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Il Presidente: Discorsi

L'Italia al cuore dell'Europa

Ringrazio tutti voi giovani che mi avete accolto con quello spirito di "amicizia" e simpatia che contraddistingue da sempre il vostro impegno e la vostra testimonianza. E' proprio da voi giovani che noi impariamo il valore del restare uniti anche nei momenti difficili. Voi giovani sapete gettare lo sguardo in avanti, andando oltre le incertezze e le difficoltà. Guardandovi negli occhi ci si sente come in debito, perché per voi il dono è davvero gratuito e senza doppi fini. Ringrazio anche i responsabili del meeting ed in particolare Giorgio Vittadini, Emilia Guarnieri e Bernard Sholz.

Stare qui con voi è come percepire in modo concreto e diretto quel significato profondo di "amicizia" che Don Giussani ha definito con parole che qui mi piace ripetere: «Questo vuol dire "amico". Abbiamo lo stesso destino, abbiamo una stessa via, sei parte di me e io parte di te; la tua felicità è la mia, la mia felicità è la tua. Tu sei me». Ebbene, di questa amicizia, di questa fraternità che oggi mi riservate, vi ringrazio di cuore.

L'Italia e l'Europa sono "individualità storiche e morali". Non possiamo leggere il destino dell'Italia in modo separato dal destino dell'Europa. Sono destini intrecciati che rinviano ad un'idea di umanità e di cittadinanza, che fanno parte di una tradizione comune di civiltà: la persona viene prima delle istituzioni, le istituzioni vengono prima degli interessi; i valori non sono scambiabili con le convenienze del momento.

Eppure il rapporto tra Italia e Europa ha conosciuto e conosce, anche nell'attualità del presente, momenti di difficoltà e crisi anche profonde. Crisi nella percezione che i cittadini hanno dei valori "europei"; crisi nei meccanismi istituzionali che dovrebbero garantire la realizzazione di questi valori.

Come ha detto Sua Santità Benedetto XVI, cercare di superare la "crisi" affermando una diversa filosofia, la filosofia della "speranza", non significa seguire la strada di una "illusione" o di una astratta utopia. E' invece richiesta un'analisi obiettiva, forte ed equilibrata per impedire il conflitto tra sogno e realtà, tra politica e diritto.

La crisi attuale del rapporto tra Italia e Europa è anche la conseguenza del non sempre efficiente funzionamento del nostro sistema istituzionale. In Italia si sono succeduti negli ultimi quindici anni tre tentativi di revisione della seconda parte della Costituzione, tutti senza successo.

Più volte ho sostenuto, da un lato la necessità di modernizzare in alcune sue parti la Costituzione, dall'altro l'opportunità di ristabilire quel clima di dialogo e reciproco rispetto che sta alla base di ogni processo costituente. E' dannoso e pericoloso per l'Italia impedire il riavvicinamento e il dialogo tra forze politiche diverse, esasperando un clima di scontro che anche l'opinione pubblica ormai riconosce come del tutto strumentale ad altri fini.

Pianificare e attuare in modo scientifico tentativi, fine a se stessi, di delegittimazione e indebolimento dell'immagine dei propri avversari politici sono un prezzo troppo alto che il Paese non merita di pagare. Riaprire oggi una stagione costituente è una risposta che le Istituzioni debbono al Paese e alle future generazioni.

Per ripartire serve innanzitutto abbandonare una serie di "tentazioni", che talvolta sotto traccia pregiudicano ogni occasione di dialogo e di confronto costruttivo. La prima tentazione è quella di disegnare progetti di riforma "contro qualcuno", ovvero, in modo simmetrico, seguendo la logica facile e allo stesso tempo ingannevole del proprio tornaconto più immediato. Una seconda tentazione è quella di rallentare il percorso riformatore con pregiudiziali invalicabili o con rivendicazioni gelose di proprie competenze. Una terza tentazione è quella di "innamorarsi" di disegni o teorie che non conoscono altra logica che quella della "perfezione" e ripudiano energicamente qualsiasi proposta, con atteggiamenti di netta chiusura ad ogni suggerimento alternativo o migliorativo.

