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Assemblea - XIX Legislatura

ORDINE DEL GIORNO

Martedì 28 gennaio 2025

alle ore 16,30

267a Seduta Pubblica

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ORDINE DEL GIORNO

I. Discussione della mozione n. 29, a firma Paola Ambrogio ed altri, sull'operatività della Piattaforma unica nazionale informatica dei contrassegni dei disabili(testo allegato)

II. Discussione della mozione n. 83, a firma Alessandra Maiorino ed altri, sul riconoscimento italiano e internazionale dello Stato di Palestina (testo allegato)

III. Discussione della mozione n. 97, a firma Scalfarotto ed altri, su iniziative volte a sostenere il processo di pacificazione tra Armenia e Azerbaijan (testo allegato)

IV. Discussione della mozione n. 109, a firma Stefania Pucciarelli ed altri, sui reati di violenza sessuale commessi con l'ausilio di sostanze stupefacenti (testo allegato)

V. Discussione della mozione n. 117, a firma Calenda ed altri, sui rincari del prezzo dell'energia elettrica (testo allegato)

VI. Discussione della mozione n. 118, a firma De Cristofaro ed altri, sull'attuazione delle norme in materia di autonomia differenziata (testo allegato)

VII. Discussione della mozione n. 119, a firma Boccia ed altri, sull'aumento dei prezzi dei beni essenziali e dell'energia (testo allegato)

VIII. Discussione della mozione n. 120, a firma Cattaneo ed altri, sui programmi di finanziamento pubblico alla ricerca (testo allegato)

IX. Discussione della mozione n. 121, a firma Paroli ed altri, sul sostegno agli investimenti nel settore idroelettrico (testo allegato)


MOZIONE SULL'OPERATIVITÀ DELLA PIATTAFORMA UNICA NAZIONALE INFORMATICA DEI CONTRASSEGNI PER I DISABILI

(1-00029) (28 febbraio 2023)

AMBROGIO, GUIDI, MALAN, SPERANZON, SALLEMI, ZEDDA, IANNONE - Il Senato,

premesso che:

per semplificare la mobilità delle persone con disabilità munite di Contrassegno unificato disabili europeo (CUDE) in tutto il territorio nazionale, il decreto del ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili del 5 luglio 2021 ha istituito, in attuazione dell'art. 1, comma 489, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, nell'Archivio nazionale dei veicoli, la "Piattaforma unica nazionale informatica dei contrassegni unici";

la Piattaforma ha la finalità di agevolare la mobilità delle persone titolari del contrassegno in tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento alla circolazione stradale nelle zone a traffico limitato e nelle particolari strade o corsie preferenziali dove vigono divieti e limitazioni, permettendo a coloro che devono spostarsi da un comune all'altro di non comunicare più l'ingresso nelle aree a traffico limitato situate in comuni diversi da quello di residenza;

l'inserimento dei dati e l'aggiornamento della piattaforma sono demandati agli uffici comunali preposti al rilascio dei CUDE e il Centro elaborazione dati istituito presso la Direzione generale per la motorizzazione del Ministero all'esito della procedura di inserimento dei dati genera il codice univoco;

considerato che:

al 1° gennaio 2023 i Comuni italiani sono 7.901, e nella fase di sperimentazione, iniziata il 23 maggio 2022 e conclusasi ad ottobre dello stesso anno, 16 Comuni avevano aderito all'iniziativa, rilasciando 180 codici univoci, e alla data del 31 dicembre 2022 risultavano 24 i Comuni aderenti (Verona, Peschiera del Garda, Isola della Scala, Fumane, Vittorio Veneto, Salgareda, San Fior, Torrebelvicino, Grisignano di Zocco, Ceggia, Alpago, Paese, Occhiobello, Jesolo, Milano, Livorno, Lissone, Villacidro, Urbino, Martina Franca, Carignano, Bollengo, Cinisello Balsamo e Udine);

evidenziato che:

al momento la regolamentazione e la gestione di accesso a ZTL e centri storici per i titolari del contrassegno sono demandate alle amministrazioni comunali, creando così un contesto operativo eterogeneo e frammentato che, il più delle volte, limita la libertà di circolazione delle persone con disabilità nei contesti urbani;

constatato che è necessario che la finalità della Piattaforma sia attuata rapidamente in tutto il territorio nazionale,

impegna il Governo a superare la fase sperimentale della Piattaforma, rendendo obbligatoria l'adesione alla stessa da parte di tutti i Comuni italiani che abbiano zone a traffico limitato e delle Città Metropolitane, e a garantire un cronoprogramma attuativo che permetta l'operatività su scala nazionale della Piattaforma in tempi certi e, comunque, entro il 31 dicembre 2023.


MOZIONE SUL RICONOSCIMENTO ITALIANO E INTERNAZIONALE DELLO STATO DI PALESTINA

(1-00083) (testo 2) (23 gennaio 2025)

MAIORINO, PATUANELLI, MARTON, LICHERI Ettore Antonio, ALOISIO, BEVILACQUA, BILOTTI, CASTELLONE, CATALDI, CROATTI, DAMANTE, DI GIROLAMO, FLORIDIA Barbara, GAUDIANO, GUIDOLIN, LICHERI Sabrina, LOPREIATO, LOREFICE, MAZZELLA, NATURALE, NAVE, PIRONDINI, PIRRO, SCARPINATO, SIRONI, TURCO - Il Senato,

premesso che:

i popoli israeliano e palestinese hanno diritto alla pace e alla sicurezza e ciò può essere garantito solo attraverso una forte azione da parte della comunità internazionale, che porti ad una pace giusta e duratura basata sul rispetto del diritto internazionale e la piena applicazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. In particolare, il popolo palestinese attende il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte della comunità internazionale dal 1948;

l'attacco terroristico di Hamas verso Israele del 7 ottobre 2023 ha riacceso il conflitto tra i due popoli, con una lunga storia di ostilità e guerre. La crisi che ne è derivata, oltre ad essere probabilmente la più grave mai verificatasi in terra mediorientale, è scaturita da una situazione radicata e probabilmente sottovalutata dalla politica internazionale. Le condizioni umanitarie nella "Striscia di Gaza", con il passare dei mesi, sono diventate sempre più drammatiche, in particolare per il numero significativo di bambini e civili coinvolti. Il bilancio di vittime e feriti è aumentato costantemente superando a inizio anno le 45.800 vittime. Tutto questo nonostante il fatto che il 27 ottobre 2023 l'Assemblea generale dell'ONU avesse adottato una risoluzione avanzata dalla Giordania sul conflitto tra Israele e Hamas. La risoluzione era stata approvata con 120 voti a favore, 14 contrari e 45 astensioni, tra cui quella dell'Italia, ma non ha fermato il conflitto;

a gennaio 2024 si è riunito il Consiglio Affari esteri dell'Unione europea proprio per discutere su questi temi, anche con riferimento all'obiettivo del riconoscimento di due Stati per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese;

il 19 gennaio 2025, dopo quindici mesi di combattimenti, Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo di cessate il fuoco che comporta il rilascio degli ostaggi ancora prigionieri e di detenuti palestinesi, la fine dei bombardamenti e un importante afflusso di aiuti nella Striscia di Gaza;

considerato che:

prima del riaccendersi del conflitto, il processo di pace avviato dagli accordi di Oslo del 1993-1995 si era, di fatto, arrestato con l'uccisione di uno dei firmatari degli accordi stessi: il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, assassinato nel novembre 1995 da estremisti sionisti contrari allo smantellamento delle colonie e alla costituzione dello Stato di Palestina. Da quel momento gli insediamenti di israeliani sui già scarsi territori palestinesi si sono moltiplicati a dispetto degli impegni sottoscritti e in contrasto con i principi del diritto internazionale. Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania avvenuti successivamente all'occupazione del 1967 sono frutto di un lungo processo di colonizzazione condannato dalle Nazioni Unite e ritenuto illegale secondo il diritto internazionale umanitario;

la IV convenzione di Ginevra del 1949, all'ultimo periodo dell'articolo 49, dispone: "La Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato". A questo si erano aggiunte la detenzione arbitraria di migliaia di palestinesi (tra i quali Marwan Barghouti, il "Mandela palestinese", uno degli estensori degli accordi di Oslo), l'umiliazione a cui sono stati costretti i palestinesi nei continui checkpoint dei militari israeliani, e il proseguimento di esecuzioni extragiudiziali e punizioni collettive (distruzione di case per rappresaglia). Negli anni alcune scelte del Governo israeliano, quali il trasferimento di parte della propria popolazione nei territori occupati, la costante presenza di checkpoint presidiati da militari israeliani e il mantenimento di condizioni di vita difficilissime per la popolazione palestinese, hanno rafforzato e non indebolito le posizioni fondamentaliste religiose, finendo per favorire l'ascesa dei terroristi di Hamas a discapito di altre formazioni laiche, fino agli ultimi drammatici sviluppi;

il 29 novembre 2012 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato a larga maggioranza, e con il voto favorevole dell'Italia, la risoluzione n. 67/19 per la concessione dello status di osservatore permanente allo Stato di Palestina ("non-member observer State status"), conferendo allo Stato palestinese uno status equivalente, in seno all'ONU, a quello dello Stato della Città del Vaticano. La risoluzione n. 67/19, riaffermando il diritto della popolazione palestinese all'autodeterminazione, ha rappresentato un importante passo verso il riconoscimento dei diritti fondamentali dei palestinesi. Il 17 dicembre 2014 il Parlamento europeo ha approvato, con 498 voti favorevoli, 88 contrari e 111 astenuti, la risoluzione n. 2014/2964 che "sostiene in linea di principio il riconoscimento dello Stato palestinese e la soluzione a due Stati, e ritiene che ciò debba andare di pari passo con lo sviluppo dei colloqui di pace", che occorre far avanzare;

il 23 dicembre 2016 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione n. 2334/2016 con 14 voti favorevoli su 15 e un astenuto: gli Stati Uniti d'America, che non hanno, quindi, esercitato il potere di veto che spetta loro in quanto membri permanenti del Consiglio. Il preambolo della risoluzione, sottolineando l'insostenibilità dello status quo, esprime grave preoccupazione in relazione al fatto che le continue attività di insediamento da parte israeliana stessero mettendo in pericolo la percorribilità della soluzione dei due Stati basata sui confini del 1967. Inoltre, si condannano il trasferimento di popolazione israeliana nelle colonie, la confisca delle terre dei palestinesi, la demolizione delle loro abitazioni e lo sfollamento degli occupanti in tutto il territorio occupato, che avvengono in flagrante violazione del diritto internazionale umanitario e delle rilevanti risoluzioni delle Nazioni Unite. Nella sezione dispositiva, la risoluzione condanna esplicitamente la costituzione delle colonie israeliane nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme est, come attività priva di validità legale, reiterando la richiesta di cessare tali attività e sottolineando che il Consiglio non riconoscerà alcun cambiamento dei confini del 4 giugno 1967 se non diversamente concordato dalle parti. Infine, chiede alle parti interessate di prendere provvedimenti per prevenire gli atti di violenza contro i civili, inclusi gli atti di terrorismo, gli atti provocatori o di incitamento anche al fine di favorire la distensione della situazione;

