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Signori senatori, se io non mi sento del tutto sfiduciato nell'assumere oggi l'alta incombenza, che dalla grazie del Re mi viene commessa, egli è singolarmente perché so bene come l'elezione del principe da sé sola raccomandi l'eletto alla vostra benevolenza. Ora questa benevolenza vostra è, io non esito a dirlo, il più fermo, il più sicuro sussidio che possa avere quella dignità di che mi trovo per grandissimo onore insignito, e che ha per principale attributo di assicurare la libertà, la regolarità e la gravità delle vostre discussioni, acciò sia nella usa integrità mantenuta l'autorità delle deliberazioni del Senato, la quale per tanto concorre a procacciare credito e quindi efficacia alle leggi.
Non è certamente che io mi dissimuli, o signori, il giusto desiderio che deve rimanere in voi di quell'ampiezza di dottrina, di quella luminosa vivacità di concetto, di quella facilità e felicità di parola cui vi aveva abituati l'illustre personaggio che mi ha preceduto su questo Seggio. Ma io spero che la memoria, che conservate della benemerenza del predecessore, non farà che venga meno la benevola cortesia che già vi piacque dimostrare le tante volte al successore. Io confido che la vostra fiducia e la vostra assistenza non sarete per niegare a che francamente le invoca, acciò l'opera sua troppo non disdica alla sapienza ed all'elevatezza di quest'Assemblea gelosa sempre di dar l'esempio della divozione al Re e dell'amore di quella patria, che è nostra più cara speranza sia sempre libera, prospera e gloriosa. (Bene! Bene!)