Sulla scomparsa di Gigi Riva
Discorso pronunciato in Aula, nella seduta di mercoledì 24 gennaio
(Il Presidente e l'Assemblea si levano in piedi). Colleghi, come sapete, ci ha lasciato Gigi Riva, comunemente da tutti noi ricordato come "rombo di tuono", un appellativo che gli diede Gianni Brera, un giornalista non dimenticato. Pur passando gli anni e le generazioni, tale è rimasto l'appellativo per questo grande, non solo calciatore, ma per questo grande uomo.
La caratteristica, infatti, di Gigi Riva, anzi, per dirlo come direbbero i sardi, "Gigirriva" con due erre e tutto attaccato, è stata quella di essere, non soltanto il calciatore più prolifico, in fatto di gol, della nazionale italiana, ma di essere anche un grande uomo, che non aveva bisogno di tante parole. Il suo silenzio, tante volte, parlava da solo.
Il suo esempio rimane come calciatore, come uomo, come dirigente della Nazionale. Nel 1970, prima di essere dirigente, fu uno dei protagonisti, come calciatore, della partita del secolo, come venne definita. La ricordate: la famosa partita Italia-Germania, 4 a 3. E questo dopo che, quattro anni prima, aveva vinto il campionato europeo, proprio con un suo gol, se la memoria non mi inganna.
Trentacinque gol in quarantadue presenze: nonostante i tanti campioni che l'Italia ha avuto, queste reti rimangono un record che Gigi Riva porta in Paradiso. Ma in Paradiso egli porta anche la sua capacità di dire no. Perché è facile dire sì. C'era una canzone, il cui autore si chiamava Leo Valeriano, che parlava del coraggio di dire di no. Erano gli anni in cui era facile dire sì e questa canzone esaltava chi aveva il coraggio, a volte, di rifiutare i falsi miti della società.
Ecco, Gigi Riva ebbe offerte dalla Juventus, dall'Inter, dal Milan, ma aveva trovato casa in Sardegna, a Cagliari, ma in tutta la Sardegna. Pensateci: il Cagliari e Gigi Riva sono la squadra e il giocatore che hanno un'unica tifoseria, senza eccezioni, in tutta una Regione. Non ce n'è un'altra; le Regioni vedono sempre il campanilismo tra due o più squadre, ma questo non avviene per il Cagliari. Certo, il merito è della Regione e dei sardi, ma credo che sia anche merito di Gigi Riva.
Gigi Riva ebbe la capacità di dire no a chi gli prometteva più soldi, più onore e magari più vittorie, perché il Cagliari ha vinto con lui un unico campionato. Se avesse accettato di trasferirsi, ne avrebbe sicuramente vinti molti di più. Fu un grande campione nel campo di calcio, un grande campione come dirigente e un grande campione nella vita. Anche dopo, anche negli ultimi anni che l'hanno visto molto fragile, ha sempre tenuto una dignità, un riserbo e un'immagine a cui tutti noi piacerebbe assomigliare, ma è difficile perché di Gigi Riva non ne nascono spesso, questo lo sappiamo.
Gigi Riva è anche la nostra buona coscienza, la capacità di sapere che gli italiani non sono solo quelli che qualcuno talvolta dipinge, il mandolinaro o il fanfarone, ma sono anche i tanti Gigi Riva, anche se è unico ed è l'esempio di come vi sia un'Italia vera che in lui si può rispecchiare.
Voglio concludere questa mia perorazione a braccio - mi avevano scritto delle parole, ma al solito non le ho lette - ricordandolo a quest'Aula, ricordandolo a tutti, e non solo ai tifosi del calcio, ma a tutti gli italiani. Non c'è un italiano, anche quello che non sa nemmeno di quanti giocatori è composta una squadra e non capisce che cosa sia il sempre più complicato offside, che non conosce Gigi Riva. Voglio ricordarlo a tutti gli italiani e, se me lo consentite, anche a nome di tutti voi, ai suoi familiari, inchinandoci alla sua memoria. Grazie, Gigi Riva. Grazie ai sardi che lo hanno reso migliore di tutti noi. (Applausi).