il 4 dicembre 2024 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato, con 157 voti a favore, otto contrari e sette astensioni, una risoluzione volta a convocare la "Conferenza internazionale di alto livello per la soluzione pacifica della questione palestinese e l'attuazione della soluzione dei due Stati", che si terrà nel giugno 2025 a New York, co-presieduta da Francia e Arabia Saudita, e a ribadire l'appello per una pace "globale, giusta e duratura" in Medio Oriente. Inoltre, nella medesima risoluzione si invita Israele a "cessare immediatamente e completamente ogni forma di violenza, compresi gli attacchi militari, le distruzioni e gli atti di terrore" e le "nuove attività di insediamento" nei territori palestinesi occupati, ad evacuare tutti i coloni e a porre fine alle "loro azioni illegali". Inoltre, ricorda che lo Stato ebraico, in quanto potenza occupante, deve rispettare gli obblighi descritti nel parere consultivo della Corte internazionale di giustizia;

considerato, altresì, che:

numerosi Paesi hanno già riconosciuto lo Stato di Palestina nei confini del 1967, secondo quanto previsto dalle citate risoluzioni delle Nazioni Unite, con Gerusalemme est quale sua capitale. Di grande significato per l'Italia è il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di diversi membri dell'Unione europea e recentemente altri si sono detti pronti a farlo. Questo dovrebbe stimolare il Governo di Israele a ripensare la politica delle colonie e a favorire la ripresa del processo di pace;

il conflitto tra Israele e Palestina può essere risolto solo con la soluzione a due Stati, negoziata secondo i dettami del diritto internazionale, e una soluzione a due Stati richiede il riconoscimento reciproco e la volontà di una convivenza pacifica; è urgente pertanto che la comunità internazionale adotti nuove iniziative per contribuire al rispetto del diritto internazionale e delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite;

il Ministro degli affari esteri italiano, nella sua visita del 20 gennaio 2025 tra Gerusalemme, Tel Aviv e Ramallah, ha dichiarato: "Noi vorremmo che finita la guerra si potesse procedere dove eravamo rimasti il 6 di ottobre e si ripartisse con gli accordi di Abramo per poter finalmente dare stabilità a questa area, con una soluzione due popoli e due stati, per dare a Israele e Palestina mutuo riconoscimento";

la Presidente del Consiglio dei ministri, al vertice de Il Cairo per la pace del 21 ottobre 2023 ha dichiarato: "il Popolo Palestinese deve avere il diritto a essere una Nazione che si governa da sé, in libertà, accanto a uno Stato di Israele al quale deve essere pienamente riconosciuto il diritto all'esistenza e il diritto alla sicurezza. Su questo l'Italia è pronta a fare assolutamente tutto ciò che è necessario". Il premier israeliano Netanyahu ha tuttavia dichiarato: "Finché sarò premier, nessuno stato palestinese" e ha aggiunto: "Come premier di Israele sostengo questa posizione con determinazione anche di fronte a pressioni enormi internazionali e interne. È stata questa mia ostinazione a impedire per anni uno Stato palestinese che avrebbe costituito un pericolo esistenziale per Israele. Finché sarò primo ministro, questa sarà la mia posizione";

il riconoscimento dello Stato di Palestina, così come è stato riconosciuto lo Stato di Israele, potrebbe imprimere una svolta positiva al necessario negoziato tra le parti per giungere a una soluzione e garantire la coesistenza nella libertà, nella pace e nella democrazia dei due popoli;

l'atroce eccidio compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023 non può trovare alcuna giustificazione e il diritto all'esistenza di Israele e a tutelare la sicurezza dei propri cittadini non può essere messo in discussione;

era sin da subito evidente, altresì, il rischio che la reazione del Governo israeliano potesse trasformarsi in una rappresaglia indiscriminata con piena "licenza di uccidere", in spregio a qualsiasi regola del diritto internazionale umanitario. Esiste un'unica strada, è la stessa da mesi: voce e azioni forti contro la carneficina a Gaza; impegno di tutti per la soluzione due popoli e due Stati per Israele e Palestina,

impegna il Governo:

1) a riconoscere pienamente e formalmente lo Stato di Palestina nei confini del 1967 secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite;

2) a proporre e sostenere, in tutte le sedi internazionali idonee, l'adozione di un atto analogo da parte di tutti i Paesi membri dell'Unione europea, da intendersi come fondamentale contributo per il riavvio del processo e del negoziato di pace e come elemento ineludibile nell'ambito della lotta al terrorismo di stampo fondamentalista.


MOZIONE SU INIZIATIVE VOLTE A SOSTENERE IL PROCESSO DI PACIFICAZIONE TRA ARMENIA E AZERBAIJAN

(1-00097) (13 giugno 2024)

SCALFAROTTO, CRAXI, CASINI, ALFIERI, DREOSTO, MARTON, DE CRISTOFARO, LOMBARDO, SPAGNOLLI, ROJC, LA MARCA, MARTELLA, MUSOLINO, DELRIO, FURLAN, BAZOLI, BORGHI Enrico, FREGOLENT, PAITA, PATTON, GIACOBBE, ZAMBITO, FINA, MELONI, CAMUSSO, VERDUCCI, MAGNI, CUCCHI, FLORIDIA Aurora, SBROLLINI, NICITA, GIORGIS, VALENTE, FRANCESCHINI, MISIANI, VERINI, RANDO, MENIA, D'ELIA, ROSSOMANDO, MALPEZZI, SENSI, TAJANI, UNTERBERGER, MANCA, BOCCIA, LORENZIN, CASTELLONE, PATUANELLI, LOPREIATO, CROATTI, NAVE, FLORIDIA Barbara, ALOISIO, CASTIELLO, IRTO, DURNWALDER, CRISANTI, SIRONI, LOREFICE, DI GIROLAMO, BEVILACQUA, DAMANTE, PIRRO, GUIDOLIN, MAZZELLA, BASSO, CATALDI, NATURALE, LICHERI Ettore Antonio, PIRONDINI, BILOTTI - Il Senato,

premesso che:

il Nagorno-Karabakh è una regione del Caucaso meridionale al confine tra Armenia e Azerbaijan, al centro di un prolungato conflitto tra i due Paesi, iniziato, in un primo periodo, dal 1988 al 1994, e successivamente riaccesosi a settembre 2020, con una forte intensificazione nel novembre 2023;

lo scorso aprile, i Governi dell'Armenia e dell'Azerbaijan hanno raggiunto un accordo che prevede il ritiro dell'Armenia da quattro cittadine azere (Baghanis Ayrum, Asagi Eskipara, Xeyrimli e Qizilhacili) situate nella regione di Gazakh, controllate militarmente dalla parte armena sin dalla dissoluzione dell'Unione sovietica negli anni '90;

il controllo dei territori contesi e il riconoscimento reciproco dei confini sono tra i principali ostacoli al raggiungimento di un accordo di pace permanente tra Armenia e Azerbaijan: per tali ragioni l'accordo dello scorso aprile segna un significativo avanzamento sulla via della risoluzione diplomatica del conflitto;

i colloqui di pace non si limitano solo a questioni geografiche, ma riguardano anche la liberazione di alcuni prigionieri tratti in arresto durante gli ultimi scontri: uno di questi, l'ex funzionario armeno Ruben Vardanyan, avrebbe anche condotto uno sciopero della fame per diverse settimane in attesa del processo da parte della giustizia azera;

lo scorso settembre, a margine della settimana di alto livello della 78a Assemblea generale delle Nazioni Unite, il Ministro italiano degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Antonio Tajani, ha incontrato a New York gli omologhi dell'Azerbaijan e dell'Armenia: l'azione diplomatica italiana, da sempre indirizzata a sostenere la pacificazione e la stabilizzazione della regione del Nagorno-Karabakh, si è concentrata sulla richiesta di cessazione delle azioni militari e di avvio di un percorso verso una soluzione diplomatica del conflitto;

una più ambiziosa azione dell'Italia verso la normalizzazione dei rapporti appare fondamentale per rafforzare i rapporti bilaterali con l'Azerbaijan e con l'Armenia, al fine di far crescere ulteriormente il partenariato economico del nostro Paese con la regione caucasica e cooperare verso linee di sviluppo comuni che possano tradursi, nel medio-lungo periodo, in una ricomposizione di ogni profilo di controversia tra i due Paesi;

gli scontri militari nella regione avvenuti a partire dal 19 settembre 2023 hanno causato 200 morti, tra cui 10 civili, e 400 feriti tra gli armeni residenti nell'area, mentre dal lato azero si sono registrate 192 vittime, tra cui un civile, e 511 feriti;

l'instabilità della regione ha trasformato 120.000 persone in profughi in fuga dai conflitti in corso, costringendoli a muoversi verso gli Stati contigui: una situazione che mette a repentaglio l'incolumità e la sicurezza di civili inermi e che rischia di ingenerare ulteriori tensioni nella regione;

la stabilità politica e la pace tra i due Paesi rappresentano obiettivi indispensabili per garantire alla regione condizioni di prosperità e prospettive di sviluppo, mettendola al riparo da eventuali ingerenze che possano derivare da un contesto internazionale fortemente condizionato da tensione e conflitti;

una lettura sistematica dell'articolo 11 della nostra Costituzione impone all'Italia di indirizzare la propria politica estera e i propri sforzi diplomatici verso "la pace e la giustizia fra le Nazioni" e la normalizzazione dei rapporti tra Armenia e Azerbaijan rappresenta una priorità ineludibile anche alla luce degli stretti legami di amicizia che contraddistinguono, storicamente, i nostri popoli,

impegna il Governo:

1) a promuovere azioni diplomatiche volte ad agevolare e supportare attivamente il processo di ricomposizione dei conflitti e il superamento delle controversie territoriali, commerciali ed economiche tra Armenia e Azerbaijan;

2) a rafforzare il proprio impegno a sollecitare i due Paesi ad abbandonare il ricorso all'uso della forza e a tornare a un confronto diplomatico pacifico, costruttivo, aperto e che ponga al centro della propria azione l'interesse delle proprie popolazioni;

3) a sostenere concretamente il dialogo tra i due Paesi, mediando e rendendo l'Italia parte attiva di un processo di normalizzazione e pacificazione della regione che rinunci all'uso della forza, garantisca l'incolumità dei cittadini e assicuri il rispetto della dignità dei prigionieri e i loro diritti;

4) ad adottare iniziative economiche volte a realizzare una più intensa cooperazione economica con l'Armenia e l'Azerbaijan, condizionata alla normalizzazione dei rapporti e alimentata da sostegni, incentivi e opportunità di sviluppo che possano fungere da "spinta gentile" verso un percorso di pace che ambisca a far superare definitivamente ogni distanza tra i due Paesi, al fine di promuovere la crescita del benessere economico e sociale della regione e delle popolazioni interessate.


