Presentazione del libro di Vannino Chiti
Onorevoli Colleghi,
Illustri Relatori,
Signore e Signori.
Sono lieto di intervenire alla presentazione del libro di Vannino Chiti, autorevole Vice Presidente del Senato. Per la sua preziosa collaborazione desidero anche in questa sede rinnovargli la mia personale gratitudine.
"Religioni e Politica" rappresenta una tappa ideale della biografia di Vannino Chiti e del suo impegno civile nelle Istituzioni.
L'autore ritiene doveroso dichiarare fin dall'inizio il carattere "politico" del suo lavoro, ma pagina dopo pagina ci si accorge che rigore e chiarezza non sono affatto sinonimo di semplicità e neppure di faziosità.
Il libro è un testo impegnativo, che ha come propri interlocutori necessari anche quanti si sentono affini ad una diversa ascendenza culturale.
Le stesse domande che Vannino Chiti rivolge alla propria tradizione di pensiero, interrogano chiaramente e indistintamente ciascuno di noi, provocano un dibattito aperto ad una prospettiva più ampia, che riguarda il senso profondo della stessa appartenenza alla comunità civile.
Magari le risposte potranno essere anche diverse, non necessariamente convergenti con alcune valutazioni presenti nel libro, ma non potranno sfuggire comunque alle questioni sollevate con lucidità e intelligenza.
Il rapporto tra le religioni e la politica non è analizzato sulla base delle cosiddette premesse.
Anche i numerosi riferimenti al dialogo tra Ratzinger e Habermas non sono approfonditi a partire dall'assunto per il quale "lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire", ma per le implicazioni concrete e dirette che esso comporta.
Il contributo della religione viene considerato non solo decisivo, ma necessario, per un nuovo umanesimo, radicato sul valore della persona come perno dell'agire individuale e collettivo.
Il superamento della contrapposizione fedele-infedele, parallela a quella politica amico-nemico, rende la religione un veicolo di pace per una nuova etica del rispetto e della responsabilità.
La condivisione di valori fondanti del vivere civile è la sfida di una politica aperta alla dimensione pubblica e non solo privata della fede, quale riconoscimento della libertà della persona, della sua integralità, della sua inviolabilità.
Il terreno dell'incontro possibile tra culture, religioni, Istituzioni è indicato nel valore della laicità.
E' la laicità positiva che rappresenta la risposta e la sfida comune della religione e della politica per un confronto fondato non solo sulla tolleranza, ma anche e soprattutto sul rispetto, ovvero sulla volontà, capacità, attitudine a costruire una casa comune, dove l'incontro con l'altro e con il diverso diventa una relazione permanente, direi quasi esistenziale.
Sul tema della laicità positiva il pensiero di Benedetto XVI non è certamente di retroguardia, ma anzi di stretta attualità: "E' fondamentale, da una parte, insistere sulla distinzione tra l'ambito politico e quello religioso, al fine di tutelare sia la libertà religiosa dei cittadini che la responsabilità dello Stato verso di essi; e dall'altra parte, prendere una più chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo nella società".
Nella stessa prospettiva, si colloca l'affermazione importante, di pochi giorni fa, del Cardinale Angelo Scola, che ha indicato la "nuova laicità" come "la ricerca di un criterio per regolare lo spazio della convivenza possibile". Una ricerca che l'attuale Patriarca di Venezia considera "una necessità imposta dai fatti".
L'incontro con una diversa tradizione religiosa, culturale e politica quale quella musulmana è allora possibile e auspicabile, proprio se alla cosiddetta "modernità liquida" si saprà offrire una "modernità aperta", non vuota, ma ricca di senso e significato.
Questa è la "ragione pubblica" che non si limita alla tecnica e alla scienza, ma si pone in relazione autentica con l'Altro e con gli altri. Quella relazione che rende la stessa persona un'identità arricchita.
