A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
San Leucio e il suo statuto
La Biblioteca del Senato ha recentemente acquistato l'edizione, in italiano e latino, del cosiddetto Codice o Statuto di San Leucio, pubblicata da Michele Migliaccio e dalla Stamperia reale di Napoli nel 1789, con il titolo Origo coloniae S. Leucii eiusque ad presentem diem progressus cum legibus quae rectam ipsius spectant procurationem Ferdinandi IV Siciliarum regis versio latina operis auctore Vincentio Lupoli/Origine della popolazione di S. Leucio e suoi progressi fino al giorno d'oggi colle leggi corrispondenti al buon governo di essa di Ferdinando IV Re delle Sicilie (collocazione: Rari 246).
Nel 1750, il re Carlo di Borbone aveva deciso di costruire non lontano da Napoli, ma in un luogo più protetto dai pericoli rappresentati dal Vesuvio e da eventuali attacchi provenienti dal mare, una grande reggia simbolo della potenza e della ricchezza dei Borbone. Per tale scopo, acquistò dalla famiglia Caetani di Sermoneta, erede dei principi Acquaviva, il feudo di Caserta, dominato dalla collina di San Leucio, e dal palazzo cinquecentesco degli Acquaviva, detto 'del belvedere' per la splendida vista sulla pianura campana e il golfo di Napoli. Mentre alle pendici del colle fervevano i lavori per la costruzione della Reggia vanvitelliana, quel sito soprelevato, ricoperto di boschi e ricco di cacciagione divenne luogo privilegiato per gli svaghi reali, ma fu soprattutto il suo successore, Ferdinando IV ad apprezzarne in particolar modo la piacevolezza, come lui stesso racconta nelle prime pagine del nostro codice:
Non essendo certamente l'ultimo de' miei desiderj quello di ritrovare un luogo ameno, e separato dal rumore della Corte, in cui avessi potuto impiegare con profitto quelle poche ore di ozio, che mi concedono da volta in volta le cure più serie del mio Stato; le delizie di Caserta, e la magnifica abitazione incominciata dal mio Augusto Padre, e proseguita da Me, non traevano seco coll'allontanamento dalla Città anche il silenzio, e la solitudine, atta alla meditazione ed al riposo dello spirito, ma formavano un'altra Città in mezzo alla Campagna, colle istesse idee del lusso, e della magnificenza della Capitale. Pensai dunque nella Villa medesima di scegliere un luogo più separato, che fosse quasi un romitorio, e trovai il più opportuno essere il sito di S. Leucio.
Il re Ferdinando fece costruire un muro di cinta al cui interno comprese il bosco con la riserva, la vigna e l'antico belvedere, fece restaurare e ampliare alcune costruzioni preesistenti, e altre ne fece fabbricare. Vi fece stabilire alcuni uomini, con le loro famiglie, addetti alla cura del podere. Vi soggiornò spesso, almeno fino al 1778, quando il dolore per la morte del suo primogenito Carlo Tito, avvenuta proprio nell'amato rifugio, lo allontanò da quei luoghi. Non volle però abbandonarli e trasformò il suo buon ritiro in un innovativo progetto industriale e sociale. Ampliando una piccola manifattura di veli di seta installata a San Leucio fin dal 1776, diede vita ad una comunità autonoma di lavoratori, organizzata secondo principi di uguaglianza, solidarietà e assistenza.
Poiché la comunità stabilitasi a San Leucio era cresciuta moltissimo, Ferdinando decise, infatti, di fare della sua dimora una scuola dell'obbligo, pubblica e gratuita per tutti i figli degli abitanti, maschi e femmine. Ritenendo che i giovani, così formati, restando a San Leucio potessero dare un contributo importante alla comunità e allo Stato, decise che vi avessero opportunità di lavoro e abitazione. Incaricò dunque l'architetto Francesco Collecini di trasformare il Palazzo del belvedere perché potesse accogliere una vera e propria fabbrica «di sete grezze e lavorate di diverse specie fin qui poco e malamente conosciute, procurando di ridurla alla miglior perfezione possibile» e di costruire, proprio sotto al belvedere, un'area residenziale con case a schiera, dotate di acqua corrente e servizi igienici. Regolamentò la vita e il lavoro nella comunità stabilendo un codice di leggi in cinque capitoli, la cui redazione è attribuita da alcuni ad Antonio Planelli, e che fu stampato dalla Stamperia reale di Napoli nel 1789.