MOZIONE SUI REATI DI VIOLENZA SESSUALE COMMESSI CON L'AUSILIO DI SOSTANZE STUPEFACENTI

(1-00109) (19 novembre 2024)

PUCCIARELLI, STEFANI, ROMEO, GASPARRI, BIANCOFIORE, RONZULLI, CANTÙ, MURELLI, BERGESIO, BIZZOTTO, CANTALAMESSA, PIROVANO, POTENTI, SPELGATTI, TESTOR, TOSATO, TERNULLO, CAMPIONE, BONGIORNO, GARAVAGLIA, PELLEGRINO, ZANETTIN, ZULLO, SATTA, MANCINI, LEONARDI, BERRINO, SILVESTRO - Il Senato,

premesso che:

la violenza sessuale sulle donne è purtroppo un tema di attualità, considerato che da dati rinvenibili dal sito del Ministero dell'interno le violenze sessuali da gennaio a giugno 2024 sono state pari a 2.923, di cui il 91 per cento a danno di donne;

negli ultimi 10 anni è stata introdotta, attraverso molteplici disposizioni di legge, una normativa di settore con la finalità dell'eliminazione della violenza sulle donne;

già a far data dalla direttiva europea sulle norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato (direttiva 2012/29/UE, recepita con il decreto legislativo n. 212 del 2015) nonché dalla Convenzione di Istanbul, sono stati delineati a livello internazionale gli impegni a carico degli Stati membri in ordine alla protezione delle persone offese, tra le quali, in particolare, le donne vittime di violenza di genere;

in considerazione della spinta comunitaria e internazionale, in Italia sono state promulgate specifiche norme a tutela delle donne, come il "codice rosso", contenente una modifica delle norme e l'inasprimento delle pene previste nel diritto penale sostanziale e processuale penale a tutela di chiunque sia offeso da violenze, atti persecutori e maltrattamenti;

di tal guisa è stata approvata la legge n. 168 del 2023, recante "Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica", con la quale il Parlamento italiano è intervenuto per rafforzare le misure preventive e cautelari, nonché in materia processuale al fine di dare una maggiore tutela alle donne vittime di violenza domestica;

ancora, per le medesime finalità, la legge n. 122 del 2023 è intervenuta per esplicitare la revocazione dell'assegnazione delle indagini in caso di mancato rispetto dei termini per l'assunzione di informazioni dalla persona offesa nei reati di cui al codice rosso;

i dati riportati non forniscono, comunque, una rappresentazione totale del fenomeno, stanti le difficoltà per molte vittime di violenze di attivarsi e di denunciare i fatti per la vergogna e per la paura di ritorsioni;

alla già pesante condizione fisica e psicologica cui è soggetta la persona vittima di una violenza sessuale, si aggiunge poi il pericolo della "vittimizzazione secondaria" della persona sia nella fase processuale sia, più in generale, all'interno della società;

le complessità relative alle attuali dinamiche sociali, dovute anche alla diffusione dilagante dell'utilizzo di sostanze psicoattive, ha fatto recentemente emergere un fenomeno, forse meno conosciuto ma molto insidioso, correlato all'aggressione sessuale facilitata da droghe (DFSA), dove la costrizione ad atti sessuali non consensuali è favorita dalla notevole riduzione o addirittura dalla completa perdita di coscienza, causate dalla somministrazione, occulta, non dichiarata, o anche mediante assunzione volontaria, di sostanze ad effetto neurodepressivo;

alle sostanze illegali classiche (droghe di abuso) si sono aggiunte, note come "droghe da stupro" altre sostanze psicoattive fra cui anfetamine, metanfetamine, nonbenzodiazepine, γ-idrossibutirrato (GHB), γ-butyrolactone (GBL), che possono agire come depressori del sistema nervoso centrale;

gli effetti farmacologici che ne derivano possono includere rilassamento, euforia, mancanza di inibizione, amnesia, alterazione della percezione, difficoltà a mantenere l'equilibrio, alterazione del linguaggio, sonnolenza, perdita della funzione motoria, vomito, incontinenza, perdita di coscienza, che possono portare anche fino alla morte;

la lotta contro la droga definita "da stupro" presenta delle insidiosità anche per la difficile rilevabilità biologica, in ragione dell'estrema velocità di metabolizzazione e smaltimento da parte dell'organismo umano, così da renderla difficilmente rilevabile nel tempo. Questo dato evidenzia l'importanza della celerità nella denuncia dell'accaduto e della previsione di strumenti diagnostici che siano in grado di rilevare le sostanze a distanza di tempo;

la somministrazione occultata o l'assunzione volontaria della sostanza incidono sull'elemento chiave che determina la consumazione del reato di violenza sessuale, ovverosia il consenso;

le realtà dei tribunali insegnano che vi è un enorme problema relativo alla prova del reato. Invero, i protagonisti dell'episodio sono spesso soltanto l'aggressore o gli aggressori e l'aggredito o aggredita;

la prova del reato muove principalmente attorno all'esistenza di un dissenso o di un mancato consenso e, in aggiunta, all'attendibilità della testimonianza della vittima, che spesso, proprio a causa dell'assunzione delle sostanze, non ha né il ricordo né la piena consapevolezza di ciò che è avvenuto;

il pronto soccorso ospedaliero costituisce il primo anello della catena di aiuto e rappresenta un osservatorio privilegiato per identificare ed accogliere situazioni che altrimenti rischierebbero di rimanere invisibili;

il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 novembre 2017, recante "Linee guida nazionali per le Aziende Sanitarie e Ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio sanitaria alle donne vittime di violenza", prevede oggi un percorso che fornisce un supporto psicologico e provvede ad una valutazione delle lesioni, una raccolta di dati circostanziali ed anamnestici ed una raccolta campioni di biologici per esami genetici e una raccolta campioni biologici per esami tossicologici;

di fronte a dichiarati episodi di violenza fisica, avvenuti in un tempo immediatamente precedente all'accesso al pronto soccorso, è molto importante infatti che l'intervento sanitario in emergenza tenga conto sia degli aspetti clinici che delle possibili successive implicazioni medico-legali e quindi appare di estrema rilevanza una corretta repertazione dei campioni e delle tracce biologiche e il mantenimento della catena di custodia nel caso di prelievo di matrici biologiche della vittima, rappresentando momenti cruciali al fine di assicurare elementi di prova fruibili in un successivo iter giudiziario;

le linee guida indicano livelli minimi che possono essere implementati da protocolli in uso presso le singole aziende ospedaliere nell'ambito della loro competenza. Molte aziende sanitarie del territorio nazionale hanno infatti attivato un protocollo designato come "codice rosa";

al fine di garantire alle vittime di reato una tutela reale, è necessario adottare delle procedure e degli standard nazionali o internazionali che facilitino il rilevamento e l'identificazione delle sostanze anche non inserite oggi nelle tabelle delle "date rape drugs", la cui somministrazione può essere fatta comunque rientrare nella fattispecie della violenza sessuale facilitata dalla droga (DFSA);

a tal fine è fondamentale partire dalla disamina delle procedure attualmente in uso al fine di fornire dati necessari alla predisposizione di un'eventuale nuova procedura operativa, che preveda anche nuove tipologie di analisi per l'identificazione delle sostanze e l'aggiornamento delle tabelle attualmente esistenti che contemplano le sostanze che possono essere utilizzate sia nei drug facilitated crimes, sia nei drug facilitated sexual assault. È prioritaria, invero, la determinazione e l'identificazione delle sostanze d'abuso, nelle matrici biologiche della vittima: sangue, urina e, in particolar modo, nella matrice cheratinica (esame del capello). Quest'ultima è fondamentale qualora un'aggressione venga denunciata in maniera tardiva e contribuisce a fornire giudizi medico-legali appropriati nei casi di indagini relative alle vittime di violenza droga correlata;

si rinviene la necessità di realizzare un progetto diretto ad individuare una procedura operativa omogenea utilizzando e armonizzando i protocolli operativi esistenti e già predisposti dalle singole strutture ospedaliere, con riguardo particolare ai casi di aggressione sessuale facilitata da sostanze psicoattive;

il percorso da delineare dovrà essere, inoltre, volto alla massima tutela della privacy delle vittime, a tal fine è fondamentale prevedere una dettagliata e capillare organizzazione degli operatori sanitari impiegati e chiari protocolli a garanzia delle indagini medico-legali;

nel progetto, quindi, dovrà necessariamente essere prevista la modalità di prelievo e custodia del materiale biologico, anche in ordine alle tempistiche relative all'opportuna conservazione, con la confluenza dei dati in un database specifico detenuto a livello centrale presso il Ministero della salute o presso l'Istituto superiore di sanità. Per attuare il monitoraggio, dovranno essere individuati degli ospedali campione, che su base volontaria e con conforme trattamento del consenso, forniranno i campioni biologici in catena di custodia,

impegna il Governo:

1) a prevedere e sostenere delle iniziative nell'ambito di campagne di sensibilizzazione avverso l'uso di sostanze stupefacenti, psicotrope o comunque sostanze atte ad alterare la coscienza, volte ad evidenziare altresì i pericoli insiti all'uso delle suddette sostanze con riguardo ad eventi di violenza sessuale;

2) a prevedere e sostenere iniziative formative e didattiche nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado volte a disincentivare l'uso degli stupefacenti, con un focus sulle droghe e sostanze che facilitano le violenze di natura sessuale;

3) ad adottare gli atti necessari per la formazione di un tavolo tecnico permanente che elabori le procedure standard, le linee guida e le raccomandazioni per contrastare il fenomeno, che tenga conto della rapida introduzione di nuove tipologie di sostanze psicoattive sul mercato, al fine di consentire l'individuazione delle tipologie di prelievi dei campioni biologici a seconda della tipologia di aggressione, nonché le modalità di prelievo sulle diverse matrici, e la conservazione del materiale biologico in catena di custodia;

4) ad emanare gli atti necessari per identificare in ciascuna regione dei precipui laboratori che si occupino di tossicologia forense di secondo livello e che implementino le strumentazioni necessarie alla determinazione delle sostanze d'abuso nelle matrici biologiche nei casi di vittime di violenza droga correlata;

5) a varare i necessari ed opportuni provvedimenti per la formazione di un database a livello regionale e nazionale, dove vengano raccolti e conservati, per un adeguato lasso temporale, i dati di provenienza sanitaria e forense relativi ai casi di violenza sessuale.

MOZIONE SUI RINCARI DEL PREZZO DELL'ENERGIA ELETTRICA

(1-00117) (21 gennaio 2025)

CALENDA, LOMBARDO, PATTON, SPAGNOLLI, CASINI - Il Senato,

premesso che:

i prezzi medi dell'energia elettrica in borsa in Italia nel 2024 sono stati i più alti dell'Unione europea: il doppio della Francia, il 70 per cento in più della Spagna e il 30 per cento in più della Germania;

al prezzo di borsa dell'energia si aggiungono in bolletta altri oneri, tanto maggiori quanto maggiore è il peso delle fonti intermittenti nel mix elettrico;

l'Italia non è solo il Paese della UE in cui l'energia elettrica costa più cara, ma è anche quello che ne importa di più, 52 terawattora, pari al 17 per cento del fabbisogno e quasi il doppio della Germania, che è il secondo importatore della UE;

il prezzo dell'energia elettrica incide sui bilanci delle famiglie e delle imprese in modo determinante e, per la natura del mercato elettrico e per il ruolo che vi svolge il gas, è particolarmente sensibile anche all'instabilità del contesto geopolitico;

tutto ciò impone, nel medio-lungo periodo, una sfida relativa alla composizione del mix elettrico nazionale, ma esige nell'immediato misure volte a contenere il costo della bolletta elettrica per le imprese, che costituisce uno dei fattori più gravi di deindustrializzazione e perdita di competitività economica;

la misura più utile, nell'immediato, è rappresentata dal disaccoppiamento del prezzo dell'energia elettrica da fonti rinnovabili da quello di borsa, che nel 2024 in Italia è stato fissato dal gas per il 65 per cento delle ore;

le quotazioni del prezzo del gas attese per il 2025 sono tra 45 e 50 euro a megawattora; mentre il prezzo dei diritti di emissione (ETS) dovrebbe attestarsi intorno a 75-80 euro per tonnellata di anidride carbonica; il risultato è che l'energia elettrica prodotta a gas nel 2025 dovrebbe costare intorno a 135 euro per megawattora (due volte e mezza il prezzo medio 2011-2020, pari a 57 euro a megawattora);

