A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Per una geografia storico-economica. La Gran Bretagna (Parte prima: dal Medioevo alla Rivoluzione industriale)
Abstract
Terminato il ciclo di articoli dedicato all'Italia, con questo numero ha inizio la trattazione delle vicende d'un'altra grande nazione europea: La Gran Bretagna. Questa fra il basso Medioevo e il principio dell'età contemporanea fu protagonista d'un'ascesa che la trasformò da paese arretrato rispetto all'area mediterranea nella maggiore potenza economica mondiale. Tale ascesa si articolò in tre momenti fondamentali: la fase tardo-medievale, in cui lo sviluppo economico fu alimentato da quello demografico; il periodo 1500-1750, nel quale la partecipazione al commercio oceanico determinò la crescita degli investimenti e dei consumi della popolazione; e infine il periodo compreso fra il 1750 e il tardo Ottocento, in cui fattori quali l'elevato livello di sviluppo già raggiunto, la conquista di nuovi mercati consentita dalla politica imperialistica e l'esistenza di abbondanti risorse minerarie consentirono il verificarsi della Rivoluzione industriale.
1. L'inizio dell'espansione demografica e dell'urbanizzazione
2. Gli effetti della partecipazione al commercio atlantico
3. L'ascesa al rango di grande potenza economica
4. Le cause della Rivoluzione industriale: la crescita della domanda
5. Le cause della Rivoluzione industriale: la disponibilità di materia prima, manodopera e capitali
6. La conquista del primato finanziario
7. Differenze interne al territorio britannico
8. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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1. L'inizio dell'espansione demografica e dell'urbanizzazione
Mentre la storia economica dell'Italia, che abbiamo ripercorso nella precedente serie di articoli di questa rubrica, ha visto l'alternarsi di ascese e declini (la formazione e poi la caduta dell'Impero romano; la fioritura dei Comuni nel Medioevo e il loro declino in età moderna; il boom del secondo dopoguerra e gli odierni segnali di declino), quella della Gran Bretagna appare molto più lineare, includendo un lungo periodo di crescita ininterrotta, che fra il basso Medioevo e la fine del XIX secolo l'ha trasformata da paese posto per importanza ai margini della scena europea a massima potenza economica mondiale. Ad avviare questa trasformazione fu, verosimilmente, il cambiamento climatico che si ebbe a partire dal X secolo. Secondo Malanima (2002), nei secoli X-XIII le temperature medie risultarono più elevate che nel periodo precedente: un fenomeno che nelle regioni più fredde del continente determinò un miglioramento della produttività agricola e dunque consentì un'intensificazione dello sviluppo delle attività manifatturiere e commerciali, influendo positivamente sia sulla densità demografica (e quindi sul livello della domanda), sia sulle possibilità di ampliamento della quota della popolazione non coinvolta nella produzione di beni alimentari (e quindi in grado di dedicarsi alle attività ora citate). Tale processo di crescita, una volta avviatosi, proseguì anche dopo la fine di questo periodo particolarmente favorevole dal punto di vista climatico, in quanto l'espansione demografica aveva indotto i coltivatori a sfruttare in modo più intenso e razionale la terra, in modo da ottenere degli ulteriori incrementi di produttività che compensassero l'accresciuta pressione della popolazione sulle risorse agricole. Di ciò dà conto sempre Malanima (2003), il quale cita quali esempi di pratiche innovative l'uso di lavorare i suoli più in profondità, il maggiore utilizzo di concime e la diminuzione dei riposi (ottenuta tramite il passaggio dalla rotazione biennale delle colture a quella triennale).
Dalle opere di tale studioso si ricava anche che la crescita demografica che interessò l'Europa settentrionale a partire dal basso Medioevo fu stabilmente più intensa di quella che connotò i paesi mediterranei: un fenomeno che determinò la progressiva riduzione del divario sussistente fra le due aree dal punto di vista della densità abitativa, ereditato dall'evo antico. Ciò si spiega con la maggiore fertilità dei suoli della prima di tali regioni, dipendente a sua volta da caratteristiche ambientali favorevoli quali le più abbondanti precipitazioni, la maggiore disponibilità di risorse idriche e la più accentuata presenza di suoli pianeggianti.