Prodotto del dispotismo illuminato dell'epoca, il codice normativo metteva la religione alla base della vita nella comunità, e stabiliva i doveri di tutti i membri e le pene per quanti contravvenissero alle regole, alla luce di un principio di uguaglianza, per cui nessuno avrebbe dovuto «distinguersi dagli altri se non per esemplarità di costume ed eccellenza di mestiere».
La giornata lavorativa di undici ore (in un'epoca in cui gli operai potevano essere occupati fino a sedici ore al giorno); il diritto all'abitazione; l'istruzione pubblica; la garanzia di una assistenza medica; l'attenzione alla prevenzione della salute, con l'obbligo della vaccinazione contro quel vaiolo che aveva strappato la giovane vita di Carlo Tito; la presenza di un sistema di previdenza sociale; la parità di salario fra uomini e donne, tutti i privilegi e le prerogative di cui disponevano i membri della comunità richiamarono a San Leucio operai e artigiani anche dall'estero.
Il 'Progetto leuciano', infatti, aveva suscitato grande interesse dentro e fuori i confini del Regno e d'Italia, dove fu conosciuto proprio grazie alle numerose traduzioni che del codice si pubblicarono, in francese, tedesco e greco. La versione latina, in particolare, uscita pochi mesi dopo l'approvazione dello statuto, e opera del giurista Vincenzo Lupoli, professore all'Università di Napoli e prossimo vescovo della diocesi di Telese e Cerreto (dal 1791), contribuì in maniera determinante a far conoscere il codice e la comunità leuciana anche fuori d'Italia.
Se il progetto, affidato a Collecini, di trasformare la colonia di San Leucio in una grande città operaia che avrebbe dovuto chiamarsi Ferdinandopoli, non poté realizzarsi a causa della rivoluzione napoletana del 1799 prima e dell'arrivo dei francesi poi, l'attività industriale di San Leucio continuò ad avere tuttavia lunga vita, sopravvivendo in forma privata, anche dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie. La seteria meccanica, nel tempo, era arrivata a comprendere tutte le fasi della produzione serica, dalla gelsobachicoltura, alla trattura, alla filatura e alla tintura, sfruttando le risorse idriche del grande Acquedotto carolino, a servizio non solo della reggia e dei suoi giardini ma anche del complesso industriale di San Leucio. Vi si produssero tessuti di eccellente qualità per abiti e per arredamento, destinati alla casa borbonica e alla nobiltà campana, ma che ebbero grande richiesta e diffusione in tutta Europa, tanto che i loro prodotti sono esposti ancora oggi in alcuni degli edifici più belli e ricchi del mondo, dal Quirinale a Buckingham Palace, al Vaticano.
San Leucio è oggi una frazione del Comune di Caserta. Il suo complesso monumentale è stato riconosciuto dall'Unesco patrimonio dell'umanità nel 1997, insieme all'Acquedotto carolino e alla Reggia borbonica, il cui parco si estende a nord proprio fin sotto alle pendici della collina di San Leucio. Nel Palazzo del belvedere è ospitato il Museo della seta, il cui percorso museale si articola nella sezione di archeologia industriale in cui sono esposti i macchinari originali dell'antica fabbrica della seta, nell'appartamento storico e nei giardini reali, che nei mesi estivi ospitano eventi culturali, musicali e teatrali che richiamano artisti e spettatori da tutto il mondo.