Vorrei adesso limitarmi a tracciare alcuni aspetti che ritengo interessanti. Il bicameralismo perfetto va innanzitutto riformato nella consapevolezza che il Senato non è morente e non è decadente, né sarà destinato a divenire un domani una "camera debole".

Finora l'equilibrio tra i poteri ha comportato la duplicazione di identiche procedure. In questo frangente storico siamo di fronte a due straordinarie opportunità. La prima è la crescente valorizzazione delle istanze provenienti dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle autonomie locali. La seconda è rappresentata dal Trattato di Lisbona che rafforza il Parlamento europeo e contemporaneamente richiede una maggiore partecipazione dei parlamenti nazionali. All'interno dell'arco tracciato da una riforma in senso federale dello Stato e dai meccanismi di controllo rafforzato della sussidiarietà, un "Senato dell'Europa e delle Regioni" rappresenterebbe un salto di qualità senza precedenti.

Anzi, proprio perché punto di saldatura tra solidarietà e sussidiarietà, tra centro e periferia, tra Europa e Regioni, questo nuovo Senato diverrebbe la leva per permettere alle diverse realtà del Paese di sentirsi concretamente ed efficacemente rappresentate all'interno delle Istituzioni.

Certo, vi sono materie che rimarrebbero nella piena disponibilità di entrambi i rami del Parlamento: penso innanzitutto alle modifiche della Costituzione, della legge elettorale, delle competenze regionali. Il futuro Senato, però, non soffrirebbe la perdita di una parte significativa della sua competenza legislativa, qualora gli venissero attribuite nuove responsabilità e funzioni in via esclusiva, tali da disegnarne uno status istituzionale di autonoma e rilevante dignità. Penso, per esempio, ai poteri di nomina dei componenti della Corte, degli organi di garanzia e delle Autorità indipendenti, al potere di esprimersi sulle relazioni presentate dagli Organismi di vigilanza, ai poteri di inchiesta rispetto all'attività del Governo, ai poteri di indirizzo rispetto alle istituzioni europee. Penso, infine, alla stessa possibilità di censurare l'operato del Governo e di obbligare la Camera ad esprimersi nuovamente sulla fiducia all'Esecutivo.

Gli effetti positivi di una riforma così concepita sarebbero notevoli: innanzitutto lo snellimento nella dinamica di rapporto tra Governo e Parlamento. Infatti i tempi di approvazione di un disegno di legge governativo sarebbero inevitabilmente più rapidi con il conseguente venir meno del frequente ricorso alla decretazione d'urgenza e al voto di fiducia.

Il "Senato dell'Europa e delle Regioni" andrebbe anche nella giusta direzione del superamento del divario tra Nord e Sud, tra aree ricche e aree svantaggiate. Servirebbe a rinsaldare quello spirito di autentica unità nazionale che è l'anima nobile del Paese e riconosce allo stesso tempo le specificità, le necessità, le emergenze dei singoli territori. Perché ciò si realizzi è assolutamente indispensabile abbandonare ogni logica del muro contro muro e accettare il dialogo che non deve rappresentare soltanto un obiettivo, ma anche un preciso dovere. Ci si può confrontare e anche scontrare, ma il riuscire a cogliere a volte elementi di positività nelle idee altrui costituisce un valore che conferisce alla politica ricchezza ed alta responsabilità.

Il "Senato dell'Europa e delle Regioni", tra l'altro, è il giusto modello parlamentare che si addice alla riforma in senso federale che il nostro Paese ha avviato in questa legislatura. Il federalismo è l'assetto condiviso da quasi tutte le democrazie e porrà fine ad un'Italia a due velocità. Questa grande opportunità non deve essere dispersa. E non giovano certamente all'effetto unitario del federalismo idee di separatismo e di regionalismo o qualche solitaria ed originale presa di posizione di cui abbiamo sentito parlare in questo periodo estivo.

