A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
1914-1915. Giuseppe Bevione, un interventista nelle pagine de La Stampa di Alfredo Frassati
Abstract
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, i giornali italiani si schierarono decisamente su due fronti: a favore della neutralità dichiarata dal Governo oppure fautori dell'intervento nel conflitto. La Stampa di Torino, diretta da Alfredo Frassati, fin dall'inizio sostenne il Governo Salandra nella scelta della neutralità. Tuttavia fra le sue pagine trovarono posto, fino alla vigilia dell'entrata in guerra, i ferventi articoli interventisti di Giovanni Bevione, brillante redattore del giornale, eletto deputato per il partito nazionalista proprio il giorno del fatidico attentato all'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria, il 28 giugno 1914.
1. L'opinione pubblica di fronte allo scoppio della guerra europea
2. La Stampa di Torino, quotidiano neutralista
3. Giuseppe Bevione: da redattore de La Stampa a deputato
4. L'epilogo della collaborazione tra Bevione e Frassati
5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
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1. L'opinione pubblica di fronte allo scoppio della guerra europea
"Debbo riconoscere che, senza i giornali, l'intervento dell'Italia forse non sarebbe stato possibile" (Salandra, 1928).
Dopo la dichiarazione di guerra alla Serbia da parte dell'Austria il 28 luglio 1914, allo scoppio della guerra europea l'Italia dichiarò la sua neutralità (v. Minervaweb n. 19, Nuova Serie, "1914. La dichiarazione di neutralità dell'Italia: la voce del Parlamento"). Mentre la popolazione era in quel momento largamente contraria alla guerra, la pubblicistica nazionale si divise immediatamente in due correnti d'opinioni, una a favore della permanenza dell'Italia nella condizione di "spettatrice" della conflagrazione, l'altra convinta assertrice della necessità di prendervi parte attiva quanto prima. Antonio Salandra, il Primo ministro in quei concitati giorni, ricorda che erano diventate d'uso comune, per politici e giornalisti, le denominazioni di interventisti (in un primo momento i giornali parlavano di intervenzionisti) e neutralisti: "nazionalisti e massoni si erano fervidamente dichiarati per l'intervento; mentre il socialismo irreligioso s'incontrava col Vaticano politico nel propugnare la neutralità assoluta" (Salandra, 1930).
Per l'immediata entrata in guerra erano i gruppi nazionalisti, nella cui prospettiva il conflitto si presentava come un'opportunità per aumentare il prestigio internazionale dell'Italia e per portare a compimento l'unità del paese, attraverso la sottrazione al giogo dell'Austria di Trento, Trieste e dell'Istria, incontrandosi su questo piano con l'interventismo dei gruppi democratici, repubblicani, radicali e irredentisti. In questo variegato panorama si inserivano anche i futuristi, che inneggiavano alla guerra come "igiene del mondo" e Gabriele D'Annunzio (sul quale si veda l'articolo in questo stesso numero di MinervaWeb). Eterogeneo, allo stesso modo, il fronte neutralista: oltre a chi era pacifista "per assunto", come i cattolici (che inoltre temevano di offendere la cattolicissima Austria) e i socialisti (per i quali le classi lavoratrici non avrebbero avuto nulla da guadagnare dalla guerra), erano per la non belligeranza i giolittiani e la compagine parlamentare liberale e moderata.
I giornali si allinearono ai due schieramenti: presero posizione non solo gli organi di partito (come l'Avanti!), ma anche quelle testate che sostenevano - per convinzione della proprietà o della direzione - la linea governativa annunciata dal nuovo primo ministro Antonio Salandra (cfr. Castronovo; Giacheri Fossati; Tranfaglia, 1979).
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2. La Stampa di Torino, quotidiano neutralista
All'annuncio della neutralità da parte del Governo, Alfredo Frassati, il direttore dello storico quotidiano torinese nato come Gazzetta piemontese nel 1867 (aveva cambiato nome proprio con l'entrata di Frassati nella proprietà e nella direzione nel 1894, a fianco del deputato liberale Luigi Roux), appoggiò risolutamente la posizione di Salandra.
