Il Presidente: Interventi in Assemblea e in occasioni istituzionali

Alcide De Gasperi - L'eredità incompiuta

Camera dei deputati, Sala della Lupa, 14 ottobre 2003

14 Ottobre 2003

Durante i tre anni cruciali che vanno dal 25 aprile 1945 al 18 aprile 1948, quando la transizione del dopo-guerra era ancora aperta ad ogni esito possibile, compresi quelli più infausti, l''Italia fece quattro scelte fondamentali grazie alle quali diventò una giovane ma piena democrazia occidentale.

La prima scelta fu la svolta economica liberista, resa possibile dalla rottura della collaborazione governativa con le sinistre nel maggio del 1947 e dalla conseguente apertura alle forze del cosiddetto "quarto partito" (i rappresentanti del mondo imprenditoriale). Questa svolta costituì la premessa per avviare anche in Italia la sperimentazione di una forma di economia di mercato in grado di conciliare le esigenze del mondo imprenditoriale e finanziario con un moderato intervento statale nei settori più a rischio o in quelli nei quali il mercato avrebbe condotto alla creazione d''insopportabili monopoli. Il nuovo indirizzo si collocava a cavallo tra il recupero della stagione liberale e lo sviluppo degli aspetti di modernità economica e sociale maturate negli anni tra le due guerre. Si trattò di un successo. L''avvicinamento agli ambienti della destra economica consentì di bloccare la fuga e l''imboscamento di capitali all''estero, mentre l''impegno a sostenere una drastica riduzione della spesa pubblica costituì una garanzia ed un incentivo per gli investimenti nell''economia italiana, e creò le premesse di quella stabilizzazione necessaria al risanamento interno e alla crescita dell''occupazione.

La seconda scelta fondamentale fu quella di collocare il nostro Paese nel blocco atlantico. L''Italia iniziò ad intraprendere questa strada sin dalla fine del 1946, quando individuò negli Stati Uniti non solo una potenza egemone ma un saldo riferimento economico e sociale. La scelta atlantica non fu dettata solo da riconoscenza per quanto gli americani avevano fatto per la liberazione dell''Italia e dell''Europa dal nazismo e dal fascismo. E neppure fu dettata dall''affermazione di una logica mondiale bipolare. Piuttosto, quella scelta si basò sulla constatazione di valori politici e culturali comuni tra le due sponde dell''Atlantico, ben più profondi delle superficiali diversità nello stile di vita e nelle mentalità diffuse. Nonostante che una radicata quanto superficiale vulgata storiografica sostenga il contrario, fummo noi italiani che nel corso del ''47 vincemmo perplessità e prudenze presenti negli Stati Uniti, convincendoli che era possibile una prospettiva politica fondata sulle sole forze democratiche, sul metodo della libertà, sui princìpi dell''economia di mercato.

La terza scelta fu quella europea. L''Europa non come contrappeso all''America, ciò di cui non si avvertiva affatto il bisogno. Al contrario, l''Europa come via diretta per consentire all''Italia sconfitta in guerra di rientrare nel minor tempo possibile nel concerto internazionale. L''Europa come terra dei valori della cristianità e come naturale terreno d''incontro fra culture. L''Europa come strumento per rendere più proficua la collaborazione imposta dalla minaccia comunista. Non a caso, l''Italia difese fino in fondo la scelta della CED che avrebbe sancito al livello più alto il governo del mondo tra Vecchio e Nuovo continente.

La quarta scelta determinante fu quella di allontanare dal governo i comunisti e i socialisti, allora uniti nel Fronte, senza che ciò si traducesse in una loro esclusione dalla vita politica. Tale esito fu garantito dalla Costituzione approvata da una maggioranza resistenziale nel ''47, quando la Guerra Fredda era già scoppiata. E fu assicurato dalla scelta di dar forza allo Stato senza sconfinare in una politica di repressione, anche in presenza di fatti e eventi che formalmente l''avrebbero motivata. L''esperienza antifascista non fu contraddetta, ma fu portata ad interagire e integrarsi con l''anticomunismo, in una sintesi che sancì nei fatti il rigetto di ogni totalitarismo. Senza retorica o discorsi ridondanti, ma con rigore, consapevolezza, determinazione, scelte concrete e provvedimenti di governo.