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2. Gli effetti della partecipazione al commercio atlantico
In quanto parte dell'area nordeuropea, il territorio britannico fu pienamente coinvolto in questa trasformazione. Esso dunque sin dagli ultimi secoli del Medioevo andò progressivamente perdendo il suo tradizionale aspetto di regione scarsamente popolata e urbanizzata, a beneficio della prosperità sia delle sue attività imprenditoriali, sia di quella parte dell'agricoltura orientata al mercato. Nondimeno, Cameron e Neal (2005)sostengono che ancora intorno al 1500 la Gran Bretagna risultava avere appena intrapreso il passaggio dalla condizione di area arretrata, specializzata soltanto nella produzione di materie prime, a quella di paese dotato d'una forte struttura manifatturiera. Il vero decollo economico di tale nazione sarebbe dunque avvenuto nel periodo delle grandi esplorazioni e scoperte geografiche; e appare pertanto naturale farlo dipendere dalle conseguenze che tali scoperte sortirono in ambito economico. Questo è appunto quanto fanno i due autori citati, secondo i quali la Gran Bretagna, in virtù della propria collocazione geografica, fu tra i paesi maggiormente in grado di cogliere le occasioni di arricchimento offerte dallo sviluppo del commercio atlantico.
Lo sviluppo delle attività commerciali, arricchendo la società britannica, rese possibile anche quello dell'agricoltura e delle manifatture, fornendo le risorse necessarie all'ampliamento sia degli investimenti che dei consumi. Una manifestazione delle trasformazioni in corso è stata individuata nel fenomeno dell'abbandono delle campagne da parte di molti coltivatori, che ebbe inizio proprio nel Cinquecento. Secondo Allen (2011), all'origine di tale fenomeno vi fu l'attrazione esercitata sui lavoratori rurali dai centri urbani, nei quali si stavano moltiplicando le opportunità d'impiego nel settore manifatturiero. Secondo Dobb (1995), invece, tali abbandoni furono forzati, ossia imposti loro dai grandi proprietari (ad esempio, attraverso l'incremento dei canoni d'affitto), i quali desideravano espandere l'area destinata al pascolo delle pecore; ma anche questa valutazione di opposto segno presuppone l'esistenza d'un processo di sviluppo manifatturiero, poiché a rendere conveniente la sostituzione della produzione laniera a quella di beni alimentari dovette essere l'incremento della domanda di materia prima da parte dell'industria tessile. Va poi aggiunto che anche secondo Allen tali abbandoni portarono a una maggiore diffusione dell'allevamento ovino, in quanto la diminuita disponibilità di manodopera nelle campagne, accrescendo il potere contrattuale dei contadini e quindi il costo della manodopera, stimolò l'espansione del pascolo a scapito della superficie coltivata; inoltre anche secondo Dobb gli abbandoni portarono a un incremento dell'occupazione manifatturiera, in quanto i contadini rimasti privi di terra furono costretti a cercare lavoro in ambito non agricolo, venendo così a costituire un serbatoio di manodopera a basso costo sfruttabile da parte dell'imprenditoria urbana.
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3. L'ascesa al rango di grande potenza economica
Progressi ulteriori, in ambito sia agricolo che manifatturiero, vennero poi compiuti nei secoli XVII e XVIII. Stando alle valutazioni di Malanima (2002 e 2003), è in questa fase che la Gran Bretagna divenne un importante produttore tessile. Tale ascesa fu resa possibile da una radicale trasformazione della struttura produttiva dell'industria dei tessuti, fondata sull'affidamento di diverse fasi della loro realizzazione a lavoranti a domicilio risiedenti in zone rurali. Questi, svolgendo anche occupazioni agricole, non dovevano la propria sussistenza unicamente al reddito che ricavavano da quella manifatturiera ed erano quindi disposti ad accettare anche salari molto bassi: il largo ricorso a tale manodopera consentì pertanto di abbassare i costi di produzione, accrescendo la competitività di prezzo dei beni prodotti. Questo guadagno in termini di produttività, a sua volta, consentì di rivolgersi a un mercato potenziale più ampio e in più di vincere la concorrenza dei produttori di altre nazioni. Difatti nel Seicento l'industria laniera britannica riuscì ad accrescere a tal punto la propria presenza sui mercati europei da assumere una posizione dominante a livello continentale, ponendo fine al lungo primato di quella del Nord Italia (in merito al quale rimandiamo agli articoli pubblicati sui nn. 5 e 9 di MinervaWeb N.S.). Malanima (2003) e Luzzatto (1934-55) rilevano inoltre come a partire dal XVII secolo in Gran Bretagna sia andata radicandosi la cosiddetta agricoltura mista, caratterizzata da una stretta integrazione fra le coltivazioni e l'allevamento bovino. A rendere possibile tale integrazione fu la pratica della rotazione continua, ossia la sostituzione della periodica messa a riposo del terreno con una semina di foraggi. Tale pratica non soltanto non aveva conseguenze negative sulla fertilità dei suoli, ma all'opposto la accresceva, in quanto l'espansione dell'allevamento da essa consentita rendeva disponibili maggiori quantità di concime animale. Il passaggio all'agricoltura mista consentì pertanto di ottenere, a fronte di investimenti iniziali più elevati (per la costituzione del patrimonio zootecnico e delle strutture deputate ad accogliere bestiame e foraggio), un notevole incremento del prodotto agricolo, dal punto di vista della quantità e ancor più da quello del suo valore (in virtù della maggiore importanza assunta in seno alle aziende dalle produzioni legate all'allevamento, le quali avevano un elevato valore di mercato). Secondo Luzzatto a realizzare tale trasformazione fu essenzialmente un ceto di grandi e medi proprietari fondiari dotati di consistenti capitali, le cui fila andarono progressivamente ampliandosi grazie all'ingresso nel settore di elementi arricchitisi col commercio: un dato che testimonia la stretta connessione fra lo sviluppo mercantile e quello agricolo.