Deciso sostenitore del ruolo fondamentale che la politica estera doveva rivestire nell'azione di Governo, egli si schierò con i neutralisti, ma non per adesione ad una teoria "rinunciataria" del ruolo dell'Italia. Anzi, la neutralità doveva essere sfruttata in maniera dinamica - mantenendo ferma una visione europea degli interessi italiani - per utilizzare fino in fondo gli strumenti diplomatici disponibili, negoziando con l'Austria fino a che fosse possibile. Scriveva Frassati in un suo editoriale: "il non muovere quando gli altri corrono, il restare inalterati quando gli altri ingrandiscono, è, in politica, effettivo diminuire e decadere. Bisogna impegnarsi. Neutralità, dunque, ma non colle mani nette. Segua il Governo liberamente la via che la sua saggezza, la sua chiaroveggenza, la sua conoscenza esatta della formidabile situazione europea gli suggerisce. Il Paese non influirà sulle determinazioni del Governo. Ma rimane inteso che il Governo deve agire in modo che l'Italia esca non diminuita, ma ingrandita come Potenza, dalla crisi presente. Tale è la sua responsabilità, tale la stregua a cui sarà giudicata la sua azione." («Neutralità, ma non con le 'mani nette'», La Stampa, 19 agosto 1914, pag. 1).
Frassati era anche decisamente contrario allo scatenamento delle emozioni della piazza, delle pulsioni violente aizzate dagli interventisti, convinto che "precipuo dovere dell'opinione pubblica italiana non sia quello di spingere il Governo in una via piuttosto che in un'altra, perché mancano - anche ai più competenti - troppi elementi di giudizio" («Il dovere della borghesia», La Stampa, 23 settembre 1914, pag. 5).
Il fermissimo atteggiamento anti-intervento del quotidiano torinese accomunava la posizione di Frassati a quella di Giovanni Giolitti. Amico e sostenitore di Giolitti da lunga data (si erano conosciuti nello studio dell'allora direttore de La Stampa Roux nel 1890), Frassati ne condivideva - oltre le origini piemontesi - gli ideali liberali, tanto che lo statista di Dronero lo aveva nominato senatore del Regno il 24 novembre 1913.
Entrambi finirono per essere additati, dalla furia della stampa interventista, come il "nemico" interno, che voleva impedire all'Italia di entrare da protagonista nel consesso delle grandi nazioni europee, negandole il diritto di intraprendere la giusta guerra contro l'Austria (De Biasio, 2006).
Nonostante tutto, Frassati continuò a mantenere la sua linea, credendo fino in fondo nel potere della neutralità e della diplomazia, rammaricandosi dell'atteggiamento dei deputati che avevano inneggiato all'Italia e a Trieste all'annuncio della "neutralità poderosamente armata e pronta" dichiarato da Salandra alla Camera dei deputati il 3 dicembre 1914: "è stato un atto non solo imprudente ma diplomaticamente deplorabile; è stato un voler quasi svalutare la neutralità vigilante affermata dal Governo. [...] Con questi sistemi adottati dalla Camera, l'Italia non sarà più libera e padrona di portare, ove e quando credesse suo interesse, la guerra; ma sarà la guerra che verrà a lei." («Ragione e sentimento», La Stampa, 4 dicembre 1914, pag. 1).
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3. Giuseppe Bevione: da redattore de La Stampa a deputato
Fra i collaboratori più quotati de La Stampa all'inizio del Novecento si annoverava senza dubbio Giuseppe Bevione. Torinese, classe 1879, dopo la laurea in giurisprudenza Bevione si dedicò al giornalismo, entrando nel 1904 nella redazione del quotidiano su chiamata diretta di Frassati, in seguito ad una segnalazione di Gaetano Mosca e Guglielmo Ferrero (Frassati, 1978-1982). Dapprima corrispondente da Londra, poi inviato speciale in Argentina, fu in occasione della campagna de La Stampa a favore dell'occupazione di Tripoli (1911-1912) che si consolidò il sodalizio con Frassati. La Libia narrata da Bevione sulle pagine del quotidiano torinese, infatti, è un luogo paradisiaco e pronto ad accogliere la manodopera italiana, in cui "palmizi, ulivi, fichi, mandorli, albicocchi, aranci, cedri, banani colmano gli orti ed i giardini, e traboccano lietamente fuori dei bassi muretti, che limitano le proprietà, come un vino generoso fuori degli orli del bicchiere" («Acqua sorgiva e terra fiorente», La Stampa, 6 giugno 1911, pag. 3). Nel biennio 1912-1913 fu anche inviato a seguire le due guerre balcaniche: i suoi servizi - che evidenziavano gli interessi italiani nell'area - gli guadagnarono una certa notorietà fra i nazionalisti, aprendogli la strada alla carriera politica.
