Il relativismo, il Cristianesimo e l'Occidente
Lezione alla Pontificia Universita Lateranense per i 150 anni di fondazione della Facolta di diritto civile
12 Maggio 2004
1. Il tema
Vi ringrazio cordialmente per l'onore che mi avete fatto con l'invito per questa ricorrenza del 150? anniversario della fondazione della Facolta di diritto civile di questa prestigiosa Pontificia Universita.
Vi ringrazio anche per il piacere che mi procurate di parlare a colleghi che stimo e - se mi permettete, perche non vorrei esordire con un peccato - anche "invidio" per la felice professione di insegnamento e ricerca che svolgono.
Quando Monsignor Fisichella mi invito e mi lascio libero di svolgere un tema di mio gradimento, presi al volo l'occasione per scegliere un argomento che da tempo mi preme, mi induce a riflettere, spesso a scrivere: lo stato dell'Occidente. Ho allora ripescato le mie riflessioni, ho deciso di abbreviarle, aggiornarle e sottoporle a voi. Perche proprio queste riflessioni e non altre, lo dichiaro in anticipo per presentarvi la cornice entro cui intendo muovermi e consentire a voi una migliore valutazione critica delle mie opinioni.
I "perche" sono tre. Perche ritengo che l'Occidente soffra di un grave stato di crisi culturale. Perche ritengo che questa crisi rischi di toccare, se non la dottrina, la predicazione della Chiesa cattolica. E perche - siccome, ne per laici ne per credenti, c'e Occidente senza cristianesimo - io ritengo che il cristianesimo possa contribuire in maniera decisiva a curare la sofferenza dell'Occidente.
Questa sofferenza di cui parlo ha un nome noto, relativismo, e da qui comincero.
2. Un sintomo: l'autocensura dell'Occidente
All'inizio del suo celebre saggio L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Max Weber si pose la seguente questione: (M. Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, trad. it. Leonardo, Roma 1945, p. 1).
Weber parlava in particolare , ma sono parecchie le creazioni e le istituzioni dell'Occidente alle quali puo essere applicato il medesimo quesito. Qui non mi occupero dell'aspetto storico del quesito. Cio su cui invece desidero richiamare l'attenzione e un problema filosofico, culturale, di tipo nuovo e paradossale.
Si tratta di questo. Mentre tutte le spiegazioni che si sono succedute hanno mantenuto la genuinita del quesito di Weber, oggi - esattamente cento anni dopo la sua opera - e lo stesso quesito ad essere posto in questione. Il pensiero attualmente prevalente in Occidente a proposito delle creature universali dell'Occidente medesimo e che nessuna di esse ha valore universale. Si che raccomandare le nostre istituzioni al mondo sarebbe un gesto di arroganza intellettuale. E si che cercare di esportare queste istituzioni presso culture e tradizioni diverse dalla nostra sarebbe un atto di imperialismo.
Ognuno puo facilmente convincersi di quanto questa convinzione sia diffusa riflettendo su un sintomo: quell'autocensura e autorepressione che si nasconde sotto le vesti di cio che si chiama solitamente "linguaggio politicamente corretto", una sorta di "neo-lingua" che l'Occidente oggi usa per ammiccare, alludere, insinuare, ma non per dire o affermare o sostenere.
Si consideri un fenomeno. Tutto si puo confrontare e valutare dentro la cultura dell'Occidente - persino la Coca Cola col Chianti -, e molto e concesso di confrontare fra particolarita della cultura occidentale e particolarita di altre culture. Ma quando si arriva alle culture medesime o a raggruppamenti di identita superiore - come le civilta di cui parlava Max Weber ieri e Samuel Huntington oggi - e queste culture o civilta si vogliano mettere in gerarchia o anche solo ordinare sulla scala delle preferenze "migliore-peggiore", ecco che scattano l'autocensura, la proibizione e le manette linguistiche. Con la conseguenza che, ove si trovi una cultura che non abbia o decisamente respinga le nostre istituzioni, non ci e consentito di dire che la nostra cultura e migliore di quella o anche solo preferibile a quella.
