A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
Per una geografia storico-economica. La Francia (Parte terza: dal 1815 al 1914)
Abstract
Nel corso dell'Ottocento anche la Francia si incamminò sulla strada dell'industrializzazione, procedendo tuttavia più lentamente rispetto alla Gran Bretagna. Difatti in questo paese la formazione di imprese di grandi dimensioni e dotate di macchinari moderni risultò più limitata, mentre l'occupazione agricola mantenne grande rilevanza. Ciò fu dovuto a vari fattori, tra i quali la modesta capacità di consumo della popolazione rurale e l'insufficienza delle risorse carbonifere interne. Nondimeno, alla vigilia della prima guerra mondiale la Francia era giunta ad avere un apparato industriale assai esteso, comprensivo anche di alcuni comparti tecnologicamente avanzati.
2. L'agricoltura francese nell'Ottocento
3. La Rivoluzione industriale in Francia
4. Dalla fine dell'Ottocento alla vigilia della Grande guerra
5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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Dopo la caduta di Napoleone, la Francia conobbe degli ulteriori mutamenti di regime: nel 1830 i Borboni, i quali avevano recuperato il trono nel 1815, vennero nuovamente scalzati da una rivoluzione, che determinò l'instaurazione d'una monarchia costituzionale; poi, dopo il breve intervallo repubblicano del 1848-1851, il colpo di stato di Luigi Napoleone portò alla nascita del Secondo Impero; infine nel 1870 tornò a operare un regime parlamentare e repubblicano. A questi rivolgimenti politici fece fronte una notevole stabilità della politica economica. Questa difatti, stando all'analisi di Kemp (1992), nelle sue linee di fondo rappresentò sempre un compromesso fra liberismo e interventismo statale. Si trattava di una scelta finalizzata ad agevolare l'azione delle forze imprenditrici, per un verso lasciando loro la massima libertà d'azione e per l'altro stabilendo un contesto ad esse favorevole. Così, il commercio interno fu mantenuto libero, ma gli scambi con l'esterno vennero disciplinati da un sistema daziario volto a proteggere le produzioni nazionali, sia agricole che industriali (solo sotto Napoleone III si ebbe una significativa apertura del paese alle importazioni, destinata però ad essere rinnegata dal successivo regime repubblicano); lo stato si astenne dall'intervenire direttamente nei settori manifatturieri, ma ne stimolò la crescita tramite le proprie politiche coloniali e di lavori pubblici, che generarono commesse militari e civili; l'attività bancaria rimase del pari in mani private, ma la sua espansione venne favorita offrendo garanzie pubbliche sui prestiti destinati al finanziamento delle attività che s'intendeva promuovere (come le costruzioni ferroviarie). Questa linea di condotta venne spinta ai suoi esiti estremi nel periodo della Terza Repubblica, nel quale il governo tendenzialmente evitò di assumere una funzione di guida del processo di sviluppo economico, ma non esitò a intervenire per affrontare specifici problemi che le forze di mercato non erano in grado di risolvere da sole o per tutelare determinati gruppi d'interesse.
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2. L'agricoltura francese nell'Ottocento
Per tutto l'Ottocento il comparto agricolo conservò in Francia una notevole importanza: secondo Cameron e Neal (2005), ancora nel 1913 circa il 40 per cento della popolazione lavorativa risultava occupata al suo interno. All'origine di questo fenomeno Fohlen (1980)individua la soppressione dei diritti feudali verificatasi al tempo della Rivoluzione, la quale trasformò i contadini insediati sulle terre aristocratiche da proprietari di fatto (quali erano già divenuti nel corso dei secoli) in proprietari anche di diritto, creando un vasto ceto di piccoli possidenti tutt'altro che agiato, ma nondimeno profondamente legato alle proprie aziende. Beninteso, nell'arco del secolo lo sviluppo delle attività industriali riuscì comunque a determinare un cospicuo spostamento di lavoratori dalle campagne alle città: Caron (1980) rileva che questa migrazione interna andò sviluppandosi già dopo il 1830, assumendo portata ancora maggiore dopo il 1850. Lo stesso autore aggiunge però che essa non assunse mai il carattere d'un movimento di massa.