L'opportunità si ebbe nel 1914 quando, nel corso della XXIV legislatura del Regno, il deputato socialista del IV collegio di Torino, Pilade Gay, morì improvvisamente. Ricorda lo stesso Bevione Frassati, 1978-1982) che l'idea della sua candidatura venne al collega de La Stampa Gigi Michelotti, durante la cena offerta da Frassati alla redazione per festeggiare il Natale. Bevione, inizialmente titubante poiché temeva di dover lasciare il suo lavoro di giornalista, si presentò per il partito nazionalista solo quando ebbe la garanzia da Frassati di non essere osteggiato da La Stampa, che doveva naturalmente sostenere il candidato liberale Panié.
In realtà, invitando Bevione a "non accentuare la sua negazione al partito liberale", di fatto Frassati gli assicurò il suo sostegno (Lettera di Frassati a Bevione, probabilmente maggio 1914, in Luciana Frassati, Un uomo un giornale, v. 3, pt. 1, pag. 426-428). Il direttore, infatti, apprezzava il suo collaboratore e contava sulla sua forza dialettica e sul suo modo di arringare la folla scendendo in piazza, appassionandola alla vicenda politica e dimostrando al contempo il contenuto rivoluzionario del socialismo. Infatti, come ricordava ancora Bevione: "nella prima fase della battaglia, la Stampa mantenne nei miei riguardi una neutralità ultra-benevola: ma, entrato io in ballottaggio col socialista Bonetto, il giornale mi sostenne a spada tratta, e fu uno dei principali fattori della mia vittoria". (Frassati, 1978-1982).
Questo fu l'invito di Frassati agli elettori alla vigilia della tornata elettorale decisiva: "contro il pericolo incalzante del socialismo rivoluzionario, tenuto su e riscaldato quotidianamente dalla frenetica demagogia mussoliniana, nel campo costituzionale devono tacere tutti i dissensi, devono confondersi tutte le sfumature, devono perdersi tutti i particolari punti di vista, per salvare il Collegio alla causa della libertà, dell'ordine, della giustizia e del progresso sociale, nel nome simpatico, già toccato dalla vittoria, di GIUSEPPE BEVIONE!" («Per il IV Collegio», La Stampa, 23 giugno 1914, pag. 6).
Il ballottaggio per il IV collegio di Torino si svolse il 28 giugno 1914, proprio nel giorno dell'attentato all'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria. Bevione, da paladino dello schieramento "costituzionale" avendo conquistato l'incondizionato appoggio dei liberali e dei cattolici, ebbe la meglio sul candidato socialista per soli 67 voti, in una delle più aspre battaglie elettorali delle prime elezioni a suffragio quasi universale in Italia (Salvadori, 1969).
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4. L'epilogo della collaborazione tra Bevione e Frassati
La "magnifica vittoria costituzionale" di Torino spalancò a Bevione i portoni di Montecitorio, dove decise di sedere "a Destra, non perché io sia un conservatore, giacché mi sento incline alle più ardite riforme [...]. Costituirò l'estrema sinistra del gruppo parlamentare nazionalista" («La vittoria nazionalista di Torino nelle impressioni del neo-deputato», La Tribuna, 1 luglio 1914, pag. 5).
Dopo un periodo di osservazione della vita e dei meccanismi parlamentari ("non parlerò senza prima essermi bene reso conto di che sia questo nostro Parlamento", «La vittoria nazionalista di Torino nelle impressioni del neo-deputato», La Tribuna, 1 luglio 1914, pag. 5), e di pausa dal mestiere di giornalista, Bevione pubblicò l'articolo «La condotta dell'Italia. Neutralità armata» in qualità di deputato nazionalista su L'Idea nazionale, l'organo del partito nazionalista fondato a Roma nel 1911 da - fra gli altri - Corradini e Federzoni. Bevione - in questo caso - concordava con il suo direttore Frassati nell'opinione che la neutralità fosse giusta in punto di diritto e per ragione di opportunità. Tuttavia affermava fin dall'inizio che "la neutralità italiana deve essere virile, armata e vigilante", pronta ad intervenire qualora gli interessi nazionali fossero in qualsiasi modo minacciati («La condotta dell'Italia. Neutralità armata», L'Idea nazionale, 6 agosto 1914, pag. 1).
Il 3 settembre Bevione tornò sulle colonne del suo giornale, auspicando la costituzione di una "internazionale nazionalista" da contrapporre alla "internazionale socialista", che in tutta Europa veniva evocata a giustificazione della neutralità ormai solo dai socialisti italiani. Bevione evidenziava come la guerra stesse già apportando innovazioni profonde nelle idee e nei principi: nei paesi belligeranti, infatti, i singoli avevano messo da parte le divergenze di pensiero per trovare nella propria collettività nazionale la forza di coesione necessaria alla difesa. («Internazionale nazionalista», La Stampa, 3 settembre 1914, pag. 3).