Questa forma di "rieducazione linguistica" a me suona inaccettabile. La respingo per ragioni intellettuali e la respingo per ragioni morali (cio che, alla fin fine, e la ragione vera per cui si respingono le posizioni intellettuali). Comincio dalle prime, ma prima di dirne i motivi filosofici generali, considero un caso concreto.
3. Due paralisi dell'Occidente
Dodici anni fa, nel 1992, uno studioso francese di questioni islamiche, Olivier Roy, scrisse un libro intitolato L'echec de l'Islam politique (Editions du Seuil, Paris 1992). La sua tesi, detta con le sue parole, era che sharia, senza inventare nuove forme politiche> (p. 9).
La prova di questa tesi Roy la trovava in una lunga serie di assenze o mancate risposte: l'Islam, a suo dire, non ha prodotto nessun modello politico proprio; nessun sistema economico particolare diverso da quelli noti; nessuna istituzione pubblica che funzioni in modo autonomo; nessuno spazio libero fra la famiglia e lo stato; nessun riconoscimento paritario della donna; nessuna comunita sovranazionale diversa da quella religiosa; eccetera. Insomma, uno scacco. Scriveva Roy: anziche aprirsi a sbocchi nuovi, (ivi, p.11).
E vera o falsa questa tesi di Olivier Roy, e di molti altri che in Occidente pensano alla stessa maniera? E, se e vera, si puo allora dire oggi che il modello occidentale e migliore di quello islamico, come ieri si diceva che la democrazia occidentale e migliore del comunismo?
La risposta alla prima domanda dipende soltanto da ricerche e analisi empiriche. La risposta alla seconda domanda non dipende invece unicamente da analisi, perche manifestamente esprime una valutazione ("migliore"). In proposito, una distinzione preliminare e fondamentale.
Si tratta della distinzione tra giudizio e decisione, cioe della distinzione tra affermare una tesi e assumere un atteggiamento. Le due questioni sono relate, ma, da se sole, non sono relate dalla logica deduttiva. In particolare, affermare la tesi che il modello delle istituzioni democratiche e dei diritti dell'Occidente e migliore del modello dell'Islam non implica assumere alcun corso di azione particolare. Si puo dire che l'Occidente e migliore dell'Islam e tollerare l'Islam, rispettare l'Islam, dialogare con l'Islam, disinteressarsi dell'Islam, oppure ostacolare l'Islam, confliggere con l'Islam, e cosi via, secondo la gamma degli atteggiamenti possibili.
Con un errore madornale, che pero rivela il suo stato d'animo, la cultura dominante in Occidente invece pensa il contrario. Pensa che un "deve" discenda da un "e", per cui, se si sostiene che l'Occidente e migliore dell'Islam ?Y oppure, per scendere nel concreto, che la democrazia e migliore della teocrazia, una costituzione liberale migliore della sharia, una decisione parlamentare migliore di una sura, una organizzazione internazionale migliore della humma, una sentenza di un tribunale indipendente migliore di una fatwa, eccetera ?Y, allora ci si deve scontrare con l'Islam. Un errore logico, appunto, che si aggiunge all'altro, quello di ritenere che le nostre istituzioni non abbiano diritto a essere considerate migliori di altre.
La conseguenza di questi due errori e che oggi l'Occidente e paralizzato due volte. E paralizzato perche non ritiene che ci siano buone ragioni per dire che esso e migliore dell'Islam. Ed e paralizzato perche ritiene che, se queste ragioni ci fossero, allora dovrebbe combattere l'Islam.
Personalmente, nego queste posizioni. Nego che non vi siano ragioni valide per giudicare se certe istituzioni siano migliori di altre. E nego che da un tale giudizio nasca necessariamente uno scontro. Non nego pero che se, ad una profferta di confronto si risponde con uno scontro, lo scontro non debba essere accettato. Affermo piuttosto il contrario. Sostengo con convinzione i principi del dialogo, della tolleranza, del rispetto, ma sostengo anche che, se qualcuno rifiuta la reciprocita di questi principi e ci dichiara una ostilita o la jihad, allora dobbiamo prendere atto che e un nostro avversario e difenderci. In sostanza, rifiuto l'autocensura dell'Occidente. Spiego perche.
