 novembre 1926), non può lasciare un leader come Lussu in libertà.
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3. Confino, scrittura e clandestinità
Confinato a Lipari e in precarie condizioni di salute, il capitano Lussu non si dà per vinto e in diverse occasioni progetta e tenta la fuga, che gli riuscirà nel luglio del 1929.
Lipari è una tappa fondamentale nella storia intellettuale e politica di Lussu. [...] La casa di Rosselli diventa un punto d'incontro obbligato, e i temi della discussione sono quelli che stanno al centro della riflessione dell'intero antifascismo italiano. [...] La lunga marcia di Lussu verso il socialismo comincia proprio negli anni di Lipari: è ancora [...] la riflessione sul patrimonio teorico al centro dei dibattiti nel circolo di Rosselli (che intanto sta scrivendo il suo Socialismo liberale) che impegna Lussu nella rivisitazione tanto della storia italiana degli ultimi dieci anni quanto della sua stessa esperienza sardista.
(Manlio Brigaglia, Introduzione, in Lussu 1986, vol. I, pp. 15-17).
Dopo sedici mesi al confino, alla fine del luglio 1929, come accennato, Lussu, Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti riescono (al quarto tentativo, in verità) a raggiungere il motoscafo Dream V pilotato da Italo Oxilia insieme a Gioacchino Dolci. Il primo di agosto sbarcano a Marsiglia e quella stessa sera raggiungono Parigi, ricongiungendosi con gli antifascisti presenti nella capitale francese; Salvemini in particolare organizza conferenze, incontri con scrittori e giornalisti di diverse nazionalità, ed esorta Lussu a scrivere: ne nasceranno La catena (1929) e Marcia su Roma e dintorni (1933).
Nasce il movimento Giustizia e Libertà, che avrà in Lussu uno degli uomini più attivi sia sul fronte dell'elaborazione teorica che sul fronte dell'azione. L'idea di Lussu consiste nel tentare di trasformare GL in un partito socialista democratico, repubblicano e federalista, prevalentemente non marxista, classista e libertario, che, al posto del Partito socialista italiano, avrebbe dovuto proporre l'unificazione di tutte le correnti socialiste (si veda Fiori, pp. 309-371). In momenti diversi, negli anni Trenta, Lussu si sposta da Parigi per curarsi; in questi periodi di riposo forzato scrive Teoria dell'Insurrezione (1936), Un anno sull'Altipiano (1938), oltre agli articoli prettamente politici per la rivista di GL: la guerra civile spagnola lo coglie in convalescenza ed egli raggiunge il fronte aragonese pochi giorni prima dell'attentato costato la vita ai fratelli Rosselli (9 giugno 1937). Dopo la morte di Carlo Rosselli Lussu prende le redini di GL: incorpora l'Alleanza repubblicana socialista di Fernando Schiavetti aggiungendo, sotto la testata di Giustizia e Libertà, la dicitura "movimento di unificazione socialista". Nel 1938 Lussu si unisce a Joyce Salvadori, che potrà sposare in Campidoglio nel 1944, all'indomani della liberazione di Roma. Durante gli anni della guerra e dell'occupazione tedesca Lussu "torna a vivere all'insegna di quello «sprezzo del pericolo» nel quale si trova così a suo agio: il temerario soggiorno marsigliese, dove riesce ad organizzare il passaggio in Africa del Nord di diciassette dirigenti di GL, l'attraversamento clandestino dei Pirenei con Joyce, il passaggio attraverso la Spagna e la duplice missione, a New York e a Londra, fra il novembre del 1941 ed il luglio del 1942, per cercare di convincere gli Alleati ad accettare che una Legione italiana, come rappresentanza dell'antifascismo, combattesse al loro fianco, in posizione di autonomia e di indipendenza." (Manlio Brigaglia, Introduzione, in Lussu 1986, p. 29). Lussu propone agli Alleati uno sbarco in Sardegna di una legione interamente italiana, che possa sollevare l'insurrezione contro il fascismo e la guerra nazifascista per la creazione di una Repubblica democratica, ma pone come condizione necessaria la garanzia politica che i confini dell'Italia resteranno immutati (si veda Fiori 2003, pp. 410-424): probabilmente la soluzione repubblicana non convince del tutto alcuni dei suoi interlocutori (i suoi progetti e tentativi sono raccolti da lui stesso in Diplomazia clandestina).