Oggi, a 150 anni dall'unità nazionale così faticosamente conquistata, che ha significato per tutti noi l'inizio di un processo che ci ha portato nel dopoguerra libertà, democrazia, benessere, non possiamo permetterci di tornare indietro. 4Così come non possiamo indulgere a idee "calate dall'alto" relative ad ipotesi di nascite di nuovi partiti senza un radicamento reale nel territorio. Si andrebbe contro la spinta alla semplificazione politica indicata chiaramente dagli italiani con le elezioni del 2008; sono tentativi antistorici e dannosi alle esigenze unitarie nazionali.

Se l'Italia è oggi al cuore dell'Europa, lo si deve all'impegno e alla tenacia dei nostri cittadini che hanno creduto nel valore fondante della sua unità. Questa rotta non può e non deve essere invertita. Entro questa cornice di sistema, la sussidiarietà non è uno slogan. E' un bene per l'Italia e per l'Europa. Sussidiarietà e solidarietà sono valori che esprimono il grado più alto di civiltà di un Paese.

Senza il riconoscimento delle realtà più vicine e a stretto contatto con i bisogni reali delle persone, si cade nel centralismo e nell'assistenzialismo. Senza la consapevolezza dei bisogni degli altri e la volontà di sentirsi parte di un'unica storia, si cade nella logica delle contrapposizioni e delle rivalità fine a se stesse.

Dentro il doppio binario della sussidiarietà e della solidarietà si può guardare tutti insieme al proprio futuro. Nella sussidiarietà verticale le Istituzioni debbono riconoscere il loro limite naturale contro ogni tentazione di prevaricazione e di egemonia che mortifica le esperienze e le potenzialità delle singole realtà legate al territorio. Stato, Regioni, autonomie locali non devono ispirare le loro scelte a criteri legati all'appartenenza o meno alla stessa maggioranza che sostiene il Governo. Gli unici criteri da seguire devono essere la promozione e lo sviluppo delle comunità che rappresentano. Serve allora riconoscere che gli interessi della Nazione sono strettamente collegati con quelli dei territori. Non c'è grandezza e non c'è prospettiva di crescita al di fuori di un patto di solidarietà e di un vincolo di fiducia tra Stato e realtà locali, che prescinda dal rispettivo colore politico. Servono lealtà, correttezza, collaborazione istituzionale.

Nella sussidiarietà orizzontale lo Stato, le Regioni, le autonomie locali devono ricercare il senso profondo della loro stessa missione originaria. Il volontariato, l'associazionismo, le organizzazioni non profit, rappresentano una risorsa da valorizzare per uno Stato che si proponga come modello di equilibrio tra autorità e libertà per tutti i suoi cittadini. Tutti devono sentirsi parte di un progetto comune, di una appartenenza concreta e ideale ad una storia dove non si resta spettatori, ma si è protagonisti. Nella responsabilità verso l'altro, anche sconosciuto, lontano, avversario, si vince ogni pregiudizio e si fa della libertà la leva e lo slancio che rende ciascuno di noi uomo di speranza per il proprio tempo.

Anche il superamento dell'attuale crisi economica e finanziaria passa attraverso un recupero pieno della dimensione etica dei comportamenti individuali. Il mercato non è l'arena della spregiudicatezza, ma deve tornare ad essere un'occasione di sviluppo e crescita anche per chi è debole e svantaggiato, per chi è ai margini della società e va riportato al centro dei nostri pensieri e delle nostre azioni.

Importante è non cadere nell'abbaglio di ritenere ogni questione superabile solo con una ricchezza di segno materiale. Non è il denaro la misura della nostra umanità, ma la nostra umanità la misura di ogni vero successo. La ricchezza di umanità, come ha affermato Sua Santità Benedetto XVI, è "indispensabile per la costruzione di una buona società e di un vero sviluppo integrale" e si realizza anche nella disponibilità a condividere il nostro tempo con chi ci sta accanto, soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà, dolore, malattia. Nel vincere la solitudine degli altri, anche noi siamo meno soli.