4. Il relativismo dei contestualisti
L'idea secondo cui non vi sarebbero buone ragioni per giudicare culture o civilta e notoriamente l'idea del relativismo. Essa oggi prende vari nomi: "pensiero post-illuministico", "pensiero post-moderno", "pensiero debole", "pensiero senza fondamenti", "pensiero senza verita", "decostruttivismo", eccetera. Il marketing e vario, ma il target e sempre lo stesso: si tratta di far proseliti all'idea che non esistono prove o argomenti solidi per stabilire che qualcosa e migliore, o vale, piu di qualcos'altro.
Il relativismo parte da un dato incontestabile: la pluralita dei valori, e da una posizione anch'essa difficilmente contestabile: la non compossibilita di tutti i valori, nel senso che esiste sempre una circostanza in cui perseguire un valore (poniamo l'amicizia) e incompatibile con il perseguirne un altro (poniamo la giustizia. Si pensi al caso, da seminario di filosofia morale, in cui un amico abbia commesso un reato sotto i nostri occhi: si deve violare l'amicizia e denunciarlo o mantenere l'amicizia ed essere complici?). Ma da queste premesse il relativismo fa discendere la conseguenza disastrosa che gli insiemi di valori, come le culture e le civilta, non possono essere giudicati l'uno a fronte dell'altro.
Le strade percorse per arrivare a questa conseguenza sono soprattutto due.
La prima strada e quella imboccata dalla filosofia del Wittgenstein delle Ricerche filosofiche con la sua tesi che ogni "universo linguistico," quale e quello delle culture o delle civilta, ha le proprie regole di costruzione, significazione e decisione. L'argomento a favore di questa tesi e che i contenuti non possono essere separati dai criteri con cui li si giudica. Il vero, il bello, il buono in una cultura sono tali secondo i criteri con cui li si definisce in quella cultura. I criteri sono sempre infra-, mai inter-culturali; essi sono contestuali.
Per criticare questa tesi, mi limito ad osservare che per giudicare se una cultura A sia migliore di una cultura B non occorre un meta-criterio comune ad A e B; e sufficiente che i membri di A e di B desiderino impegnarsi in un dialogo e sottoporsi alle critiche reciproche. Durante o alla fine del dialogo, un interlocutore si trovera in difficolta con l'altro e a quel punto la tesi dell'altro sara la posizione migliore. E migliore nell'unico significato che e concesso ai mortali di conoscere: migliore perche resiste alle critiche.
All'obiezione: "cio che tu ci stai proponendo e la vecchia tecnica dell'elenchos, o della confutazione, di Gorgia, Socrate, Platone e Aristotele, e dunque un criterio buono solo dentro una cultura, quella occidentale", si puo replicare in tanti modi. Alla fine, con la "prova del nove". Se i membri della cultura B mostrano liberamente di preferire la cultura A e non viceversa - se, ad esempio, i flussi migratori vanno dai paesi dell'Islam all'Occidente e non viceversa -, allora c'e ragione di credere che A sia migliore di B. E all'ulteriore obiezione: "ma questo e falso, perche la conversione di B ad A puo essere frutto di indottrinamento, di propaganda, di un abbaglio", si puo rispondere: "se tu, che sei un relativista contestualista appartenente alla cultura A, parli di abbaglio, ti contraddici, perche, per riconoscere un abbaglio operante nella cultura B, dovresti avere un criterio di abbaglio comune ad A e B che consentisse di distinguere il reale dall'apparente in entrambe". Ma se c'e un criterio comune a due culture, allora il relativismo cade. Volendo relativizzare tutto, il relativismo ha cosi tanto appetito che e autofagico.
5. Il relativismo dei decostruttivisti
La stessa autofagia mina l'altra strada percorsa dal relativismo, quella della decostruzione, il cui capostipite riconosciuto e Nietzsche.