La permanenza d'un elevato grado di frammentazione della possidenza terriera ebbe ricadute negative sull'evoluzione del comparto agricolo, in quanto frenò la crescita della sua produttività: Fohlen (1980) scrive difatti che questi piccoli proprietari, disponendo di risorse limitate, rimasero legati a tecniche produttive antiquate. Peraltro questo immobilismo delle campagne francesi fu favorito dalla politica agricola nazionale, che vide quasi sempre prevalere le tendenze protezioniste. Nel corso del secolo, difatti, si ebbe la comparsa sul mercato nazionale delle produzioni americane, il cui prezzo, al netto dei dazi doganali che colpivano le merci d'importazione, era molto basso; se tali dazi non fossero stati tenuti a livelli molto elevati, pertanto, i produttori meno in grado di conseguire economie di scala, perché privi di grandi possedimenti e di risorse impiegabili per intensificare lo sfruttamento dei suoli, sarebbero stati posti fuori mercato.
L'influenza negativa esercitata da questa componente arretrata dell'agricoltura francese è rimarcata anche da Garrier (1980), il quale scrive che fra il 1840 e il 1914 in Francia la produttività agricola (ossia il rapporto fra produzione agricola e popolazione occupata nel settore) crebbe solo in misura modesta. Il fatto che una parte assai cospicua della forza lavoro rimanesse attiva in questo settore, d'altronde, ebbe anche l'effetto positivo di consentire una crescita della produzione assai elevata in termini assoluti: ciò è riconosciuto dallo stesso Garrier (1980) e anche da Cameron e Neal (2005), i qualirilevano come all'inizio del XX secolo la Francia fosse il solo grande paese industriale autosufficiente dal punto di vista alimentare e persino detentore di eccedenze agricole destinabili all'esportazione.
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3. La Rivoluzione industriale in Francia
• Gli ostacoli all'industrializzazione
Nell'Ottocento anche la Francia fu coinvolta nella Rivoluzione industriale. Tuttavia in questo paese l'industrializzazione procedette a un ritmo più lento che in Gran Bretagna e in Germania. Autori quali Henderson (1971) e Fohlen (1980) hanno indagato su questo fenomeno, rilevando che per buona parte del secolo la Francia riuscì a occupare posizioni di primo piano soltanto nel settore delle merci di lusso (tessile e abbigliamento, vetri e porcellane, vini e liquori), per la cui realizzazione poteva sfruttare le proprie consolidate tradizioni artigiane, mentre non beneficiò d'un apprezzabile sviluppo delle produzioni di massa (ossia di quelle realizzate in grande serie, secondo procedure standardizzate e in impianti dotati di moderni macchinari): ciò per effetto del ritardo con cui in tale paese andarono diffondendosi le innovazioni tecnologiche e organizzative necessarie per il passaggio dalla modalità di produzione tradizionale a quella propriamente industriale.
Secondo tali studiosi, un forte disincentivo al rinnovamento delle modalità di produzione provenne dalla limitata crescita della domanda di beni manifatturieri. Questa dipese a sua volta dal ritmo di crescita demografica, che nella Francia ottocentesca risultò inferiore a quelli di altre nazioni europee, e dall'elevata incidenza sul totale della popolazione che in tale paese conservarono i ceti rurali meno abbienti. Quest'ultimo fattore limitò pure le possibilità degli imprenditori di procurarsi finanziamenti, sia perché i piccoli possidenti potevano offrire un contributo modesto alla crescita del risparmio nazionale, sia perché la popolazione rurale tendeva a gestire in modo conservatore il proprio danaro, tenendosi perciò lontana dagli investimenti in ambito industriale. Le industrie francesi furono così costrette a fondare la propria espansione principalmente sull'autofinanziamento.
Un ulteriore elemento negativo fu costituito dal fatto che la Francia non fosse ricca di carbone quanto la Gran Bretagna e la Germania. Ciò infatti costringeva gli imprenditori francesi che stavano meccanizzando i propri processi produttivi a fare ampio ricorso a carbone d'importazione, il cui prezzo era elevato, poiché incorporava le spese del suo trasporto. L'industria francese risultava così penalizzata rispetto a quelle britannica e tedesca dal punto di vista dei costi di produzione, il che ne minava la competitività e dunque le possibilità d'espansione sul mercato internazionale.