Agli stimoli forniti alle attività produttive dall'espansione mercantile della Gran Bretagna si aggiunsero nel corso del Settecento quelli derivanti dalla sua espansione imperialistica: e infatti in tale secolo i processi di sviluppo ora descritti andarono acquisendo intensità ancora maggiore. Uno studio sugli aspetti economici dell'imperialismo è stato compiuto da Barratt Brown (1977), il quale rileva come dopo il 1757 (anno della vittoria militare che portò alla costituzione delle prime province britanniche in India) la Compagnia delle Indie orientali avesse preso a incamerare cospicui tributi e come in quel secolo ulteriori notevoli occasioni di profitto per gli operatori britannici fossero state generate dalla tratta degli schiavi dall'Africa occidentale alle colonie americane. Secondo l'autore, l'afflusso nelle regioni britanniche di tali tributi e profitti mercantili si tradusse ad opera dei loro percettori, oltre che in consumi di lusso, in investimenti, i quali furono sì rivolti soprattutto al settore mercantile, ma interessarono comunque anche le manifatture e l'agricoltura.
La Gran Bretagna, dunque, pervenne nel corso del Settecento ad una condizione di già rilevante prosperità economica. I risultati raggiunti sino a quella fase sarebbero stati tuttavia largamente superati, fra gli ultimi decenni del XVIII secolo e i primi del XIX, per effetto d'una radicale trasformazione delle modalità di produzione manifatturiera che proprio in tale nazione avrebbe visto i natali: la trasformazione passata alla storia come Rivoluzione industriale.
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4. Le cause della Rivoluzione industriale: la crescita della domanda
Una sintetica ricostruzione degli eventi che sono stati a posteriori riuniti sotto la definizione di "Rivoluzione industriale" è data da Lilley (1995). Negli ultimi decenni del Settecento il settore cotoniero fu interessato da una serie di invenzioni che accrebbero la produttività degli strumenti utilizzati per la filatura e la tessitura. A partire dal 1790 si cominciò inoltre a tentare la meccanizzazione delle lavorazioni, tramite l'utilizzo di forza motrice generata da macchine a vapore: tale processo fu portato a termine con successo nel volgere di trenta-quarant'anni. Nel secondo Settecento ebbe inizio anche lo sviluppo dell'industria del ferro, che fu agevolato dalla sostituzione del carbone alla legna (la quale stava divenendo sempre meno facilmente reperibile) e da perfezionamenti tecnici che migliorarono la qualità della ghisa. Alla fine del secolo le macchine a vapore cominciarono ad essere utilizzate anche nel settore dei trasporti: nacquero così le prime ferrovie.
Come rileva lo stesso Lilley, le invenzioni che determinarono la Rivoluzione industriale costituirono delle necessarie risposte a delle esigenze ch'erano sorte nei campi della produzione di manufatti e dei trasporti: in altri termini, i progressi ottenuti in tali ambiti avvennero perché in quella fase gli operatori economici furono stimolati da una domanda crescente a espandere la produzione e la commercializzazione dei beni industriali. Secondo tale autore, agli inizi del Settecento la Gran Bretagna era già il paese più ricco del mondo e nel corso di quel secolo il tenore di vita dei suoi abitanti continuò a migliorare. Successivamente al 1740 si ebbe pure una notevole crescita della popolazione, che fornì un ulteriore contributo all'ampliamento del mercato: un fenomeno reso possibile dai progressi dell'agricoltura.