il disaccoppiamento può essere realizzato senza necessariamente creare due mercati paralleli, secondo lo schema stabilito durante il Governo Draghi con l'art. 15-bis del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (detto "sostegni ter"), che introduceva un meccanismo di remunerazione a due vie per tutti gli impianti rinnovabili di taglia superiore a 20 chilowatt;

in base a detto meccanismo veniva fissato un "prezzo equo" di riferimento per le diverse zone di mercato, la cui media era dell'ordine di 57 euro a megawattora; gli operatori cedevano l'elettricità in borsa al prezzo di mercato, ma dovevano trasferire al GSE quanto incassato in più rispetto al prezzo equo; con le risorse così ricavate il GSE ristorava i consumatori per gli ingenti esborsi dovuti al prezzo del gas, che aveva raggiunto livelli mai visti (sino a 300 euro per megawattora). Gli effetti di questa misura sono cessati a giugno 2023;

con riferimento alla produzione 2024, l'energia elettrica cui applicare il prezzo equo ammonta a circa 100 terawattora; indicizzando per l'inflazione il prezzo equo definito nel 2022, il valore medio sarebbe pari a circa 64 euro per megawattora(anziché 57) e la misura assicurerebbe una riserva presso il GSE, data dalla differenza tra il prezzo di mercato, stimato a 135 euro per megawattora, e prezzo equo, pari a circa 7 miliardi di euro; al GSE andrebbe consentito di cedere l'energia prelevata al prezzo equo attraverso contratti pluriennali di lungo periodo, in modo che ne possano beneficiare consumatori industriali energivori o comunque penalizzati dal caro energia, come ad esempio il settore automotive;

il principio del prezzo equo dovrebbe essere reintrodotto in via stabile e potrebbe essere accompagnato da un incremento della quota delle entrate delle aste ETS destinata alle imprese energivore e da una liberalizzazione delle installazioni di impianti fotovoltaici su coperture per autoconsumo,

impegna il Governo a predisporre le modifiche normative finalizzate:

a) a reintrodurre e stabilizzare il meccanismo di cui all'articolo art. 15-bis del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, fissando un "prezzo equo" per ogni zona di mercato, pari a quello indicato dal suddetto decreto, indicizzato per l'inflazione e potenziare il ruolo del GSE consentendogli di cedere l'energia prelevata al prezzo equo attraverso contratti pluriennali di lungo periodo;

b) a vincolare al prezzo equo di cui alla lettera a) il rinnovo delle concessioni idroelettriche e geotermiche;

c) ad incrementare la quota di entrate dalle aste ETS, destinata alle imprese energivore soggette a carbon leakage, oggi pari a 600 milioni di euro all'anno a fronte di entrate totali di circa 3,5 miliardi di euro all'anno;

d) a liberalizzare le installazioni di impianti fotovoltaici su coperture per autoconsumo.


MOZIONE SULL'ATTUAZIONE DELLE NORME IN MATERIA DI AUTONOMIA DIFFERENZIATA

(1-00118) (21 gennaio 2025)

DE CRISTOFARO, CUCCHI, FLORIDIA Aurora, MAGNI, CAMUSSO - Il Senato,

premesso che:

con il dichiarato intento di dare attuazione al disposto del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, come riformulato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, il 23 marzo 2023 il Governo ha presentato al Senato il disegno di legge AS 615, recante "Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione" (disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica, ai sensi dell'articolo 126-bis del Regolamento), approvato dal Senato in data 23 gennaio 2024;

il medesimo testo, assunta la numerazione AC 1665, è stato approvato definitivamente dalla Camera dei deputati in data 19 giugno 2024, firmato dal Presidente della Repubblica e divenuto legge n. 86 del 2024, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 28 giugno 2024, entrata in vigore il 13 luglio 2024;

l'Esecutivo ha impostato l'attuazione del regionalismo differenziato su due distinti piani: il primo concernente il procedimento di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) riguardanti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e il secondo relativo alla presentazione al Parlamento di un disegno di legge per l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione;

all'art. 3 la legge delega il Governo a adottare, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore, uno o più decreti legislativi per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie previste dalla Carta costituzionale riformata nel 2001, tra cui i diritti sociali. La norma di delega demanda ai decreti attuativi, inoltre, la determinazione delle procedure e delle modalità operative per il monitoraggio dell'effettiva garanzia in ciascuna Regione dell'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni. La stessa disposizione prevede, altresì, che i LEP, tra cui quelli in campo sociale (LEPS), siano periodicamente aggiornati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sui cui relativi schemi sono acquisiti i pareri della Conferenza unificata, nonché delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari. Nelle more dell'entrata in vigore di questi decreti legislativi, si prevede che continuino ad applicarsi, ai fini della determinazione dei LEP nelle materie suscettibili di autonomia differenziata, le disposizioni previste dalla legge di bilancio per il 2023 (articolo 1, commi da 791 a 801-bis). A tal proposito, per la concreta determinazione dei LEP, la legge di bilancio per il 2023 ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, una cabina di regia, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri e costituita dai Ministri coinvolti nel percorso di realizzazione di tali livelli per i profili di competenza, dai Ministri competenti nelle materie volta per volta chiamate in causa, dai presidenti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dell'Unione delle Province italiane e dell'Associazione nazionale dei Comuni italiani. A supporto della stessa, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2023 ha istituito il Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (detto CLEP), incaricato di fornire supporto alla cabina di regia per le esigenze di studio e approfondimento tecnico delle questioni relative all'attività volta alla determinazione dei LEP;

in precedenza, il 28 febbraio 2018, sono stati sottoscritti con le tre Regioni (Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna) che avevano avviato il percorso per il riconoscimento delle forme di autonomia, tre distinti accordi preliminari che hanno individuato i principi generali, la metodologia e un primo elenco di materie in vista della definizione dell'intesa; in seguito tutte e tre le Regioni con le quali erano state stipulate le cosiddette preintese hanno manifestato al Governo l'intenzione di ampliare il novero delle materie da trasferire: nel dettaglio è stata richiesta la devoluzione rispettivamente di 20, 23 e 16 materie tra quelle indicate nell'art. 117 della Costituzione, tutte di interesse anche nazionale;

da anni sul tema dell'autonomia differenziata si svolge un ampio dibattito, intensificatosi in seguito alla presentazione del disegno di legge al Parlamento. In particolare, prese di posizione di netta contrarietà sono state espresse da realtà sociali, sindacati, associazioni di base nonché da numerose Regioni ed enti locali attraverso atti di indirizzo e di impegno al Governo, a testimonianza dello stato d'allarme e di preoccupazione presente in larga parte della società italiana per le ricadute pregiudizievoli che il disegno di legge governativo presentato, se approvato, rischia oggi di innescare sull'uniformità dei diritti, sull'unità giuridica ed economica della Repubblica, sulla coesione sociale del Paese;

le maggiori criticità riguardano in primo luogo il ruolo del Parlamento, come delineato dal disegno di legge in esame in 1a Commissione, che viene esautorato di fatto e ridotto a mero organo di ratifica delle intese raggiunte tra Governo e Regioni; la mancata gradualità nei tempi e nei contenuti del processo di differenziazione, la mancata delimitazione del perimetro di funzioni differenziabili nell'ambito del novero delle materie incluse fra quelle di cui sarebbe consentito trasferire poteri e risorse alle Regioni richiedenti: tra tutte, in particolare, a destare perplessità sono l'istruzione, la sanità, la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali, la protezione civile, la tutela e la sicurezza sul lavoro;

inoltre, in relazione ai profili finanziari, pur avendo genericamente preordinato alla determinazione dei LEP la sottoscrizione delle intese, il disegno di legge sceglie di adottare il criterio della spesa storica: l'articolo 8 in particolare impone l'invarianza finanziaria per il finanziamento dei LEP. Questo significa in sostanza sancire la cristallizzazione delle differenze fra Regioni: sono le stesse relazioni del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri e dell'Ufficio parlamentare di bilancio a evidenziare, insieme a un lungo elenco di criticità, il conflitto tra le richieste di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna e il rispetto dei principi di eguaglianza, perequazione e solidarietà nazionale sanciti dal nuovo Titolo V della Costituzione;

con riferimento specifico alle Regioni del Mezzogiorno, a questo quadro, si aggiungono i rischi di un congelamento dei divari di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali tese alla rimozione dei divari infrastrutturali e di offerta dei servizi;

il 4 luglio 2024, il Comitato per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni istituito come organo di supporto per accompagnare la riforma ha ricevuto le dimissioni di 4 componenti: con una lettera pubblica indirizzata al Ministro per gli affari regionali e le autonomie e al presidente del comitato Sabino Cassese, gli ex presidenti della Corte costituzionale Giuliano Amato e Franco Gallo, l'ex presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno e l'ex Ministro per la funzione pubblica Franco Bassanini hanno deciso di dimettersi a causa della persistenza di criticità che comprometterebbero l'esito stesso dei lavori del comitato: la ragione principale della loro decisione sarebbe da ricercare in una contraddizione insita nel meccanismo individuato per garantire la predeterminazione di tutti i LEP relativi all'esercizio di diritti civili e sociali: essendo le risorse disponibili definite dai vincoli di bilancio, è evidente che la determinazione dei LEP richiederà una valutazione complessiva di ciò che il Paese è effettivamente in grado di finanziare, valutazione che non può essere fatta materia per materia, perché ci si troverebbe alla fine nella condizione di non poter finanziare i LEP necessari ad assicurare l'esercizio dei diritti civili e sociali nelle materie lasciate per ultime; inoltre non viene condiviso il ricorso al criterio della spesa storica, che riflette e cristallizza le disuguaglianze territoriali nel godimento dei diritti fondamentali che l'art. 117 della Costituzione mira a superare; in ultimo, si ritengono criticabili le modalità di devoluzione al sottogruppo istituito per l'individuazione dei LEP nelle materie non ricomprese nel perimetro dell'art. 116 della Costituzione: come per gli altri LEP, il risultato sarà di fare una mera opera di ricognizione di quelli già rinvenibili a legislazione vigente; sarebbe stato invece utile, a parere dei componenti dimissionari, proporre alla cabina di regia e, tramite questa, inevitabilmente alla valutazione del Parlamento con riserva di legge, i nuovi LEP necessari per assicurare effettivamente il superamento delle disuguaglianze territoriali nell'esercizio dei diritti civili e sociali: vi sono infatti materie nelle quali il legislatore non ha mai proceduto a determinare i LEP e molte altre nelle quali questa determinazione è stata finora solo parziale;

diversi illustri costituzionalisti auditi nel corso dell'esame del disegno di legge AS 615 hanno sollevato rilievi di incostituzionalità sul provvedimento, che rischia di consolidare le differenze territoriali esistenti se non di aggravarle ulteriormente, privando peraltro il Parlamento del ruolo previsto dall'articolo 117, secondo comma, della Costituzione (competenza legislativa esclusiva) e delle competenze in materia di allocazione delle risorse necessarie per garantire i diritti dei LEP in tutta l'Italia in modo uniforme; espone potenzialmente il Paese a gravi rischi, innanzitutto di tenuta sociale e finanziaria, anche per gli anni successivi, mettendone a rischio lo sviluppo unitario e potendo aggravare in maniera insostenibile il debito pubblico;

il 26 settembre 2024 sono state presentate 1.300.000 firme che chiedono il referendum abrogativo. Su di esso si pronuncerà nelle prossime ore nuovamente la Corte costituzionale;