All'inizio del marzo 1943 Lussu firma a Lione, con Amendola e Dozza per il PCI e Saragat per il PSI, il patto di unità d'azione con GL che servirà da base per l'azione unitaria svolta in seguito dai Comitati di Liberazione Nazionale. A Lione Lussu apprende anche dell'esistenza del Partito d'Azione, costituitosi l'anno prima a Roma, e ne percepisce subito la distanza da GL, come dimostra un confronto tra i 7 punti del Partito d'Azione ed il programma illustrato nell'opuscolo La ricostruzione dello Stato.
Emilio Lussu e Joyce Salvadori rientrano in Italia nell'agosto del 1943: si stabiliscono a Roma, dove vivono clandestini fino alla liberazione, che per loro vorrà dire anche sposarsi in Campidoglio e dare vita, pochi giorni dopo, al loro unico figlio.
Come accennato, il Partito d'Azione sembra a Lussu una formazione di borghesia radicale, ma vi aderisce e partecipa a Firenze al primo convegno clandestino del Partito in settembre: a Roma, sotto il falso nome di Raimondi, partecipa alla Resistenza e lavora per il nuovo programma del Partito, che egli vede socialista, federalista (si veda, sul federalismo in Lussu, M. Brigaglia, Introduzione, in Lussu 1986, pp. 36-43), antiautoritario e laico.
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4. La ricostruzione dello Stato
Membro della Consulta nazionale, viene nominato Ministro dell'Assistenza postbellica dal governo Parri e incaricato dei rapporti con la Consulta stessa nel successivo governo De Gasperi. Il 2 giugno 1946 è eletto all'Assemblea costituente nel collegio di Cagliari: Lussu fa parte della Commissione dei settantacinque, incaricata di redigere la bozza della costituzione repubblicana e si occupa in particolare delle autonomie regionali (Seconda sottocommissione); non riesce però a far approvare lo Statuto per l'autonomia della Sardegna (si veda Fiori 2003, pp. 449-452).
Sciolto il Partito d'azione nel 1947, Lussu lascia nell'aprile del 1948 il Partito sardo d'azione, fondando il Partito sardo di azione socialista che si unirà, nel 1949, al Partito socialista di Nenni. Senatore di diritto nella I legislatura repubblicana in base alla III disposizione transitoria della Costituzione, Lussu siederà in Senato per venti anni consecutivi, dal 1948 al 1968: verrà infatti rieletto nel 1953 e nel 1958 come candidato comune di PSI e PCI e nel 1963 con il solo PSI. Contrasta sempre, nel PSI "l'anti-comunismo epilettico" e la prospettiva di una "terza forza" tra PCI e DC: nel 1964 rompe con Nenni, contrario alla politica di centrosinistra, aderendo al Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP). Alla fine della IV legislatura decide di non ricandidarsi e nel 1972, allo scioglimento del PSIUP, si ritira dalla politica attiva. Scrive nel suo ultimo intervento pubblico:
Ecco il mio pensiero, per quanto la mia sia una situazione particolare. A 82 anni non si cambiano né tessere né partiti. In esilio, nel movimento di «Giustizia e Libertà», nel Partito d'Azione, nella Resistenza armata, ho rappresentato la sinistra socialista. Nella confluenza del Partito sardo d'Azione socialista nel PSI, nel 1949, a duecento miei compagni del Partito sardo d'Azione è stata concessa la tessera del Partito socialista italiano con la data del 1919, e agli iscritti del PSI in Sardegna, accanto al simbolo nazionale, sulla tessera è stato messo l'emblema del PSd'AS; egualmente per la tessera del PSIUP. Pietro Gobetti, nel Manifesto di «Rivoluzione Liberale», 1924, fra l'altro scrive che dalla guerra erano sorti due movimenti rivoluzionari nella loro essenza e coerenza: il Partito comunista italiano e il Partito sardo d'Azione. Questa essenza e questa coerenza io le porterò con me nella tomba. Con la speranza che in Sardegna i giovani non dimentichino questo modesto frammento di storia sarda, uscita dalle viscere della nostra terra. Il che non c'impedisce di essere italiani, federalisti, socialisti e internazionalisti; chi parla di separatismo è fuori dalla storia, ed è fuori dalla mia coscienza ed esperienza politica.