Con il pezzo pubblicato il 15 settembre 1914 si avviava una breve serie di "lettere parlamentari", denominate in tal modo per evidenziare come Bevione stesse scrivendo in qualità di deputato nazionalista e non di redattore de La Stampa. Iniziò a palesarsi la divergenza di opinioni con Frassati. All'articolo di Bevione, infatti, Frassati antepose una premessa, in cui dichiarava una "riserva assoluta" riguardo alcune affermazioni dell'onorevole redattore sulla sussistenza della Triplice alleanza. Soprattutto, Bevione iniziava a dubitare che la via seguita dal Governo continuasse ad essere la più opportuna («Il momento politico. Il punto debole della politica italiana», La Stampa, 15 settembre 1914, pag. 4).
Una profonda riserva del direttore de La Stampa venne espressa con chiarezza nel corsivo premesso al successivo articolo di Giuseppe Bevione sul quotidiano. Frassati si dissociò apertamente dal suo pupillo: "data l'estrema delicatezza dell'argomento, crediamo doveroso lasciare all'onorevole deputato al Parlamento le responsabilità di questa e delle altre lettere che pubblicheremo" («La politica italiana nella crisi europea. L'unità», La Stampa, 17 settembre 1914, pag. 3). Si andava sempre più consolidando nel deputato nazionalista la convinzione che il mantenimento della neutralità fosse pericoloso per gli interessi dell'Italia, in quanto si paventava una imminente sconfitta dell'Austria che metteva a disposizione di russi e slavi le terre irredente. Per queste ragioni, Bevione esortava a "fissare il centro vitale dei nostri interessi: la conquista di Trento, Trieste, Fiume e Zara [...]. Il nostro programma deve essere questo, non sotto le specie diplomatiche - come un problema di equilibrio adriatico o balcanico, di resistenza latina all'irrompere dello slavismo o altro [...]. L'unità nazionale che non si è compiuta deve compiersi" («La politica italiana nella crisi europea. L'unità», La Stampa, 17 settembre 1914, pag. 3).
La sfiducia nell'azione diplomatica espressa e ribadita da Bevione anche in una successiva lettera («Il supplizio di Massenzio», La Stampa, 20 settembre 1914, pag. 3), scavava un divario sempre più ampio fra lui e Frassati, che riconfermava in un breve preambolo la necessità che la "terribile responsabilità" della decisione venisse lasciata al Governo, "il solo a conoscere tutti gli elementi necessari" («Il supplizio di Massenzio», La Stampa, 20 settembre 1914, pag. 3). Secondo il parlamentare, invece, il rischio di lasciare ancora spazio alla diplomazia consisteva nell'utilità decrescente dell'intervento italiano per la Serbia e la Russia. Il paradosso, infine, vedeva l'Italia arrivare a dover contendere le province irredente anche a costoro, non solo all'Austria.
Nella lettera parlamentare intitolata «Il dovere della borghesia» (La Stampa, 23 settembre 1914, pag. 5), Bevione alzò i toni, affermando la necessità dell'intervento (solo quattro giorni dopo avrebbe presentato domanda di arruolamento. Cfr. La Stampa, 27 settembre 1914, pag. 4) ed accusando il Governo, i politici "costituzionali" e i socialisti di impedirlo. Non solo, gli strali di Bevione si indirizzavano, a questo punto, anche contro la classe alto-borghese italiana, colpevole di "immenso egoismo". Secondo il deputato "l'amore della neutralità diventa tanto più sviscerato, quanto più si sale nella scala delle classi sociali, chi ha una maggiore superficie economica vulnerabile, chi ha una più estesa rete di affari, è oggi il più accanito avversario della partecipazione dell'Italia al conflitto" («Il dovere della borghesia», La Stampa, 23 settembre 1914, pag. 5).
L'ultima lettera della serie, del 29 settembre 1914, segnò un'ulteriore evoluzione delle convinzioni di Bevione: la guerra era necessaria ed era necessario entrarvi a fianco della Triplice Intesa, paladina della nazionalità. La guerra, affermava, "non è soltanto l'urto fra il principio nazionale ed il principio antinazionale, ma anche fra il principio di libertà ed il principio di conservazione. [...] Per me, questa guerra [...] prepara l'espansione dell'idea liberale e democratica nel mondo. Per me [...] dalla pacificazione europea ci verrà la concordia nazionale, fondata sulla giustizia e sulla libertà" («Nazionalità e democrazia», La Stampa, 29 settembre 1914, pag. 3).