Non ho nominato fin qui il nome di Alcide De Gasperi, ma tutti abbiamo compreso. Fu De Gasperi il primo, principale, essenziale e talvolta unico e solo protagonista di queste quattro scelte fondamentali. Fu lui che costruì un partito laico, di cattolici ma non cattolico, la Democrazia cristiana, in grado di effettuare quelle scelte. Lui che lo guidò opponendosi senza cedimenti alle derive rivoluzionarie e reazionarie. Lui che volle la liberalizzazione dell''economia italiana. Lui che fece approdare l''Italia in Europa. Lui che ancorò l''Italia all''America.

De Gasperi, queste scelte, le immaginò, volle e costruì non solo superando la dura opposizione delle forze anti-sistema, ma anche affrontando le perplessità e dure resistenze di fondo di coloro che egli mise nelle condizioni di appoggiarlo: i poteri economici, la Chiesa, ampi settori del suo stesso partito. Fu la sua un''impresa gigantesca che gli merita assai di più del titolo di padre della Patria. De Gasperi fu l''artefice della nostra libertà, quando la libertà appena conquistata poteva ancora sfuggirci di mano.

Ma alla quinta scelta, De Gasperi fallì. Accadde nel 1953, un anno prima della sua morte. Egli avrebbe voluto lasciare all''Italia qualcosa della sua concezione dell''architettura costituzionale, spiccatamente piramidale: con l''Esecutivo egemone sul Parlamento e questo sui partiti, i quali avrebbero dovuto mantenere unicamente la funzione di organismi di mediazione tra la società civile e le istituzioni. Allora tale concezione apparve a molti come una "truffa" e suonò autoritaria, e ad alcuni sembrò un cedimento al classicismo dell''età liberale -nella quale egli era stato militante del partito fondato da Luigi Sturzo - a cospetto della presunta modernità dello Stato dei partiti, proprio quello che da lì a non molto divenne la partitocrazia. Oggi comprendiamo meglio quanto invece liberale fosse quella concezione e quanto alto sia stato il prezzo che il nostro Paese ha pagato per non averla fatta propria.

Quella sconfitta sancì la fine della sua esperienza ed ebbe l''effetto di trasformare la sua solitudine politica in oblio. È triste ma non sarebbe onesto nasconderlo. De Gasperi è stato rimosso dalla politica ufficiale. La sua storia stenta a far parte del bagaglio comune dell''opinione pubblica italiana. Generazioni di giovani, che pure ripetono una storiografia di comodo succhiata col latte materno, non sanno, o sanno poco, chi fosse. Il suo nome non circola, e ciò proprio mentre ci troviamo, cinquant''anni dopo, a fare i conti con gli stessi nodi sui quali egli concentrò tutta la sua azione politica: un''economia equilibrata di mercato, la stabilità e l''efficienza delle istituzioni, la costruzione dell''Europa, l''atlantismo.

L''Italia, nei confronti di Alcide De Gasperi, ha un lungo silenzio da colmare e un debito da saldare. Per questo non dovremmo consentirci di confinare le celebrazioni del cinquantenario della sua morte solo nell''àmbito delle commemorazioni dovute al più illustre degli italiani. Vi è un obiettivo assai più importante e più urgente: dobbiamo riprendere il filo interrotto del degasperismo. Chi ne sarà capace, sarà anche in grado di condurre in porto quella transizione che, a ben vedere, si prolunga non da quando è iniziata la cosiddetta "seconda Repubblica", ma da quando Alcide De Gasperi ci ha lasciato lasciando incompiuta la prima.



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