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Onorandi Colleghi,
Dell'insigne onore che dalla Maestà del Re, sulla proposta del suo Consiglio dei Ministri, mi vien conferito coll'essere chiamato a presiedere al Senato, mi è dolce il ripetere la primiera causa da voi, onorandi Colleghi. Voi difatti colla costante vostra indulgenza, colla illuminata vostra cooperazione, con ogni maniera di consigli e di conforti mi rendeste atto a compiere quell'ufficio cui da me solo non avrei certamente potuto soddisfare.
Voi mi reggeste nella difficile prova fino dai primi momenti in che io occupai questo seggio, e quando ancora viveva in noi la speranza che l'illustre Ruggiero Settimo sarebbe venuto ad aggiungere colla veneranda sua presenza lume e decoro alle nostre deliberazioni. Ma fu vana tale speranza e solo è rimasto il fregio del suo nome all'ordine nostro, il ricordo del suo esempio nei nostri animi; e su quella tomba appena chiusa a noi spetta di porre il primo serto dedicato dalla riconoscenza d'Italia.
Non pensate, o Signori, a quello ch'io possa fare, ma sibbene a ciò che io posso da voi aspettare, siatemi larghi della vostra assistenza, come io sono fidente nell'invocarla, e la gratitudine mia s'agguaglierà al beneficio vostro.
Nel riprendere il corso così brevemente interrotto dei nostri lavori, noi ci terremo sulla via medesima che fin qui abbiamo seguita.
Attenderemo ad essi colla convinzione profonda dei nostri doveri, colla sincera aspirazione a quel maggior bene cui dalla Provvidenza divina può essere chiamata l'Italia.
Né le difficoltà che s'accalcano ci arresteranno, né i pericoli che vi si possono aggiungere ci sgomenteranno. Voi che tanto potete per l'intelletto e per la dottrina, voi sapete di quanta mole sia il fondare un Regno, e quel che più monta, l'insegnare ai popoli il provvido uso delle virtù proprie dei cittadini di una grande nazione.
Le vostre risoluzioni saranno, come furono, improntate del triplice suggello d'amore di patria, di devozione al Trono, e di ferma osservanza dei principii tutelari dell'ordine sociale.
Dalla maturità del vostro giudizio, o Signori, dall'autorità dell'esperienza che si raccoglie in questo primo Corpo politico dello Stato, procederanno le due supreme guarentigie del buon andamento della cosa pubblica: dico la longanimità e la moderazione. Il tempo non rispetta ciò che sia fatto senza di lui, ed ogni eccesso ha in sé un germe di distruzione.
Le sorti italiane raccomandate alla lealtà, al valore ed all'affetto di Vittorio Emanuele II, non difetteranno del senno e della disciplina della Nazione, e la Nazione potrà ognora specchiarsi nel Senato del Regno depositario dell'antica sapienza e partecipe della vita novella che tende al doppio scopo di una libertà stabile e di una civiltà progrediente.
Ma il dovere ci chiama a compiere le nostre incombenze, e non posso che rinnovarvi, o Signori, i miei ringraziamenti per il passato, le mie preghiere per l'avvenire (Applausi generali)
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