Nonostante la completa disparità di vedute fra il direttore e il giornalista, Frassati rifiutava di capire quanto le loro divergenze stessero diventando inconciliabili e continuava a mantenere vivo il rapporto professionale con il suo valente redattore. Forse proprio per ricordare a Bevione la bellezza del suo mestiere, ma anche per sfruttare le sue indubbie doti di inviato speciale, il direttore gli affidò degli incarichi importantissimi. Prima lo spedì in Egitto, per un reportage sul Sultanato indipendente appena proclamato dagli Inglesi, che era entrato in guerra contro l'Impero ottomano; poi nel nord dell'Italia all'inizio del 1915, a seguire delle questioni nazionali, soprattutto sulle difficili condizioni operative dei porti di Genova e Savona.
Durante questi pochi mesi di apparente ritorno alla normalità, si rivelarono altre crepe nella relazione tra Frassati e Bevione. In una lettera del 9 febbraio 1915, il direttore garbatamente lamentava la difficoltà di avere un collaboratore "a mezzo servizio" come l'onorevole: "la Stampa non vuole assolutamente [...] guadagnare nulla dalla tua posizione di deputato. [Nonostante] tutti i sacrifizi senza misura che la Stampaha fatto per la tua nomina. Il partito socialista, una settimana dopo la tua elezione, ha boicottato completamente la Stampa, la quale ci rimette dalle trenta alle quaranta mila lire l'anno. Inoltre tu sei troppo intelligente per non comprendere come sia grave sacrifizio alla Stampa avere un redattore che oggi è presente, dimani assente. [...] Io credo che sono il solo direttore in Italia ad avere accettato, ma accetta con tutto cuore, una simile situazione" (Frassati, 1978-1982). Sinceramente dispiaciuto "dal lato sentimentale" di un certo atteggiamento di Bevione, Frassati lo redarguiva anche per una questione di rimborsi di viaggio: "ti pare bello che la Stampa paghi quanto tu non paghi? Che ti calcoli i viaggi che tu hai diritto gratis? [...] Mi aspettavo, caro Bevione, da te, specialmente da te, una visione d'insieme" (Frassati, 1978-1982).
La strana situazione che si era creata a causa della perdurante collaborazione tra il quotidiano torinese e il deputato nazionalista, tuttavia, iniziava a suscitare dissidi e problemi ad ambedue i soggetti della relazione.
Ai primi di febbraio del 1915, nel corso di una polemica su interventismo e neutralismo combattuta a colpi di editoriali tra Frassati e il direttore del Corriere della sera Albertini, quest'ultimo aveva accusato di palese contraddizione il torinese per aver pubblicato "i forti articoli dell'onorevole Bevione" («La linea migliore», Corriere della sera, 12 febbraio 1915, pag. 2).
Bevione, allo stesso modo, veniva tacciato di incoerenza dal suo stesso partito. Il 3 marzo 1915, il Consiglio direttivo del Gruppo nazionalista torinese aveva approvato un ordine del giorno che denunciava la situazione anomala di Bevione, insieme deputato nazionalista e redattore della neutralissima Stampa: "Il Consiglio, in merito ai rapporti con l'on. Bevione e con la Stampa, incarica il presidente d'invitare cortesemente l'on. Bevione [...] per chiarire, senza possibilità di equivoco, il suo pensiero sull'opera che il Nazionalismo svolge nell'attuale momento politico. [...] La sua duplice condizione di socio e deputato nazionalista e redattore autorevolissimo della Stampa appare al Consiglio insostenibile" («Il dovere della borghesia», La Stampa, 23 settembre 1914, pag. 5). Il redattore e deputato (che nel frattempo aveva presentato domanda di arruolamento negli alpini) respinse categoricamente l'imposizione del Consiglio direttivo del suo partito, sulla base del fatto che "da quasi 11 anni collaboro alla «Stampa». Alla «Stampa» ho dato e do, con gioia e orgoglio, la mia opera, perché la «Stampa» mi assicura completa e assoluta libertà: libertà di pensiero come giornalista, libertà di azione come deputato. E questo è quanto mi basta" («Le dimissioni dell'on. Bevione da socio del Gruppo nazionalista», La Stampa, 4 marzo 1915, pag. 6). Bevione rassegnò quindi le proprie dimissioni dal gruppo per tutelare la sua dignità e la sua indipendenza, prontamente accettate per incompatibilità fra le due funzioni.