Il completamento del processo formativo dell'Unione Europea non è ancora concluso. Vi sono ancora elementi critici di carattere istituzionale e politico. Il Trattato di Lisbona rafforza la presenza parlamentare, innanzitutto in una materia di grande delicatezza quale lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, per la quale tanto sono sensibili i singoli paesi, quanto appaiono urgenti ed ormai indilazionabili risposte da parte di tutta l'Europa. Fenomeni come l'immigrazione, il diritto di asilo, la sicurezza impongono un impegno maggiore e diretto delle Istituzioni europee. Qualcosa si sta muovendo, ma bisogna fare presto e bene. Gli Stati non possono essere lasciati soli e nemmeno risultare gli unici destinatari di critiche o imputazioni di responsabilità che vanno condivise con altri. Gli Stati vanno aiutati prima dell'emergenza e, quando intervengono per affrontarla, devono potere contare su uno spirito di leale cooperazione internazionale, perchè le emergenze degli ultimi decenni quali, ad esempio, il terrorismo e l'immigrazione, travalicano i confini di ogni singolo Paese.

In particolare, quest'ultimo problema, di estrema attualità, ha richiesto e continua a richiedere scelte rigorose a tutela della legalità e di corrette regole di convivenza. E' doveroso, infatti, che chi viene in un Paese diverso dal proprio, debba assolutamente rispettare le leggi del territorio che lo ospita. E ciò sia al momento del suo ingresso che durante la sua permanenza. Ma esistono principi sacrali, irrinunciabili, esiste un principio etico naturale di fronte al quale a nessuno è consentito ignorare l'uomo e volgere lo sguardo dall'altra parte. Mi riferisco al diritto di soccorso di chi si trova in estremo stato di bisogno e di necessità con rischio della vita, sia perché in situazioni fisiche o ambientali disperate, sia perché proveniente da Paesi dove vengono calpestati i diritti fondamentali della persona. E ben vengano i richiami al rispetto di questi principi da parte della Chiesa, che esercita il proprio diritto-dovere di intervenire su temi etici della nostra società. Sono richiami che aiutano ogni coscienza a ritrovare nell'amore verso il prossimo il giusto percorso della propria esistenza terrena.

Recentemente, tuttavia, troppe polemiche hanno interessato governo, mondo della politica e mondo della Chiesa; polemiche che non determinano un approccio costruttivo al tema. Occorre, infatti, raggiungere un punto di equilibrio tra legalità e solidarietà, tra tutela della sicurezza e rispetto della dignità umana. Ecco perché mi auguro che si abbassino i toni, consapevoli del fatto che nel nostro Paese è profondamente radicato il rispetto della vita umana, di qualunque colore e razza. E le tantissime accoglienze e salvataggi in mare che i nostri mezzi navali hanno effettuato in questi anni, e continuano costantemente ad effettuare, stanno a dimostrarlo. Questa basilare umanità, che significa solidarietà in situazioni sociali e politiche complesse, per essere efficace deve, però, trovare supporto in una equivalente azione di tutta la Comunità Europea.

Accanto a questi fenomeni trasnazionali esistono altri temi squisitamente nazionali quali la lotta alla criminalità organizzata e il problema della giustizia civile e penale. Sulla lotta alla criminalità organizzata l'Italia sta facendo bene la propria parte e non ha nulla da invidiare agli altri Stati europei. La legislazione sempre più restrittiva introdotta dal Senato con l'inasprimento del carcere duro e le più incisive forme di sequestro dei patrimoni mafiosi, da me fortemente auspicate, sono strumenti efficaci dai quali non si può né si deve tornare indietro. Sarebbe un errore gravissimo che non possiamo commettere.

Attenzione a non abbassare mai la guardia. Fenomeni come la mafia sono un cancro da combattere senza quartiere con fermezza e coraggio. Ce lo impone anche il sacrificio delle tante vittime innocenti e dei servitori dello Stato morti per mano mafiosa. E allora dico: tolleranza zero contro la mafia.

