A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Documenti relativi alla Questione Romana: una proposta di legge del 1861
Riprendiamo il percorso tra i documenti parlamentari legati alla Questione romana, inaugurato nello scorso numero di MinervaWeb con i discorsi di Cavour del marzo 1861. Questa seconda tappa dello "Speciale" del 2020, dedicato alla ricorrenza del 150° anniversario della breccia di Porta Pia, si focalizza su Bettino Ricasoli, capo del Governo dopo la morte di Cavour e presentatore, verso la fine del 1861, di una proposta di legge per regolare i rapporti tra la Chiesa e il nuovo Stato unitario italiano. L'Indirizzo al Santo Padre che accompagna la proposta testimonia un passaggio particolarmente delicato della difficile storia diplomatica di quegli anni, che gli Atti parlamentari e l'Archivio storico della Camera dei deputati ci trasmettono anche grazie ai progetti di digitalizzazione in corso.
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I discorsi parlamentari pronunciati da Cavour nel marzo del 1861, noti per aver proclamato il principio di una «libera Chiesa in libero Stato» (si veda il testo in "MinervaWeb", n. 55 n.s., febbraio 2020), sono anche tra gli ultimi della sua carriera politica. Il 6 giugno dello stesso anno, il primo capo di Gabinetto del neonato Regno d'Italia, nemmeno tre mesi dopo la proclamazione dello Stato unitario che aveva contribuito a creare, si spegne per un imprevisto malore; il Governo passa alla guida di Bettino Ricasoli, che assume anche il Ministero dell'interno e, per alcuni periodi, i ministeri degli affari esteri e della guerra.
Ricasoli raccoglie la delicata eredità dei negoziati da intraprendere con la Santa Sede per giungere a una positiva conclusione della 'questione romana' e redige nel settembre 1861 una proposta di legge (la n. 125 negli Atti della Camera dei deputati, VIII legislatura del Regno) per regolare i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia con garanzie di reciproche libertà; di ciò dà comunicazione alla Camera il 20 novembre 1861 «raccogliendo la grave eredità dell'illustre statista» suo predecessore «come dovere sacro».
La proposta viene corredata da un Indirizzo al Santo Padre per prospettarla quale occasione offerta alla Chiesa «di conseguire uno splendore nuovo ed una dignità nuova, emancipandola dai vincoli mondani»; ma essendo al momento preclusa ogni trattativa con la Santa Sede, per l'interruzione delle relazioni diplomatiche, il Gabinetto affida il documento ai «buoni uffici» del Governo francese, per il tramite dell'ambasciatore italiano a Parigi: il cav. Costantino Nigra. A quest'ultimo Ricasoli esprime, nella lettera d'accompagnamento del testo, le proprie preoccupazioni. Da un lato, avverte l'impegno al compimento dell'unità nazionale, preso agli occhi del mondo e dell'Italia, e le pressioni interne: «Non vi è quasi difficoltà interna di cui l'opinione pubblica fra gl'Italiani non riferisca l'origine alla mancanza della capitale, Roma. Nessuno è persuaso che possa stabilirsi un assetto soddisfacente dell'amministrazione dello Stato finché il centro dell'amministrazione non sia traslocato a Roma, punto egualmente distante dagli estremi della Penisola». D'altra parte, ravvisa la necessità di «procedere con ogni rispetto verso il Pontefice» e verso «l'Imperatore dei Francesi, nostro glorioso alleato, il quale colla presenza delle sue truppe intende guarentire [sic!] che la sicurezza personale del Papa e gl'interessi Cattolici non soffrano nocumento. […] Nessuna voce può essere più autorevole a Roma né con più condiscendenza ascoltata di quella della Francia», dalla quale Ricasoli spera «benevola mediazione».
Il tentativo non avrà, però, l'esito sperato. La proposta di legge, priva di risposta da parte dei suoi destinatari ultimi (circostanza efficacemente rilevata dagli interventi dei deputati Giuseppe Ferrari e Benedetto Musolino, che interpellano sul punto il Governo nella seduta del 2 dicembre 1861), sarà oggetto di vari interventi nel mese di dicembre nell'Aula della Camera, frattanto impegnata su altre questioni (prima tra tutte, il brigantaggio nelle province meridionali); ma non diventerà legge.