(Lussu 1976a, p. 287).
Il Senatore Emilio Lussu muore a Roma, all'età di 84 anni, nel marzo del 1975, impegnato nella ricostruzione della mancata difesa di Roma nel 1943 e delle vicende del Partito d'azione.
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Durante gli anni dell'esilio Lussu scrive La catena (1929), Marcia su Roma e dintorni (1933), Un anno sull'Altipiano (1938) e Il cinghiale del diavolo (scritto nel 1938 ma pubblicato nel 1968): opere che "andranno a ritroso nel tempo, testimonianza di un modo di vivere e concepire la realtà che si dispiega in un lungo arco di anni [...] che l'autore [...] ripercorre [...] perché quello che scrive possa servire anche agli altri [...]. In questo riandare indietro negli anni, compiuto dall'autore, mentre il suo pensiero continua a svilupparsi in avanti, si viene infatti sempre meglio chiarendo attraverso quali nodi ideologici e con quale svolgimento è avvenuto il processo di maturazione di Lussu." (Salvestroni 1974, pp. 3-4). La sua narrativa "s'informa sempre di problemi etico-politici e ad essi vuol dare una soluzione che sia sempre praticamente combattiva; niente le è più estraneo di soluzioni esclusivamente letterarie." (Sanna 1965, p. 109).
L'intento di Lussu è d'altronde già chiaro nell'ultimo capitolo de La Catena:
Io non avrei scritto queste pagine, se non pensassi a trarne delle conclusioni politiche e presentarle al lettore. Confesso che tutto il resto mi interessa assai poco. [...] Definitivo è il fallimento d'ogni programma di lotta costituzionale e morale. Siamo entrati in un periodo nuovo. Contro una minoranza che provoca, irride e pratica leggi di guerra, non v'è che una risposta decente: l'azione. Essa è l'unica difesa che diritto e morale consentono. [...] L'azione dunque, anche a costo d'essere più crudamente sopraffatti. È innanzi tutto, un problema morale, prima d'essere un problema politico. [...] Ma è anche, soprattutto, un problema politico. La rivoluzione fascista non si regge su solide basi. La Nazione le è avversa. [...] Che la libertà sia riconquistata in Italia senza sacrifici, è un sogno di ingenui. Solo una via di sacrifizi e di martirî condurrà alla mèta. I giorni più tragici debbono ancora conoscersi in Italia. Una banda non cede la preda senza combattere. Ma il diritto di chi si batte per riacquistare i propri beni rubati, infonde animo più che non la pretesa di quanti difendono una rapina compiuta.
(Lussu 1945, pp. 145, 164-167)
Se ne La Catena Lussu descrive un fascismo ormai affermato (e le conseguenze sulla propria e l'altrui libertà), le pagine di Marcia su Roma e dintorni ne descrivono a ritroso l'ascesa, anche e soprattutto in Sardegna, senza però rinunciare a digressioni tra il grottesco e l'ironico:
Nell'Isola, dopo la guerra, non v'era mai stata tanta curiosità, tranne nell'occasione in cui era stata divulgata la notizia dello sbarco a Cagliari del «Cervo Bianco». Era costui uno dei più famosi discendenti dei capi indiani che avevano lungo tempo dominato attorno ai Grandi laghi, ai confini tra gli Stati Uniti e il Canadà. Vestito da capo indiano, con piume e pipa era sceso in Italia. Aveva manifestato grande simpatia per il fascismo e dichiarato persino che, al suo ritorno in patria, avrebbe organizzato le sue tribù alla fascista e fatto adottare la camicia nera alle sue pellirosse più bellicose, riluttanti alla piatta democrazia dei discendenti di Washington. Il fascismo tutto e lo stesso «Duce» non erano rimasti insensibili ai suoi entusiasmi, e lo avevano coperto di onori. A Firenze, era stato nominato console ad honorem e invitato a prendere parte a numerose cerimonie fasciste, in camicia nera.