in seguito all'entrata in vigore del provvedimento, le Regioni Puglia, Toscana, Campania e la Regione autonoma Sardegna hanno impugnato, con ricorsi iscritti, rispettivamente, ai numeri 28, 29, 31 e 30 del registro ricorsi 2024, la legge n. 86 del 2024 nella sua totalità e anche con riferimento a specifiche disposizioni innanzi alla Corte costituzionale;

con sentenza n. 194 del 14 novembre 2024, depositata il 3 dicembre 2024, pubblicata in Gazzetta Ufficiale in data 4 dicembre 2024, n. 49, la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell'intera legge sull'autonomia differenziata delle Regioni ordinarie, ma ha considerato invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo, che per ampiezza e rilevanza di fatto smantellano l'intero impianto legislativo;

secondo il collegio, l'art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l'attribuzione alle Regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana. Essa riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle Regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell'unità della Repubblica, della solidarietà tra le Regioni, dell'eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell'equilibrio di bilancio. I giudici ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell'art. 116, terzo comma, non debba corrispondere all'esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e Regioni. In questo quadro, l'autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l'efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini;

la Corte, nell'esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, ha ravvisato l'incostituzionalità dei seguenti profili della legge:

a) la possibilità che l'intesa tra lo Stato e la Regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola Regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà;

b) il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;

c) la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri a determinare l'aggiornamento dei LEP;

d) il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sino all'entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;

e) la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l'andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le Regioni inefficienti, che, dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all'esercizio delle funzioni trasferite, non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;

f) la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le Regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;

g) l'estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione alle Regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali;

la Corte ha inoltre interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge:

i) l'iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo;

ii) la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell'intesa ("prendere o lasciare"), ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l'intesa potrà essere eventualmente rinegoziata;

iii) la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra "materie LEP" e "materie non LEP") va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come "non LEP", i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;

iv) l'individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso;

v) la clausola di invarianza finanziaria richiede, oltre a quanto precisato al punto precedente, che, al momento della conclusione dell'intesa e dell'individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari;

ha concluso inoltre la Corte costituzionale sottolineando che spetta al Parlamento, nell'esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall'accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge;

considerato che:

in questo contesto, a fronte dei gravi rilievi di illegittimità riscontrati dalla Corte costituzionale nel testo di legge approvato, dell'ampiezza della declaratoria che colpisce tutti i più importanti punti del provvedimento, tanto da smantellarne di fatto l'impianto, si ritiene che la legge sia divenuta sostanzialmente inapplicabile. Di conseguenza, avviare le negoziazioni tra le Regioni e lo Stato per l'eventuale trasferimento di competenze sarebbe oggi gravemente illegittimo e irrispettoso delle prerogative della Corte costituzionale;

l'approvazione di intese sulla base di una legge dichiarata in grandissima parte illegittima dalla Corte costituzionale rappresenterebbe poi un gravissimo precedente, in grado di mettere in discussione la stessa tenuti dei principi fondanti la democrazia parlamentare;

produrrebbe inoltre risultati contrari a numerosi fondamentali principi costituzionali: prima di tutto la cristallizzazione delle differenze esistenti fra i territori, in aperto ed evidente contrasto con quanto stabilito dall'articolo 5 della Costituzione, laddove è stabilito che la Repubblica è "una e indivisibile"; la violazione dell'articolo 3 della Costituzione, che prescrive il principio di eguaglianza e che impone allo Stato il compito fondamentale di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese";

le intese illegittime consentirebbero alle Regioni più ricche di trattenere più poteri e risorse per garantire i loro cittadini, mentre i territori più fragili, segnatamente quelli del Mezzogiorno e delle aree periferiche o interne e insulari, avrebbero maggiori difficoltà per riassorbire le diseguaglianze e raggiungere i livelli di sviluppo e di benessere sociale della parte del Paese più ricca;

si accrescerebbero quindi le diseguaglianze e divari territoriali potenzialmente irreversibili, si aprirebbe la strada alle diseguaglianze nei diritti fondamentali su base territoriale, unico discrimine sarebbe la residenza delle persone;

in questo senso, l'unità nazionale non può prescindere dai compiti che i successivi articoli 2, 3, 4 della Costituzione assegnano alla Repubblica: la garanzia dei diritti inviolabili e l'assolvimento dei doveri inderogabili di solidarietà, la rimozione degli ostacoli all'eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini. In evidente contraddizione con il testo costituzionale, la legge n. 86 del 2024 prevede un novero di materie delegabili che esorbita dai confini segnati dai principi costituzionali menzionati: la sanità, la scuola, l'università e la ricerca, i beni culturali, l'ambiente e gli ecosistemi, l'organizzazione della giustizia di pace, le politiche attive del lavoro, i trasporti, porti e aeroporti, protezione civile, il governo del territorio, il trattamento dei rifiuti, la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia, il sostegno alle attività produttive, la riorganizzazione degli enti locali, e altro;

è quindi evidente come il passaggio alle Regioni finirebbe per tradursi in un inevitabile aggravamento del divario sociale e territoriale, con una lesione diretta dei principi di eguaglianza, solidarietà e democrazia sostanziale,

impegna il Governo ad interrompere senza indugio ogni interlocuzione o negoziato in corso con le Regioni interessate e a non intraprenderne di nuovi, e ad attuare una moratoria delle intese in atto, valutandone comunque gli eventuali effetti applicativi, fino alla compiuta definizione di ogni procedimento attinente alla legittimità della legge n. 86 del 2024 e alla sua eventuale riscrittura ad opera del Parlamento in conformità con la sentenza della Corte costituzionale n. 194 del 14 novembre 2024.


MOZIONE SULL'AUMENTO DEI PREZZI DEI BENI ESSENZIALI E DELL'ENERGIA

(1-00119) (21 gennaio 2025)

BOCCIA, MANCA, TAJANI, IRTO, FRANCESCHELLI, LORENZIN, MISIANI, NICITA, BASSO, FINA, MARTELLA, GIACOBBE - Il Senato,

premesso che:

a partire dal mese di gennaio 2025 è previsto un diffuso aumento di tariffe, imposte, tributi e dei prezzi su diversi beni e servizi essenziali, che andranno ad incidere in misura consistente sui bilanci delle famiglie italiane e ad incrementare ulteriormente la pressione fiscale posta a carico dei contribuenti;

sulle buste paga dei lavoratori graverà nei prossimi mesi l'incremento della pressione fiscale locale in conseguenza delle misure introdotte nella legge di bilancio per il 2025, che richiedono agli enti territoriali di adeguare le proprie addizionali sull'IRPEF per mantenere almeno in equilibrio i propri bilanci e per garantire il mantenimento dei servizi in favore dei cittadini residenti nel proprio territorio. In aggiunta, numerosi enti locali, anche in ragione degli ulteriori pesanti tagli subiti in legge di bilancio, hanno già adeguato o si apprestano ad adeguare gli importi dovuti dai cittadini per la TARI;

ad aggravare la situazione di famiglie e imprese concorrono poi diversi aumenti dei prezzi sul fronte dei servizi essenziali, a partire dalle tariffe per l'acqua e per le bollette elettriche e del gas;

per l'anno 2025, secondo quanto emerge dai dati dell'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, gli enti di governo di ambito hanno già provveduto ad approvare consistenti incrementi delle loro tariffe per il servizio idrico per usi civili, che in alcuni ambiti territoriali oltrepassano il 15 per cento rispetto all'anno precedente;

l'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente ha annunciato che nel primo trimestre del 2025 è previsto l'aumento della tariffa dell'energia elettrica del 18,2 per cento per circa 3,4 milioni di clienti vulnerabili, ossia per gli anziani sopra i 75 anni, per i disabili, per i percettori di bonus sociale e altre categorie deboli rimasti nel servizio di maggior tutela e che non sono passati al mercato libero. Nel primo trimestre 2025, infatti, il prezzo dell'energia elettrica sarà di 31,28 centesimi di euro per chilowattora a causa degli aumenti di spesa per l'acquisto di energia elettrica e dei costi di dispacciamento. Gravano, poi, sui clienti già nel libero mercato gli eccessivi costi di commercializzazione dell'energia elettrica aggiuntivi al PUN, che portano ad un incremento delle bollette elettriche a livelli insostenibili;

anche il mercato del gas è destinato ad essere ancora molto volatile nei prossimi mesi, quando la domanda salirà per effetto del riempimento degli stoccaggi e dopo i rincari del gas previsti, dovuti principalmente ad una tempesta perfetta che unisce il blocco dei flussi dall'Ucraina, l'interruzione di un impianto di GNL in Norvegia e le temperature più rigide rispetto alla media stagionale. Una tendenza che si segnala in aumento anche per i clienti vulnerabili, come testimoniano i dati recenti dell'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, che segnalano un aumento del 2,5 per cento a dicembre 2024. L'Autorità ha evidenziato come le quotazioni all'ingrosso della materia siano in aumento rispetto a quelle registrate a novembre e il prezzo per i clienti vulnerabili abbia raggiunto i 47,5919 euro a megawattora;

dal 1° gennaio 2025 è scattato un aumento dei pedaggi dell'1,8 per cento su 2.800 chilometri della rete autostradale di competenza di Autostrade per l'Italia e lungo la rete gestita dalla Società concessionaria Salerno-Pompei-Napoli;

le tariffe RC auto continuano a crescere, con ricadute negative in particolare per i guidatori virtuosi. Secondo i più recenti dati, a dicembre 2024, per assicurare un veicolo a quattro ruote in Italia occorrevano, in media, 643,95 euro, vale a dire il 6,19 per cento in più rispetto a dodici mesi prima e nuovi consistenti aumenti sono previsti per l'anno 2025;

sul fronte dei beni di prima necessità, sono previsti significativi incrementi anche dei prezzi dei prodotti alimentari (2,2 per cento in più a dicembre 2024), a partire dai cereali e derivati. Dopo i fortissimi aumenti registrati nel 2023, anche il 2024 ha registrato un significativo incremento che si protrarrà nel 2025, anche in ragione dell'alta domanda globale di riso, grano e mais e soprattutto per i crescenti rischi legati alle condizioni climatiche avverse, che continueranno a influenzare la produzione agricola. Il costo di latte e formaggi potrebbe aumentare ulteriormente a causa della riduzione delle mandrie in alcune regioni europee. Il prezzo delle carni, specialmente quella rossa, si appresta a subire un rialzo legato a costi di produzione più elevati e una crescente domanda nei mercati asiatici. Il prezzo dell'olio extravergine d'oliva, con la siccità che ha colpito pesantemente i Paesi produttori come Italia e Spagna e le basse rese di prodotto finale, continua a salire con un trend in crescita anche per i prossimi mesi;

il caro affitti, in particolare nei maggiori centri urbani e a vocazione turistica, sta diventando una vera e propria emergenza nazionale. Già nel corso del 2024, si è registrato un aumento del prezzo degli affitti generalizzato in tutta Italia, stimato in 10,6 per cento in più con punte ancora più elevate in città come Milano e Roma ed ulteriori incrementi sono attesi nel 2025. Un milione e mezzo di nuclei familiari vive una condizione di disagio abitativo acuto o grave, cioè fatica a pagare l'affitto o le rate del mutuo; almeno 400.000 sono registrati nelle liste di attesa per un alloggio popolare nei Comuni. Ad essere colpiti sono soprattutto famiglie numerose, lavoratori precari, giovani studenti. A determinare l'aumento dei prezzi degli affitti concorre la sempre più diffusa carenza di immobili destinati alla locazione a fini residenziali di lunga durata e l'esponenziale crescita di alloggi destinati alle locazioni brevi per finalità turistiche;