Assieme alla legislazione antimafia, la piena sintonia con altri Paesi europei e la sempre più incisiva cooperazione internazionale, sono i risultati positivi che rendono il nostro Paese al centro dell'Europa. Esiste, tuttavia, un'altra emergenza per la quale il nostro Stato è in difetto rispetto ai parametri europei. Parlo della lentezza della giustizia italiana, perché è dalla celerità dei tempi di risposta alla domanda di giustizia di un popolo che si misura l'efficienza di uno Stato.

Oggi l'Italia è il Paese europeo che più degli altri ha subito condanne da parte della Corte di Giustizia Europea proprio per l'eccessiva durata dei processi. Se l'Italia vuole essere al centro dell'Europa, è tempo di allinearsi agli standard europei. La riforma sulla giustizia non è più rinviabile, deve essere un'autentica priorità condivisa, per consentire al nostro Paese di essere alla pari degli altri. Una legge che sveltisca i tempi di attesa, ma che conservi le necessarie garanzie di difesa, è quello che chiedono da più parti i cittadini. E se per il processo civile sono già state approvate recentemente dal Parlamento nuove norme che tendono a ridurne i tempi, occorre che la riforma del processo penale, oggi già all'esame del Senato, si faccia presto in un clima di confronto costruttivo tra le parti. E' tempo che su questo tema, maggioranza ed opposizione assumano una posizione produttiva e lungimirante e abbandonino qualunque posizione preconcetta, ponendo l'esclusivo interesse del cittadino quale unico obiettivo da perseguire.

Nell'attuale contesto il Trattato di Lisbona dovrebbe consentire quel dialogo diretto tra Istituzioni dell'Unione e Parlamenti nazionali in grado di incalzare l'attività degli stessi Governi. Eppure, le ultime elezioni europee del 2009, che si sono tenute mentre il Trattato di Lisbona deve ancora entrare in vigore, attestano una disaffezione preoccupante e ad ampio raggio proprio nei confronti dell'Unione Europea. L'Italia non può restarne indifferente. Anzi, vecchi spettri sembrano nascondersi: sono innanzitutto il razzismo, la xenofobia, un atteggiamento di indifferenza del destino dell'Europa. Sono fenomeni rispetto ai quali va tenuto alto il livello di guardia, sempre e comunque.

L'Italia deve proporsi all'interno delle Istituzioni europee come fattore di rinnovamento, perché esse non appaiano come apparati autoreferenziali, burocrazie e sistemi lontani dalle persone, dai popoli, dagli Stati. Servono un nuovo smalto, una nuova immagine degli organismi europei ed una maggiore efficienza, e questo recupero non può che partire proprio dall'interno delle singole realtà nazionali.

Talvolta le decisioni europee sono apparse inefficaci, in ritardo rispetto alle emergenze, insensibili rispetto ai legittimi interessi dei cittadini. Non va tuttavia confusa la malattia con la cura. Non possiamo dimenticare quanto sia grave e fondato il rischio di far apparire l'Europa la causa del male. Sarebbe un errore fatale. Anche la voce dell'Europa deve essere, però, calibrata su tonalità nuove. Sono i singoli cittadini e le famiglie a rappresentare la vera priorità anche per la politica dell'Unione europea.

La famiglia rappresenta un'istituzione sociale di grande interesse pubblico che i nostri padri costituenti vollero fosse supportata con misure economiche, per la sua formazione ma anche per lo svolgimento dei compiti cui è destinata. La Costituzione le ha attribuito dignità giuridica e centralità che resta immutata anche di fronte alle trasformazioni ed all'evolversi della società civile; anzi la coesione sociale che racchiude la famiglia è divenuta e continua ad essere una insostituibile garanzia. La famiglia è il cardine di una società e dello Stato, punto nevralgico del sostegno ai più deboli, ammalati, disabili; è segnata dal succedersi e dalla cooperazione di giovani, adulti, anziani. La famiglia è l'ammortizzatore sociale per i giovani prima che raggiungano l'indipendenza economica e per gli anziani non più idonei a badare a se stessi.