Il filosofo Jacques Derrida, una delle voci piu ascoltate dell'Occidente, ne e oggi un maestro riconosciuto. Con molta maestria, egli ha applicato la decostruzione ad una serie di concetti portanti dell'Occidente per mostrare che essi non resistono alla prova della loro pretesa universalita. Ad esempio, Derrida ha decostruito l'ospitalita, per mostrare che essa e una forma di imposizione; ha decostruito la democrazia, per concludere che essa e un esercizio di forza; ha decostruito lo Stato, per mostrare che esso in quanto tale e una canaglia (cfr. Stati canaglia, trad. it. Cortina, Milano 2003). Alla fine, Derrida si e cimentato nell'esercizio rischioso di decostruire anche il concetto di terrorismo.
Ma anche qui il risultato e contraddittorio, e lo stesso Derrida ne ha fatto le spese.
Messo di fronte al terrorismo dell'11 settembre, prima comincia a decostruirlo (<<I>le 11 septembre, September eleventh, 11 settembre: alla fine, non si sa esattamente cosa diciamo o cosa chiamiamo>), poi, come tanti oggi fanno, si appella all'ONU, chiedendo che esso (Filosofia del terrore, a cura di G. Barradori, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 94 e p.123). Un'opinione politica forse corretta, ma - mi chiedo - come e possibile appellarsi all'ONU, dunque un'istituzione democratica, dopo che si e decostruito il diritto, la giustizia, la democrazia?
Derrida si rende conto di questa contraddizione e risponde: (ivi, pp.123-124). Dice proprio cosi: la fede. Ne piu ne meno la risposta che un povero e tanto bistrattato e decostruito filosofo illuminista, messo alle strette, avrebbe dato.
Concludo sul punto. Il relativismo, anche se si puo concedere molto alle sue premesse, non e sostenibile. Ha di contro i fatti. Contro il contestualismo, non nego la relazione (un tipico rinforzo reciproco) criteri-contenuti. Nego le celebri tesi di P. Feyerabend: , o di T. Kuhn: . Contro il decostruttivismo, non nego che i fatti non esistano senza interpretazioni. Nego la tesi di Nietzsche: (F. Nietzsche, Frammenti postumi, in Opere, Adelphi, Milano 1964, p. 299); o la tesi di Derrida: (J. Derrida, Della grammatologia, Jaca Book, Milano 1969, p. 182).
Li si tiri e titilli come ci pare, ma i fatti restano un banco di prova ineludibile. Contro il relativismo nella scienza si possono far valere i fatti degli esperimenti: alla fine, neppure il tolemaico piu ostinato poteva negare che Venere ha le fasi. Contro il relativismo delle culture, si possono opporre i fatti delle aspettative: alla fine, neanche Derrida nega che, per far fronte al terrorismo, sia auspicabile una decisione di organismi internazionali. E contro il relativismo delle civilta, si possono opporre i fatti delle preferenze: alla fine, neanche il relativista multiculturalista piu spinto nega che tutti gli uomini, se lasciati liberi, preferiscono vivere in condizioni di sicurezza, tolleranza, rispetto, salute, benessere, pace.
Resta la fede, alla quale infine si appella anche Derrida. E se anche la fede fosse relativa? Questo e l'altro tema del mio discorso a cui ora mi rivolgo.
6. Il relativismo della fede cristiana
Ha scritto di recente il Cardinale Joseph Ratzinger che (Fede, verita, tolleranza, trad. it. Cantagalli, Siena 2003, p.87), e che esso e (ivi, p.75). Poi si e posto una serie di domande: (ivi, p.184).
Nella prima, la razionalita, - credo di poter rispondere - e cambiata la fede nei fondamenti, nelle prove, nelle buone ragioni. Nel secondo, il cristianesimo, - mi azzardo a dire - e cambiata la fede nella Rivelazione.
Da tempo il relativismo e penetrato anche nella teologia cristiana, ne ha conquistato una parte, e da li, lentamente, sotterraneamente, si e diffusa fra i credenti, in particolare nel clero, dove, se non vedo male, ha agito, forse non tanto sulla fede, quanto sulla difesa della fede.
