A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
The forgetful memory of the digital, Roma, LUMSA, 21 aprile 2016
Per iniziativa della Libera Università Maria SS. Assunta, della Scuola Vaticana di Biblioteconomia e dell'AIB Sezione Lazio, la Sala Giubileo della LUMSA ha ospitato, nel pomeriggio dello scorso 21 aprile, un incontro sulle prospettive della conservazione delle informazioni nell'epoca del digitale: una "memoria labile", come ha chiosato il moderatore della tavola rotonda, Gabriele Mazzitelli, traducendo liberamente ma efficacemente il titolo dell'evento, The forgetful memory of the digital (or why we need libraries more, not less).
Ospite d'onore è stato Luciano Floridi, docente ordinario di Filosofia ed Etica dell'Informazione presso l'Università di Oxford e membro dell'Advisory Council di Google sul diritto all'oblio, il comitato istituito a seguito di una decisione(13 maggio 2014) della Corte di Giustizia Europea circa la possibilità, per i cittadini dell'Unione, di chiedere la rimozione di informazioni "inadeguate, irrilevanti o non più pertinenti, o eccessive", che includono il loro nome, dai risultati proposti dal motore di ricerca. Il conseguente dibattito, che si è inserito in quello più ampio su ciò che era stato definito appunto "diritto all'oblio", ha visto il Comitato impegnato in sette consultazioni pubbliche in altrettante capitali europee e nella stesura di una relazione finale (gennaio 2015), da cui è emersa l'esigenza di bilanciamento tra il diritto individuale alla riservatezza dei dati personali e l'interesse pubblico nell'accesso alle informazioni.
In questo contesto, la comunità bibliotecaria non poteva non sentirsi sollecitata a esprimersi su temi che pongono al centro il diritto alla conoscenza e la conservazione dei dati in formato digitale. E del resto lo stesso Floridi, nel suo intervento, ha dato risalto al ruolo delle biblioteche come necessario contrappeso democratico (e pubblico, nel senso più ampio) a canali di informazione sempre più governati da aziende private, quali sono appunto i gestori dei motori di ricerca: poiché, se è vero che l'informazione è almeno in parte indipendente dallo strumento che la veicola, la possibilità di accedervi è invece strettamente correlata ad esso, accrescendo il potere di chi gestisce le informazioni, che di fatto detiene la capacità socio-politica di influenzare (e forse orientare?) il comportamento umano.
Sarebbe sufficiente che il più noto motore di ricerca, che di fatto gestisce altissime percentuali dell'informazione disponibile, ritoccasse il proprio algoritmo, per modificare l'accesso all'informazione (e forse per influire sulla posizione) di centinaia di milioni di persone; sarebbe sufficiente ridurre la facilità di accedere a un dato, per fare in modo che quel dato non venga più considerato da nessuno, come se non esistesse. Secondo la similitudine proposta da Floridi, è come se a determinare la fisionomia di un territorio fosse la sua mappa, anziché viceversa.
Per Floridi la nostra tradizione culturale, orientata alla registrazione e alla conservazione, ci fa dare per scontato che ciò che è memorizzato in rete possa persistere e ci porta a sottovalutare la fragilità della nostra memoria. Questa illusione si scontra con alcuni dati di fatto che dovrebbero stimolare la riflessione: il 90% delle informazioni registrate disponibili attualmente si è generato solo negli ultimi due anni; nel solo 2012 sono stati registrati più dati che nei precedenti 5.000 anni; dal 2007 si è ampliata in modo consistente la forbice tra dati salvati e spazio disponibile per salvarli. Il rischio è quello di tornare ad una sorta di preistoria digitale in cui si ha a disposizione solo la memoria del presente, perché non stiamo consentendo al futuro di aver cura del passato.