Nel nostro Paese spesso la famiglia assolve a quei compiti che, soprattutto nel Nord Europa, sono di esclusiva competenza dello Stato. Di fronte al grande valore, al ruolo e al significato di questa fondamentale istituzione, la politica è chiamata a dare risposte concrete. Non va quindi disperso o relativizzato il valore della tradizione familiare. Per le giovani generazioni la famiglia non può apparire un retaggio del passato rispetto a nuovi modelli, ma una prospettiva autentica per il proprio avvenire.

I temi della precarietà lavorativa, della tutela delle madri, della promozione della famiglia quale fattore di coesione sociale ed equilibrio intergenerazionale devono avere un'importanza pari ai temi della concorrenza e del mercato.

Il tema della Costituzione europea apre anche uno squarcio sulla crisi che attraversa la società e la cultura del nostro continente. Si è detto che sarebbe secondario chiedersi di quale popolo e di quale territorio la Costituzione europea avrebbe dovuto rappresentare la Carta fondamentale. Si è anche cercato di ridimensionare fortemente il tema delle radici e delle "eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa", che invece oggi compaiono per la prima volta nel preambolo del Trattato di Lisbona, seppure in una versione minimalista. Ma è pur vero che l'Italia e l'Europa non possono prescindere dalle loro radici cristiane, che caratterizzano da duemila anni il nostro Continente, la nostra civiltà, la nostra storia, la nostra identità. Radici delle quali voi giovani di Comunione e Liberazione siete preziosi custodi e testimoni.

Talvolta di fronte alla questione dei confini dell'Europa si è ritenuto vincente il paradigma dello "spazio aperto", in realtà per evitare di affrontare in modo risolutivo i problemi connessi all'allargamento dell'Unione. Senza peraltro chiarire che se l'Europa è uno "spazio aperto", non può diventare uno "spazio vuoto", dalle sembianze irriconoscibili.

Dalla prospettiva politica e istituzionale il tema dell'identità e delle radici comuni dell'Europa non può essere facilmente accantonato o eluso. Non si tratta infatti di rincorrere facili immagini che oscurano la complessità del fenomeno dell'integrazione europea. Si tratta invece di chiedersi se i cittadini dell'Europa del nuovo millennio e le Istituzioni saranno capaci di unirsi attorno a quella idea di "identità arricchita" che li porterà ad avere nei confronti dell'altro non un semplice sentimento di tolleranza, ma autentico rispetto, senza per questo rinunciare ai propri valori e ideali.

Confondere il tema delle radici spirituali dell'Europa con quello della separazione della sfera pubblica da quella religiosa è di per sé ingannevole. La separazione tra Stato e religione non è messa in alcun modo in discussione. Nella levata di scudi ideologici contro il riconoscimento delle radici giudaico-cristiane, l'Europa appare talvolta malata di strabismo. Da un lato, si fa portatrice di una cultura aperta alla tolleranza, al rispetto di culture diverse dalla propria, alla tutela di tutte le religioni. Dall'altro, però, sembra come debole e fiacca nel chiedere pari rispetto per chi testimonia la fede cristiana in altri luoghi, a costo anche del proprio martirio, come se il cristiano perseguitato fosse meno degno di attenzione degli altri. Un'Europa così incline a girarsi dall'altra parte, a chiudere gli occhi sulla propria identità, rischia di restare immobile, seduta su se stessa, priva di vitalità.

