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Il Presidente: Articoli

«No all'immunità parlamentare. Ora bisogna sminare il campo»

Intervista pubblicata dal quotidiano "Corriere della Sera"

di Francesco Verderami

«L'appello del presidente della Repubblica non può né deve cadere nel vuoto, ed è compito della politica individuare il percorso per tornare al clima di dialogo che contrassegnò la campagna elettorale e l'avvio della legislatura». Anche il presidente del Senato si adopera per trovare quel «percorso», e sapendo che «l'ostacolo è la giustizia» indica la soluzione, invita a «escludere dal dibattito politico-parlamentare» la questione dell'immunità, si rivolge a Silvio Berlusconi e a Walter Veltroni, si dice «certo» che il premier e il leader del Pd «raccoglieranno l'invito di Giorgio Napolitano e non si faranno sfuggire l'occasione di dare al Paese le riforme». Si muove al limite del proprio ruolo, Renato Schifani, ma lo fa «in sintonia» con il capo dello Stato «che si spende in questa fase di conflittualità estremamente preoccupante, e che fin dell'inizio della legislatura ha dato prova di non essere uno statico garante delle regole, ma un elemento propulsore perché la politica trovi appropriati toni di moderazione».

Aveva allora torto Berlusconi quando indirettamente lo criticò, contestando che le cariche istituzionali erano «occupate dalla sinistra».
«Berlusconi contestava il metodo della scelta, non le persone che rappresentavano le istituzioni. L'azione di Napolitano va condivisa. Ritrovare un clima positivo non sarà facile, dato che l'approvazione del lodo Alfano ha esasperato le posizioni. Ma i margini a mio avviso ci sono».

Veltroni è parso voler chiudere il dialogo con il premier.
«Invece nella sua lettera al Foglio individua gli spazi per il confronto, vedo la sua volontà di rivendicare quel profilo di sinistra riformatrice che sta nel Dna del Pd. Insomma, io ci credo. A maggior ragione dopo l'esito del congresso del Prc, che intende proporsi al Paese come un partito solo di lotta e con una forte accentuazione dell'identità comunista. Questo esito dovrebbe imporre al Pd di tornare alla scelta originaria di partito a vocazione maggioritaria».

Se ritiene che Veltroni sia disponibile al confronto, allora è da Berlusconi che deve venire un gesto di disponibilità.
«Il premier è aperto al confronto. E necessario sminare il terreno del confronto sulle riforme. Inutile girarci attorno: il problema è la giustizia. E vanno tolti dal campo gli elementi che possono esasperare il clima. Mi riferisco al ripristino della vecchia immunità per senatori e deputati. Penso che l'argomento vada accantonato, altrimenti temo si allontanerebbe la possibilità di trovare una convergenza tra schieramenti, forse si comprometterebbe definitivamente il dialogo, certamente lo si inquinerebbe. E comunque il tema non è nell'agenda del presidente del Consiglio».

Sì, ma potrebbe entrare in Parlamento con un emendamento.
«Le prerogative dei parlamentari vanno rispettate. Sollecito però caldamente la maggioranza a ragionare sul peso che una simile mossa avrebbe nel confronto con l'opposizione. Resta comunque da sciogliere il nodo politica-giustizia, e cioè l'alterazione degli equilibri tra poteri: un problema che ci trasciniamo dalla fine della Prima Repubblica».

Un problema sollevato anche da Napolitano.
«E che a mio avviso può trovare soluzione non con il ritorno all'autorizzazione a procedere ma attraverso un'altra strada: con un percorso consensuale maggioranza-opposizione per una riforma costituzionale del Csm. Se ne parlò nella Bicamerale di Massimo D'Alema, se ne parla oggi nell'attuale opposizione. Non si vuole né si deve penalizzare la magistratura, semmai bisogna depoliticizzare il Csm, diventato una sorta di parlamentino politico. Le ipotesi sono tante: l'aumento dei membri laici rispetto ai'togati, la creazione di una sezione disci plinare autonoma, una durata settennale del mandato come proposto dall'ex presidente della Camera Luciano Violante... Perciò non è il caso di cercare scorciatoie per ripristinare l'equilibrio tra poteri. La via retta è riformare il Csm con il consenso dell'opposizione odi parte di essa».

Magari la «via retta» il governo avrebbe potuto prenderla prima, evitando le norme blocca-processi e il lodo Alfano.
«La polemica sul decreto sicurezza ha offuscato purtroppo l'introdu zione di norme pesantissime contro la mafia, con l'inasprimento del 416 bis e dei sequestri patrimoniali. E con il lodo Alfano, la maggioranza e il governo si sono assunti la responsabilità di garantire continuità d'azione all'esecutivo, stabilendo che la discontinuità può essere legata a scelte politiche e non ad ingerenze esterne della magistratura».