Le dichiarazioni di Bevione sulla libertà che regnava nella redazione de La Stampa erano tutt'altro che esagerate. Il motto di Frassati era "libertà con responsabilità": i collaboratori si sentivano parte del giornale e la devozione verso il loro direttore era viva e profonda. Nel 1957, alla figlia di Frassati, Luciana - che stava scrivendo la sua monumentale opera sulla vita e il lavoro del padre (Un uomo, un giornale) - lo stesso Bevione confidava con commozione di essere sempre stato colpito dalla fedeltà che aveva legato al giornale gli scrittori de La Stampa, la maggioranza dei quali aveva rifiutato le lusinghe del grande "concorrente" milanese per rimanere a Torino. Secondo Bevione, il segreto di tanta affezione era l'ampia libertà concessa da Frassati di esprimere la propria personalità e le singole attitudini.
Nonostante gli attacchi e le provocazioni subiti da tutti i fronti, Frassati assegnò un ulteriore incarico a Bevione: alla fine di marzo del 1915 fu inviato in Francia per raccontare con i suoi occhi come si viveva in un paese in guerra. I pezzi francesi, che confermavano la sua fede interventista, sarebbero stati gli ultimi pubblicati su La Stampa. Tornato a Torino ai primi di maggio del 1915, accolse ed accompagnò Gabriele d'Annunzio al suo trionfale rientro in Italia.
Il 15 maggio 1915 Frassati pubblicò questo affezionato e malinconico annuncio: "l'on. Bevione ci ha mandato le sue dimissioni da redattore della «Stampa». Da molto tempo era assolutamente manifesta l'incompatibilità fra la sua azione di deputato e la nostra. Tuttavia la viva amicizia che ci ha sempre unito al giovane egregio, e che ci ha fatto commettere la prima incoerenza della nostra vita, appoggiando, noi anti-nazionalisti, la sua candidatura al 4.o Collegio di Torino, ci rese sempre riluttanti a prendere una deliberazione che toccava direttamente il nostro cuore. L'on. Bevione ci ha tolto colle sue dimissioni da questa contraddizione. Ma l'affetto vivissimo che da molti anni a lui ci lega, sopravviverà ben forte ad ogni dissenso politico" («L'on. Bevione e la "Stampa"», La Stampa, 15 maggio 1915, pag. 6).
Dopo pochi giorni l'Italia sarebbe entrata in guerra. Bevione, combattendo come ufficiale degli alpini, sarebbe stato decorato al valore militare. La sua carriera giornalistica e politica avrebbe segnato un ulteriore passo avanti: aderendo al Fascismo fu nominato da Mussolini direttore de Il Secolo e poi senatore del Regno, ricoprendo anche altri prestigiosi incarichi durante il Ventennio.
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5. Riferimenti e approfondimenti bibliografici
Giuseppe Bevione nella pagine de La Stampa. Bibliografia degli articoli di Giuseppe Bevione su La Stampa dal 28 giugno 1914 al 15 maggio 1915.
Nel suggerire l'ampliamento della ricerca attraverso il Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e le banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca, si riportano qui di seguito in ordine alfabetico le fonti citate nel testo.
Quotidiani:
La Stampa, Torino, 1914-1915
La Tribuna, Roma, 1914
L'Idea nazionale, Roma, 1914
Corriere della sera, Milano, 1915
Monografie:
Antonio Salandra, La neutralità italiana, [1914-1915]: ricordi e pensieri. Milano, Mondadori, 1928
Antonio Salandra, L'intervento, [1915]: ricordi e pensieri. Milano, Mondadori, 1930
Massimo L. Salvadori, Il movimento cattolico a Torino: 1911-1915, Torino, Giappichelli, 1969
Luciana Frassati, Un uomo un giornale. Alfredo Frassati, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1978-1982
Valerio Castronovo, Luciana Giacheri Fossati, Nicola Tranfaglia, La stampa italiana nell'età liberale, Roma-Bari, Laterza, 1979
Volker R. Berghahn, Sarajevo, 28 giugno 1914: il tramonto della vecchia Europa, Bologna, Il Mulino, 1999
Elisabetta De Biasio, Alfredo Frassati un conservatore illuminato: aspetti biografici editi e inediti, Milano, Francoangeli, 2006
Mario Isnenghi, Giorgio Rochat, La Grande guerra: 1914-1918, Bologna