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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 46 (Nuova Serie), agosto 2018

Per una geografia storico-economica. I Paesi nordici (Parte prima: il Medioevo e l'età moderna)

Abstract

In età medievale e moderna i paesi nordici (Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca e Islanda) rimasero sempre tra i più poveri dell'Europa occidentale, scontando la negativa influenza del loro clima sulle possibilità di sfruttamento agricolo del territorio. Ciò nonostante, nel corso dei secoli anch'essi beneficiarono d'un certo sviluppo economico, consentito dalla disponibilità di risorse naturali quali il pesce, la legna e alcuni metalli, che poterono commercializzare sui mercati esteri e sfruttare per dar vita ad attività manifatturiere quali la cantieristica navale o la produzione di armi.

1. Il Medioevo

2. L'età moderna

3. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

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1. Il Medioevo

· Il limitato sviluppo dell'agricoltura

L'evoluzione economica dei paesi nordici è stata a lungo condizionata dalle loro condizioni climatiche. Nell'alto Medioevo, secondo quanto scrive Koebner (1976), era evidente la loro arretratezza agricola rispetto alle regioni europee continentali e mediterranee. Le superfici sottoposte a sfruttamento costituivano infatti una porzione limitata del territorio complessivo: le aree interne e più settentrionali, nelle quali il clima era particolarmente rigido e la presenza umana più rarefatta, erano coperte da fitti manti di foreste. D'altra parte la limitatezza delle risorse agricole costituiva un potente incentivo alla ricerca di altri mezzi di sostentamento: si ebbe così sin da quella fase storica un notevole sviluppo della navigazione, finalizzato alla pesca e al commercio, come pure al saccheggio, alla conquista e alla colonizzazione di regioni maggiormente prospere.

Per la verità, un esame approfondito della situazione economica di tali paesi - come quello compiuto da Bolin (1976) - rivela l'esistenza di differenze abbastanza nette fra di essi. Difatti il territorio danese era suscettibile in misura cospicua di sfruttamento agricolo, mentre la situazione della Svezia era meno favorevole e quella della Norvegia ancora più critica (le sue aree interne risultavano in larghissima parte inadatte all'insediamento umano). Differenze sono rilevabili anche fra le diverse epoche: come avvenne nel resto d'Europa, nei secoli centrali del Medioevo si ebbe un'espansione delle coltivazioni e della popolazione, mentre nel Trecento si ebbe di esse un declino, causato dalle epidemie di peste e forse anche dall'emigrazione di molti contadini verso altri territori (in quel secolo si ebbe difatti la colonizzazione svedese della parte più settentrionale della penisola scandinava e della Finlandia). Lo stesso autore rileva comunque come nell'intera regione e in ogni fase del Medioevo l'agricoltura abbia sempre mantenuto un'importanza ridotta rispetto all'insieme delle altre attività funzionali all'ottenimento di risorse alimentari (pesca, caccia e allevamento).

· Caratteri delle attività produttive

Bolin (1976) compie anche un'analisi dettagliata dello stato dell'economia nordica nei secoli medievali, dalla quale si ricavano le caratteristiche fondamentali delle diverse attività produttive. L'agricoltura vedeva la dominanza dell'avena, della segale e dell'orzo, mentre si hanno poche notizie circa la coltivazione del frumento; tra le fibre tessili prevalevano il lino e la canapa, mentre il melo costituiva il più comune albero da frutto. Gli assetti proprietari andarono nel tempo modificandosi, per effetto della formazione di tre grandi regni (di Norvegia, di Svezia e di Danimarca) e della trasformazione delle antiche aristocrazie contadine in corpi nobiliari legati ai sovrani, che servivano come combattenti in cambio della concessione di feudi e di immunità fiscali. Questa trasformazione, avvenuta fra XII e XIII secolo, condusse alla concentrazione della proprietà terriera nelle mani della nobiltà, per effetto non soltanto dell'ottenimento di feudi reali, ma anche dell'acquisizione di molte piccole possidenze (di cui si disfecero i loro titolari, che subivano invece il peso delle tasse imposte su di esse). Nel corso dei secoli si ebbe anche un ampliamento della possidenza ecclesiastica. Questa concentrazione proprietaria concorse ad aumentare il numero dei coltivatori privi di terra, che lavoravano come braccianti su terre altrui; a tale fenomeno contribuirono tuttavia anche i provvedimenti regi di emancipazione degli schiavi, che provocarono l'immissione sul mercato del lavoro di molti nuovi braccianti (giacché nell'alto Medioevo i vichinghi avevano largamente praticato la riduzione in schiavitù di uomini catturati nelle loro incursioni). Al di fuori del comparto agricolo grande rilievo aveva l'estrazione e la lavorazione dei minerali, in particolare del ferro; l'attività tessile vedeva prevalere la realizzazione di abiti di lino e di panni di lana, di qualità peraltro modesta e quindi destinati a soddisfare unicamente le esigenze della popolazione locale.