Del resto, la considerazione di un possibile insuccesso era implicita nel fatto stesso che fosse il capo del Governo a rivolgersi a papa Pio IX, anziché il Re d'Italia (sia pure «per ordine espresso» di quest'ultimo), per evitare che una risposta negativa o mancata dal Vaticano potesse «recare offesa alla dignità Regia»: così, sempre nel dispaccio a Nigra, Ricasoli offre anche una significativa interpretazione del proprio ruolo di rappresentanza della nazione italiana e di «interprete consueto delle deliberazioni del potere esecutivo».
Rimane oggi, quale preziosa testimonianza documentale di questo tentativo diplomatico, il fascicolo custodito dall'Archivio storico della Camera, Documenti sulla Questione romana, che oltre all'articolato contiene la minuta manoscritta dell'Indirizzo al Santo Padre e di due lettere di accompagnamento: all'ambasciatore Nigra e al card. Giacomo Antonelli, Segretario di Stato Pontificio, cui l'iniziativa viene presentata quale «accordo che lasciando intatti i diritti della nazione provvederebbe efficacemente alla dignità ed alla grandezza della Chiesa».
Trascriviamo qui il testo della proposta di legge, con l'Indirizzo che la precede (riportato nelle sue parti più salienti); il documento, con le lettere di accompagnamento, è stato inserito nell'edizione degli Atti del Parlamento italiano, Sessione del 1861 (VIII legislatura), raccolti e corredati di note e di documenti inediti da Galletti Giuseppe e Trompeo Paolo, nella serie Documenti, vol. 2 (Torino: Tipografia Eredi Botta, 1862, pp. 363-367), mentre la scansione dagli originali manoscritti è pubblicata sul sito internet dell'Archivio storico della Camera dei deputati.
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Indirizzo al Santo Padre
Beatissimo Padre,
compiono ormai dodici anni dacché l'Italia, commossa dalle parole di mansuetudine e di perdono uscite dalla vostra bocca, sperò chiusa la serie delle sue secolari sciagure, e aperta l'Era della sua rigenerazione. Ma poiché i potenti della terra l'avevano divisa fra Signori diversi e vi si erano serbato patrocinio ed imperio, quindi l'opera della rigenerazione non si poté svolgere pacificamente dentro i nostri confini, e fu necessità ricorrere alle armi per emanciparsi dalla signoria straniera accampata fra noi, perché le riforme civili non fossero impedite, o sino dai loro esordi soffocate e distrutte.
Allora Voi, Beatissimo Padre, memore di essere in terra il Rappresentante di un Dio di pace e di misericordia, e Padre di tutti i Fedeli, disdiceste la vostra cooperazione agli Italiani nella guerra, che era sacra per essi, della loro indipendenza; ma poiché Voi eravate pure Principe in Italia, così questo atto arrecò loro una grande amarezza. Se ne irritarono gli animi, e fu spezzato quel vincolo di concordia che rendeva lieto ed efficace il procedere del nostro risorgimento. I disastri nazionali che quasi immediatamente susseguirono, infiammarono vieppiù l'ardore delle passioni, e attraverso un funesto alternarsi di avvenimenti deplorabili, che tutti vorremmo dimenticati, s'impegnò fin d'allora fra le Nazioni Italiane e la Sede Apostolica un conflitto fatale, che dura pur troppo ancora, e che certo riesce ad ambedue del pari pregiudizievole.
Una battaglia si finisce sempre o colla disfatta e la morte di uno dei due combattenti, o colla loro riconciliazione. I diritti della nazionalità sono imperituri, come imperitura per promessa Divina è la Sede di San Pietro. Poiché pertanto niuno degli avversari può mancare sul campo, è necessario riconciliarli per non gettare il mondo in una perpetua ed orribile perturbazione. Come cattolico ed italiano riputai [sic!] doveroso, Beatissimo Padre, di meditare lungamente e profondamente l'arduo problema che il nostro tempo ci propone di risolvere; come ministro del Regno italiano reputo doveroso sottomettere alla Santità Vostra le considerazioni per le quali la conciliazione fra la Santa Sede e la nazione italiana deve essere non pure possibile ma utilissima, mentre apparisce [sic!] più che mai necessaria. Così operando non solo io seguo l'impulso del mio intimo sentimento e degli obblighi del mio Ufficio, e i convincimenti dei miei colleghi, ma ubbidisco alla espressa volontà di S[ua] M[aestà] il Re, che fedele alle gloriose e pie tradizioni della Sua Casa, ama con pari ardore la grandezza della Chiesa Cattolica.