All'ampliamento del mercato contribuì pure la politica imperialistica. Il ruolo ch'essa ebbe, peraltro riconosciuto anche da Lilley, è esaminato in modo approfondito da Barratt Brown, il quale rileva come alle colonie britanniche fu imposto non soltanto di importare esclusivamente dalla madrepatria i beni manifatturieri che dovevano necessariamente procurarsi all'estero, ma anche di non produrre in proprio beni che fossero realizzati anche in Gran Bretagna. Nel corso dell'Ottocento questa fece inoltre pressione su altri paesi, non sottoposti alla sua dominazione, perché aprissero i propri mercati alle merci britanniche. In tali casi non si giungeva all'imposizione di commerciare esclusivamente con la Gran Bretagna e di rinunciare a produrre autonomamente quel che tale paese poteva fornire; ma ciò non costituiva un problema per i suoi imprenditori, giacché a quell'epoca essi avevano acquisito una superiorità tale nei confronti di quelli d'ogni altro stato che per assumere una posizione dominante in un nuovo mercato non avevano più bisogno di operarvi in condizione di monopolio. Il più importante dei paesi interessati da tale politica d'imposizione del libero scambio fu la Cina, la quale dopo il 1842 (anno di conclusione delle guerre dell'oppio) dovette rinunciare a proteggere il proprio artigianato, che fu così spazzato via dalla concorrenza delle industrie britanniche. La Rivoluzione industriale divenne quindi ben presto un processo in grado di autoalimentarsi, in quanto le conseguenze che aveva sulla produttività dell'apparato manifatturiero britannico - e quindi sulla competitività di prezzo dei beni da esso realizzati - consentiva a quest'ultimo la conquista di nuovi mercati, la quale stimolava la ricerca di ulteriori incrementi di produttività.
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5. Le cause della Rivoluzione industriale: la disponibilità di materia prima, manodopera e capitali
Accanto alla crescita della domanda interna ed estera, all'origine della Rivoluzione industriale possono venire individuati anche altri fattori. Uno fu costituito dalla possibilità di procurarsi a buon mercato crescenti quantità di materie prime: come ricorda ad esempio Malanima (2002), la Gran Bretagna è ricca di ferro e carbone. Inoltre Barratt Brown rileva come l'espansione coloniale abbia fatto sorgere un cospicuo flusso di importazioni di cotone dal Nord America e dall'India. Un altro fattore di grande rilievo, ancorché di controversa interpretazione, fu quello della disponibilità di manodopera. Sostiene Lilley che la meccanizzazione delle lavorazioni richiedeva che il lavoro di fabbrica si sostituisse a quello a domicilio. Essa dunque poteva avvenire solo a patto che crescesse l'offerta di manodopera nei centri urbani. Secondo Jones (1995), questa condizione poté realizzarsi grazie ai progressi che furono conseguiti sul fronte della produttività dell'agricoltura, i quali, consentendo a una quota più cospicua della popolazione attiva di dedicarsi a occupazioni diverse da quella agricola, resero possibile l'inurbamento di molti coltivatori. Il medesimo processo è riferito in termini differenti da Dobb, per il quale nella seconda metà del XVIII secolo il processo di espulsione dei contadini dalle campagne conobbe un'intensificazione, con conseguente formazione d'un proletariato costretto non soltanto a cercare occupazione nel settore manifatturiero, ma anche ad accettare salari molto bassi, in quanto privo di potere contrattuale in ragione della sua consistenza. Un punto di vista del tutto diverso è quello di Allen, per il quale a stimolare industrializzazione non furono l'abbondanza e il basso costo della manodopera, ma all'opposto la sua scarsità e il suo notevole costo, determinati dall'elevato grado di sviluppo economico - e in particolare manifatturiero - già raggiunto. Secondo Allen, difatti, la ricerca di innovazioni tecnologiche volte alla meccanizzazione dei processi produttivi fu stimolata dal fatto che per un verso il lavoro era scarso e costoso e per l'altro la fonte di energia in grado di sostituirlo (vale a dire il carbone) era invece abbondante ed economica. La disponibilità dei capitali necessari al compimento di importanti investimenti nel settore manifatturiero, anch'essa figlia dello sviluppo economico in corso da oltre due secoli, completò questo quadro favorevole al rinnovamento delle tecniche di produzione.