· L'espansione dei commerci

Secondo quanto afferma Lopez (1975), l'espansione dei commerci fu legata inizialmente a quella dei possessi vichinghi: le conquiste e la creazione di insediamenti nell'area baltica favorirono infatti la creazione d'una rete di scambi. Tra la fine dell'XI secolo e la fine del XIII il dominio scandinavo sulla regione venne poi meno, in quanto i territori costieri sulle rive meridionali e orientali del Baltico passarono dal controllo danese a quello della nobiltà tedesca; ma i traffici interessanti i paesi nordici continuarono a svilupparsi. La loro gestione venne tuttavia assunta dai mercanti tedeschi, i quali poterono insediarsi nelle regioni conquistate dai loro conterranei e fondarvi nuove città. L'affermazione di tali operatori fu ulteriormente agevolata dalle capacità sia militari, sia diplomatiche di cui diedero prova, che consentirono loro di strappare ai sovrani danesi, svedesi e norvegesi il riconoscimento di privilegi nelle città e nei porti da essi ancora controllati; come pure da altri fattori, che conferirono loro dei vantaggi competitivi sui propri concorrenti nordici. Il ceto mercantile tedesco era infatti espressione di progrediti ambienti urbani, in grado di fornirgli importanti risorse finanziarie, mentre nei paesi nordici a esercitare il commercio marittimo erano nobili e contadini; inoltre in Germania (come s'è accennato in un precedente articolo) si ebbe all'epoca una notevole evoluzione delle tecniche cantieristiche, che rese disponibili navi più grandi e più facilmente manovrabili di quelle che continuarono a usare i mercanti danesi e scandinavi. L'assunzione di questa posizione di predominio nei commerci interessanti la regione si perpetuò poi nel tempo, dal momento che, come rileva Lonnroth(1977), a quel punto i mercanti tedeschi erano giunti a detenere il controllo delle importazioni di grano, le quali in quei paesi, afflitti da una strutturale scarsità di derrate, risultavano di vitale importanza. Ciò è testimoniato dal fatto che dalla fine del Duecento in avanti i monarchi nordici attuarono a più riprese misure restrittive nei confronti di tali mercanti, dalle quali tuttavia dovettero sempre recedere, proprio perché i secondi poterono esercitare pressioni sui primi bloccando le proprie forniture di grano.