Questa conciliazione pertanto sarebbe impossibile, né gli Italiani eminentemente cattolici oserebbero desiderarla, se per ciò fosse d'uopo che la Chiesa rinunziasse ad alcuno di quei principii o di quei diritti che appartengono al deposito della Fede, ed alla istituzione immortale dell'Uomo-Dio. Noi chiediamo che la Chiesa, la quale come interprete e custode del Vangelo portò nell'umana società un principio di legislazione sopra naturale [sic!] e per quello si fece iniziatrice del progresso sociale, segua la sua Divina missione, e mostri sempreppiù [sic!] la necessità di se stessa nella inesauribile fecondità dei suoi rapporti con ciò che Ella ha una volta iniziato ed informato. Se ad ogni passo della società procedente Ella non fosse atta a creare nuove forme sulle quali far consistere i termini successivi dell'azione sociale, la Chiesa non sarebbe un'istituzione universale e sempiterna, ma un fatto temporale e caduco. Dio è immutabile nella sua essenza, epperò è infinitamente fecondo in creare nuove sostanze ed in produrre nuove forme. Di questa sua inesauribile fecondità diede fin qui la Chiesa splendidissime testimonianze, trasformandosi sapientemente nelle sue attinenze col mondo civile ad ogni nuova evoluzione sociale. Quelli che oggi pretendono ch'Ella rimanga immobile, oserebbero essi affermare che non ha mai cambiato nella sua parte esterna, relativa, e formale? […]
Se dunque la Chiesa imitando Dio, suo archetipo, il quale benché onnipotente ed infallibile, pure modera con sapienza infinita l'esercizio della Sua Potenza in guisa che non ne soffra scapito la libertà umana, seppe finora contemperarsi, conservando intemerata la purità del Dogma, alle necessità derivate dalle varie trasformazioni sociali, coloro che la vorrebbero inverosimile ed inviolata dalla società Civile, inimicandola allo spirito dei tempi nuovi, sono essi che Le recano ingiuria; non sono essi che la danneggiano anzi che noi, i quali solo le domandiamo che Ella conservi l'alto suo magistero spirituale, e sia la moderatrice nell'ordine morale di questa libertà per cui i popoli ormai giunti alla maturità della ragione hanno diritto di non ubbidire né a leggi né a governi se non consentiti da loro nei modi legittimi?
Come la Chiesa non può per suo istituto avversare le oneste civili libertà, così non può non essere amica dello svolgimento delle Nazionalità. Fu provvidenziale consiglio che la gente umana venisse così a ripartirsi in gruppi distinti secondo la stirpe e la lingua con certa sede dove posassero e dove, quasi ad un modo contemperati in una certa concordanza di affetti e di istituzioni, né disturbassero le sedi altrui, né patissero di essere disturbati nelle loro proprie. […]
Il concetto Cristiano del potere Sociale siccome non comporta la oppressione d'individuo a individuo, così non la comporta da Nazione a Nazione. Né la conquista può mai legittimare la signoria di una Nazione sovra un'altra perché la forza bruta non è capace a creare il diritto. Non voglio in appoggio di questo vero, Autorità migliore, Beatissimo Padre, delle parole solenni del vostro predecessore nella Cattedra di San Pietro, Gregorio XVI: «Un ingiusto conquistatore con tutta la sua potenza non può mai spogliare la Nazione ingiustamente conquistata dei suoi diritti. Potrà con la forza ridurla schiava, rovesciare i suoi Tribunali, uccidere i suoi rappresentanti, ma non potrà giammai indipendentemente dal suo consenso tacito o espresso privarla dei suoi originali diritti relativamente a quei magistrati, a quei Tribunali, a quelle forme cioè che la costituivano imperante» (Mauro Cappellari poi Gregorio XVI, Il trionfo della Santa Sede. Discorso preliminare. Edizione del 1799).
Gli Italiani pertanto rivendicando i loro diritti di Nazione e costituendosi in regno con liberi ordinamenti non hanno contravvenuto ad alcun principio religioso o civile: nella loro fede di Cristiani e di Cattolici non hanno trovato alcun precetto che condannasse il loro operato. Che essi mettendosi sulla via che la Provvidenza loro schiudeva davanti non avessero in animo di fare ingiuria alla Religione né danno alla Chiesa, lo prova l'esultanza e la venerazione di cui vi circondarono nei primordî del Vostro Pontificato [...]. Essi ebbero a deplorare che nell'anima vostra anzi che consentire miseramente fra loro si combattessero i doveri di Pontefice con quelli di Principe. Essi desideravano che una conciliazione si potesse ottenere fra le due eminenti qualità che si riuniscono nella Sacra Vostra Persona […].