nel 2025 è previsto anche un aumento delle spese scolastiche relative a mense e libri del 3,66 per cento;

dopo alcuni mesi caratterizzati da oscillazioni modeste dei prezzi di listino dei carburanti alla pompa, negli ultimi giorni si assiste ad una nuova fase di consistente incremento dei prezzi dei carburanti, a livelli preoccupanti per imprese e famiglie;

secondo la recente rilevazione di "Quotidiano Energia", alla data del 16 gennaio il prezzo medio in self service della benzina ammonta a 1,824 euro al litro, mentre per il diesel ammonta a 1,731 euro al litro. Sulla rete autostradale, la benzina in self service raggiunge la media di 1,916 euro al litro, mentre per il diesel raggiunge la media di 1,834 euro al litro. In modalità servito, il prezzo medio della benzina supera 1,962 euro al litro, mentre il diesel raggiunge 1,869 euro al litro, mentre sulle tratte autostradali il prezzo medio della benzina è di 2,177 euro al litro e del diesel di 2,102. Su alcune tratte autostradali, si segnalano distributori che hanno già superato la soglia dei 2,4 euro al litro per il rifornimento di benzina;

il dato relativo al costo medio dei carburanti, in assenza di un'inversione della situazione in atto, è destinato a salire ulteriormente nelle prossime settimane;

i recenti aumenti del prezzo di diesel e benzina sono legati a una serie di fattori complessi, tra cui giocano un ruolo importante le tensioni internazionali e le fluttuazioni del mercato. Sul fronte internazionale, il perdurare delle tensioni geopolitiche connesse ai teatri di guerra ancora aperti in Ucraina e in Medio Oriente contribuisce, insieme all'andamento delle quotazioni del petrolio sui mercati internazionali, a mantenere alto il livello medio dei prezzi degli idrocarburi. A queste si aggiunge la diminuzione del traffico nel canale di Suez, con diverse petroliere costrette a deviare verso il capo di Buona Speranza;

una consistente spinta all'incremento dei prezzi dei carburanti viene anche dalle politiche messe in atto dal Governo. L'annuncio nel "piano strutturale di bilancio di medio termine Italia 2025-2029" del riallineamento delle aliquote delle accise per diesel e benzina, nell'ambito del riordino delle spese fiscali, a cui ha fatto seguito l'annuncio nei giorni scorsi del graduale aumento di un punto percentuale delle aliquote di accisa sul diesel, per recuperare maggiori risorse fino a complessivi 600 milioni di euro nei prossimi anni da destinare alla copertura finanziaria del rinnovo dei contratti nel settore trasporto, è da molti considerato uno dei fattori determinanti del recente incremento dei prezzi dei carburanti alla pompa. In tale contesto, colpisce la distanza tra gli annunci di azzeramento delle accise sui carburanti in campagna elettorale e i risultati concreti che il Governo si accinge a produrre. L'Italia si posiziona tra i Paesi con il carico fiscale più elevato sui prezzi dei carburanti e, in ragione di tali interventi, rischia di peggiorare ulteriormente la situazione a discapito di famiglie ed imprese;

il decreto-legge n. 5 del 2023, adottato nel 2024 dal Governo come misura urgente per contenere in via risolutiva l'incremento dei prezzi dei carburanti alla pompa, non ha prodotto i risultati attesi per i limiti di contenuto e per la scarsa efficacia delle norme introdotte a fronte dell'andamento dei prezzi in aumento, a partire dall'inefficace obbligo per gli esercenti di attività di vendita al pubblico di carburante per autotrazione di esporre in modo evidente i cartelloni con i prezzi medi giornalieri di riferimento;

nel frattempo nessuna misura è stata adottata per fronteggiare i rincari in atto, con il rischio concreto che si innesti un effetto domino con rincari a cascata su altri beni di consumo, in primis sui prodotti agroalimentari;

considerato che:

l'ISTAT in data 7 gennaio 2025 ha pubblicato la statistica flash sui prezzi al consumo, evidenziando che nel mese di dicembre 2024 l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, ha registrato un aumento dell'1,3 per cento su base annua;

in tale contesto, i maggiori incrementi rispetto all'anno precedente per divisione di spesa hanno riguardato, fra gli altri, l'istruzione, con una variazione media del 2,9 per cento, i prodotti alimentari (2,4 per cento in più), i servizi sanitari e spese per la salute (1,5 per cento in più), l'abbigliamento (1,2 per cento in più); in termini tendenziali, l'indice NIC dei prezzi al consumo per tipologia di prodotto ha fatto registrare, fra gli altri, un incremento su base annua (dicembre 2024 su dicembre 2023) del 12,7 per cento dei beni energetici regolamentati, del 2,3 per cento dei beni alimentari non lavorati, del 3,6 per cento dei servizi di trasporto, del 2,5 per cento dei servizi relativi all'abitazione;

i dati del conto trimestrale dei settori istituzionali pubblicato da ISTAT, del 3 gennaio 2025, evidenziano che la propensione al risparmio delle famiglie diminuisce congiunturalmente dello 0,8 per cento, in gran parte per compensare la perdita di potere d'acquisto. I consumi delle famiglie crescono a ritmo ancora troppo lento e proprio il calo della propensione al risparmio rispetto al trimestre precedente è dovuto agli effetti dell'onda lunga dei rincari che spinge gli italiani a utilizzare i risparmi per mantenere i consumi inalterati. Nel 2025 è atteso un aggravio generale, su base annua, di oltre mille euro a famiglia, con una pressione fiscale al 40,5 per cento, in aumento di 0,8 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;

la manovra economica da poco varata non ha tenuto conto dei suddetti andamenti dei prezzi e non ha previsto misure o iniziative incisive per contrastare il caro prezzi e per sostenere le famiglie,

impegna il Governo:

1) ad escludere, nell'ambito del riordino delle spese fiscali, il riallineamento delle aliquote delle accise per diesel e benzina, al fine di neutralizzare ogni possibile impatto degli aumenti sull'autotrasporto, sul trasporto pubblico, sui lavori pubblici e sul comparto agricolo;

2) ad adottare, con urgenza, tutte le misure necessarie per contenere ed invertire il trend di incremento di tariffe, pedaggi e tributi, nonché dei prezzi su diversi beni e servizi essenziali, al fine di salvaguardare i bilanci delle famiglie italiane e delle imprese ed evitare nei prossimi mesi la caduta dei consumi;

3) ad attivarsi affinché, in accordo con le rispettive autorità di riferimento di ciascun settore, siano predisposti specifici interventi finalizzati a correggere tutti i fattori che concorrono all'incremento ingiustificato di aumenti dei prezzi, a partire dalle tariffe per l'acqua e per le bollette elettriche e del gas;

4) ad adottare appositi interventi finalizzati ad evitare il previsto aumento, a partire dal 1° gennaio 2025, della tariffa dell'energia elettrica del 18,2 per cento per circa 3,4 milioni di clienti domestici vulnerabili, ossia per gli anziani over 75, per i disabili, per i percettori di bonus sociale e altre categorie deboli rimasti nel servizio di maggior tutela e che non sono passati al mercato libero; in tale contesto a prevedere che l'acquirente unico possa svolgere attività di vendita di energia elettrica nei confronti dei clienti vulnerabili a prezzi calmierati; a dare seguito alla riforma degli oneri di sistema su beni energetici eliminando voci obsolete e spostandone altre sulla fiscalità generale;

5) ad adottare misure di sostegno in favore delle imprese manifatturiere, già gravate da 22 mesi consecutivi di riduzione della produzione, e delle imprese del settore agricolo a fronte dell'incremento dei costi di approvvigionamento di carburanti, energia elettrica e gas, a partire dalla riduzione degli oneri di sistema e dal riconoscimento di un contributo straordinario, sottoforma di credito d'imposta, in favore delle imprese, ivi comprese quelle agricole;

6) ad adottare misure urgenti al fine di calmierare ed invertire il trend in aumento dei prezzi dei carburanti e per evitare che gli effetti negativi di tali incrementi si riflettano sugli altri beni di consumo, a partire dai prodotti agroalimentari. In tale ambito, ad adottare misure condivise con la filiera della distribuzione dei carburanti e le associazioni di rappresentanza degli esercenti l'attività di vendita al pubblico di carburanti per automazione, finalizzate alla riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti; ad attivarsi per garantire almeno nei confronti delle imprese una riduzione delle accise sui carburanti, in misura tale da compensare l'incremento dei costi di rifornimento di carburanti alla pompa sostenuti nell'esercizio della propria attività;

7) a prevedere misure urgenti volte ad invertire il trend di incremento dei prezzi sui generi alimentari e di largo consumo, a partire dai prodotti agroalimentari maggiormente esposti agli incrementi quali cereali e derivati, riso, grano e mais, latte e formaggi, carni, olio ed ortaggi; in tale ambito a rafforzare le misure volte a garantire una maggiore remunerazione per le imprese del settore agricolo a fronte del gap esistente tra prezzi loro riconosciuti e quelli di vendita ai consumatori.

MOZIONE SUI PROGRAMMI DI FINANZIAMENTO PUBBLICO ALLA RICERCA

(1-00120) (21 gennaio 2025)

CATTANEO, UNTERBERGER, SPAGNOLLI, DURNWALDER, PATTON - Il Senato,

premesso che:

l'Italia, con 99 ricercatori ogni 100.000 abitanti, è al quartultimo posto in Europa e ben al di sotto della media europea, pari a circa 143;

la ricerca pubblica e privata e lo sviluppo in Italia beneficiano di un finanziamento che è pari al 1,47 per cento del PIL, percentuale che ci colloca nel ranking dei Paesi OCSE al 15º posto;

il personale impiegato in Italia nel settore della ricerca, rapportato a mille unità di forza lavoro, è di 13,5 unità, di cui 6 unità sono ricercatori: in sostanza, ogni mille lavoratori, solo 6 sono quindi ricercatori puri, mentre gli altri sono personale di supporto alla ricerca;

l'Italia contribuisce al finanziamento europeo alla ricerca per il 12,3 per cento e soltanto l'8,8 per cento rientra attraverso la vincita di progetti ai bandi europei competitivi. Al contrario, Paesi come i Paesi Bassi, che contribuiscono per il 4 per cento, riescono a vincere finanziamenti per l'8,8 per cento, quindi i Paesi Bassi spendono uno e ne "recuperano" 2,13, mentre in Italia rientra solo lo 0,71 per cento di quello che si investe come Paese;

i fondi annuali per il finanziamento ordinario delle università (FFO) e degli enti pubblici di ricerca in Italia coprono esclusivamente i costi strutturali e di personale, pertanto la ricerca di tali enti non gode di un budget certo e stabilito a priori, ma sono i ricercatori che partecipano a bandi competitivi (nazionali e internazionali) a reperire i fondi necessari alle loro ricerche;

ad esempio, un progetto di ricerca in ambito biomedico può necessitare, in media, di 150-200.000 euro all'anno (incluso il costo del personale) e richiede da tre a sei anni di investimento continuativo;

il finanziamento diffuso per la ricerca pubblica di base, in ambito umanistico e scientifico, del Paese è affidato dal 2007 ai bandi per i PRIN (progetti di rilevante interesse nazionale), emanati dal Ministero dell'università (fino al 2020 MIUR) e finanziati tramite le risorse del "fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST)";