Ci sono stati troppi silenzi. Condividendo il pensiero di Nicolas Sarkozy, a modelli di laicità ostile e laicità indifferente serve proporre un senso di laicità rispettosa per la quale "la religione non è soltanto un fenomeno di culto, ma anche elemento di identità culturale". E a proposito di questo, voglio qui ribadire che il tentativo in atto di negare valore all'insegnamento religioso mi lascia fortemente critico e perplesso. Si invoca la teoria dello Stato etico quando invece si vorrebbe fare proprio dell'etica di Stato lo strumento per mettere in clandestinità persino le coscienze. Ci si propone di non discriminare, discriminando invece i ragazzi, le famiglie, gli insegnanti che riconoscono importanza alla cultura religiosa. Si dimentica che ogni insegnamento, di qualsiasi materia, non è solo informazione, ma formazione della persona, veicolo di valori e ideali di convivenza civile. Si vorrebbe addirittura affidare in esclusiva alla scienza e alla tecnica l'ultima parola su quello che si può e non si può fare. E magari si prospetta una "pregiudiziale scientifica" per impedire anche la sola discussione pubblica sui temi più sensibili, come quello dei rischi connessi alla RU486. Rischi innanzitutto per la stessa salute della donna e per la possibilità di insinuare o nascondere pratiche abortive clandestine per via legale.

D'altra parte, la tutela della vita nascente e la tutela della vita che si spegne, sono gli assi portanti della storia di civiltà di un Paese. Tanto più flebile è il rispetto della vita, tanto più è a rischio il futuro di una comunità civile. Anche sul testamento biologico le soluzioni approvate in Parlamento andranno rispettate, perché frutto di un libero dibattito e di un libero voto espresso senza condizionamenti esterni di carattere etico. Laicità, infatti, comporta assunzione di responsabilità dinanzi alle proprie coscienze, alle proprie sensibilità, alla propria cultura ed anche, per chi crede, alla propria fede.

Quando è all'esame del Senato una qualunque proposta di legge, mi astengo rigorosamente dall'esprimere giudizi di merito sul suo contenuto. Taccio. Il mio ruolo super partes mi impone il silenzio, dopo che da capogruppo del mio partito, per molti anni, quasi quotidianamente, ho rilasciato dichiarazioni sui temi politici del Paese. Ecco perché quando il Senato discuteva il disegno di legge relativo al testamento biologico non mi sono mai espresso sul merito delle proposte. Ho soltanto sostenuto che fossero maturi i tempi perché il Parlamento legiferasse sul confine tra tutela della vita e fine della vita.

Oggi l'argomento è alla Camera. Il Senato si è pronunziato. E' stato affermato un principio che ritiene che idratazione e alimentazione non costituiscano accanimento terapeutico. E' stato ritenuto prevalente l'interesse a tutelare malati non più in grado di esprimere la propria volontà. L'inviolabilità della vita, se sostenuta esclusivamente attraverso l'irrinunziabile elemento della nutrizione, non può essere un bene soggetto a restrizioni o affidato a chi si fa interprete di volontà altrui.

Nel voto sulla legge hanno prevalso non le indicazioni di partito, ma le singole coscienze dei senatori che più volte, anche segretamente, hanno confermato con una maggioranza superiore a quella elettorale, la necessità di introdurre questi confini e questi limiti. Lo hanno fatto liberamente, con coscienza e senza ingerenze di alcun tipo: né religiose, né politiche, né tantomeno istituzionali. Da parte mia non c'è mai né mai ci potranno essere tentativi di correzioni nel merito di singoli disegni di legge. Né si può ritenere che la libertà di coscienza possa valere solo per qualcuno e non per chi si ispira liberamente a valori che possono ricondursi ad una sensibilità anche religiosa. E' un errore ritenere e affermare anche indirettamente che essere cattolici equivalga ad essere clericali. Ed è un errore volere riconoscere a tutti, tranne che ai cattolici, la libertà di coscienza che è un diritto che ciascuno di noi deve potere esercitare senza ostacoli, restrizioni o pregiudizi. Sono certo che anche i singoli deputati opereranno con altrettanta libertà di coscienza. Sarebbe un errore condizionarli attraverso interventi, seppure autorevoli, di qualunque provenienza.

Rivendico il carattere pubblico di dibattiti tanto delicati, dove ciascuno possa offrire liberamente il proprio contributo e chiedere rispetto per le proprie opinioni su temi di grande rilevanza etica e sociale. La libertà di parola su temi come il testamento biologico e sulla recente legalizzazione della nuova pillola abortiva, va garantita nelle Aule Parlamentari. A questa libertà di parola non si può imporre il silenzio. E noi non lo imporremo.

