Presidenza del Presidente Tecchio
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PRESIDENTE. Osservandissimi signori Senatori.
Quando mi giunse l'annunzio che la Maestà di Re Umberto mi aveva chiamato a presiedere il Senato del Regno per la prima Sessione della XVa Legislatura, dovetti subito domandare a me stesso: Con che meriti mai, verso la patria nostra, o verso la Dinastia redentrice, procacciato mi fossi l'insigne onore.
Certo, che ho sempre amato ed amo svisceratamente la patria, e non altrimenti amo e venero la Dinastia. Ma codesti affetti non hanno né qualità né parvenza di merito; perocché sieno natural sentimento, e imperioso dovere.
D'altro canto, Signori miei, chi oserebbe pensare che v'abbia alcuno tra voi, il quale in codesti affetti non mi pareggi, e all'Italia e a' suoi Principi non sia legato da una forza soave e provvidamente invincibile?
No, della mia presente ventura non saprei vedere altra ragione se non quest'una: che, fuoruscito nel giugno del 1848 dalle mie native provincie, ho immantinenti giurato fede al Datore dello Statuto, al primo Duce dell'italica guerra; e la stessa fede ho poi religiosamente servata ai successori del Re Magnanimo; e da quella punto non ho declinato per tristizia di casi, o per lunghezza di tempo; cosicché, oramai non mi pèriti di tornare al cospetto vostro con questi accenti che altri disse al divino Alighieri:
I' mi son que ch'io soglio
Ripigliamo adunque i nostri lavori nei sacri nomi del Re e della Patria! (Vivi applausi)
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