Tutto ciò dovrebbe condurre ad agire su più fronti: predisporre "politiche della registrazione" di cui comincia a sentirsi la mancanza; esigere dal potere politico un atteggiamento chiaro nei confronti delle possibili pressioni ricevute da chi gestisce i canali di accesso all'informazione; disinnescare la sempre più diffusa "economia del dono", con cui le aziende fidelizzano i clienti offrendo loro apparenti gratuità (che in realtà si pagano, ad esempio, con il consenso all'accesso ai dati personali, o con l'invadenza della pubblicità), così togliendo loro la possibilità di protestare se ciò che ottengono non è di loro gradimento; ripensare alcune professioni in una società sempre più dipendente dall'informazione, in cui paradossalmente proprio il lavoro dei professionisti dell'informazione (bibliotecari, ma anche giornalisti) è in crisi e dovrebbe essere più valorizzato.
Già in passato le biblioteche hanno avuto il ruolo di ristabilire l'accesso alle possibilità di informazione; a maggior ragione oggi, ha concluso Floridi, si chiede alla biblioteca di evolvere in relazione ai cambiamenti nella morfologia del potere. Se è liberale la società in cui qualsiasi domanda può essere ammessa, indipendentemente dalla pretesa di ricevere una risposta, la biblioteca contemporanea, per essere strumento di democrazia, può trasformarsi da contenitore di risposte a motore di domande.
All'intervento di Luciano Floridi è seguito un dibattito in cui sono state poste sul tappeto altre interessanti questioni connesse agli scenari descritti.
Gino Roncaglia si è soffermato sulla modellizzazione dell'informazione e sulle relazioni che si possono creare tra i dati (di per sé semplici informazioni conservate, indipendentemente da considerazioni di valore) e il loro contesto. Un contesto che chiama a decisioni importanti su diversi aspetti: il nostro atteggiamento nei confronti del processo che conduce alla realizzazione dei documenti (ad esempio le correzioni, le varianti, le fasi preparatorie, tendenzialmente trascurabili con le nuove tecnologie, sono però un fattore percepito come importante nella nostra cultura letteraria); i criteri da adottare nella scelta - ormai necessaria - di cosa conservare (ma i criteri migliori di oggi potranno ben essere contestati domani) e cosa dimenticare (poiché l'oblio può essere altrettanto necessario); la consapevolezza del fatto che, perché i dati di oggi siano comprensibili in futuro, bisognerà tramandare anche la conoscenza delle funzionalità di ricerca e interpretazione di quei dati, come disponibili al momento in cui i dati stessi sono stati prodotti; la necessità non solo di prevedere spazi di conservazione dell'informazione, ma anche di avere cura dell'informazione conservata.
Riccardo Ridi si è più concentrato invece sul ruolo delle biblioteche, che in un momento di innegabile crisi tendono a reagire attraendo pubblico con un'offerta di attività che non sempre rientrano nella loro specificità istituzionale, a scapito però di quest'ultima ("il superfluo al posto dell'indispensabile"); per rispondere a molte delle questioni poste, ha sostenuto, si dovrebbe puntare sempre più sulla information literacy, come attività di stimolo e formazione per supportare gli utenti nella formulazione delle domande che focalizzino i propri bisogni informativi e nell'individuazione degli strumenti migliori per trovare le risposte; ma si potrebbe anche ripensare al rapporto tra funzione bibliotecaria e archivistica, che nel nuovo contesto dell'informazione non vanno più rigidamente separate.
La conclusione di Floridi, sollecitato da numerosi interventi del pubblico a rispondere sulle possibilità concrete di sensibilizzare i decisori su questi temi, è stata piuttosto critica sia nei confronti delle strategie comunicative sull'importanza delle biblioteche per come finora attuate, poiché sembrano aver fatto presa solo su chi è già convinto della loro importanza, sia sulla facilità di coinvolgere in modo efficace politici e amministratori su questioni così complesse, la cui urgenza rischia di esser poco percepibile. Una sfida, tuttavia, che è necessario cogliere, ha concluso Floridi, alla luce di una semplice considerazione: "L'oblio uccide".