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Il Presidente: Discorsi

In ricordo di Massimo D'Antona

Onorevoli colleghi,
il 20 maggio di dieci anni fa, a pochi passi dalla sua abitazione, cadeva assassinato il professor Massimo D'Antona.
Quei sei colpi di pistola, nello stroncare la vita di uno tra i più stimati giuslavoristi del nostro Paese, interrompevano duramente l'ormai decennale illusione che, dopo l'assassinio del senatore Ruffilli, la stagione del terrorismo fosse finita per sempre.
Anche questa volta, la vittima era prescelta tra le figure più significative di quella cultura riformatrice che - consapevole della necessità di realizzare strumenti di coesione sociale più adeguati al mutamento dei tempi ed al diverso contesto europeo ed internazionale - operava per avviare una riforma del mercato del lavoro pubblico e privato, e per costruire nuovi modelli di relazioni sindacali.

Professore di diritto del lavoro presso le università di Catania e di Napoli, ed infine presso l'Università "La Sapienza" di Roma, Massimo D'Antona fu, prima di tutto, giurista di grande spessore.
Dalla monografia sulla reintegrazione nel posto di lavoro e dalla riflessione sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, fino al saggio inedito sul quarto comma dell'articolo 39 della Costituzione, che fu ritrovato nella sua borsa crivellata dai colpi degli assassini, ogni suo contributo scientifico mostrava, con lucidità di analisi, la direzione da percorrere per superare le criticità e le carenze del nostro modello sociale.

Negli ultimi anni prima della morte, quale concreto perseguimento degli obiettivi di riforma resi evidenti dalla lucidità della sua analisi, all'attività accademica si era affiancata una generosa opera di consulenza - svolta sempre a titolo gratuito - verso il Ministero del lavoro e le Commissioni parlamentari competenti.
Tra gli estensori del Patto per lo sviluppo e l'occupazione, siglato nel 1993 tra il Governo Amato e le parti sociali, durante il Governo Dini fu consigliere giuridico del Ministro dei trasporti Caravale e, successivamente, venne nominato sottosegretario di Stato presso il medesimo Dicastero.
L'impegno per le Istituzioni non era vissuto mai, però, come una pratica a sé, separata dall'elaborazione intellettuale, ma come un completamento necessario della ricerca scientifica, nel quale verificare e realizzare i risultati prodotti dalla riflessione teorica.

In quei mesi del 1999 - gli ultimi della sua esistenza - la collaborazione con le Istituzioni del professor D'Antona era concentrata sulla realizzazione normativa dello storico processo di privatizzazione del pubblico impiego, di cui egli può essere, a pieno titolo, considerato uno dei padri.
Riforma che potè vedere però compiutamente la luce soltanto due anni dopo la sua morte, con l'emanazione del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sull'ordinamento del lavoro nelle amministrazioni pubbliche.
Le idee di Massimo D'Antona, come studioso e come uomo di governo, costituiscono, per noi, un lascito ancora attuale.

Sulla riforma della Pubblica Amministrazione, la sua tenace difesa dell'effettività del processo di privatizzazione del pubblico impiego, nel momento in cui se ne definivano i primi contenuti, e la sua attenzione nei confronti della compatibilità fra i risultati della contrattazione collettiva e gli equilibri di finanza pubblica, costituiscono ancora un prezioso riferimento. Ciò risulta di particolare interesse quando, come sta avvenendo nella corrente Legislatura, si pone mano a numerosi aspetti della riforma del 2001, al fine di completarne e renderne effettivi i risultati: dalla valorizzazione del merito dei dipendenti pubblici, alla rimozione degli ostacoli che ancora ne rendono problematica la mobilità dall'uno o all'altro settore dell'Amministrazione centrale o dall'uno all'altro livello di governo; dall'introduzione di strumenti di verifica della professionalità e dei risultati amministrativi, alla valorizzazione dei gradi più elevati della dirigenza pubblica.

Per quanto riguarda, poi, il tema più generale dell'evoluzione verso un mercato del lavoro ed un modello di coesione sociale più efficace e coerente, rimane di grande attualità l'invito pressante rivolto dal professor D'Antona al sindacato ed a tutti gli attori del mercato del lavoro, a dare la massima attenzione, più che alle masse ed alle categorie, al "lavoratore concreto, in carne ed ossa, al suo progetto di lavoro e di vita".

Soltanto un simile umanesimo del lavoro, del quale Massimo D'Antona è stato tra i protagonisti più illustri, può aprire la strada ad una interpretazione più attuale, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria, del diritto al lavoro garantito dalla Costituzione, soprattutto in un contesto in cui la difficile congiuntura economica rischia di provocare il tentativo, da parte di forze minoritarie, di esasperare irresponsabilmente il disagio sociale.
Come egli aveva intuito, è necessario che la tutela del lavoro si trasformi, da garanzia rigida della conservazione del "posto", in una tutela più efficace e flessibile assicurata alla persona del lavoratore ed alle sue legittime aspettative di impiego.

Soffermarsi sulla grande attenzione mostrata da Massimo d'Antona, nei suoi studi e nella sua attività istituzionale, nei confronti delle singole persone e dei loro destini, non può che provocare ulteriore sdegno e commozione, se si confronta questa dedizione umana con la spietatezza dei suoi assassini.

Olga D'Antona, in un'intervista rilasciata poche settimane dopo la morte del marito, pronunciò frasi che ancora toccano il cuore, contro quella "banda di assassini deliranti" che, nel vano tentativo di destabilizzare la nostra democrazia, non sanno fare altro che "colpire delle famiglie, creare dolore privato". "A loro (sono le sue parole) non interessano le storie personali, essi non danno alcun valore alla felicità di un individuo. A quali masse informi si riferiscono questi assassini? In nome di quale utopia sparano al cuore di un uomo inerme?"

Oggi che quegli assassini sono assicurati alla giustizia, il nostro "sforzo costante per coltivare ed onorare la memoria delle loro vittime" secondo le parole pronunciate dal Capo dello Stato in occasione della giornata della memoria, ci impone non soltanto di ricordare, come stiamo facendo quest'oggi, ma di rendere viva la memoria facendo sì che i valori e le idee di Massimo D'Antona siano ancora presenti in tutti gli sforzi compiuti da maggioranza ed opposizione e dalle forze sociali più attente e responsabili - ciascuno nel proprio ruolo - per costruire un mondo del lavoro più moderno e più giusto.

Rivolgo perciò, certo di interpretare la volontà dell'intera Assemblea alla moglie Olga D'Antona, a sua figlia Valentina, a tutti i lavoratori che hanno perso con lui un vero difensore, un saluto commosso, nel nome della nostra più profonda vicinanza e solidarietà umana.
Invito pertanto l'Assemblea ad un minuto di raccoglimento.



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