Dalla ricostruzione di Bolin (1976) emerge come nel periodo vichingo le esportazioni dei paesi nordici siano state alimentate in misura rilevante dalla cattura di schiavi; le emancipazioni decise dai sovrani, tuttavia, fecero scemare nel tempo la disponibilità di questi ultimi (nel XIII secolo la loro presenza risultava ormai rara). In compenso, secondo Lonnroth(1977) e lo stesso Bolin (1976), nel corso dei secoli andò crescendo la presenza sui mercati europei di aringhe, capi di bestiame e prodotti dell'allevamento provenienti da tali paesi. Inoltre nel tardo Medioevo la Norvegia divenne una forte esportatrice di legname e la Svezia di minerali di ferro e rame. Le importazioni, secondo Carus-Wilson (1982), in questo periodo riguardarono soprattutto tessuti di elevata qualità, provenienti da altre regioni del Nord Europa o dall'Oriente (nel caso rispettivamente delle lane e delle sete). Verlinden (1977) riferisce di come le transazioni si svolgessero in mercati rurali o ubicati nelle città. Le fiere della Scania (territorio corrispondente all'estremità meridionale dell'odierno stato svedese) acquisirono un certo peso internazionale, grazie alla costante presenza di mercanti stranieri, mentre le altre scontarono il crescente attivismo tedesco nell'area baltica. Le stesse fiere della Scania, peraltro, finirono per passare sotto il controllo dei tedeschi. Questi progressivamente estromisero gli altri stranieri che vi operavano (danesi, britannici, olandesi e francesi), al fine di rafforzare ancor più la propria posizione; ma tale politica fece perdere ad esse importanza, avviandole al declino che avrebbero subito nei secoli XV-XVI.

2. L'età moderna

· L'agricoltura e la pesca

Il passaggio dal Medioevo all'età moderna non fu segnato da rilevanti progressi in ambito agricolo. Secondo Cameron e Neal (2005), buona parte dell'area in esame (le eccezioni erano costituite dalla Danimarca e dalla punta meridionale della Svezia) continuò ad essere connotata dal predominio d'un'agricoltura di sussistenza, condotta applicando tecniche primitive di coltura e di allevamento, come pure dallo scarso popolamento delle campagne e dalla notevole estensione delle foreste. Complici i vincoli posti dal clima, anche le colture dominanti rimasero quelle dei secoli precedenti (segale, orzo e avena per l'alimentazione, lino e canapa per le lavorazioni tessili).

La scarsità di risorse agricole conferiva grande importanza alla pesca quale mezzo di sostentamento della popolazione; stando a quanto scrive Michell (1978), tuttavia, a tale importanza per lungo tempo non corrispose un significativo contributo di tale settore allo sviluppo dei commerci. Nel corso del Cinquecento si ebbe anzi la scomparsa dell'industria ittica della Scania, che operava in un ambito di particolare rilievo, quale era quello della pesca dell'aringa. Questo fenomeno è riconducibile, oltre che alle naturali fluttuazioni che subiva la disponibilità di pesce, alla contestuale affermazione degli operatori olandesi, i quali assunsero una posizione dominante sui mari e sui mercati nordeuropei. Solo nel secondo Settecento la situazione del comparto conobbe un'evoluzione favorevole ai pescatori nordici: a partire da allora, infatti, quelli svedesi poterono contare su un patrimonio ittico più cospicuo, mentre quelli norvegesi trassero beneficio dalla realizzazione di impianti di salatura lungo le coste e dalla regolamentazione dell'attività che cominciò ad essere praticata dal governo danese (cui allora la Norvegia era sottoposta). Questa ripresa della commercializzazione delle aringhe, peraltro, fu accompagnata da un calo delle vendite di merluzzo islandese sui mercati europei, dovuta alla crescente importazione di quello pescato nelle acque di Terranova.

· Le attività estrattive e manifatturiere

Un'ampia analisi delle condizioni dell'industria nei paesi nordici in età moderna è offerta da Kellenbenz (1978), il quale si sofferma in particolare sulle attività estrattive. Tali paesi erano infatti ricchi di risorse minerarie e nel corso dei secoli andarono accrescendone lo sfruttamento. La Danimarca poteva contare sulla disponibilità di rame; la Norvegia su quella di rame, ferro e argento; la Svezia disponeva anch'essa di ferro e rame. Quest'ultima, in particolare, divenne la principale produttrice europea di tali metalli, grazie anche all'impegno profuso dallo stato nell'attività mineraria, che gestiva direttamente e che nel corso dei secoli rese più efficiente tramite il ripetuto ricorso a specialisti stranieri, i quali introdussero nel paese le più avanzate tecniche disponibili. La crescita della produzione di ferro risultò favorita anche dall'ampia superficie forestale, che garantì il legno necessario al funzionamento degli altiforni.