Non vogliate, Santo Padre, non vogliate sospendere sull'abisso del dubbio un popolo intero che sinceramente desidera potervi credere e venerarvi. La Chiesa ha bisogno di essere libera e noi le renderemo intera la sua libertà. Noi, più di tutti, vogliamo che la Chiesa sia libera perché la sua libertà è garanzia della nostra; ma per esser libera è necessario che si sciolga dai lacci della politica pei quali Ella finora fu strumento contro di noi in mano or dell'uno or dell'altro dei Potentati.
La Chiesa ha da insegnare le Verità eterne, coll'autorità divina del Suo Celeste Fondatore che mai non Le manca di sua assistenza; Ella deve essere la mediatrice fra i combattenti, la tutrice dei deboli e degli oppressi: ma quanto più docili orecchi troverà la sua voce, se non si potrà sospettare che interessi mondani la inspirino!
Voi potete, Santo Padre, innovare anco una volta la faccia del mondo; Voi potete condurre la Sede Apostolica a un'altezza ignorata per molti secoli dalla Chiesa. Se volete esser maggiore dei Re della Terra, spogliatevi delle miserie del Regno che vi agguaglia a loro. L'Italia vi darà sede sicura, libertà intera, grandezza nuova. Ella venera il Pontefice, ma non potrebbe arrestarsi innanzi al Principe; ella vuol rimanere cattolica ma vuol essere libera ed indipendente Nazione.
Che se Voi vorrete ascoltare la preghiera di questa figlia prediletta guadagnerete sugli animi l'impero che avrete rinunziato come Principe, e dall'alto del Vaticano quando Voi leverete la mano per benedire Roma e il Mondo, vedrete le Nazioni, restituite ai loro diritti, curvarsi riverenti innanzi a Voi loro vindice e patrono.
Articoli
Articolo 1.
Il Sommo Pontefice conserva la dignità, la inviolabilità e tutte le altre prerogative della Sovranità, ed inoltre di quelle preminenze rispetto agli altri Sovrani che sono stabilite dalle consuetudini.
I Cardinali di Santa Madre Chiesa conservano il titolo di Principi e le onorificenze relative.
Articolo 2.
Il Governo di S. M. il Re d'Italia assume l'impegno di non frapporre ostacolo in veruna occasione agli Atti che il Sommo Pontefice esercita per diritto divino come Papa della Chiesa e per diritto canonico come Patriarca di Occidente e Primate d'Italia.
Articolo 3.
Lo stesso Governo riconosce nel Sommo Pontefice il diritto d'inviare i suoi Nunzi all'Estero e s'impegna a proteggerli finché saranno sul territorio dello Stato.
Articolo 4.
Il Sommo Pontefice avrà libera comunicazione con tutti i Vescovi ed i Fedeli e reciprocamente senz'ingerenza governativa.
Potrà parimenti convocare nei luoghi e nei modi che crederà opportuni i Concili ed i Sinodi Ecclesiastici.
Articolo 5.
I Vescovi nelle loro Diocesi, ed i Parrochi [sic] nelle loro Parrocchie saranno indipendenti da ogni ingerenza governativa nell'esercizio del loro Ministero.
Articolo 6.
Essi però rimangono soggetti al diritto comune quando si tratti di reati puniti dalle Leggi del Regno.
Articolo 7.
S. M. rinuncia ad ogni patronato su i benefici ecclesiastici.
Articolo 8.
Il Governo Italiano rinuncia a qualunque ingerenza nella nomina dei Vescovi.
Articolo 9.
Il Governo medesimo si obbliga di fornire alla Santa Sede una dotazione fissa ed intangibile che sarà concordata.
Articolo 10.
Il Governo di S. M. il Re d'Italia all'oggetto che tutte le Potenze e tutti i popoli cattolici possano concorrere al mantenimento della Santa Sede, aprirà colle Potenze istesse i negoziati opportuni per determinare la quota per la quale ciascheduna di esse concorre nella dotazione di cui è parola nell'articolo precedente.
Articolo 11.
Le trattative avranno altresì per oggetto di ottenere le guarentigie di quanto è stabilito negli articoli antecedenti.
Articolo 13.
Mediante queste condizioni il Sommo Pontefice verrà col Governo di S. M. il Re d'Italia ad un accordo per mezzo di Commissarî che saranno a tale effetto delegati.