Considera un'ingerenza anche quella del vice presidente del Csm, che ha esortato a rafforzare il lodo con una legge costituzionale?
«Stimo Nicola Mancino, che è stato mio presidente del Senato ed è persona moderata. Ma devo confessare che la sua sortita mi è parsa impropria. Dietro quelle parole vi era un'esplicita non condivisione del percorso ordinario della legge. Personalmente non la penso così, e spogliandomi per un istante dalla carica che ricopro faccio un ragionamento giuridico: se la Consulta a suo tempo avesse ritenuto il "lodo Schifani" carente sotto quel profilo, l'avrebbe fatto subito, senza dover entrare nel merito. Non è stato così. E i rilievi della Corte sul merito sono stati recepiti nel nuovo lodo. La pensano allo stesso modo molti giuristi. Ora però si guardi avanti, a come togliere gli ostacoli».

Sulla giustizia ce ne sono altri?
«C'è quello sulle intercettazioni. Il capo dello Stato condanna giustamente il voyeurismo mediatico. Tutti concordano ma finora non si è riusciti a superare lo stallo. Il governo ha presentato un disegno di legge in materia e ritengo si possa arrivare a un'intesa con l'opposizione. Basterebbe dividere la disciplina per la modalità della pubblicazione sulla stampa - con sanzioni severissime che però escludano la reclusione dei giornalisti - dalle norme che regolano l'uso giudiziario delle intercettazioni. Per risolvere l'emergenza mediatica credo si possa trovare un'intesa bipartisan. Le altre norme andrebbero a mio avviso inserite nella riforma giudiziaria. Così eviteremmo il cortocircuito politico. E il Parlamento, in un clima sereno, potrebbe varare il pacchetto affrontando nodi molto delicati».

Compresa l'azione penale e la separazione delle carriere?
«Tutti sappiamo che l'obbligatorietà dell'azione penale ormai è un'affermazione retorica. Penso che dovrebbe essere il Parlamento a indicare le linee prioritarie. Però con una maggioranza qualificata, non con una maggioranza semplice. Quanto alla separazione delle carriere, che grazie alla legge in vigore sta comunque cominciando a realizzarsi, sarebbe un naturale sbocco a seguito della riforma del Csm».

Non pensa che il dialogo resti impossibile se il governo continua a fare uso sistematico della decretazione d'urgenza e della fiducia in Parlamento? Anche questo dice Napolitano.
«Non è un tema nuovo. Anche il precedente governo fece lo stesso. Ma siccome questa legislatura deve essere diversa dalle altre, mi impegnerò perché si dia più spazio all'iniziativa legislativa ordinaria, anche del Parlamento. A costo di lavorare qualche giorno in più».

Un Parlamento intasato, visto che Berlusconi punta a varare insieme il federalismo fiscale e la riforma della giustizia.
«Intanto da meridionale vorrei dire che il federalismo fiscale è una sfida. Il Sud non chiede più assistenzialismo ma infrastrutture, e questo il governo lo ha recepito. Ma il Sud deve avviare anche un processo di efficienza amministrativa per stare al passo con il resto del Paese. Comunque evitiamo i luoghi comuni. Perché la mia Sicilia, se potesse contare per intero sui redditi prodotti al proprio interno, sarebbe una Regione con un bilancio in attivo».

Torniamo alla tabella di marcia del premier sulle riforme.
«Solo in un clima di dialogo è possibile procedere su temi così delicati contemporaneamente, altrimenti il percorso si farebbe più complicato. Certo, la legislatura è lunga, ma non è questo il punto. Io credo sia necessario che si rassereni il clima, e che il Parlamento diventi il luogo del confronto. Il sistema politico non ha scelte, non può fallire, sebbene non mancheranno momenti difficili».

A cosa si riferisce?
«Non vorrei che qualche forza politica, assumendo un ruolo pseudo-antagonista, si opponesse a una riforma condivisa sulla giustizia. Nel rispetto dei diritti garantiti costituzionalmente a ogni partito, ritengo però che forze minoritarie non dovrebbero pregiudicare le finalità che stanno a cuore alla stragrande maggioranza degli italiani».

Dal modo in cui ha solidarizzato con Piero Fassino, si ha l'impressione che per lei anche il caso Telecom venga usato come strumento di disturbo al dialogo.
«Ho voluto manifestare la solidarietà a Fassino, perché lo considero una persona onesta. Il mio gesto voleva poi essere un messaggio per il ritorno al rispetto della politica e degli uomini che fanno politica. Quanto al caso Telecom, spero che questi eventi siano casuali. Ci sono dei momenti in cui il sistema vive fibrillazioni esterne al confronto fisiologico tra partiti, come se qualcuno lavorasse ad avvelenare i pozzi. Ma questo quadro politico in Parlamento, la nascita del Pd e la costruzione del Pdl, siano una garanzia per il processo di riforme. Occasioni così non ne abbiamo mai vissute. Per questo le parole di Napolitano non devono cadere nel vuoto, e sono certo che Berlusconi e Veltroni raccoglieranno l'appello».



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