In parecchi teatri, aveva riscosso ovazioni frenetiche e non poche donne dell'aristocrazia toscana si erano invaghite di lui. L'indiano era bellissimo. Il «Cervo Bianco» doveva venire anche in Sardegna. Era atteso con tanto interesse che, un mese prima, si erano venduti, come i posti a teatro, i posti delle finestre sulle strade che egli doveva percorrere. Malauguratamente il «Cervo» aveva scorrazzato disordinatamente nelle piazze d'Italia. Egli aveva troppa fiducia in se stesso.
La polizia giudiziaria volle interessarsi di lui e lo arrestò mentre passava sotto un arco di trionfo. Si era scoperto che egli era un avventuriero internazionale, olandese d'origine, ricercato dalle polizie di parecchi paesi d'Europa. Il suo progettato viaggio in Sardegna non ebbe luogo.(Lussu 1974, pp. 159-160)
Ancora più indietro, laddove Marcia su Roma e dintorni si apre con il battaglione di Lussu sulla linea di armistizio alla frontiera jugoslava, si spinge Un anno sull'altipiano, "testimonianza italiana della grande guerra" (Lussu 1964, p. 9). Lussu descrive con ironia e senza fronzoli personaggi e situazioni, innanzitutto i comandanti:
Il sole era già tramontato quando caddi, a nord di Stoccaredo, su un battaglione del 301° fanteria. Lo comandava un tenente colonnello, sulla cinquantina, che trovai all'aperto, seduto ad un tavolino improvvisato con rami d'albero, una bottiglia di cognac in mano. Egli mi accolse molto gentilmente e mi offrì un bicchierino di cognac.
- Molte grazie, - dissi, - non bevo liquori.
- Non beve liquori? - mi chiese, preoccupato, il tenente colonnello.
Tirò dal taschino della giubba un taccuino e scrisse: «Conosciuto tenente astemio in liquori. 5 giugno 1916». Si fece ripetere il mio nome, che io gli avevo già detto presentandomi, e lo aggiunse alla nota. Per non perdere tempo io gli dissi subito la ragione di servizio che mi aveva spinto fino a lui. Ma egli, prima di rispondermi, volle conoscere qualche dettaglio sulla mia vita e sui miei studi. Così, seppe che ero ufficiale di complemento, uscito dall'università allo scoppio della guerra. Ma era sempre la questione dei liquori che lo colpiva maggiormente.
- Appartiene lei forse a qualche setta religiosa? - mi chiese.
- No, - risposi io ridendo. - E perché mai?
- Strano, eccezionalmente strano. E vino, ne beve?
- Un po', a tavola, così, un po' durante il pasto.
Io ripetei le domande sulle posizioni nemiche e sui nostri. Ma egli non aveva fretta. Bevette ancora un bicchierino e mi accompagnò, con passo lento, ad un osservatorio distante una cinquantina di metri, tenendo sempre in mano la bottiglia e il bicchierino. Per distrazione, certo, perché, all'osservatorio, egli non bevette mai.
Dall'osservatorio, si aveva ancora un panorama chiaro, illuminato dagli ultimi riflessi del sole. In fondo, a nord, a una trentina di chilometri in linea d'aria, Cima XII. Di fronte, la catena di monti culminante a Monte Zebio, le Creste di Gallio, e, elevato su tutti, più a destra, Monte Fior. Fra noi e quelle cime, la conca d'Asiago: più in basso, proprio sotto di noi, la più piccola conca di Ronchi.(Lussu 1964, pp. 25-26)
Inoltre, i soldati:
Il prigioniero, senz'armi, era in mezzo alla squadra, tenuto per le braccia da due soldati. Nessuno parlava, né il prigioniero, né gli altri. Ognuno era convinto dell'inutilità di una conversazione fatta in lingua straniera. Ma anche così, al buio e in silenzio, si era immediatamente stabilita quella simpatia che si crea sempre in quelle circostanze. I vincitori vogliono prodigare qualche attestazione di bontà ai vinti, i vinti le accettano per non parere sdegnosi. Il prigioniero mangiava il cioccolato che i soldati gli avevano offerto, e quando io consentii, poiché eravamo al riparo, che si fumasse, anch'egli fumò la sigaretta offertagli. Ordinai l'appello dei presenti per essere certo che nessuno fosse rimasto indietro, ferito o sperduto, e accesi la lampadina elettrica che avevo in tasca.
