'Federalismo'. Un richiamo all'ordine
18 Luglio 2002
In primo luogo, desidero esprimere un sentito ringraziamento ed apprezzamento per il lavoro svolto dalla prima Commissione, e segnatamente dal presidente sen. Andrea Pastore, per questa indagine sul Titolo V della Costituzione che oggi mettiamo a disposizione di tutti. Il materiale parla da sé: 28 sedute, quasi 80 persone audite, 46 ore di audizioni e dibattiti, oltre 800 pagine di documenti.
Ma l''indagine non si caratterizza solo per la mole dei documenti, ma anche per una peculiarità: più che interessarsi degli effetti già prodotti dalla riforma del 2001, essa si interroga sulle conseguenze future che questa riforma potrà provocare.
Poiché la mia funzione è solo quella di introdurre i lavori, mi sia consentito di richiamare brevemente la mia e vostra attenzione sulla questione centrale dei poteri legislativi. Con una premessa, che esprime una mia, ma non solo mia, convinzione: la riforma del titolo V della Costituzione, pur fondamentale per l''intero assetto del nostro Stato, è stata discussa in modo frettoloso, come risulta da tante testimonianze, tra le quali ricordo quella autorevole di Leopoldo Elia, Presidente emerito della Corte Costituzionale e illustre senatore della scorsa legislatura. Questa circostanza è la prima causa dei gravi limiti della riforma. Ne segnalo due per la portata delle loro conseguenze:
a) la riforma si affida ad un riparto delle funzioni legislative tra Stato e Regioni basato su "materie", ma non delimita sempre con sufficienza queste materie e non stabilisce nettamente chi fa che cosa;
b) nonostante non tracci confini netti ed apra così un problema che non è di mera interpretazione giuridica, la riforma non assicura i luoghi della mediazione politica ed istituzionale tra gli enti che hanno potestà di far leggi.
Cerco di spiegarmi sinteticamente. Lo Stato parrebbe dover intervenire solo sulle sue materie, ma alcune di esse - ad esempio, tutela della concorrenza, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, tutela dell''ambiente - hanno carattere trasversale e descrivono piuttosto obiettivi da raggiungere. Come è già dimostrato dai primi accadimenti, ciò moltiplica i momenti di frizione. Questo è un nodo difficile da sciogliere perché coinvolge valori fondamentali, quali l''unità e indivisibilità della Repubblica (art.5), l''unità giuridica ed economica della Repubblica (art.120), il ruolo di garante che, perlomeno in alcune tra le materie trasversali, resta affidato al Parlamento nazionale.
Non mancano le difficoltà anche sul fronte della legislazione concorrente, sulla quale però è forse più agevole avere le prime risposte, come conferma la recentissima sentenza n.282 della Corte Costituzionale.
La preoccupazione più seria riguarda il rischio di far precipitare l''ordinamento in uno stato di incertezze, le quali stanno già producendo due conseguenze istituzionali "maggiori".
La prima è che i problemi legati al riparto per materie saranno presto affrontati dalla Corte Costituzionale. Per un verso, ciò aumenta i conflitti ed aggrava il compito della Corte, che si vede investita di un contenzioso che può provocarne persino la paralisi. E per altro verso altera gli stessi equilibri costituzionali, con il rischio di causare una surrettizia e involontaria trasformazione della Corte in organo quasi-legiferante, chiamata come sarà a dirimere dubbi più politico-istituzionali che tecnico-giuridici.
La seconda conseguenza maggiore riguarda lo sforzo di dialogo avviato dal Governo con il mondo delle autonomie. Dialogo necessario, nel quale le Regioni non si accontentano più di partecipare, ma mirano bensì a raggiungere un "accordo". Ma, in mancanza di una stanza di compensazione politica, dialogo anche insufficiente per prevenire i conflitti e eliminare il ruolo di supplenza della Corte.
Sullo sfondo intravedo il pericolo di un passaggio dal federalismo cooperativo, quale si voleva, a uno conflittuale o a uno consociativo. E, sempre sullo sfondo, intravedo il rischio di un progressivo svuotamento del ruolo del Parlamento, che da un lato si vede stretto tra la contrattazione preliminare Governo-Regioni-Autonomie e dall''altro soffre della mancanza di strumenti che possano risolvere i rebus destinati al giudizio della Corte. Questo rischio non può neppure essere scongiurato dalla prossima integrazione della commissione bicamerale per le questioni regionali con i rappresentanti di Regioni ed enti locali, perché lo spettro di azione di questa commissione è troppo ristretto: essa interverrà nella legislazione concorrente e nell''applicazione dell''art.119 Cost. ed il suo parere produrrà solo un rafforzamento del quorum assembleare.
Altri interventi legislativi saranno sicuramente necessari. Il mio primo auspicio è che, trattandosi della stabilità del nostro sistema costituzionale, questa volta siano meno frettolosi e più bipartisan. Il secondo auspicio è che si rifletta di più sulle competenze, attraverso una riforma che introduca nell''ordinamento della Repubblica la Camera delle Regioni (quale, se la Camera o il Senato, non dirò; vale ancora lo scherzoso ma illuminante suggerimento di una decina di anni fa dell''on. Mino Martinazzoli: si faccia la riforma e poi si tiri a sorte).
Sono convinto che in talune circostanze storiche si debba avere la forza, la lungimiranza ed il coraggio di assecondare il cambiamento per evitare di essere travolti da una serie di eventi che può divenire non più governabile.
Chiudo. La funzione del Presidente del Senato è quella di suonare la campanella in Aula. Se questa volta l''ho fatto fuori, ma pur sempre nelle vicinanze dell''Aula, è perché ritengo mio dovere richiamare tutti indistintamente all''ordine, in questo caso l''ordine costituzionale. Quando ci va di mezzo lo Stato, la questione riguarda ciascuno di noi.