All'inizio, sta il pluralismo. Il teologo Paul Knitter ha posto la questione in questi termini: (P. Knitter, Nessun altro nome?, trad. it. Queriniana, Brescia 1991, p. 44).
Incredibile a dirsi, per Knitter, lo puo. E cosi per lui, come per John Hick e altri teologi, occorre ripensare la cristologia tradizionale. "Ego sum via, veritas et vita"; "extra Verbum nulla salus", "Gesu e l'unigenito Figlio di Dio": "queste e altre affermazioni del Vangelo, secondo questi teologi relativisti, dovrebbero essere rivedute o intese diversamente.
Come? Ecco un esempio tratto dal medesimo Knitter. Quando il cristiano dice "Gesu e l'unico amore", cio va inteso - egli scrive - nel senso (op. cit. pp.155-56). Insomma, dire: "Gesu, ti amo" sarebbe ne piu ne meno come dire: "Cara, ti voglio bene".
Ma perche il povero cristiano dovrebbe convertirsi a questa "neo-lingua" politicamente, o teologicamente, corretta? La ragione - come ha scritto ancora il cardinale Ratzinger - sta nel fatto che (op. cit., p.124). E poiche il fondamentalismo e oggi un nuovo peccato capitale, meglio votarsi al relativismo, tanto piu che - ha scritto ancora il Cardinale Ratzinger - (p.121).
Il Cardinale Ratzinger nega valore a questa tesi e anch'io trovo che sia contraddittoria, falsa, e controproducente per il cristiano. Contraddittoria: se, con il relativismo, si sostiene che non esistono fondamenti, allora neppure il relativismo puo essere il fondamento della democrazia. Falsa: la democrazia si basa sui valori della persona, della dignita, dell'uguaglianza, del rispetto; togliete valore a questi valori e avrete tolto la democrazia. E controproducente: se, relativisticamente, una verita vale l'altra, a che scopo il dialogo? E se, nella fede, non esiste la verita, come ci si puo salvare?
La mia risposta e: se non esiste la verita, allora il credente non si puo salvare. Per il credente, Cristo e Rivelazione, e il Verbo che si e fatto persona. E questo Dio-persona e un fatto (il , come lo ha chiamato monsignor Angelo Scola; cfr. "Cristianesimo e religioni nel futuro dell'Europa", in L'identita dell'Europa e le sue radici, Edizioni del Senato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, p.39). O lo neghi, questo fatto cristiano, e allora affermi il relativismo religioso, oppure lo ammetti e allora ti prepari alle conseguenze.
7. Il cristianesimo, il dialogo e l'Islam
Ma a quali conseguenze porta il fatto cristiano? Qui passo dalla critica teorica al relativismo alla critica morale.
E noto che, in teologia, l'esclusivismo oggi e caduto in disuso, e all'inclusivismo che gli e succeduto si e associato il dialogo su cui un'enfasi particolare pose il Concilio Vaticano II. Ma sul dialogo occorre porsi qualche domanda. Due, in particolare: dialogo per che cosa? dialogo suche cosa?
Cominciamo dalla prima domanda. Una prima risposta e: dialogo per la comprensione reciproca dei credenti nelle varie fedi. Questa risposta, che mostra il desiderio della Chiesa di parlare ai moderni, non solleva particolari problemi, ma non basta. Se non si vuole rinunciare alla missione della Chiesa, occorre aggiungere: dialogo per l'evangelizzazione. Ma che rapporto c'e fra l'una e l'altra finalita, fra la comprensione e l'evangelizzazione?
Francamente, nelle risposte a queste domane avverto il disagio di un'ambiguita. Nella Redemptoris missio (n. 55) si dice che fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa>, ma <<I>non dispensa dall'evangelizzazione>. Ma se "fa parte" e "non dispensa", cioe se fa parte indispensabile, allora il dialogo non e un elemento, ma uno strumento dell'evangelizzazione. Perche allora tanta reticenza ad usare la parola "strumento"?
Inclino a pensare che la risposta risieda in un timore: il timore ?Y alimentato dal relativismo ?Y che anche per la Chiesa il dialogo come strumento di evangelizzazione sia percepito come una forma di imperialismo.