Accanto all'espansione delle attività minerarie si ebbe comunque anche quella delle manifatture. In Svezia, l'incremento dell'estrazione di ferro consentì lo sviluppo della fabbricazione di strumenti agricoli, articoli casalinghi e soprattutto armi, ponendo tale paese in condizione di approfittare della crescente domanda internazionale di queste ultime, dovuta al succedersi di guerre tra le potenze continentali. In Norvegia e in Danimarca - a partire rispettivamente dal XVII e dal XVIII secolo - notevole sviluppo conobbe la cantieristica navale. Nel Cinque-Seicento Svezia e Finlandia svilupparono su larga scala la produzione di pece e catrame per la costruzione e la riparazione delle navi (e nel Settecento fece lo stesso, sia pure in misura più modesta, la Norvegia). I paesi scandinavi sfruttarono inoltre il proprio patrimonio forestale per dar vita, a partire dal Cinquecento, ad una fiorente industria di lavorazione del legno, che generò anche cospicue esportazioni. La corona danese tentò di sviluppare anche l'industria cartaria, praticando sia in Danimarca che in Norvegia una politica protezionista; ma tali paesi rimasero parzialmente dipendenti dalle produzioni estere, in particolar modo da quelle di più elevata qualità, che meno riuscirono ad imitare.

Nel comparto tessile si ebbero pure dei tentativi di stimolare la produzione nazionale tramite provvedimenti protezionistici. Questi ebbero esiti molto diversi da paese a paese: in Danimarca condussero a un limitato sviluppo dell'attività serica e laniera e in Norvegia ebbero ancora minore impatto (data la mancanza di capitali e la ristrettezza del mercato interno connotanti quest'ultima), ma in Svezia consentirono, a partire dal Seicento, la nascita di fiorenti centri di lavorazione della lana.

· Considerazioni conclusive

Nel complesso, quindi, in questa fase fu soprattutto la Svezia a progredire economicamente. Ciò dipese in parte dalla maggiore disponibilità di risorse naturali e demografiche di cui si giovava tale paese, ma in parte anche dal fatto - rilevato da Cameron e Neal (2005) - che nei secoli XVI e XVII i suoi sovrani intrapresero una serie di iniziative volte proprio ad agevolarne lo sviluppo, quali l'abolizione dei dazi interni, la standardizzazione dei pesi e delle misure, l'istituzione di un sistema di tassazione uniforme e il varo di provvedimenti in favore delle attività commerciali e manifatturiere.

Secondo Jorberg (1980), tuttavia, malgrado questi progressi la Svezia continuò a costituire, non diversamente da quasi tutti i suoi vicini, una regione arretrata del continente europeo. Tale studioso afferma difatti che a metà dell'Ottocento Svezia, Norvegia e Finlandia erano fra i paesi più poveri dell'Europa occidentale, mentre relativamente migliore era la situazione della Danimarca. Ciò può apparire strano, considerato che in Danimarca le attività manifatturiere erano meno sviluppate che in Svezia; ma va sottolineato che, al di là delle differenze che abbiamo riscontrato, in nessuno di tali paesi il settore industriale aveva conosciuto uno sviluppo complessivo particolarmente accentuato, ragion per cui il vantaggio della Svezia in tale ambito non era sufficiente a compensare i benefici che la Danimarca traeva dalla più elevata produttività della propria agricoltura. D'altronde anche la Norvegia, all'epoca, vantava un reddito nazionale pro capite lievemente superiore a quello svedese, spiegabile con la forte incidenza che aveva la pesca sull'economia nazionale.

3. Riferimenti e approfondimenti bibliografici

Per una geografia storico-economica. I paesi nordici (prima parte). Percorso bibliografico nelle collezioni della Biblioteca. Si suggerisce inoltre la ricerca nel Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare e nelle banche dati consultabili dalle postazioni pubbliche della Biblioteca.

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