Per tutta la prima metà dell'Ottocento, inoltre, il rafforzamento dell'industria fu ostacolato dalla lentezza che contraddistinse la costruzione della rete ferroviaria, che limitò lo sviluppo del commercio interno; dalla perdita delle colonie americane e dal declino dei traffici col Levante, che ostacolarono la crescita delle esportazioni; e dal mantenimento di elevati dazi doganali, che proteggendo le imprese nazionali dalla più progredita concorrenza straniera contribuirono a disincentivare l'introduzione d'innovazioni tecniche.
• I tempi dell'industrializzazione
Sussistendo simili fattori negativi, risulta comprensibile come mai il processo d'industrializzazione sia risultato più lento di quello britannico o tedesco. Secondo Cameron e Neal (2005), comunque, sin dal 1820 l'industria francese prese a crescere a un ritmo discreto, se non ancora sostenuto: alcune importanti industrie di tipo tradizionale (tessile, carta, vetro, porcellana) si svilupparono ulteriormente; altri settori, come quello siderurgico, progredirono sul versante tecnico e organizzativo; inoltre sorsero un'industria meccanica e alcuni comparti, come quello della gomma, che sfruttavano inediti procedimenti chimici. A determinare questo sviluppo contribuirono il progresso scientifico, i miglioramenti dei trasporti e delle comunicazioni (che favorirono l'espansione dei commerci) e la crescita delle esportazioni agricole (che procurò al paese nuove risorse finanziarie). Questo giudizio è condiviso da Caron (1980), il quale rileva come a partire dal 1820 si sia avuto uno sviluppo dell'agricoltura che innalzò i redditi dei ceti rurali, consentendo l'ampliamento del mercato interno. La crescita della domanda, unitamente al regime doganale protezionista (cui tale autore attribuisce una funzione positiva), favorirono il sorgere d'un'industria meccanica francese, che a sua volta agevolò il rinnovamento del settore tessile, fornendogli i macchinari necessari. Anche Caron (1980) sottolinea inoltre il contributo al progresso economico che provenne dal miglioramento delle comunicazioni (realizzato potenziando la rete stradale, accrescendo il numero dei canali navigabili e costruendo le prime tratte ferroviarie).
Il vero decollo industriale del paese si ebbe comunque solo nella seconda metà del secolo, quando alcuni dei citati fattori negativi andarono venendo meno. In particolare, Henderson (1971) individua quattro mutamenti significativi che si produssero all'epoca: la realizzazione di un'efficiente rete ferroviaria, che consentì l'unificazione del mercato nazionale; l'avvio d'una nuova espansione coloniale, destinata a procurare alla Francia una forte presenza in Africa e in Indocina; la riduzione delle tariffe doganali poste a protezione del mercato interno; la nascita d'una banca - il Crédit Mobilier - la cui attività era rivolta proprio a sostenere lo sviluppo industriale.
La fase di più intenso sviluppo della produzione industriale fu comunque limitata al ventennio 1850-70. Scrive infatti Lévy-Leboyer (1979) che di tale sviluppo si ebbe dopo il 1870 un rallentamento. Gli investimenti nel settore continuarono tuttavia a crescere a ritmo elevato sin quasi alla metà degli anni ottanta, quando anche sotto tale aspetto si produsse un'inversione di tendenza: la modernizzazione delle strutture industriali, che quegli investimenti stavano consentendo, continuò pertanto ancora per un quindicennio. Secondo l'autore, il rallentamento della crescita della produzione non fu accompagnato da subito da un rallentamento della crescita degli investimenti a causa della necessità che avevano gli imprenditori di far fronte all'ascesa dei salari e all'inasprirsi della concorrenza, necessità che li induceva a ricercare incrementi della produttività degli impianti. Quando però la crisi dei prezzi agricoli degli anni ottanta ridusse i redditi dei ceti agrari, la capacità produttiva che l'industria era giunta ad avere divenne eccessiva rispetto alla capacità di assorbimento del mercato: a quel punto la caduta del tasso di crescita degli investimenti divenne inevitabile.