dal 2007 ad oggi, i bandi PRIN hanno avuto un andamento discontinuo, sia riguardo alle scadenze, sia riguardo agli importi stanziati: a titolo esemplificativo, negli anni 2013, 2014, 2016, 2018, 2019 e 2021, non vi sono stati bandi e, in alcuni anni, il totale delle risorse disponibili per tutti gli ambiti disciplinari ammontava, ad esempio, a 100 milioni nel 2010, 39 milioni nel 2012, 92 milioni nel 2015;

gli ultimi bandi per i PRIN emanati dal Ministero risalgono al febbraio 2022 (somma stanziata pari a 749 milioni di euro) e al novembre 2022 (bando finanziato con i fondi PNRR per una somma pari a 420 milioni);

il Ministero dell'università, in data 4 ottobre 2024, ha comunicato agli uffici ricerca delle università italiane di aver deliberato il cosiddetto "scorrimento" delle graduatorie finali delle proposte approvate nell'ambito del bando PRIN 2022 (con l'avviso n. 1401 del 18 settembre 2024 e con il decreto dirigenziale n. 17430 del 20 settembre 2024), una procedura che ha permesso quindi il recupero di progetti di ricerca risultati esclusi dal finanziamento 30 mesi prima;

la dotazione finanziaria per tale "scorrimento", per un totale di 67.555.098,50 euro (di cui 526.652,96 euro destinati alle attività di valutazione e monitoraggio), è data dalla somma di 50.000.000 euro provenienti dal "finanziamento aggiuntivo FIRST-PRIN" nell'anno 2023, previsto dal decreto ministeriale n. 164 del 28 febbraio 2019 di riparto delle somme assegnate dall'articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, e 17.555.098,50 euro previsti dal decreto ministeriale n. 452 dell'8 maggio 2023 di ripartizione delle risorse FIRST per l'anno finanziario 2023 per interventi di supporto alla ricerca fondamentale nell'ambito degli atenei e degli enti pubblici di ricerca afferenti al Ministero;

tuttavia, trascorsi 30 mesi dalla presentazione, i progetti risultati idonei non vincitori del bando PRIN 2022 hanno un'altissima probabilità di essere divenuti obsoleti o di aver trovato altri canali di finanziamento, configurando anche il rischio di un doppio finanziamento, mentre, a causa di questa decisione, a nuovi progetti e nuovi ricercatori è stato precluso l'accesso competitivo alle risorse pubbliche;

per il 2025 non sono attualmente previsti bandi PRIN, il che si traduce nell'impossibilità per i ricercatori di progettare e competere per il prosieguo delle ricerche già in corso, causando quindi l'interruzione di queste ultime;

nel 2021, è stato istituito il FIS (fondo italiano per la scienza), per promuovere lo sviluppo della ricerca fondamentale, con il proposito dichiarato di emulare e seguire le modalità consolidate a livello europeo sul modello del finanziamento alla ricerca dello European research council (ERC);

la dotazione iniziale del bando FIS 1, emanato nel 2021, è stata di 50 milioni di euro e quella del bando FIS 2, pubblicato nel 2023 e riferito alle due annualità 2022 e 2023, è stata (come da decreto direttoriale del Ministero n. 1236 del 1° agosto 2023) di 338 milioni di euro;

i bandi ERC hanno tempistiche annuali "a data fissa" di apertura e chiusura, con le valutazioni che procedono per fasi di cui i candidati vengono informati con un scadenzario (timeframe) pubblicato sul sito ERC all'apertura della call, e che si concludono entro tempistiche note e certe: ad esempio, chi partecipa ai bandi "Synergy grant" sa che la procedura annuale sarà scandita secondo queste tempistiche: i) sottomissione progetto a novembre, ii) a marzo esito della prima valutazione, iii) a luglio esito secondo step di valutazione, iv) seconda settimana di settembre, eventuale, valutazione finale con colloquio in presenza a Bruxelles, v) entro metà ottobre esito finale;

diversamente, i bandi FIS, che vorrebbero emulare i bandi dell'ERC, non prevedono date certe per la pubblicazione dei risultati delle valutazioni. Ad esempio, sono trascorsi 18 mesi per il bando FIS 1 e 11-13 mesi (a seconda del settore) per il bando FIS 2 dalla chiusura dell'applicazione: queste tempistiche fanno sì che nel frattempo i progetti possano risultare superati e obsoleti;

nel novembre 2024, i ricercatori in attesa da quasi un anno della pubblicazione dei risultati del bando FIS 2 si sono trovati di fronte all'apertura del bando FIS 3 e alla possibilità di partecipare, senza sapere se, nel frattempo, avessero vinto il FIS 2 o se avrebbero avuto l'esito del FIS 2 prima della scadenza per la sottomissione al bando FIS 3, dovendo dunque prepararsi ad investire tempo, fatica, ore di lavoro nella predisposizione di un progetto che, nel caso fossero poi risultati vincitori del FIS 2, sarebbe risultato decaduto;

le valutazioni dei progetti FIS non hanno nulla a che vedere con le procedure di valutazione ERC, bensì si riducono a una sola riga, se non addirittura a una sola parola o al solo numero di punteggio per il progetto e al solo numero di punteggio per il curriculum, senza alcun tipo di commento, impedendo così al ricercatore interessato di comprendere le criticità del suo progetto ed eventualmente risolverle. Si tratta di una procedura in antitesi con quanto avviene con l'ERC, che assicura invece a ciascuno valutazioni approfondite ed elaborate, poiché ogni progetto viene scrutinato da 5-10 valutatori, ognuno dei quali elabora valutazioni nell'ordine di 1-3 pagine. In altre parole l'ERC riconosce al ricercatore il diritto di conoscere le ragioni per le quali il suo progetto è stato scartato (o approvato) così da poterlo migliorare: è infatti onere del soggetto finanziatore rendere noti i motivi delle approvazioni o delle bocciature nell'ambito di procedure che assegnano risorse pubbliche;

il tasso di successo dei bandi FIS, a titolo di esempio, nella classifica "Advanced" delle macroaree LS (life sciences) e PE (physics and engineering), è appena, rispettivamente, del 2,21 per cento (7 progetti finanziati su 316 presentati) e del 2,94 per cento (6 progetti finanziati su 204 presentati), e un tasso di successo così basso, dando luogo ad un nefasto "effetto lotteria" nella percezione della comunità scientifica interessata, rende anche amministrativamente irragionevole e oltremodo dispendioso il grande investimento di tempo e risorse pubbliche per la partecipazione di centinaia di studiosi e la messa in campo delle deboli procedure di valutazione oggi in uso;

in Italia, ad oggi, non esiste una fonte certa di finanziamento della ricerca competitiva, né bandi per il 2025 su cui i ricercatori del Paese possano fare affidamento, questo nonostante la certezza temporale dei bandi e la stabilità di finanziamento siano elementi essenziali ad ogni politica per la ricerca di una nazione ad economia avanzata;

le procedure di valutazione descritte risultano estremamente disomogenee e, spesso, poco comprensibili ai destinatari di tali valutazioni, rendendo il Paese poco affidabile agli occhi della comunità scientifica nazionale e internazionale, incentivando la fuga di tanti giovani promettenti formati negli atenei italiani e scoraggiando l'ingresso di giovani talenti dall'estero;

la paralisi e l'inadeguatezza delle valutazioni sulle tante linee di finanziamento messe in campo dal Ministero dell'università è indice di un sistema ingolfato, improvvisato, costantemente sottodimensionato rispetto alle funzioni che dovrebbe assolvere con efficienza e puntualità, e di un'incapacità di attenzione strutturale alla ricerca che va al di là dei singoli governi;

la Strategia italiana in materia di ricerca fondamentale, elaborata nel 2022 dal tavolo tecnico del Ministero, istituito dall'allora ministra Cristina Messa, concludeva che fosse necessario aumentare la spesa totale per i progetti di rilevante interesse nazionale (PRIN), distribuendola costantemente nel tempo e che "per raggiungere una percentuale di successo del 25-30%, indispensabile per mantenere attiva la rete di ricerca nazionale, sarebbe necessaria una spesa totale di circa 2,8 miliardi nell'arco di 5 anni";

altresì, i componenti del tavolo tecnico, nella Strategia per la ricerca fondamentale citata, concludevano essere "indispensabile realizzare procedure con cadenze regolari accompagnate da valutazioni rigorose e limitando gli adempimenti burocratici" e "auspicabile la creazione di una struttura dedicata con personale specializzato che garantisca, oltre a una adeguata gestione dei processi e alla valutazione ex-ante dei progetti, una puntuale valutazione ex-post dei risultati ad oggi mancante";

tale struttura in tutti i Paesi dello spazio comune europeo (Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria, Belgio, Portogallo, Grecia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Estonia, Lettonia, Lituania, Croazia, Serbia, Bulgaria, Romania, Norvegia, Regno Unito, Svizzera, Turchia) assume la forma di una "agenzia nazionale per la ricerca", e l'Italia è l'unica, oltre a Lussemburgo, Malta e Montenegro, a non esserne dotata;

in un Paese a noi comparabile per dimensioni e ordinamento, quale la Francia, l'Agence nationale de la recherche (ANR), istituita nel 2005 con una dotazione iniziale di 350 milioni di euro, nel 2023 ha gestito un budget totale di 1,2 miliardi di euro, di cui 758 milioni destinati al finanziamento diffuso di 1.640 progetti (comprendenti l'intero panorama disciplinare in ambito umanistico e scientifico con la sola eccezione della tematica su HIV finanziato attraverso altro ente e canale) con un tasso di successo complessivo del 24,3 per cento, e il resto allocato su bandi specifici per il potenziamento della partecipazione dei ricercatori e degli enti pubblici di ricerca francesi ai bandi europei;

senza la capacità di gestione di risorse, bandi e valutazioni simile almeno alla ANR francese, non vi è alcuna possibilità che il Paese possa aumentare la propria competitività e attrattività nel settore della ricerca pubblica mondiale, in quanto privo di solidi programmi nazionali attraverso i quali crescere la competenza e la competizione degli studiosi italiani;

nell'audizione del 22 novembre 2022, dinanzi alle Commissioni cultura riunite di Camera e Senato sulle linee programmatiche del Dicastero dell'università, la ministra Bernini ha richiamato la citata Strategia italiana in materia di ricerca fondamentale come segue: "Serve programmare per tempo 'l'uscita dal PNRR' e trovare spazio nel bilancio ordinario per dare continuità a politiche di investimento sul capitale umano. È una logica ben illustrata dal 'Tavolo tecnico per la Strategia italiana in tema di ricerca fondamentale', che mostra l'aumento delle risorse complessive, grazie al PNRR, insieme all'esigenza di un'attenzione stabile e strutturale";

la ministra Bernini, commentando le prospettive della ricerca post PNRR, nel suo intervento al simposio su "Ricerca pubblica e il futuro dell'Italia. Stato presente e sviluppi di lungo periodo", organizzato il 4 luglio 2023 presso l'Accademia dei Lincei, ha osservato che i 9 miliardi di euro ricevuti col PNRR da spendersi in un quinquiennio, in assenza di una programmazione pluriennale di spesa, sono da considerarsi "doping", e ha specificato la necessità di una programmazione di lungo periodo "che si basi su una analisi multifattoriale e di integrazione dei diversi stakeholder del sistema ricerca - istituti di ricerca, imprese, istituzioni, Università etc. - con l'obiettivo di stabilizzare il valore di Ricerca e sviluppo allo 0,70 - 0,75 per cento del Pil, a partire dal 2027 e nonostante la fine dei finanziamenti del PNRR";