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6. La conquista del primato finanziario
Nel corso del Settecento la Gran Bretagna, oltre a progredire ulteriormente dal punto di vista agricolo e a cominciare a dotarsi d'un'industria di tipo moderno, ascese inoltre al rango di maggiore potenza finanziaria mondiale, scalzando da tale posizione i Paesi Bassi (del cui primato abbiamo trattato nel primo dei due articoli dedicati al settore finanziario). In parte, tale ascesa dipese semplicemente dall'espansione economica di cui in tale paese stavano beneficiando le attività produttive; ma a favorirla concorse anche un fattore di natura politica. Secondo Comito (2002), difatti, l'avvento della monarchia costituzionale nel 1688 - per effetto del quale il parlamento divenne il responsabile ultimo della gestione delle finanze pubbliche - rese i cittadini fiduciosi del fatto che lo stato non avrebbe più lasciato passare le scadenze dei prestiti che aveva ricevuto senza onorare tutti gli impegni di restituzione, favorendo così l'accesso al mercato dei titoli pubblici da parte di più ampi strati della popolazione. Lo sviluppo di tale mercato determinò quello della borsa e delle banche d'investimento: la Gran Bretagna si trovò così avvantaggiata rispetto agli altri paesi dal punto di vista della forza e dell'efficienza di tali enti, fondamentali ai fini della conduzione di attività finanziarie. Come spiegano Barron Baskin e Miranti (2000), lo sviluppo industriale stimolò poi il ricorso alla borsa come strumento di finanziamento da parte delle imprese private. Inizialmente queste provvidero autonomamente a collocare i propri titoli sul mercato finanziario, ma nel corso dell'Ottocento le banche presero a praticare attività di mediazione per loro conto. L'industrializzazione offrì dunque nuove occasioni di accrescimento del volume delle attività finanziarie. Gli stessi autori rilevano anche che in quella fase lo sviluppo di tali attività fu agevolato dal governo, che orientò in senso ad esso favorevole la propria produzione normativa. Fu infatti consentita la costituzione di società per azioni a responsabilità limitata, che riducendo i rischi degli investitori favorirono la mobilizzazione dei capitali in iniziative imprenditoriali; e al contempo, per evitare che tale innovazione facesse sorgere eccessivi rischi per i creditori delle aziende (privati della possibilità di rivalersi, in caso di fallimento, sui patrimoni personali dei proprietari delle medesime), si cominciò anche ad emanare norme che imponevano la pubblicità delle informazioni finanziarie. È quasi superfluo aggiungere che lo sviluppo del comparto finanziario fornì ulteriori stimoli a quello dell'industria, facilitando il reperimento di nuovi capitali da parte degli imprenditori.
Concludendo, nella Gran Bretagna dei secoli dal XVI al XIX i progressi che si determinarono in agricoltura, nell'industria, nel commercio e nella finanza interagirono fra di loro, alimentandosi vicendevolmente sino a produrre le trasformazioni epocali che sono state descritte.
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7. Differenze interne al territorio britannico
Per esigenze di sintesi e di semplicità espositiva, questa ricostruzione delle vicende britanniche è stata compiuta come se la Gran Bretagna avesse sempre costituito un'entità omogenea dal punto di vista economico. In realtà, fra la sua parte più settentrionale (la Scozia) e quella centro-meridionale (l'Inghilterra e il Galles) sono sussistite per lungo tempo delle differenze abbastanza accentuate, cui occorre quantomeno accennare.
Una narrazione in parallelo dell'evoluzione storica di queste due nazioni è effettuata da Davies (2004). Secondo tale studioso, la Scozia fu a lungo caratterizzata da un'economia meno dinamica di quella inglese; ciò nondimeno, anch'essa risultò interessata dallo sviluppo dei secoli XVI-XVIII, prendendo parte con i propri operatori, seppure in minor misura rispetto all'Inghilterra, al grandioso processo di espansione degli scambi commerciali di tale fase. Come in Inghilterra, anche in Scozia questo processo di sviluppo creò condizioni favorevoli alla Rivoluzione industriale, ampliando la capacità di consumo e d'investimento della popolazione; quando l'industrializzazione ebbe inizio, inoltre, tale regione si trovò avvantaggiata per effetto dell'abbondante presenza di riserve di carbone, la quale costituì un forte fattore di attrazione per le imprese. In ragione di ciò, nella nuova fase di crescita che si aprì alla fine del Settecento la Scozia poté assumere un ruolo non più subordinato, bensì di importanza analoga - beninteso, se considerato in rapporto al suo territorio - a quello dell'Inghilterra.
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8. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Per una geografia storico-economica. La Gran Bretagna (parte prima). Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca. Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.