Avverto la stessa ambiguita anche nella risposta alla seconda domanda: dialogo interreligioso su che cosa? Certo, non sulla Rivelazione, perche e la Rivelazione e Verita. Si potrebbe dire: su valori come la comunita, la fratellanza, la tolleranza, oppure la pace, la dignita, la promozione della persona, che sono comuni a molte religioni. Ma questi sono valori secolari; l'evangelizzazione cristiana non predica la secolarita, predica la trascendenza, la sua unica trascendenza. Ma se questa trascendenza e unica, come parlare allora di (Ad gentes, n. 9) anche nelle altre religioni?
Di recente, padre Piero Gheddo ha risposto ad una provocazione di un sociologo americano (R. Scott Appleby, "Il Papa fra tre fuochi", in Global Foreign Policy, marzo-aprile 2004, pp.28-34), il quale ha addirittura proposto una alleanza tra cristianesimo e Islam contro l'Occidente. Ha ricordato padre Gheddo: (ivi, pp. 38 e 40).
E cosi, se si vuole dire cio che si vede. Mentre noi consentiamo che accanto alle chiese delle nostre parrocchie fioriscano moschee, nella stragrande maggioranza dei paesi musulmani non e concesso costruire una chiesa. Peggio, mentre i musulmani non consentono la reciprocita dei nostri principi e valori, noi ci concediamo la decostruzione relativistica di quegli stessi principi e valori e teorizziamo il dialogo, anche quando ?Y come scrive ancora padre Gheddo ?Y .
Forse mi sbaglio o mi preoccupo inutilmente. Ma vedo un rischio: che il timore delle scelte induca i cristiani a pensare che, se il cristianesimo comporta oneri gravosi, allora e meglio affievolire la fede, indulgere al dialogo a qualunque costo o abbassare la voce piuttosto che rischiare un conflitto. Ma il cristiano debole, come il pensatore debole, alla fine diventa un cristiano arrendevole.
Un esempio di questa debolezza mi sembra di poterlo scorgere nel modo in cui e stata affrontata e si e negativamente risolta la questione del richiamo alle radici cristiane nel preambolo della Costituzione dell'Europa unita. Perche e andata cosi?
Non perche non sia vero che l'Europa non abbia radici cristiane. Tutto il contrario. E vero che la maggior parte delle nostre conquiste derivano, positivamente o criticamente, da li, dal messaggio del Dio che si e fatto uomo. E vero che, senza questo messaggio, che ha trasformato gli individui in persone, essi non avrebbero dignita. E vero che i nostri valori, diritti e doveri di uguaglianza, tolleranza, rispetto, solidarieta, compassione, nascono da quel sacrificio di Dio. E vero che il nostro atteggiamento verso gli altri - di qualunque condizione o ceto o aspetto o cultura essi siano - dipende dalla rivoluzione cristiana. E vero che le nostre stesse democrazie ne sono informate, compreso quella preziosa laicita delle istituzioni che distingue cio che e di Dio da cio che e di Cesare, cio che e dello Stato da cio che e dell'individuo. E cosi via.
E allora, perche e andata cosi? Perche lo stesso appello insistente del Papa non e stato accolto? Perche i popoli cristiani dell'Europa non si sono mobilitati per innalzare la loro bandiera, mentre a milioni si sono messi in marcia per la pace e il dialogo anche con coloro che attaccano espressamente i valori fondanti dell'Occidente?
La mia risposta e: perche - nell'era del relativismo trionfante - il vero non esiste piu, la missione del vero e considerata fondamentalismo, e la stessa affermazione del vero fa paura o solleva timori. Forse si sta avverando la profezia negativa della Veritatis splendor (n.101), l'<<I>alleanza fra democrazia e relativismo etico>.
Il relativismo - e questa e la vera ragione morale della mia critica ad esso - affievolisce le nostre difese culturali e ci prepara o rende inclini alla resa. Perche ci fa credere che non c'e niente per cui valga combattere e rischiare. Perche non ci da piu argomenti o ce ne da di sbagliati persino quando altri volesse toglierci il Crocifisso dalle scuole. O perche, mentre vuol farci credere di essere alla base dello stato laico, liberale e democratico, alla fine, messo alle strette, si converte in quel dogmatismo laicista di Stato che vieta alle ragazze di fede islamica di indossare lo hijab a scuola.