- Ma è del nostro reggimento! - esclamò il sergente che stava controllando la fasciatura al braccio e s'era posto fra me e il prigioniero.
- Chi è del nostro reggimento? - chiesi, distratto.
- Il prigioniero.
- Diavolo, diavolo, diavolo! - mormorava il caporale della quarta squadra, fra i denti.
La lampadina illuminò la faccia del prigioniero. Sbalordito, le pupille dilatate, anch'egli guardava. La sigaretta gli era caduta di bocca. L'uniforme era la nostra. Sul berretto, il numero 399: il nostro reggimento. Le mostrine, quelle della brigata. Sulle spalline, il numero della compagnia: la 9a. Il nostro stesso battaglione. [...](Lussu 1964, pp. 29-30)
Al fronte il tenente Lussu trova anche spazio per reminiscenze letterarie:
Quando arrivai in linea, erano le due o le tre del pomeriggio. Il mio battaglione occupava le stesse posizioni del turno precedente. Poche vedette stavano alle feritoie, sui palchi eretti, in alto, in quei giorni, era caduta ancora della neve e le trincee erano state elevate al suo livello. Le vedette si muovevano sui palchi, come muratori in una casa in costruzione. I grossi tronchi che reggevano la sovrastante impalcatura di legno davano alle trincee l'aspetto d'un cantiere. Gli altri soldati erano scaglionati lungo le trincee e i camminamenti, in attesa. A causa del continuo movimento, la neve si era sciolta nel fondo delle trincee e dei camminamenti, e si era formato uno strato di fango, in cui i soldati affondavano le gambe. Essi avevano un aspetto rassegnato. Tutti bevevano. Le borracce di cognac non stavano mai ferme. Al mio primo apparire, sentii un odore cavernoso di fango e di cognac. E i «labyrintes fangeux» di Baudelaire, in Le vin des chiffoniers mi vennero alla mente.
(Lussu 1964, p. 166)
L'ultimo libro scritto da Lussu in esilio lo riporta ai luoghi della sua infanzia, permeata di natura e magia:
Babbo passò tutta la notte appostato dietro la roccia rossa al passo della Conca. Per ritornare alla mandria, il cinghiale bianco doveva ripassare di là. Era il passaggio obbligato, per l'andata e per il ritorno. Babbo non voleva giungervi in ritardo. Così, vi passò tutta la notte, insieme al cane. All'alba, erano ancora là, appostati. Le prime luci si erano già levate. Babbo diceva: non viene più. E il tempo passava, passava. La mattina era serena; non si sentiva che il canto degli uccelli. Ma babbo non aveva che l'orecchio teso al sentiero. Dalla parte di Cabonara veniva un filo di vento, tenue tenue, e portava l'odore amaro degli oleandri del fiume. Senza quell'odore, babbo diceva che non avrebbe potuto tenere gli occhi aperti. Quando ecco, ancora lontano, un rumore di ciottoli e un passo lento, stanco. Babbo imbracciò l'archibugio. E apparve il cinghiale. Apparve il cinghiale, un vecchio cinghiale, bianco come un lenzuolo di lino. Al suo primo apparire, non si vedevano che le zanne. La testa era stretta, tagliata come un'accetta. Babbo non vedeva avanzare che le zanne e la testa. Il cuore non gli tremava e disse: questo è il cinghiale del Diavolo.
(Lussu 1968a, p. 52)
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6. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Nell'articolo sono citati per esteso solo i testi non compresi nel percorso bibliografico.
Emilio Lussu. Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca del Senato (comprende i discorsi parlamentari di Lussu pubblicati a cura del Servizio Studi del Senato della Repubblica nel 1986).
Si suggerisce inoltre la ricerca nelle collezioni della Biblioteca della Camera e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche delle due biblioteche.