Il recupero di una memoria condivisa è l'unica risposta alle insidie presenti nel nostro tempo, che tendono a sminuire perfino la verità di evidenze storiche inconfutabili. Oggi forme più o meno mascherate di antisemitismo compaiono anche nel continente europeo e devono trovare risposte forti senza possibilità di equivoco. Alludo all'antisionismo, al riduzionismo, al revisionismo, agli atti di inaccettabile intolleranza e ostilità verso lo Stato di Israele. L'Europa mantiene e si deve sentire in un debito permanente e non colmabile: la Shoah resta il monito rivolto alle future generazioni del tradimento del valore della persona, della pace, del rispetto, dell'umanità tutta.

Un'Europa fragile o indifferente nell'affermare i rischi del ritorno di istinti deteriori contro i diritti inviolabili della persona, un'Europa debole nel respingere anche semplicemente un linguaggio che possa suscitare o alimentare forme di antisemitismo è un'Europa già condannata dalla storia e senza avvenire.

La Costituzione europea è un traguardo ancora raggiungibile. C'è bisogno di uno scatto d'orgoglio, di un pensiero ispirato, di testimonianze e modelli autorevoli, di linguaggi condivisi. Il nuovo millennio ci indica la sfida per un salto di qualità del tutto inesplorato. I popoli europei possono incontrarsi per verificare quella che è stata la loro storia e proiettarla verso una ricerca di umanità in grado di riscattare e, se del caso, esaltare quelle esistenze ferite, che meritano la nostra più alta e profonda comprensione.

E' questa ricerca della verità - innanzitutto la verità della propria storia - che permette di dare un senso nuovo alla libertà di ciascuno di noi rendendola portatrice di un messaggio autenticamente umano. Questo il compito lungimirante che dovrebbe assegnarsi la politica, e cioè promuovere una Europa migliore educando alla libertà. Educare all'Europa significa educare alla libertà, accettarne la sfida, assumerne il rischio. Ed educare allora significa volgere lo sguardo attento e lungimirante verso il proprio futuro e quello degli altri.

Abbiamo ancora molto da fare. Su ciascuno di noi che, grazie all'investitura popolare ha ricevuto incarichi di responsabilità, grava il dovere di porre le solide fondamenta per una società giusta e coesa. Una società dove il mondo per il pensiero dei giovani è stimolo alla conoscenza ed all'arricchimento della verità.

Come affermava Don Giussani: "Vi auguro di non essere mai tranquilli". Ebbene, anche queste altre sue parole non possono essere fraintese: la politica è la forma più completa della cultura. Queste sue parole devono essere il giusto impegno per tutti coloro che credono nella costruzione di una società migliore attraverso il confronto, l'analisi, la solidarietà. Di questo ha bisogno la politica. Forti di questi principi, ce la potrete, anzi, ce la potremo fare.

Desidero concludere il mio intervento proprio rivolgendo un saluto speciale a tutti voi giovani di Comunione e Liberazione. Anzi, a voi ragazzi di Don Gius. Don Luigi Giussani ha iniziato con i giovani il proprio percorso; è sempre rimasto tra i giovani, ha sempre vissuto uno spirito giovane. Don Giussani ha avvertito prima degli altri il "rischio educativo" come la nuova frontiera della testimonianza, come il confine ideale tra una comunità che si spegne e una comunità di persone che sanno riscattare le loro storie e vincere la sfida del reale, del senso vero della vita.

Voi siete i custodi e gli esploratori del nostro Paese e della nostra Europa. A voi tutti guardiamo con speranza e fiducia. Da voi impariamo a non farci intrappolare dal "rischio diseducativo", che porta a considerare tutto come relativo. Mentre proprio da voi giovani vengono le domande più esigenti, alle quali dobbiamo sapere rispondere senza scorciatoie e soprattutto mantenendo la parola data.

Per il vostro coraggio, per il vostro entusiasmo, per il vostro impegno, ancora una volta in amicizia dico con sincerità ed affetto: Grazie.



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