• Le forme dell'industrializzazione
Ad ulteriore testimonianza della relativa lentezza che segnò lo sviluppo industriale francese, va rilevato - come fa Fohlen (1980) - che sino a metà dell'Ottocento la crescita delle attività manifatturiere interessò soprattutto le lavorazioni svolte a domicilio dalla popolazione rurale e che tale modalità di organizzazione del lavoro conservò grande importanza sino alla fine del secolo. Con l'avanzare della meccanizzazione dei processi produttivi, comunque, si ebbe una progressiva concentrazione della manodopera in fabbriche di tipo moderno. La diffusione delle nuove modalità di produzione industriale, per inciso, spiega come mai dopo il 1850 si sia avuta la citata accentuazione delle migrazioni contadine verso i centri urbani: evidentemente, all'epoca si verificò un incremento della richiesta di forza lavoro proveniente da questi ultimi, mentre andò riducendosi quella espressa dalle aree rurali.
Rispetto a quello britannico o tedesco, comunque, l'apparato industriale francese conservò un minore grado di concentrazione, in ragione sia della più ridotta dimensione media delle sue imprese, sia della più omogenea distribuzione delle stesse sul territorio. Di tali sue caratteristiche danno conto Cameron e Neal (2005), che le fanno discendere almeno in parte dalla minore disponibilità di carbone di cui soffriva la Francia rispetto alla Gran Bretagna e alla Germania. Difatti questo problema impose alle sue industrie di avvalersi in notevole misura dell'energia idraulica per il funzionamento dei propri macchinari. La dislocazione degli impianti industriali fu così condizionata da quella dei corsi d'acqua sfruttabili come fonte di energia.
La dotazione di risorse minerarie del paese, comunque, fece sorgere per la sua industria non soltanto dei vincoli, ma anche delle opportunità. Henderson (1971) riferisce difatti che la Francia era assai ricca di ferro e che poté sfruttare tale ricchezza per sviluppare notevolmente la propria industria siderurgica e metallurgica (malgrado la produzione del ferro comportasse l'utilizzo di carbone e dunque vedesse per altro verso questo paese penalizzato rispetto ad altri). Secondo Fohlen (1980), verso il 1870 il settore metallurgico subì una profonda trasformazione sul piano organizzativo, che gli conferì i caratteri propri della grande industria moderna: concentrazione proprietaria, integrazione delle diverse fasi della produzione, notevole apporto di forza lavoro. Cameron e Neal (2005) rilevano inoltre i progressi tecnologici di cui tale settore beneficiò in quella fase, che pure contribuirono al suo sviluppo (in particolare, abbassando i costi di produzione).
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4. Dalla fine dell'Ottocento alla vigilia della Grande guerra
Negli ultimi anni dell'Ottocento gli investimenti e la produzione industriale tornarono a crescere a ritmo accelerato. Questa fase fu caratterizzata dal ruolo decisivo che assunsero le nuove tecnologie nel trainare lo sviluppo. Cameron e Neal (2005), a tale proposito, riferiscono dello sviluppo di due nuove importanti attività metallurgiche, quali la lavorazione del nichel e dell'alluminio, come pure della nascita dell'industria elettrica e di quella automobilistica. Secondo Lévy-Leboyer (1979), questa nuova fase di sviluppo segnò una rottura col passato. Nell'Ottocento, difatti, era stata la prosperità dell'agricoltura a determinare in larga misura la capacità dell'industria di progredire (in ragione della sua incidenza sul livello della domanda); dopo il 1900, invece, non soltanto l'industria tornò a svilupparsi malgrado l'agricoltura non si fosse ancora ripresa dalla depressione degli anni ottanta, ma addirittura lo sviluppo industriale finì per diventare il motore di quello del comparto agricolo, che fu rilanciato dall'introduzione al suo interno delle nuove tecnologie industriali.
Questa nuova fase di sviluppo si protrasse sino al 1914, quando la Francia fu coinvolta nel primo conflitto mondiale. Essa fu poi ricordata come "la belle époque", proprio perché - come sottolineano Cameron e Neal (2005) - fu contraddistinta, oltre che da una notevole fioritura culturale, anche da una prosperità materiale rilevante per quei tempi. Il percorso di sviluppo che la Francia aveva intrapreso successivamente al 1815, pertanto, era stato sì assai diverso da quello che aveva assicurato alla Gran Bretagna il primato industriale, ma aveva comunque avuto esiti decisamente positivi dal punto di vista del livello di benessere raggiunto dalla popolazione.
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5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Per una geografia storico-economica. La Francia (Parte terza). Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca. Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.