8. Lo sbadiglio dell'Occidente
Sono alla conclusione. Mi si potra chiedere: ma perche combattere e rischiare? C'e forse una guerra?
La mia risposta e: dall'Afganistan al Kashmir alla Cecenia alle Filippine all'Arabia Saudita al Sudan alla Bosnia al Kosovo alla Palestina alla Turchia all'Egitto all'Algeria al Marocco, e altrove, in gran parte del mondo islamico e arabo gruppi consistenti di fondamentalisti, radicali, estremisti ?Y Talebani, al Qaeda, Hezbollah, Hamas, Fratelli musulmani, Jihad islamica, Gruppo armato islamico, e molti altri ancora ?Y hanno dichiarato guerra all'Occidente, la jihad. Lo hanno detto, scritto, diffuso a chiare lettere. Perche non prenderne atto?
Si dira: sono atti di terrorismo da parte di gruppi di fanatici. Rispondo: temo di no, il terrorismo e lo strumento di una guerra culturale e armata. Si dira ancora: non si puo a nostra volta combattere con le armi. Rispondo: spero sinceramente che non si debba, ma se, come gia accade, l'Occidente fosse costretto ad usare la forza, perche escluderla? Se la forza giusta e di difesa, lo stesso cristianesimo non ammette forse una forza giusta e per difesa?
Non mi si fraintenda, per disattenzione o magari deliberatamente. Non si speculi sotto o dietro le mie parole. Non sto perorando una dichiarazione di guerra dell'Occidente. Sto perorando un'altra cosa, che a me sembra anche piu importante: sto perorando la consapevolezza che esiste un conflitto di cultura e in armi che alcuni ?Y molti, troppi ?Y hanno dichiarato all'Occidente. Non sto chiedendo il rifiuto del dialogo. Sto chiedendo un'altra cosa, che e piu fondamentale: sto chiedendo la consapevolezza che il dialogo non serve a niente se, in anticipo, uno dei dialoganti dichiara che una tesi vale l'altra.
Questa duplice consapevolezza la vedo poco presente in Occidente, soprattutto in Europa. E non la trovo diffusa nello stesso cristianesimo europeo, che a me oggi appare timido, sconcertato, angosciato.
C'e una ragione profonda di questa scarsa consapevolezza, che capisco e rispetto. L'idea stessa di una guerra di civilta o di religione fa paura. Accanto a questa che capisco, c'e una ragione che invece non capisco: si tratta dell'idea della "colpa dell'Occidente".
Ora, l'Occidente e costato al mondo colonialismo, imperialismo, nazionalismo, antisemitismo, nazismo, fascismo, comunismo. Avendo mangiato i frutti avvelenati dell'albero della conoscenza, non e un paradiso terrestre. E pero non possiamo fermarci agli errori e anche orrori dell'Occidente. Se si deve fare un bilancio corretto, occorre mettere i meriti accanto ai torti, e se si vuole celebrare un processo equo, occorre contrapporre la difesa all'accusa.
(P. Citati, "L'Occidente senza forza e l'esercito del terrore", Repubblica, 31 marzo 2004). E un altro grande scrittore, Mario Vargas Llosa, ha detto della civilta occidentale: (M. Vargas Llosa, "Occidente. L'agonia del paradiso", La Stampa, 18 aprile 2004).
Fare autocritica, ammettere gli errori, correggerli, punire chi ha sbagliato, e linguaggio e dovere laico. Riconoscere le colpe ed espiarle e espressione ed esperienza cristiana. Si puo seguire l'una o l'altra strada, ma non possiamo dimenticarci chi siamo, chi vogliamo essere, chi dobbiamo essere.
. Spero che non sia cosi. Ma se lo e, allora, io credo, dobbiamo cominciare a stropicciarsi gli occhi e a svegliarci.