la legge 30 dicembre 2024, n. 207 (legge di bilancio per il 2025), ha previsto all'articolo 1, commi 579-580, nello stato di previsione del Ministero dell'università, l'istituzione di un fondo da 150 milioni di euro all'anno per il 2027 e il 2028, finalizzato al cofinanziamento dei centri di ricerca nazionali e dei partenariati estesi nati con il PNRR, nonché delle iniziative di ricerca in ambito sanitario e assistenziale del piano nazionale per gli investimenti complementari (PNC);

il cofinanziamento è condizionato al rispetto degli obiettivi stabiliti dai seguenti indicatori chiave di prestazione: a) affidabilità, intesa come la capacità di coordinare e realizzare progetti complessi secondo la tempistica e le modalità definite in fase di presentazione, b) impatto economico e sostenibilità, intesa come la capacità di attrarre risorse dall'esterno, per rendere sostenibile, almeno in termini di cofinanziamento, l'attività anche al termine del periodo di attuazione del PNRR, c) impatto sulla società, intesa come la capacità di avere impatto sulla comunità scientifica e sulle comunità socio-economiche di riferimento, anche mediante nuove forme organizzative e il coinvolgimento di attori pubblici e privati oltre quelli iniziali, d) impatto sulle politiche di riferimento, intesa come la capacità di fornire indicazioni, attraverso la redazione di libri bianchi o l'elaborazione di proposte di politiche da adottare nei rispettivi ambiti, finalizzate al superamento delle criticità, tenuto conto della sostenibilità politica delle stesse, e) impatto sulle strutture comuni (building capacity), intesa come la capacità di creare infrastrutture e laboratori ovvero servizi per la ricerca applicata in modalità partecipata, anche in sinergia con le imprese, nonché di creare valore mediante l'innovazione e la proprietà intellettuale;

si prevede che tali obiettivi saranno definiti (attraverso specifici indicatori di prestazione) dal Ministero dell'università in uno specifico decreto ministeriale che, di fatto, determinerà in concreto il futuro, ancorché temporaneo, dei 5 centri nazionali e dei 14 partenariati estesi individuati e finanziati col PNRR;

i 5 centri nazionali, selezionati nel giugno 2022 su 5 proposte presentate sono: 1) National centre for HPC, big data and quantum computing, con sede hub a Casalecchio di Reno (Bologna) e un finanziamento concesso di 319.938.979,26 euro; 2) National research centre for agricultural technologies (Agritech), con sede hub a Napoli e un finanziamento concesso di 320.070.095,5 euro; 3) Sustainable mobility center (Centro nazionale per la mobilità sostenibile, CNMS), con sede hub a Milano e un finanziamento di 319.922.088,03 euro; 4) National biodiversity future center (NBFC), con sede hub a Palermo e un finanziamento di 320.026.665,79 euro; 5) National center for gene therapy and drugs based on RNA technology, con sede hub Padova e un finanziamento di 320.036.606,03 euro;

il 3 agosto 2022, il Ministero ha selezionato i 14 grandi partenariati estesi (su 24 candidature arrivate);

fin dal marzo 2021, nell'articolo de "la Repubblica" intitolato "No all'oligarchia della ricerca", a firma della presente prima proponente, si segnalava in riferimento al PNRR come "tra le cose da non fare con le risorse in arrivo dall'Europa c'è la creazione di 'oligarchie della conoscenza' o nuovi centri privilegiati, in nome di una filosofia elitaria, 'estrattiva' e non 'inclusiva', della ricerca con il rischio concreto che si radichi una visione della ricerca che accentra risorse, usa i fondi pubblici per intestarsi competenze e idee sviluppate altrove, si autoproclama eccellente, rifuggendo ogni competizione ad armi pari. Una visione lontana dal metodo della scienza oltre che dai valori della nostra Costituzione";

nello stesso articolo, si sottolineava come "i nuovi enti andrebbero ad aggiungersi a un sistema pubblico della ricerca che può contare (tra Università, Ospedali di ricerca (IRCCS), Enti pubblici di ricerca vigilati dai Ministeri, ndr) su ben 135 soggetti che già perseguono l'obiettivo di creare nuove conoscenze utili alla crescita di individui, imprese e territori" e si esprimeva la preoccupazione che "anche qualora questa infornata di nuovi enti fosse originata da analogie con modelli esteri (ad esempio il Fraunhofer tedesco), non si può seriamente auspicare che la politica indirizzi il futuro della nostra ricerca in questa direzione senza un'analisi di ciò che già esiste, senza solidi argomenti circa necessità, previsione di produttività e sostenibilità anche post-2026, reale trasferibilità di governance e procedure";

i rischi paventati nel 2021 potrebbero concretizzarsi brutalmente oggi, qualora il decreto che adotterà il Ministero in forza dell'articolo 1, comma 580, della legge di bilancio n. 207 del 2024, finisse per consentire la distribuzione delle risorse del fondo "post PNRR" a tutti i soggetti esistenti, anziché porre centri nazionali e partenariati estesi in una condizione di valutazione stringente che, rispetto ai risultati indicati, veda sia soggetti meritevoli della prosecuzione del finanziamento ed altri soccombenti;

diversamente, specialmente in assenza di altri bandi pubblici programmati recanti risorse di libero accesso su base competitiva ai tutti i ricercatori del Paese, si favorirebbe un canale di finanziamento ad una rete previlegiata di ricercatori a scapito di altri, senza alcuna significatività scientifica acclarata;

le criticità della ricerca pubblica italiana, sommatesi nel tempo, necessitano di una pluralità di interventi che non possono non declinarsi a partire dall'adozione tempestiva, da parte di un Governo, di qualsiasi orientamento politico, che voglia concretamente accrescere la competitività del Paese, di tutte le politiche necessarie a sanare l'anomalia italiana in tema di programmazione, gestione, erogazione di risorse pubbliche messe a bando, di valutazione, programmazione e pianificazione pluriennale della spesa, da anni note agli operatori del settore e in tanta parte ricapitolate e riassunte nel documento citato, elaborato dal tavolo tecnico per la Strategia italiana in tema di ricerca fondamentale. Il documento rimane un punto di riferimento, specie in ordine alla quantificazione reale delle risorse necessarie al sistema della ricerca pubblica italiana per sopravvivere e non vanificare totalmente la straordinarietà delle risorse del PNRR,

impegna il Governo:

1) a disporre che il fondo FIRST sia stabilmente finanziato, senza soluzione di continuità, affinché possano essere previsti annualmente bandi PRIN non inferiori a 350 milioni di euro, secondo tempistiche certe e note per tempo e garantendo trasparenza e accuratezza di valutazione dei progetti e in ordine all'erogazione delle risorse;

2) a far sì che gli indicatori chiave di prestazione, che saranno individuati dal decreto ministeriale che adotterà il Ministero, ai sensi dell'articolo 1, comma 580, della legge di bilancio n. 207 del 2024, siano rigorosi e oggettivi, al fine di consentire una selezione reale di quei centri nazionali e di quei Pprtenariati che, in questi anni, meglio abbiano utilizzato e valorizzato le risorse ricevute, con una reale prospettiva di sostenibilità propria;

3) a istituire, presso il Ministero della università e della ricerca, una commissione di esperti di chiara fama nell'ambito delle politiche della ricerca che, entro 3 mesi dalla sua istituzione, elabori una proposta operativa per la creazione della struttura (auspicata nella Strategia per la ricerca fondamentale) che mimi o funga da "agenzia della ricerca" dedicata a gestire le procedure di valutazione (terze e indipendenti sia dall'accademia italiana, sia dal decisore politico) nell'ambito delle numerose linee di finanziamento della ricerca pubblica italiana, facendo tesoro dei modelli organizzativi e operativi diffusi da tempo in pressoché tutti gli Stati europei.


MOZIONE SUL SOSTEGNO AGLI INVESTIMENTI NEL SETTORE IDROELETTRICO

(1-00121) (21 gennaio 2025)

PAROLI, GASPARRI, ROSSO, ZANETTIN, SILVESTRO, DAMIANI, TERNULLO, TREVISI - Il Senato,

premesso che:

secondo le ultime rilevazioni di Terna, nel 2024 i consumi elettrici italiani sono aumentati del 2,2 per cento rispetto al 2023. Lo scorso anno le fonti rinnovabili hanno registrato il dato più alto di sempre di copertura della domanda, pari al 41,2 per cento (rispetto al 37,1 per cento del 2023). Il valore è in aumento grazie al contributo positivo, in particolare, della produzione idroelettrica e fotovoltaica;

pertanto, la produzione di energia idroelettrica rappresenta una delle più importanti fonti di energia rinnovabile e programmabile, e svolge un ruolo strategico per garantire l'indipendenza e la sicurezza energetica nazionale;

l'Italia presenta una durata massima delle concessioni idroelettriche (40 anni) tra le più basse d'Europa e in alcuni Stati (Finlandia, Regno Unito, Norvegia, Svezia) le concessioni hanno durata illimitata;

l'Italia, inoltre, è uno dei pochi Paesi europei ad aver fatto ricorso a meccanismi di gara per le assegnazioni e i rinnovi delle concessioni, operando in un contesto europeo di non reciprocità, laddove altri Stati hanno prolungato la durata delle concessioni ovvero si sono opposti all'apertura del mercato in considerazione del fatto che l'acqua è una risorsa limitata e, pertanto, non soggetta alla direttiva sulla liberalizzazione del mercato elettrico;

considerato che:

nello svolgimento delle prime gare, oltre a numerosi e articolati ricorsi proposti da diversi soggetti per oggettive criticità delle discipline di gara, si è manifestato il forte interesse di operatori europei ed extraeuropei, con il rischio elevato che l'Italia possa perdere un asset strategico per la competitività industriale e tecnologica del Paese;

è fondamentale garantire una ripartenza degli investimenti per la manutenzione e l'ammodernamento delle centrali idroelettriche, con evidenti ricadute benefiche in termini non solo di produzione energetica, ma anche di tutela del territorio;

è evidente, pertanto, l'esigenza di introdurre dei meccanismi di prolungamento delle concessioni atti a favorire gli investimenti, attraverso la valorizzazione delle concessioni in essere; infatti, all'avvicinarsi della data di scadenza delle concessioni idroelettriche, di solito i titolari si limitano agli investimenti conservativi; al contrario, una rideterminazione della durata delle concessioni garantirebbe un dispiegamento notevole di investimenti per interventi di manutenzione straordinaria, al fine di incrementare la capacità produttiva e di stoccaggio, oltre a una maggiore efficienza delle infrastrutture e una migliore conservazione dei volumi di invaso;

l'aumento della produzione idroelettrica connessa ai nuovi investimenti consentirebbe di incrementare la copertura del fabbisogno energetico con fonti rinnovabili, ridurre le emissioni inquinanti e accrescere l'indipendenza energetica del Paese,

impegna il Governo ad avviare in Europa tutte le opportune interlocuzioni al fine di tutelare la filiera italiana dell'idroelettrico, anche attraverso la possibilità di una rimodulazione delle concessioni in essere a fronte di piani di investimento che garantirebbero importanti ricadute positive sia in chiave energetica che ambientale per il nostro Paese, eliminando in tal modo le asimmetrie normative di gestione degli asset energetici tra i diversi Stati membri.

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