E' questa la via che supera il soggettivismo fine a se stesso e non considera l'individuo "microcosmo della modernità, ma piuttosto una persona in carne ed ossa immersa al centro di un tessuto relazionale di diritti e di doveri", come di recente ha avuto modo di affermare Paolo Grossi.
Sembra quasi riecheggiare nelle parole di Vannino Chiti il confronto a distanza tra Gustavo Zagrebelsky e Stefano Ceccanti: la religione non è in opposizione alla democrazia, perchè lo Stato non può mai essere il monopolista del bene comune e non può esaurire l'ampiezza dello spazio pubblico e del libero confronto. Spetta anche al credente "dare ragione" della propria ispirazione ideale. Spetta al non credente superare ogni tentazione di "integrismo laico".
Nel suo libro, Vannino Chiti si richiama alla tradizione di pensiero cattolico di Ernesto Balducci. Una personalità che ha fatto del proprio impegno intellettuale la ragione di una testimonianza non occasionale, ma di una vita intera.
Mi sembra non lontana da quella impostazione una riflessione più recente che nasce in un contesto diverso dal cattolicesimo democratico.
Fulvio Tessitore, indica nella storia "il suo essere una concezione inquieta e inquietante, non confortevole perchè si affida alla responsabilità dei soggetti".
Così facendo i due filoni di pensiero - quello cattolico e quello laico - si incontrano e legano attorno al binomio: dubbio e fede.
E' quasi sorprendente ritrovare in una pagina memorabile, scritta nel lontano 1968 da Ratzinger, la sintesi di questo percorso ideale:
"Tanto il credente quanto l'incredulo, ognuno a suo modo, condividono dubbio e fede. [...] Nessuno può sfuggire completamente al dubbio, ma nemmeno alla fede. [...] E chissà mai che proprio il dubbio [...] non divenga il luogo della comunicazione."
E' compito non delegabile della politica e delle religioni proporre un linguaggio fondato sulla "ragione del rispetto". Un vocabolario in grado di fare della reciprocità la comune garanzia dei diritti umani, limite e frontiera per ogni esperienza civile, politica, religiosa in grado di proporsi senza imposizioni con la forza della mitezza.
Anche la nostra politica, soprattutto per le questioni etiche più sensibili, è chiamata ad una consapevolezza matura e generosa.
Condivido senza incertezze la concezione della libertà fatta propria da Vannino Chiti, che non intende aderire in modo assoluto all'idea del "vietato vietare", ritenendo invece inseparabili tra loro libertà e responsabilità.
Sulle questioni più delicate si impone sempre un approfondimento senza preclusioni e certamente serve sensibilità, prudenza, ragionevolezza. Resta fondamentale, come Vannino Chiti ha di recente sostenuto nel corso di una intervista, riconoscere pienamente la possibilità del dissenso, al di là dei consueti criteri di appartenenza politica.
Il "dissenso deliberativo", che non toglie legittimità alle decisioni assunte a maggioranza, conserva pertanto un significato irrinunciabile, delineando gli spazi di una possibile convivenza tra credenti e non credenti e tra gli stessi credenti, appartenenti a fedi diverse.
Anche le religioni sono chiamate infatti a sviluppare con coraggio il linguaggio della reciprocità, perché nessuno, come direbbe Massimo Franco, possa sentirsi colpito dalla "sindrome del panda", ossia osteggiato o leso nella sua libertà e dignità.
Ritengo che ciascuno possa e debba nell'ambito suo proprio riconoscere e rispettare l'autonomia della religione e della politica. Un'autonomia che non pregiudica affatto una collaborazione, ma anzi, proprio perchè fondata sulla distinzione dei ruoli, arricchisce e migliora la civiltà di una comunità davvero solidale.
Una comunità che non teme di dilatare lo spazio pubblico per la ricerca di un bene comune inclusivo, dimensione e prospettiva di una umanità che si senta meno sola nell'universo, protagonista responsabile di un destino costruito insieme agli altri, dove nessuno viva da "straniero morale" in una terra ostile.
Vi ringrazio.